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L’azione inibitoria - Judicium

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Academic year: 2022

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Giulio Nicola Nardo L’azione inibitoria

SOMMARIO: 1. L’azione inibitoria quale azione di cognizione autonoma? – 2. Segue: la lesione del diritto quale presupposto della azione inibitoria - 3. L’azione inibitoria quale azione generale ed atipica a tutela di un diritto leso e giuridicamente protetto. 4. Considerazioni conclusive.

1. - Il diffuso orientamento della dottrina che, da tempo, riconduce l’azione inibitoria alla categoria delle azioni di cognizione (alla quale, come noto, appartengono l’azione di condanna, quella costitutiva e quella di accertamento) e, più in generale, di mantenere salda la storica tripartizione senza prospettare spazio alcuno per nuove tipologie di azioni - addirittura autonome e del tutto sganciate dalle medesime - non appare allo stato attuale soddisfacente né, tantomeno, in linea con le finalità che anche il nostro legislatore sembra aver attribuito, ormai da tempo, all’azione inibitoria, quale strumento di tutela giurisdizionale dei diritti.

Come noto, l’azione inibitoria è finalizzata a garantire la protezione preventiva di determinati diritti, ossia una tutela giurisdizionale rivolta piuttosto verso il futuro, siccome diretta ad impedire il verificarsi o il ripetersi di comportamenti generalmente illeciti, ai quali si aggiungono le tradizionali tutele di tipo risarcitorio e restitutorio che operano solo in seguito alla violazione del diritto.

In diversi Ordinamenti i provvedimenti inibitori sono previsti o in casi specifici, o come rimedio di carattere generale, sul condivisibile presupposto che per la violazione di alcune categorie di diritti non sia affatto sufficiente il risarcimento dei danni.

In sostanza, non si tratterebbe tanto di un meccanismo finalizzato a rafforzare la tutela di determinate situazioni privilegiate quanto, al contrario, a garantire l’effettiva protezione di diritti che, altrimenti, non sarebbero adeguatamente protetti.

Saremmo dunque, in presenza di uno strumento generale di tutela giurisdizionale attraverso il quale chi denuncia la violazione (attuale o potenziale) del proprio diritto può chiedere al giudice di impartire all’autore della violazione (i) l’ordine di astenersi dal

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comportamento lesivo, (ii) nonché quello di non ripeterlo più in futuro, (iii) se non adottando particolari accorgimenti.1

E’ evidente dunque che l’oggetto della tutela giurisdizionale è il diritto leso a protezione del quale viene richiesto l’intervento del giudice che, accertata la lesione del diritto, di conseguenza pronuncia un comando inibitorio nei confronti del responsabile della condotta illecita al fine di arrestarne gli effetti lesivi sia nell’immediato presente che nel futuro.

E’ chiaro dunque che per fare ciò a poco o nulla è utile una tutela tipicamente risarcitoria, laddove, al contrario, solo un “comando” inibitorio del comportamento dannoso altrui assicura quel provvedimento idoneo a garantire la tutela richiesta.

Ma come si cercherà di dimostrare in avanti, la tutela inibitoria dovrebbe avere una altrettanto generale applicazione anche quando il comportamento di terzi sia sì lesivo del diritto e pur tuttavia non concretizza una condotta illecita.

2. Segue: la lesione del diritto quale presupposto della azione inibitoria.

Posto che l’oggetto della tutela inibitoria è la situazione giuridicamente protetta, ossia il diritto, talora può accadere che l’esigenza di tutela sia una specifica reazione ad una condotta che, seppur non chiaramente illecita è comunque tale da comprimere in modo non giustificato il diritto altrui.

Laddove sorga un conflitto tra le parti è necessario dunque un provvedimento inibitorio del giudice che come detto, pur non essendo diretto ad arrestare una condotta illecita e lesiva del diritto altrui, consenta la prosecuzione dello stesso con particolari accorgimenti e modalità tali da non comprimere oltremodo l’altrui diritto.

* Il presente scritto è destinato agli Studi in onore di Nicola Picardi.

1 Il delicato tema della azione inibitoria nel processo civile, non può certo essere sviluppato compiutamente nel presente saggio, non essendo possibile in questa sede di affrontare con il dovuto approfondimento le diverse questioni quali, tra le tante, quella della applicazione delle c.d. astreintes correlate all’art. 614 bis c.p.c., per cui per le diverse questioni - qui solo accennate o non analizzate - si è costretti a rimandare ad altri scritti. In dottrina, in ordine cronologico, si segnalano, A. FRIGNANI, Voce Inibitoria, in Enc. Dir., XXIX, 1971, p. 559 ss; C. RAPISARDA, Profili della tutela civile inibitoria, Padova, 1987, p. 20 ss.; DI MAJO A., La tutela civile dei Diritti, Milano, 1987, p.11 ss.; A. PROTO PISANI, L’attuazione dei provvedimenti di condanna, in Foro It., V, 1988, pp. 177 ss.; C.RAPISARDA SASSOON, voce Inibitoria, Digesto delle discipline privatistiche, IX, Torino, 1993, p. 476. A.CARRATTA, Profili sistematici della tutela inibitoria, Torino, 1997.

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Se così è allora, vi sarà ampio spazio anche per un’ammissione dell’azione inibitoria verso comportamenti di per sé non illeciti ma tali comunque da interferire in modo non del tutto consentito nella sfera giuridica altrui, al punto da giustificare l’intervento del giudice e la conseguente pronuncia di un provvedimento inibitorio a tutela del diritto leso.

In altri termini, la tutela inibitoria può senza dubbio trovare applicazione in tutte quelle ipotesi in cui comunque il diritto di alcuni possa essere danneggiato dal comportamento di terzi seppur durante l’esercizio del proprio diritto da parte di quest’ultimi. Ed infatti, pur non attuando un illecito comportamento ciò potrebbe determinare, in ogni caso, un’ingiustificata limitazione dell’esercizio dell’altrui diritto, ovvero un conflitto tra i due diritti (rectius: di esercizio degli stessi) che giustifica l’intervento del giudice proprio per regolamentarlo con un comando inibitorio.

Cosicché sulla generale premessa che l’azione inibitoria si rivolge alla tutela di un diritto leso da una condotta illecita e che per tale effetto rappresenta uno strumento di reazione alla stessa, a ciò deve aggiungersi che per poter assicurare un’effettiva tutela giurisdizionale dei diritti è inevitabile ed opportuno, se non proprio necessario, ampliare i settori di intervento del rimedio inibitorio nel quadro della tutela civilistica dei diritti, risultando al contrario fortemente riduttivo contenere l’operatività solo alle ipotesi, seppur frequenti - di lesione di un diritto a seguito di una condotta illecita altrui.

L’ampliamento dell’operatività della azione inibitoria, quale azione autonoma e generale, è dunque da sostenere, seppur con una certa cautela e prudenza, avendo riguardo alla fondamentale circostanza che, al contrario, non riconoscere l’azione inibitoria anche in ipotesi di comportamenti altrui, non necessariamente illeciti ma comunque lesivi di un diritto, manterrebbe un’inaccettabile lacuna oltre che un vuoto di tutela in evidente contrasto con l’accresciuta sensibilità ed esigenza di protezione di situazioni giuridiche normativamente protette.

Ciò detto, per ciò che riguarda i presupposti di esperibilità della azione, questi si ricavano dall’analisi delle fattispecie espressamente previste dalla legge e a tal riguardo si può affermare che condizione per ricorrere alla tutela inibitoria è l’esistenza di un diritto leso da un comportamento illecito, quest’ultimo inteso essenzialmente come atto contra jus, ossia come condotta realizzata in violazione di un obbligo giuridico.

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Come evidenziato, talora la lesione di un diritto altrui può essere concretata da un comportamento non contra ius che, tuttavia, collide con il diritto di terzi, o meglio con l’esercizio dello stesso, fino a giustificare la richiesta di un provvedimento inibitorio rivolto piuttosto ad armonizzare le modalità di esercizio dei due diritti in contrasto tra di loro.

Con ciò dunque, e nel tentativo di dimostrare come l’azione inibitoria abbia un campo di applicazione più ampio - si intende dire che i presupposti per il ricorso ad un’azione inibitoria sono dettati oltre che dalla necessità primaria di tutelare un diritto, anche da quella di arrestare un comportamento comunque dannoso, seppur non illecito, secondo il dettato di cui all’art. 2043 c.c., al fine di intervenire - risolvendolo - un evidente conflitto tra due o più interessi giuridicamente tutelati dall’ordinamento giuridico.

In questo senso, e più in generale, la ratio dell’azione inibitoria si colloca all’interno della responsabilità civile da intendersi sì ricompresa nell’ambito della responsabilità aquiliana, ed estendendosi, nondimeno, al fenomeno della responsabilità civile (anche) da fatto lecito.

Solo per fare qualche esempio, si rileva come la disciplina delle immissioni e turbative di cui all’art. (844 c.c.) si possa collocare all’interno della suddetta ipotesi laddove, a parte i casi in cui la condotta del terzo sia evidentemente illecita e contra ius - vi possono essere ipotesi in cui la turbativa o immissione che va ad incidere e ledere il diritto altrui non è l’effetto di una condotta illecita, e dunque da inibire nel modo più assoluto, quanto piuttosto quello dell’esercizio non corretto del diritto da parte del terzo che comunque provoca (e provocherà in futuro) una certa compressione del diritto altrui, determinando in ogni caso un conflitto tale da richiedere inevitabilmente l’intervento del giudice.

In tal caso dunque, l’azione inibitoria non è meno importante rispetto a quella

“classica” finalizzata ad arrestare la condotta illecita e lesiva altrui a tutela di un diritto, atteso che in questa circostanza l’intervento del giudice è sì più delicato richiedendo allo stesso organo giudiziario una certa cautela e prudenza nella pronuncia del comando inibitorio che sarà, evidentemente, più articolato sia nella parte riguardante il suo contenuto che in quella di attuazione del provvedimento stesso.

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La portata sempre più generale dell’azione inibitoria è dunque ulteriormente confermata dall’ampiezza del campo di applicazione della stessa che, comunque, ricondotta al fenomeno della responsabilità civile in generale, giustifica un intervento del giudice (ma non in via suppletiva) a tutela di situazioni giuridiche protette dall’ordinamento giuridico.

In conclusione, ciò che giustifica l’azione inibitoria è oltre che l’esistenza di un diritto meritevole di protezione, anche quella di una condotta comunque produttiva di effetti latu sensu negativi per il titolare del diritto e fonte comunque di responsabilità per l’autore della condotta che non sempre e necessariamente deve essere illecita.

Il provvedimento in esame viene dunque richiesto al giudice a tutela di un diritto e a fronte di un comportamento generalmente (ma, come detto, non necessariamente) illecito, di cui comunque si teme la continuazione o la ripetizione in futuro, non rilevando gli effetti eventualmente dannosi causati dalla condotta del convenuto, fino anche a prescindersi dalla presenza della colpa di quest’ultimo.

Aspetto peculiare della tutela inibitoria concerne l’oggetto dell’ordine giudiziale, che può contenere l’imposizione di un obbligo di fare o di non fare, a seconda che la condotta (illecita o meno) sia di carattere commissivo o omissivo,2 anche se il tratto caratteristico dell’istituto è che il provvedimento del giudice, nella maggior parte dei casi, riguarda l’ordine di non fare in futuro.

A tal proposito si deve considerare che alcuni obblighi di fare e la totalità degli obblighi di astensione sono di natura infungibile, in quanto per il loro adempimento è necessaria la collaborazione del debitore. Ed è proprio la particolare natura delle prestazioni oggetto dei provvedimenti inibitori che evidenzia molte difficoltà connesse alla loro realizzazione, in quanto non essendo suscettibili di esecuzione forzata rischiano di rimanere ”meri ordini giudiziali” sprovvisti di concreta effettività, poiché la loro osservanza dipende dalla volontà del convenuto di adempiere ed, eventualmente, dalla coazione della medesima volontà attraverso misure coercitive.3 Da tali esigenze è nata la

2 A. FRIGNANI, Voce Inibitoria, in Enc. Dir., XXI, Milano ,1971, p. 564 ss, che è uno dei pochi Autori che configura accanto all’inibitoria a contenuto negativo, un’inibitoria positiva che contiene un ordine di fare.

3 A. PROTO PISANI, Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, p. 131 ss. Sul meccanismo di applicazione delle astreintes in conseguenza della introduzione del nuovo art. 614 bis cpc, si vedano, A. FRIGNANI, “La penalità di mora e le astreintes nei diritti che si ispirano al modello francese” in Riv dir. civ., 1981, p.506 ss; Per la comparazione negli studi processuali italiani: V.ANSANELLI “Comparazione e ricomparazione in tema di expert

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previsione del nuovo art. 614 bis c.p.c., introdotto con l’art. 49 della legge n. 69/2009, prospettando l’applicazione di una misura coercitiva indiretta per gli obblighi di fare infungibili e per gli obblighi di non fare. Brevemente, si evidenzia che i modelli di esecuzione indiretta in Europa ai quali far riferimento sono quelli delle Zwangsstrafes germaniche, che prevedono pene pecuniarie, arresto e cauzioni, del Contempt of Court anglosassone e delle Astreints del diritto francese. E proprio da queste ultime il legislatore italiano ha tratto per coartare la volontà del debitore e per indurlo ad adempiere al provvedimento di condanna, al fine di evitare il pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell’adempimento, oppure di versare una somma fissa per ogni violazione.

Parimenti, in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni civili e commerciali, tra gli Stati appartenenti alla Comunità Europea, l’art. 49 del regolamento CE n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 dispone che le decisioni straniere che applicano una penalità, sono esecutive nello Stato membro richiesto, solo se la misura di quest’ultima sia stata definitivamente fissata dai giudici dello Stato membro d’origine.

Il nostro ordinamento prevede già tali misure in materia di brevetti industriali (art.

86, 1° comma , R.D. 29 giugno 1939 n. 1127 sui brevetti per invenzioni industriali e art. 66,

whithes testimony” in Riv dir. proc. 2009 n 3 p. 713 ss; DE BOER “Osservazioni sull’astreinte nel diritto processuale olandese” in Dir. proc. civ. 1996, 790 - 793.

A tal proposito con riferimento al tema della applicazione delle astreintes anche per la mancata esecuzione della decisione del giudice amministrativo, si segnala l’intervento della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 25.6.2014, n. 15, in tema di astreintes ex art 114 co. 4 lett. e) c.p.a. in cui, peraltro, si evidenzia la divergenza con quelle previste nel processo civile in quanto: a) mentre la sanzione di cui al 614-bis c.p.c. è determinata con la sentenza che definisce il giudizio di merito, la penalità è irrogata dal Giudice amministrativo, in sede di ottemperanza, con la sentenza che accerta il già intervenuto inadempimento dell’obbligo di contegno imposto dal comando giudiziale; b) per tale effetto, nel processo civile la sanzione è ad esecuzione differita, in quanto la sentenza che la commina concretizza una c.d. condanna condizionata (o in futuro) alla circostanza dell’eventuale inadempimento del precetto giudiziario nel termine all’uopo contestualmente fissato; viceversa, nel processo amministrativo l’astreinte, salva diversa valutazione del giudice, può essere di immediata esecuzione, in quanto è irrogata da una sentenza che, nel giudizio d’ottemperanza di cui agli artt. 112 e seguenti c.p.a., ha già accertato l’inadempimento del debitore; c) le astreintes disciplinate dal codice del processo amministrativo presentano, almeno sul piano formale, un ambito applicativo più ampio rispetto a quelle previste nel processo civile, in quanto non si è riprodotto nell’art. 114, co. 4, lett. e, c.p.a., il limite della riferibilità del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi ad oggetto un non fare o un fare infungibile; d) la norma del codice del processo amministrativo non richiama i parametri di quantificazione dell’ammontare della somma fissati dall’art.

614 bis c.p.c.; e) il codice del processo amministrativo prevede, accanto al requisito positivo della non esecuzione della sentenza e al limite negativo della manifesta iniquità, l’ulteriore presupposto negativo consistente nella ricorrenza di “ragioni ostative”.

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2° comma, R.D. 21 giugno 1942 n. 929 sui brevetti per marchi d’impresa), di tutela del lavoratore, dei consumatori (art. 140, comma 7, cod.cons.) e nei confronti della protezione del diritto d’autore.

L’intento è di far leva indirettamente sulla volontà di adempiere del debitore imponendo il pagamento di una ”multa”, in caso di mancato adeguamento al provvedimento di condanna, facilitando il creditore, che di fronte all’inadempimento del debitore di obblighi di tale genere, si vede costretto ad instaurare un successivo giudizio per far accertare la violazione.

L’introduzione del 614 bis c.p.c. si affianca al già esistente 612 c.p.c. che disciplina, invece, l’esecuzione in forma specifica di una condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, che può essere attuata forzatamente per via della fungibilità, nonché della possibilità materiale o giuridica dell’obbligo del debitore.

In particolare, il ricorso all’azione inibitoria è necessario ogni qual volta il perdurare di un’attività illecita o meno sia in grado di incidere negativamente su interessi meritevoli di protezione e di produrre conseguenze non più riparabili attraverso i princìpi che regolano il sistema latu sensu risarcitorio4 (si pensi, in primo luogo, alla tutela dei diritti della personalità nonché della proprietà, del possesso e, infine, alla concorrenza sleale, ma soprattutto alla tutela del consumatore).

Il sempre maggiore ricorso a siffatta azione deriva, pertanto, dall’inadeguatezza del sistema risarcitorio a garantire l’immediata cessazione di un’attività generalmente illecita e la reintegrazione dell’interesse violato.5

3. L’azione inibitoria quale azione generale ed atipica a tutela di un diritto leso e giuridicamente protetto.

4 L’azione inibitoria è espressamente prevista dal codice in ipotesi di fatti lesivi rispetto ai quali essa costituisce un rimedio tipicamente adeguato, a fronte dell’insufficienza del risarcimento del danno ad assicurare una compiuta reintegrazione dell’interesse leso”: così BIANCA C. M., in Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, p. 781.

5 Esattamente, per alcuni il fondamento della tutela inibitoria atipica è da rinvenirsi proprio nel fondamentale principio di cui all’art. 24 della Costituzione italiana il quale assicura a chiunque la tutela dei propri diritti e nella complementarietà, dunque, di detta azione rispetto a quella risarcitoria a garantire “un sistema rafforzato e organico di protezione giurisdizionale dei diritti” così C. RAPISARDA.-M. TARUFFO, Inibitoria, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma, 1989. “L’espansione del rimedio inibitorio si inserisce nella più generale tendenza del nostro sistema giuridico a dare spazio alla tutela specifica, vale a dire a forme di tutela dirette a realizzare proprio l’interesse specifico violato e non già a far conseguire al titolare il raggiungimento di utilità equivalenti.” Così, A. BELLELLI, L’inibitoria come strumento generale di tutela contro l’illecito, in Riv. dir. civ., 2004, p. 614.

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La tutela inibitoria si distingue da quella risarcitoria per essere preventiva e specifica: preventiva, perché anche quando se ne ammetta l’esperibilità solo in presenza di un illecito attuale, mira comunque ad impedirne la ripetizione o la continuazione ed è quindi rivolta al futuro e non al passato;6 specifica, perché tende a garantire l’esercizio integrale del diritto secondo le modalità fissate originariamente dalla legge sostanziale.7

In altri termini, l’inibitoria è un rimedio autonomo e diverso da quello di tipo aquiliano e mira tendenzialmente alla prevenzione del comportamento illecito in violazione del diritto, e non alla riparazione del danno, sul presupposto che la tutela del diritto in questione impone il ricorso a strumenti preventivi proprio per la circostanza che lo stesso non sia affatto tutelabile attraverso lo strumento risarcitorio agganciato all’art.

2043 c.c., se non al prezzo di riconoscere l’esistenza di inammissibili vuoti di tutela nel nostro ordinamento.

L’azione risarcitoria, invece, determina non già l’obbligo di attuazione del medesimo precetto violato, bensì la diversa obbligazione di risarcire il danno conseguente a detta violazione.8

La tutela risarcitoria è dunque sempre successiva e mira a garantire il soddisfacimento non già dell’interesse tutelato dalla norma bensì dell’interesse, considerato equivalente, al ristoro del danno subito per effetto della condotta illecita.

La dottrina maggioritaria9 ha ravvisato come probabilmente la forte diffusione delle azioni inibitorie nei vari Ordinamenti sia dovuta ad un superamento del principio di derivazione romanistica secondo cui il risarcimento del danno sia da considerare la vera forma di tutela contro l’illecito, indipendentemente dalla natura specifica dell’illecito stesso e della situazione giuridica violata.

6 Così, C. RAPISARDA SASSOON, Inibitoria, in Digesto, disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 475.

7 “L’inibitoria non ha alcun contenuto surrogatorio, mirando a garantire l’integrità del diritto in sé e per sé considerato, secondo le sue proprie modalità di esercizio”, così C. RAPISARDA SASSOON., op. cit., p. 476

8 “Lo strumento risarcitorio si caratterizza proprio in ciò, che impone al debitore una diversa prestazione in sostituzione di quella originaria”: così C.M. BIANCA, op. cit., p. 187. Più, in particolare, nel campo dei rapporti obbligatori si parla di “modifica oggettiva del rapporto per sostituzione di prestazioni, e non già di una novazione,” e ciò al fine di comprendere il principio della permanenza delle eventuali garanzie del rapporto anche nella fase del risarcimento del danno, cfr. M.ALLARA, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, Torino, 1999, p. 54.

9 A. FRIGNANI, voce Inibitoria, in Enc.dir., XXI, Milano ,1971; C. RAPISARDA SASSON, voce Inibitoria, in Digesto Discipline Privatistiche, IX, Torino 1999; A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, in Problemi e metodo del diritto civile, Milano, 1985.

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È certo che l’importanza della tutela inibitoria è enormemente cresciuta con la proliferazione delle situazioni giuridiche soggettive a contenuto non patrimoniale o prevalentemente non patrimoniale, in cui si concretizzano i diritti fondamentali della persona (art. 2 Cost.), per le quali appare del tutto inadeguata una tutela risarcitoria successiva che attui una monetizzazione del diritto leso, ma non ne consenta al suo titolare un pieno ed effettivo godimento, non solo allorché il diritto sia leso da un comportamento illecito, ma anche quando l’esercizio del diritto venga limitato in modo non del tutto regolare creando una situazione di conflitto tale da giustificare l’intervento del giudice che pronunci un provvedimento di tutela diretta e specifica del diritto leso.

E ciò per l’accresciuta esigenza di tutelare situazioni giuridicamente protette anche di fronte a comportamenti non necessariamente illeciti ma in ogni caso lesivi di diritti altrui, sì da creare una stridente situazione di conflitto che impone l’intervento inibitorio del giudice idoneo a limitare la compressione del diritto leso e a meglio armonizzare il contemporaneo esercizio di due o più diritti, tutti meritevoli di tutela.

Da qui la conferma che l’azione inibitoria assurge sempre più a strumento generale di tutela giurisdizionale più articolata dei diritti, nella dimensione in cui anche prescindendo da comportamenti illeciti altrui viene comunque richiesta la pronuncia di un provvedimento di inibizione, anche solo parziale, o che regolamenti una nuova e diversa modalità di esercizio del diritto altrui apparentemente lesivo - seppur non tale da qualificarsi quale comportamento illecito - di altrui diritti.

Al punto che se ed in quanto si giunga a sostenere che l’azione inibitoria è uno strumento di tutela dei diritti, e come tale idoneo a risolvere ogni criticità relativa finanche alle modalità di esercizio degli stessi - si prescinderà dal presupposto dell’illiceità della condotta lesiva del diritto, potendosi ritenere che un diritto sia comunque leso anche se solo viene ingiustamente ridotto l’esercizio dello stesso a causa di un comportamento (seppur non illecito) altrui, che incide sullo stesso creando una situazione di conflitto tale da giustificare l’intervento del giudice e la pronuncia di un provvedimento inibitorio.

Ciò permette di andare oltre la seppur corretta impostazione metodologica di chi sostiene che la peculiarità dell’azione inibitoria presupponga proprio la commissione dell’illecito, concludendo che se il comportamento posto in essere non concretasse un

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illecito “non può esserci inibitoria”, la quale ultima di conseguenza risulterebbe illegittima perché limitativa dell’esercizio del diritto da parte di altri.

Invero, la conclusione cui giunge tale dottrina è troppo rigida laddove non riconosce spazio alcuno all’azione inibitoria nelle ipotesi - per vero, non infrequenti - in cui il diritto venga leso da terzi in costanza di esercizio del (proprio) diritto da parte di quest’ultimi.

In tal modo però sembra quasi che si voglia rinunciare ad individuare nell’azione inibitoria nuovi e più attuali spazi di intervento giustificati da continui conflitti tra diritti spesso in evidente contrasto o anche solo uno limitativo dell’altro, senza però che necessariamente l’esercizio di uno possa configurare un comportamento illecito.

Ma l’equazione illecito-inibitoria è per se stessa limitativa laddove esclude qualsiasi diverso intervento del giudice anche solo per inibire l’esercizio di un diritto che seppur non illecito va opportunamente armonizzato con l’esercizio del diritto altrui.

Con ciò dunque volendosi ritenere che il limitato, seppur importante - riconoscimento dell’azione inibitoria quale strumento di tutela giurisdizionale dei diritti conseguente ad una condotta illecita è troppo riduttivo soprattutto a seguito dell’accresciuta esigenza di tutela giurisdizionale dei diritti quale diretta conseguenza della altrettanto accresciuta conflittualità degli stessi (rectius: dell’esercizio degli stessi).

Proprio in ciò consiste la tutela inibitoria quale tutela specifica e preventiva.

Dunque limitare l’inibitoria quale strumento di protezione del diritto leso solo contro una condotta illecita, significa mantenere orfane di qualsiasi tutela giurisdizionale situazioni giuridicamente protette la cui lesione, anche solo in termini di non giustificata compressione delle stesse - legittima l’intervento inibitorio del giudice che non vale a dare cittadinanza ad una generica supplenza del giudice, ma soltanto a riconoscere un moderno sistema giurisdizionale di tutela dei diritti che, talora, può giustificare la richiesta di intervento - ma non l’invadenza - del giudice per giungere comunque ad una soluzione di un conflitto tra due o più diritti, che non necessariamente deve dare ragione all’attore che agisce in inibitoria.

4. Considerazioni conclusive.

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Dunque l’azione inibitoria colma le inevitabili lacune e le inefficienze dell’azione risarcitoria, atteso che il contenuto della prima è caratterizzato da un connotato di particolare duttilità che trova riscontro nell’atipicità delle forme di intervento da parte del giudice.

L’inibitoria è uno strumento davvero insostituibile per una efficace tutela giurisdizionale di diversi interessi giuridicamente protetti e per quanto possa apparire come espressione della tutela di condanna, essa, invero, è qualcosa di più e soprattutto di diverso, atteso che interviene per fornire una soluzione dei conflitti che insorgono nel contemporaneo svolgimento di attività consistenti esercizio di diritti diversi o comunque riconducibili ad interessi giuridicamente protetti.

In altri termini l’azione inibitoria assicura una forma di tutela giurisdizionale nuova perché in grado di assicurare a chi la richiede, una protezione effettiva e diretta oltreché utile del diritto leso, nonché una tutela giurisdizionale diversa, perché - rispetto alla tutela risarcitoria - prevede una forma di protezione del tutto dissimile dalla prima.

La suddetta diversità è, però, fisiologica alla tipologia del danno subìto dal diritto del quale non si chiede la protezione ex post - e cioè in termini di tutela per equivalente con la mera monetizzazione del disvalore economico prodotto - ma con un intervento specifico e diretto che vale a raggiungere l’effettività della tutela giurisdizionale attraverso l’inibitoria del comportamento altrui, generalmente (ma, si ripete, non sempre) illecito - che risulta dannoso per il titolare di un diritto.

E la necessità di un rimedio inibitorio - proprio perché rivolto alla tutela di un diritto e, nel contempo, alla soluzione di conflitti tra più diritti - interviene allorché l’esercizio di un diritto configura addirittura una condotta illecita, quasi un abuso contra legem del diritto stesso.

Poiché di fronte a tali circostanze qualsiasi diverso rimedio, soprattutto quello risarcitorio - sarebbe del tutto inidoneo ed inadeguato e perfino inutile, ecco l’inevitabilità di riconoscere cittadinanza all’azione inibitoria, sia essa nei casi di espressa previsione della stessa (inibitoria tipica), sia nei casi di mancanza di una specifica previsione (inibitoria atipica).

Cosicché nella misura in cui si sostiene che la tutela inibitoria (atipica) sia uno strumento generale ed autonomo di tutela giurisdizionale a garanzia di diritti

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giuridicamente protetti, ne consegue che la richiesta di intervento del giudice da parte del titolare di diritto leso configura chiaramente esercizio di una autonoma e ben precisa azione di tipo cognitorio, ossia quella inibitoria, che è azione diversa non riconducibile alla tipologia dell’azione di condanna, o a quella di accertamento, o a quella costitutiva.

E le attuali esigenze impongono che anche il legislatore intervenga per dare la giusta cittadinanza ad una forma di tutela neanche più tanto nuova e sconosciuta, ma che al contrario occupa sempre più ampi spazi rispondendo meglio alla necessità di assicurare una tutela effettiva dei diritti che le classiche forme di tutela non assicurano più ormai da tempo.

E per fare ciò non è azzardato ricondurre la ratio della azione inibitoria all’art. 24 Cost., facendo dunque rientrare l’esercizio della stessa nell’alveo del diritto di difesa costituzionalmente garantito, tale da riconoscere alla azione in esame la propria funzione a tutela di un diritto giuridicamente protetto per il quale l’ Ordinamento giuridico prevede un adeguato e completo meccanismo di efficace tutela giurisdizionale.

Cosicché è giunto il tempo di affermare che la tutela inibitoria esprime un principio di carattere generale dell’Ordinamento, diventando uno strumento indispensabile per garantire la soddisfazione di alcune tipologie di diritti riconosciuti dallo stesso, nonché per dare concreta attuazione al principio costituzionale della tutela giurisdizionale che ha come riferimento proprio l’art. 24 della Costituzione. In quest’ottica si inserisce perfettamente la azione inibitoria la cui espansione è giustificata dalla sempre più intensa esigenza di favorire la tutela preventiva specifica e diretta del diritto violato e non quella per equivalente.10

10. Sulla tematica della tutela specifica e per equivalente, si veda, per tutti, l’opera di I. PAGNI, Tutela specifica e tutela per equivalente. Situazioni soggettive e rimedi nelle dinamiche dell'impresa, del mercato, del rapporto di lavoro e dell'attivita' amministrativa, Milano, 2005).

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