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Capitolo 1

Il nuovo titolo V della Costituzione: una breve trattazione.

La riforma costituzionale approvata alla fine della XIII legislatura (ed entrata in vigore a seguito del referendum svoltosi il 7 ottobre 2001) ha mutato l’assetto dello Stato, cercando di venire incontro alle istanze di decentramento (ma anche qualcosa di più, in alcuni casi) provenienti da buona parte della società. Le leggi costituzionali che hanno portato alla nuova formulazione del Titolo V (intitolato

le Regioni, le Province, i Comuni), sono la l. cost. n. 1 del 1999 (sull’elezione

diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria), la l. cost.

n. 2 del 2001 (l’omologa per le Regioni a Statuto speciale) e la l. cost. 3 del 2001

(Riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione).

Già nella Costituzione del 1948, accanto al fondamentale principio dell’unità e

indivisibilità della Repubblica, si legge che questa riconosce e promuove le

autonomie locali, individuando in queste delle entità “naturali” in cui la popolazione si organizza spontaneamente.1

a) Gli statuti: la stabilità di governo e il rapporto con la Costituzione.

La prima di queste leggi ha come principale obiettivo quello di rafforzare l’autonomia e l’efficienza della Regione attraverso la valorizzazione dello statuto regionale ed una più elevata stabilità delle maggioranze politiche.

L’articolo 123 si apre con una delle innovazioni più rilevanti ossia l’eliminazione, per gli statuti, dell’obbligo di essere in armonia con le leggi della Repubblica: rimane solamente quello (ovvio, se vogliamo) di essere «in armonia

con la Costituzione». La nuova formulazione dell’articolo 123 della Costituzione

prevede che «lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con

legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi», con una

modalità ispirata in qualche modo alla revisione costituzionale prevista

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nell’articolo 138 della carta costituzionale. Questo procedimento configura una sorta di «legge regionale rinforzata»2, sulla quale l’unica forma di controllo statale possibile è la previsione del secondo comma dell’art. 123: «Il Governo

della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte» entro trenta giorni dalla pubblicazione sul

bollettino regionale. Nel medesimo articolo è prevista anche la possibilità di sottoporre lo statuto a referendum confermativo, a pena di mancata promulgazione in mancanza dell’approvazione della maggioranza dei voti validi (non c’è, come nel referendum costituzionale, un quorum di validità).

La Costituzione prevede una serie di istituti che lo statuto deve regolare (che la Corte ha definito «contenuto necessario degli statuti»3): in primo luogo la forma di governo. È presente però, all’articolo 122, una previsione “sostitutiva”, un caso molto singolare di norma Costituzionale cedevole rispetto ad una fonte sott’ordinata, cioè lo statuto regionale. L’ultimo comma di questo articolo prevede infatti che il Presidente della Giunta regionale sia eletto direttamente dal corpo elettorale e abbia la facoltà di nominare e revocare gli assessori, a meno che lo statuto non preveda una forma di governo differente.

La forma di governo regionale prevista nell’articolo 122 della Costituzione non può comunque definirsi “presidenziale”, in quanto l’articolo 126 prevede la possibilità, da parte del Consiglio regionale, di obbligare alle dimissioni il Presidente della Giunta tramite mozione di sfiducia motivata votata dalla maggioranza assoluta dei consiglieri. La reale probabilità che si arrivi a questa soluzione è però molto ridotta a causa della previsione dell’ultimo comma dello stesso articolo 126: in ogni caso in cui il Presidente vada a decadere (sfiducia, dimissioni, impedimento permanente, rimozione4 e morte), la Giunta e il Consiglio vengono automaticamente sciolti. Allo stesso modo, le dimissioni contestuali di più della metà dei consiglieri provoca lo scioglimento della Giunta5. Nello Statuto toscano (di cui si parlerà diffusamente nei capitoli 3 e 4) è

2 P. Caretti - U. De Siervo, Istituzioni di diritto pubblico, Giappichelli, Torino, 2002, pag. 340.

3 Sentenza n. 40 del 1972, ribadito tra l’altro nella sentenza 372 del 2004, di cui si parlerà

successivamente.

4 Vedi infra, in questo paragrafo.

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stata introdotta una sorta di mozione di fiducia con l’articolo 32, che prevede la votazione del programma del Presidente della Giunta da parte del Consiglio: l’eventuale mancata approvazione non ha però effetti giuridici, ma solo politici.6 In questo momento tutte le Regioni a Statuto ordinario seguono il modello di forma di governo previsto dall’articolo 122 della Costituzione: con la sentenza 2 del 2004 la Corte costituzionale è intervenuta chiarendo la questione della scelta di forme di governo alternative. Nelle norme oggetto del ricorso governativo (lo Statuto calabrese) era previsto che il Presidente e il Vice Presidente della Giunta fossero indicati sulla scheda elettorale, per poi essere nominati dal Consiglio a pena di suo scioglimento. In caso di dimissioni del Presidente (o negli altri casi di sua venuta meno di cui all’articolo 126 Cost.) non era previsto il contestuale scioglimento del Consiglio, ma c’era una semplice sostituzione col suo Vice. In questo modo i poteri del Presidente erano notevolmente ridotti rispetto a quelli previsti dalla Costituzione: la Regione giustificava ciò con la scelta di una diversa forma di governo. L’esecutivo contestava inoltre che lo Statuto dettasse norme in materia elettorale, dove una legge statale deve stabilirne i principi fondamentali a norma dell’articolo 122 della Costituzione. La sentenza n. 2/2004 ha dichiarando fondate le censure di costituzionalità: le previsioni dello Statuto calabrese non configuravano infatti una forma di governo alternativa. Secondo la Corte «non può non notarsi che il sistema configurato nell’art. 33 del testo

statutario appare invece caratterizzato da un meccanismo di elezione diretta del Presidente e del Vice Presidente della Giunta, del tutto analogo a quello disciplinato per il solo Presidente dall’art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, salva la diversità che la preposizione alla carica consegue non alla mera proclamazione dei risultati elettorali, ma alla “nomina” da parte del Consiglio regionale; questa diversità appare tuttavia essenzialmente formale se si considera che, ai sensi del secondo comma dell’art. 33, il Consiglio regionale procede “sulla base dell’investitura popolare espressa dagli elettori, nella sua prima seduta” e che “la mancata nomina del Presidente e del Vice Presidente indicati dal corpo elettorale comporta lo scioglimento del Consiglio regionale”.

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Ciò porta a ritenere che il Consiglio regionale sia anche giuridicamente vincolato ad uniformarsi alla scelta compiuta dal corpo elettorale, a pena del suo stesso scioglimento». Anche per quanto riguarda la presenza di norme di

materia elettorale nello Statuto, la Corte ha dato ragione al Governo. Possiamo quindi dire che, se è possibile per le Regioni tornare a forme di elezione consiliare del Presidente, non è però lecito aggirare la norma costituzionale modificando formalmente l’elezione e limitando sostanzialmente i suoi poteri. Il rafforzamento della figura del Presidente della regione risponde ad una precisa ricerca di stabilità istituzionale: nella stessa direzione va la legge elettorale dei Consigli regionali che, fino a che le varie Regioni non ne avranno una propria, è quella prevista dalla legge n. 106/68, così come modificata dalla legge n. 43/95 (integrata a sua volta dalle previsioni dell’articolo 5 della legge costituzionale n. 1/99, riguardanti la necessità dell’elezione diretta del Presidente della Regione e di una solida maggioranza a supporto). L’articolo 122 della Costituzione prevede che le norme elettorali regionali seguano i principi riportati in un’apposita legge statale: a questa esigenza risponde la legge n. 165/04. I principi fondamentali ivi riportati sono:

• Individuazione di sistemi elettorali che favoriscano la formazione di maggioranze stabili.

• Contestualità nell’elezione di Consiglio e Presidente regionale (se la Regione ha scelto il modello previsto nella Costituzione).

• Un limite di 90 giorni tra l’elezione dei consiglieri e l’elezione del Presidente della Regione (nel caso non si sia fatta una scelta diversa da quella dell’articolo 122 ultimo comma).

• Divieto di mandato imperativo.

Nell’ambito del miglioramento dell’azione regionale, un punto importante è sicuramente l’eliminazione dall’articolo 121 della riserva di regolamento al Consiglio regionale. Questo rilevante strumento normativo era stato esplicitamente attribuito all’assemblea dalla precedente formulazione dell’articolo 121. La potestà regolamentare veniva così difficilmente esercitata

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dai Consigli, che preferivano la forma-legge: inoltre le giunte spesso utilizzavano altri strumenti (come le circolari) come “surrogati” dei regolamenti. La Costituzione non specifica però se il potere regolamentare sia attribuito in via esclusiva alla Giunta, creando così un dibattito in dottrina sulla possibilità di una “spartizione” in sede statutaria di questa facoltà: anche se l’idea di base di tutto l’impianto della riforma è un potenziamento dell’esecutivo, dire che il tenore letterale dell’articolo 121 riserva alla giunta questo potere appare una forzatura.7 La stessa Corte costituzionale ha stabilito che «la mera abrogazione, ad opera

dell’art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1999, nel testo dell’art. 121 della Costituzione della precedente disposizione che attribuiva necessariamente l’esercizio della funzione regolamentare al Consiglio regionale – mentre non sono rinvenibili norme esplicite od anche implicite che limitino sul punto la discrezionalità statutaria – affida pienamente allo statuto la disciplina di tale funzione, che può essere anche alquanto articolata, a seconda delle diverse tipologie di fonti regolamentari». In effetti, gli statuti non devono seguire

pedissequamente il modello costituzionale, ma devono essere in armonia con i suoi principi8.

Parte del contenuto necessario, a norma dell’articolo 123 della Costituzione, sono anche la regolamentazione del diritto di iniziativa, della pubblicazione di leggi e regolamenti e dell’istituto referendario su norme e provvedimenti amministrativi regionali. Lo stesso articolo 123, all’ultimo comma, prevede che lo statuto si occupi della disciplina del Consiglio delle autonomie locali, «quale organo di

consultazione fra la Regione e gli enti locali»: per quanto riguarda la trattazione

di questo importante argomento, si rimanda ai capitoli 2 (per quanto riguarda la situazione pre-riforma) e 4 (per la disciplina attuale) . Non molto chiari, nel testo della riforma del 2001 sono i confini “orizzontali” degli statuti, ossia la già

7 La Corte costituzionale, nella sentenza n. 87/2001, aveva fatto capire che la sua interpretazione era

orientata verso la possibilità degli statuti di decidere sulla suddivisione del potere regolamentare tra giunta e consiglio.

Vedi P. Giampiero, Nota a ordinanza 87/2001. La Corte sul riparto delle competenze regolamentari nelle

Regioni, in Le Regioni, n. 4, Bologna, 2001, pag. 752.

8«Armonia con la Costituzione non significa omogeneità rispetto ad un modello, ma “rispetto dei principi

generali dell’ordinamento costituzionale”». R. Tosi cita F. D’Atena in I nuovi statuti delle Regioni ordinarie, in Le Regioni, n. 3-4, Bologna, 2000, pagina 527.

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richiamata distinzione tra contenuto “necessario” e contenuto “eventuale”. La questione, in effetti, si pone negli stessi termini in cui si presentava negli statuti degli anni ’70: possono questi avere un contenuto che esula in parte dal dettato costituzionale (ossia dalla parte “necessaria”)? La risposta della Corte è, come allora, positiva, con qualche distinguo. La Regione è definita «ente esponenziale

della collettività regionale e del complesso dei relativi interessi ed aspettative»9

e perciò è legittimata a porre nello Statuto «altri possibili contenuti, sia che

risultino ricognitivi delle funzioni e dei compiti della Regione, sia che indichino aree di prioritario intervento politico o legislativo»10.

È utile, in questo contesto, approfondire il discorso sulla sentenza della Corte n. 372 del 2004, che si occupava proprio di un ricorso del Governo sulla legittimità dello Statuto della Regione Toscana. Il ricorso era motivato anche11 dalla

9 Sentenza n. 372 del 2004. 10 Sentenza n. 2 del 2004.

11 Di seguito, i motivi del ricorso; i primi quattro (articoli 3 e 4 dello Statuto) sono quelli

riguardanti le norme di principio.

Articolo 3, comma 6: estensione del diritto di voto agli immigrati residenti. Sarebbe in contrasto con gli articoli della Costituzione n. 48 (gli elettori sono i cittadini) e 117 (materia elettorale è di competenza esclusiva statale).

Articolo 4, comma 1, lettera h: riconoscimento delle altre forme di convivenza. Risulterebbe in contrasto con gli articoli della Costituzione n. 117 (competenza statale su stato civile e ordinamento civile) e n. 123 sull’armonia degli statuti con la costituzione, nel caso si comprendano nella previsione coppie formate da individui dello stesso sesso (non rientranti nelle tutele dell’articolo 2 in base articolo 29 della Costituzione, “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”).

Articolo 4, comma 1, lettere l e m: tutela e valorizzazione regionale del patrimonio ambientale e artistico. Si configurerebbe un contrasto col 117, che prevede potestà esclusiva statale in questi campi.

Articolo 4, comma 1, lettere n, o, p: libertà d’impresa e promozione sviluppo economico. Per il Governo, potrebbero fornire una base statutaria in materia di tutela della concorrenza, di competenza statale a norma dell’articolo 117 della Costituzione.

Articolo 32: approvazione del programma del presidente da parte del consiglio. Configurerebbe un rapporto “di fiducia” tra consiglio e giunta, che contrasta con l’elezione diretta del presidente e quindi con la sua investitura popolare.

La consulta ha sottolineato gli effetti non giuridici ma politici della norma, dichiarando perciò l’infondatezza della questione.

Articolo 54: libero accesso ai documenti dell’amministrazione e obbligo di motivazione degli atti della P.A. Il controllo non filtrato si porrebbe in contrasto con i principi di efficienza dell’amministrazione, anche riguardo agli interessi giuridicamente rilevanti di terzi.

Sia le normative europee che quelle italiane vanno nella direzione della motivazione e del libero accesso11; la norma prevede inoltre una riserva di legge nella quale si dovrà stabilire un procedimento che

tuteli gli interessi di terzi e l’efficienza amministrativa. Per questi motivi la questione è infondata.

Articolo 63: disciplina regionale dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni conferite agli enti locali per specifiche esigenze unitarie. Andrebbe contro le previsioni dell’articolo 117 della Costituzione (organizzazione della funzione amministrativa è della potestà regolamentare degli enti locali) e del 118 (Sussidiarietà verticale non rispettata, esigenze unitarie permettono di non attribuire potere, non di attribuirlo e poi svuotarlo).

Per la Corte è in linea con il principio di sussidiarietà, perciò la questione è infondata.

Articolo 64: disciplina dei tributi degli enti locali. Dovrebbe essere una legge nazionale a disciplinarli, attuando l’articolo 119 della Costituzione.

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presenza, nell’ambito del contenuto “facoltativo” degli statuti, di norme cosiddette “di principio” ossia di enunciazioni riguardanti i principi-guida dell’azione regionale anche in ambiti fuori dalla sua competenza.12 La Corte ha stabilito che dette disposizioni sono espressive «delle diverse sensibilità politiche

presenti nella comunità regionale» negandone però l’efficacia giuridica, in

quanto gli statuti sono fonti regionali «a competenza riservata e specializzata»13, che devono in ogni modo «essere in armonia con i precetti ed i principi tutti

ricavabili dalla Costituzione».14 In questo senso, conclude la Corte, dette disposizioni non sono rivendicazioni di poteri altrui né possono legittimare attività normative regionali in materia: il ricorso è perciò dichiarato inammissibile per «carenza di idoneità lesiva».15

Con questa sentenza la Corte costituzionale ha sostanzialmente depotenziato gli statuti proprio nella parte potenzialmente più innovativa, creando in parte della dottrina molte perplessità riguardo la presenza di norme inefficaci giuridicamente all’interno di un atto-fonte come lo statuto; il fatto che gli statuti siano fonti sott’ordinate rispetto alla Costituzione e che materie come quella dei diritti fondamentali debba essere indisponibile per fonti non di rango costituzionale, è tuttavia incontestabile.16

La Consulta stabilisce che la legge regionale “deve comunque attenersi ai principi fondamentali di

coordinamento del sistema tributario appositamente dettati dalla legislazione statale “quadro” o, in caso di inerzia del legislatore statale, a quelli comunque desumibili dall’ordinamento”; quindi la questione è

infondata.

Articolo 70: partecipazione consiglio e giunta alla formazione e all’attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale. L’articolo 117 stabilisce che Regioni partecipano secondo i dettami della legge statale.

È un metodo per la formazione di una volontà regionale unitaria da portare poi nelle sedi competenti: la censura è perciò infondata.

Articolo 75: quorum variabile per i referendum abrogativi. Questa norma è ritenuta irragionevole, affidando il principale strumento di democrazia diretta a un a potenziale minoranza degli aventi diritto. L’articolo 75 della Costituzione fornisce il giusto principio in questo senso.

Alla Corte non sembra così irragionevole la variabilità del quorum; inoltre la materia referendaria è esplicitamente rimessa agli statuti dall’articolo 123. Anche l’ultima questione è infondata.

12 Articolo 2, Principi generali, e articolo 4, Finalità principali. 13 Sentenza n. 372 del 2004

14 Sentenza n. 196 del 2003 15 Sentenza n. 372 del 2004

16 A tal proposito vedi P. Caretti, La disciplina dei diritti fondamentali è materia riservata alla

Costituzione, in Le Regioni, n. 3, Bologna, 2005, che sottolinea il ruolo regionale nell’implementazione

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Il nuovo articolo 120 della Costituzione disciplina il potere di sostituzione del Governo nazionale nei confronti di «organi delle Regioni, delle Città

metropolitane, delle Province e dei Comuni». Tale potestà era presente anche nel

vecchio ordinamento, inizialmente solo nei casi di mancata attuazione degli obblighi comunitari e delle funzioni delegate alle regioni17: nel corso degli anni però, i casi in cui il Governo avrebbe potuto utilizzare tale strumento si sono moltiplicati, ad opera di leggi statali di settore. Il potere sostitutivo può essere esercitato nei seguenti casi:

• «mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa

comunitaria»

• «pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica» • «tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica»

• «tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e

sociali».

Non è completamente chiaro se questa norma legittimi il Governo ad intervenire solo nell’ambito dell’attività amministrativa o anche in quello dell’attività legislativa. La dottrina tende a ritenere corretta la prima impostazione, per tre ordini di motivi. In primo luogo perché l’organo titolare del potere sostitutivo è il Governo nazionale, una disciplina di questo potere che comprendesse anche l’attività legislativa non sarebbe probabilmente stata affidata in maniera esclusiva all’esecutivo. In secondo luogo, si sottolinea come la norma non operi distinzioni, nell’individuazione dei soggetti passibili di questo strumento, tra gli enti dotati di potestà legislativa (le Regioni) e quelli che non ce l’hanno (gli enti locali). Infine il nuovo titolo V contiene ipotesi di sostituzione nell’attività legislativa regionale esplicite e circostanziate: è il caso della previsione di cui all’articolo 117 comma 5, che contiene una riserva di legge (statale) che regoli la sostituzione agli organi regionali in caso d’inadempienza nell’attuazione di accordi internazionali e di atti dell’Unione Europea. In generale, a parere dello scrivente, la nuova Costituzione è impostata su una separazione e parificazione

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dei legislatori, ciascuno con le proprie competenze18: tutti hanno il limite del rispetto della Carta fondamentale, leggi regionali che vadano a creare problemi in questo senso dovranno andare incontro alle censure della Corte costituzionale. Di diverso avviso è la Corte costituzionale, che ha stabilito che le prerogative governative di cui all’articolo 120 della Costituzione si applicano alla generalità delle competenze regionali, sostenendo che «la disposizione è posta a presidio di

fondamentali esigenze di eguaglianza, sicurezza, legalità che il mancato o l’illegittimo esercizio delle competenze attribuite, nei precedenti artt. 117 e 118, agli enti sub-statali, potrebbe lasciare insoddisfatte o pregiudicare gravemente.

[…] La previsione del potere sostitutivo fa dunque sistema con le norme

costituzionali di allocazione delle competenze, assicurando comunque, nelle ipotesi patologiche, un intervento di organi centrali a tutela di interessi unitari»19. Con questa decisione, la Corte chiarisce che anche le Regioni a Statuto Speciale sono sottoposte a tale regime nonostante tale norma risulti “peggiorativa” rispetto alle modalità previste dagli statuti stessi; l’attuazione di questa nuova tipologia di intervento dovrà essere comunque regolata secondo le previsioni di cui all’articolo 11 della legge n.131/03 («Disposizioni per

l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3»), detta “La Loggia”, dal nome del ministro competente

durante la sua approvazione20. Un motivo di discussione riguardo questa disciplina è anche l’articolo 8, dove possiamo leggere che, nei casi previsti dall’articolo 120 della Costituzione, «il Consiglio dei ministri,[...] adotta i

provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario»: la possibilità governativa di esercitare il potere sostitutivo di cui

all’articolo 120 anche tramite decreto-legge è stata da più parti contestata21, ma la Corte non si è ad oggi espressa nel merito di questa particolare previsione della legge n. 131/04. Diverso è il caso previsto dal quinto comma dell’articolo 117 delegate alle Regioni.

18 Vedi paragrafo b sulla distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni. 19 Sentenza n. 236/04.

20 Di questa importante norma si tornerà a parlare nel corso di tutta la trattazione e, a proposito di uno dei

suoi aspetti più controversi, nell’apposito paragrafo e.

21 Vedi, ad esempio R. Dickmann, Note sul potere sostitutivo nella giurisprudenza della Corte

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della Costituzione, che prevede la sostituzione dello Stato (non del Governo) alle Regioni in caso di inadempienza di obblighi comunitari o internazionali.

L’ultimo comma dell’articolo 120 contiene una riserva di legge la quale «definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati

nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione»:

questi due importanti principi verranno esaminati nel paragrafo c.

L’articolo 126 della Carta costituzionale disciplina la possibilità di scioglimento del Consiglio regionale e di rimozione del Presidente da parte dello Stato. Lo scioglimento avviene mediante d.P.R. motivato, adottato dopo aver sentito la commissione bicamerale per le questioni regionali, integrata con rappresentanti delle regioni. Questo potere può essere esercitato nei seguenti casi:

• «atti contrari alla Costituzione» • «gravi violazioni di legge» • «ragioni di sicurezza nazionale».

Un’apposita legge dovrà regolare l’istituto.

b) Nuove competenze per Regioni ed enti locali.

La legge costituzionale n. 3 del 2001 (e la n. 2 per le Regioni a statuto speciale) ha cambiato radicalmente il sistema di distribuzione delle competenze normative e amministrative tra i livelli di governo e ha introdotto in Costituzione nuovi principi per il raccordo tra di essi. L’articolo 114 della Costituzione pone sullo stesso piano i livelli di governo, affermando che “La Repubblica è costituita dai

Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”22. È questa la prima affermazione del passaggio da un sistema basato sulla gerarchia

22 In questo contesto è interessante notare come i termini “Stato” e “Repubblica” siano usati in maniera

differente rispetto ad altre parti della Costituzione: con il primo si intendono le istituzioni pubbliche centrali, mentre il secondo si riferisce all’insieme delle istituzioni pubbliche.

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tra i vari livelli ad un sistema policentrico, dove i vari centri di potere debbano collaborare a seconda delle loro competenze, in modo da arrivare a soluzioni condivise e non più (per lo meno in molti casi) imposte.

All’articolo 117 possiamo vedere una delle principali novità del nuovo titolo V, ossia l’inversione del criterio di attribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni a autonomia ordinaria. Nella precedente versione l’articolo in questione elencava le materie di competenza regionale e quelle di competenza concorrente, nelle quali le Regioni legiferavano seguendo i principi enunciati dalle norme statali. Il nuovo articolo 117 elenca invece 17 materie di competenza esclusivamente statale, e altre 19 sono quelle di potestà legislativa concorrente: le materie non riportate negli elenchi precedenti sottostanno alla potestà legislativa regionale. Questo tipo di ripartizione (con la clausola residuale a favore delle Regioni) è tipico delle costituzioni federali, ed accresce il numero di materie di spettanza regionale rispetto alla precedente versione. Le leggi statali e quelle regionali vengono ad essere parificate: la differenza fondamentale è che operano in ambiti differenti. Il principio di competenza vale ora per tutti i legislatori: la legge non è più in assoluto una fonte a carattere generale, e ha perso la possibilità di svolgere un ruolo unificante di tutto il sistema.23 Quindi, a parte le materie di competenza concorrente e altri casi in cui sia prevista una legislazione statale “di indirizzo”, norme regionali e statali hanno nei rispettivi ambiti pari dignità. Il primo comma dell’articolo 117 specifica i limiti della potestà legislativa sia

23 L’unico elemento certamente unificante è la Costituzione, quindi un potere generale di unificazione del

sistema rimane al Parlamento in sede di revisione costituzionale (salvo referendum).

Per approfondimenti su questo tema F. Pizzetti, Le nuove esigenze di governance in un sistema

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statale che regionale: la Costituzione (ovvio, e forse un po’ pleonastico24) e i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario25 e dagli obblighi internazionali. In pratica però le Regioni avranno anche molte altre limitazioni, che deriveranno in gran parte dal modo in cui sarà attuata e gestita la riforma (e da come le Regioni sapranno difendere le proprie prerogative). In primo luogo alcune delle materie di competenza esclusiva statale sono talmente ampie da esser state soprannominate “materie trasversali”, perché andranno per forza di cose a sovrapporsi a competenze regionali (si pensi a temi come l’immigrazione, la tutela della concorrenza, la tutela dell’ambiente26). In secondo luogo è importante osservare la competenza legislativa statale di cui alla lettera m dell’articolo 117, secondo comma: «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni

concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Anche in questo caso, è difficile dire a priori quale sarà

l’effetto sulla legislazione regionale, in quanto il concetto di «livelli essenziali» è piuttosto labile, e si presta ad una gamma di interpretazioni più o meno restrittive per le Regioni: il rischio è che questa facoltà possa venire utilizzata dallo Stato per limitare l’autonomia regionale.27

Un altro problema di attuazione della riforma sarà probabilmente la legislazione di principio statale. Molte volte, in passato, lo Stato non ha emanato le norme con

24 La formula «armonia con la Costituzione» è sempre stata (anche prima selle riforme qui esaminate)

abbastanza oscura e dibattuta dalla dottrina: attualmente ci sono due tendenze, la prima che la considera appunto pleonastica, e l’altra che la ritiene un riferimento solo ai principi generali dell’ordinamento (come democraticità e unità della Repubblica).

Per approfondimenti A. Spataro, Il limite costituzionale dell’«armonia con la Costituzione» e i rapporti

tra lo statuto e le altre fonti del diritto, in Le Regioni, n. 3, Bologna, 2001. L’autore ipotizza che il

mantenimento di questa formula (aggiunta anche nell’art. 119) sia una risposta alle numerosi attacchi all’unità nazionale di questi anni, imponendo alle Regioni non solo di «limitandosi a rispettare, e dunque

«non violare» la Costituzione, ma mettendosi in piena sintonia col sistema di valori complessivo della Carta del 1948 ».

25 E’ interessante notare che questa sia la prima modifica della Costituzione che riconosce esplicitamente

l’Unione Europea. Il modo in cui l’ordinamento comunitario è “entrato” in quello italiano è stato finora una consuetudine interpretativa dell’articolo 11 della Costituzione: una soluzione abbastanza debole, visto che questo articolo non si riferisce certo (lo si vede anche dai lavori preparatori) alle istituzioni europee. Per approfondimenti L. Ferrari Bravo – E. Moavero Milanesi, Lezioni di Diritto Comunitario, Editoriale Scientifica, Napoli, 2002.

26 Proprio quest’ultima materia mostra come la distribuzione delle competenze non sia in alcuni casi

molto razionale. La materia “Governo del territorio”, che ha molti punti in comune con la tutela dell’ambiente e dei beni culturali (art. 117.2, lettera s), rientra nella legislazione concorrente: è uno dei casi in cui l’applicazione pratica richiederà lavoro di interpretazione e senso di responsabilità da parte degli attori.

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i principi fondamentali per l’attività legislativa regionale: vuoti legislativi in parte non casuali, in quanto lo Stato ha spesso ostacolato i processi di decentramento. Non solo: quando poi le cosiddette “leggi cornice” venivano emanate, erano spesso strutturate in modo da limitare molto l’autonomia regionale. Infatti era molto comune che queste norme non contenessero una mera legislazione “di principio”, ma andavano molto spesso nel dettaglio, contravvenendo allo spirito del dettato costituzionale.

Mancando ad oggi leggi cornice nella maggior parte dei casi, ci si può chiedere se le Regioni siano “bloccate” nel legiferare in questi settori. La Corte costituzionale ci da una buona indicazione dei suoi orientamenti con la già citata sentenza n. 372/200428, nella parte in cui si occupa di una norma dello Statuto toscano che tocca una materia dove lo Stato deve fissare i principi con propria legge.29 La Corte ha stabilito che la legge regionale «deve comunque attenersi ai

principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario appositamente dettati dalla legislazione statale “quadro” o, in caso di inerzia del legislatore statale, a quelli comunque desumibili dall’ordinamento».

Una importante innovazione è la scomparsa del controllo preventivo del Governo nazionale sulle leggi regionali: una volta passato il vaglio nazionale, la legge doveva avere il visto del Commissario di governo (ora scomparso) ed essere poi promulgata. Le leggi potevano inoltre essere impugnate dal Governo se ritenute lesive degli interessi nazionali o delle altre regioni, o in caso si ritenesse eccedessero le competenze regionali: le norme erano così rinviate al Consiglio regionale. Se riapprovate il Governo aveva la facoltà di promuovere la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte, o quella di merito per contrasto di interessi davanti alle Camere. Ora queste possibilità non ci sono più, e l’unico mezzo con cui lo Stato può opporsi a leggi regionali è il ricorso alla Corte costituzionale se ritiene che eccedano le competenze di questi enti. Allo stesso modo, alle Regioni è data la possibilità di ricorrere alla Suprema corte nel caso le

27 Questa norma ricorda molto il vecchio «interesse nazionale», limite alla potestà legislativa regionale

nella precedente formulazione del titolo V.

28 Vedi nota n. 10.

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proprie competenze vengano lese da un atto statale avente forza di legge (articolo 127). Con l’abrogazione della prima parte dell’articolo 125 della Costituzione, è sparito anche il controllo statale di legittimità sugli atti amministrativi regionali; allo stesso modo, con l’abrogazione dell’articolo 130, è cessato il medesimo tipo di controllo, esercitato questa volta dalle Regioni nei confronti degli enti locali. L’articolo 117 attribuisce inoltre alle Regioni la potestà regolamentare a parte che nelle materie di competenza statale, fatta salva la possibilità di delega da parte dello Stato. La Regione può concludere, nelle materie di propria competenza e seguendo i dettami della normativa statale, accordi con altri Stati e Regioni.

Una previsione interessante è presente nell’articolo 116: quella che apre le porte ad un “regionalismo differenziato”. Leggiamo infatti al secondo comma che

«Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n)30 e s)31, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata». A parte la nota comica della «giustizia di pace»

(contrapposta a quella di guerra?)32, la previsione di questa norma è interessante, in quanto può aumentare in maniera sostanziale (e in alcuni casi eccessiva, a parere dello scrivente) le competenze regionali, anche in settori particolarmente delicati (si pensi all’istruzione).

Un’altra importante novità del testo costituzionale novellato nel 2001 è il riconoscimento della potestà normativa degli enti locali, già introdotta dalla legislazione ordinaria con la legge n. 142/90 (articolo 4): l’articolo 114 della Carta costituzionale riconosce esplicitamente l’autonomia statutaria e l’articolo 117 specifica che «i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà

30 «norme generali sull’istruzione».

31 «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali».

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regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite». La legge n. 131/03, attuativa di alcune parti della

riforma del titolo V33, precisa all’articolo 4 che «la potestà normativa consiste

nella potestà statutaria e in quella regolamentare». L’autonomia statutaria degli

enti locali è attualmente regolata dal decreto legislativo n. 267/0034, che all’articolo 6 elenca alcuni degli aspetti che lo statuto deve obbligatoriamente regolamentare, specificando «le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e

di partecipatone delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio. Lo Statuto stabilisce, altresì, i criteri generali in materia di organizzazione dell'ente, le forme di collaborazione fra comuni e province, della partecipatone popolare, del decentramento, dell'accesso dei cittadini, alle informazioni e ai procedimenti amministrativi, lo stemma e il gonfalone e quanto ulteriormente previsto dal presente testo unico»; tra gli altri

elementi regolati dalla normativa statutaria possiamo citare il tema delle pari opportunità tra uomo e donna (articolo 6, comma 3) e gli istituti di partecipazione popolare (articolo 8). Gli statuti degli enti locali possono (ma non si costituisce qui un obbligo come sopra) disciplinare anche altri temi: ad esempio la figura del difensore civico (articolo 11), il quale ha «compiti di garanzia dell'imparzialita' e

del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell'amministrazione nei confronti dei cittadini». I limiti dell’autonomia

statutaria sono l’armonia con il dettato costituzionale, con i principi generali dell’ordinamento (ad esempio la distinzione tra funzione di indirizzo politico e amministrazione, sviluppata dalla legislazione ordinaria) e il rispetto della legge che sarà emanata in attuazione della riserva legislativa statale in ordine a «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni,

Province e Città metropolitane», di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p della Costituzione. Gli enti locali, come si legge all’articolo 4 della già citata

legge n. 131/03, hanno potestà regolamentare circa l’organizzazione, lo svolgimento e la gestione delle loro funzioni «nell’ambito della legislazione dello

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Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione». Il rapporto sussistente tra le fonti normative locali e quelle sovraordinate è stabilito dall’articolo 1, terzo comma, del decreto legislativo 267/00, prevedendo che le leggi statali in materia devono enunciare espressamente i principi che limitano l’autonomia normativa locale, e che l’entrata in vigore di leggi che enunciano tali principi provoca l’abrogazione delle norme statutarie che sono incompatibili con questi. La delega prevista all’articolo 2 («Delega al Governo per l’attuazione dell’articolo 117, secondo

comma, lettera p), della Costituzione e per l’adeguamento delle disposizioni in materia di enti locali alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3») della legge

n. 131/03 porterà certamente cambiamenti nell’ambito del rapporto tra le fonti. Altra novità è l’abrogazione dell’articolo 130 della Costituzione, che affidava alle Regioni il compito di effettuare, tramite appositi organi, controlli di legittimità e di merito per gli atti degli enti locali. Nel corso del tempo, i controlli dei vari Co.Re.Co. (Comitato Regionale di Controllo) sono calati in maniera sempre più importante: negli anni novanta è stato eliminato il controllo di merito ed è diminuito il numero di atti sottoponibili ad esami di legittimità; nel 2000, col testo unico, il controllo preventivo necessario veniva svolto solo sullo statuto, sul bilancio annuale e pluriennale e su alcuni tipi di regolamento (articolo 126). L’abrogazione dell’articolo 130 della Costituzione ha cancellato questa forma di controllo sugli enti locali (i Co.Re.Co sono in via di soppressione in tutte le Regioni), mentre ne permangono di altri tipi: quelli riguardanti il potere sostitutivo del Governo, il regime dei controlli interni (per incremento efficacia, efficienza, economicità della gestione), le verifiche della Corte dei conti35, i controlli sugli organi (art. 117 Cost., lettera p) i controlli su funzioni statali svolte dagli uffici comunali (quale, ad esempio, l’anagrafe) e quelli riguardanti l’ordine e la sicurezza.

34 Testo Unico in materia di ordinamento degli enti locali.

35 Ai sensi della legge 20/94 e successive modifiche, la Corte e le sue sezioni regionali vigilano sugli

equilibri di bilancio, la gestione finanziaria, l’effettività dei controlli interni e il perseguimento degli obiettivi prescritti dagli atti di programmazione agli enti locali.

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c)Le funzioni amministrative e i nuovi principi del Titolo V.

L’articolo 118 opera un forte cambiamento nei confronti dello svolgimento dell’attività amministrativa, attribuendo le funzioni amministrative ai Comuni, fatta salva la possibilità che «per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite

a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza». La norma è di notevole

importanza, ma è necessario fin da subito chiarire un aspetto fondamentale: ossia che le norme in esame danno un criterio di assegnazione, ma non sono direttamente attributive. Il passaggio è tutt’altro che marginale, in quanto significa che il trasferimento di funzioni dovrà avvenire con apposite leggi: queste saranno emanate dallo Stato e dalle Regioni, a seconda dell’ambito di competenza. Lo Stato conserva comunque un margine di manovra piuttosto ampio grazie alla competenza legislativa esclusiva su «legislazione elettorale,

organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane» (articolo 117, lettera m).

La terminologia usata riguardo le funzioni comunali ha scatenato un ampio dibattito in dottrina: esse vengono infatti definite «fondamentali» (articolo 117.2, lettera p), «proprie» e «conferite» (articolo 118). Per quanto riguarda le funzioni conferite, c’è un sostanziale accordo riguardo l’interpretazione di questo termine, che si riferisce a una serie di strumenti legislativi che con i quali è possibile attribuire funzioni: le differenze stanno nella forma dell’atto e nella possibilità o meno di trasferire la titolarità della funzione. Il dibattito ruota soprattutto attorno ai due termini proprie e fondamentali, la cui interpretazione muta anche il ruolo delle funzioni conferite. Una prima lettura è quella di A. Corpaci,36 che ritiene i due termini sostanzialmente sinonimi, in quanto le funzioni cui si riferiscono non sono frutto di elargizione ma sono proprie dell’autonomia dell’ente e ne connotano l’attività. In questo senso, sostiene Corpaci, si giustifica che

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l’intestazione di queste funzioni sia di competenza statale a norma dell’articolo 117, lettera p.

D’Atena37 afferma di intendere le funzioni fondamentali come “più importanti”, quindi indefettibili: in questo senso, nell’assegnazione di competenze

fondamentali, lo Stato potrebbe attribuire funzioni agli enti locali anche dai

gruppi di materie di competenza legislativa regionale, grazie alla competenza esclusiva sulle funzioni fondamentali degli enti locali. Riguardo il termine

proprie, questo autore sposa la tesi di Marini,38 il quale ritiene che di funzioni proprie si possa parlare solo rispetto ai Comuni, titolari della competenza generale. Così le funzioni amministrative sarebbero proprie per i Comuni, mentre verrebbero ad essere “conferite” per Province e Città metropolitane.

Un’ultima teoria è quella di R. Bin39 che dà tre significati diversi ai termini in questione: fondamentali sono le funzioni che lo Stato attribuisce agli enti locali in maniera uniforme; proprie, quelle attribuite da Stato e Regioni in maniera non necessariamente identica per tutti gli enti di pari livello (principio di differenziazione); conferite, le funzioni che possono risalire per sussidiarietà. Un cenno generale ora ai principi che caratterizzano il titolo V.

Il principio di sussidiarietà verticale40 è certamente il più importante, in quanto stabilisce il criterio di attribuzione delle competenze amministrative. Il concetto-chiave è che l’azione amministrativa deve essere realizzata dal livello di governo che sia più vicino possibile ai cittadini. La competenza deve essere esercitata dal livello superiore solo nel caso che quelli inferiori non siano in grado di svolgerla in maniera efficiente: e questo sia rispetto alle dimensioni dell’ente che in

36 A. Corpaci, Revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione e sistema amministrativo, in

Le Regioni, n. 6, Bologna, 2001, pagina 1305.

37 A. D’Atena, La difficile transizione. In tema di attuazione della riforma del titolo V, in Le Regioni, n.

2/3, Bologna, 2002, pagina 305.

38 F. S. Marini, Il nuovo titolo V: l’epilogo delle garanzie costituzionali sull’allocazione delle funzioni

amministrative, in Le Regioni, n. 2/3, Bologna, 2002.

39 R. Bin, La funzione amministrativa nel nuovo titolo V della Costituzione, in Le Regioni, n. 2/3,

Bologna, 2002.

40 Non viene qui affrontato l’importante aspetto della sussidiarità orizzontale, per la cui trattazione si

rimanda al capitolo 4.

Questo principio ha origine nel diritto comunitario. La sua prima formulazione si ha nel Trattato

dell’Unione Europea (1992), meglio noto come Trattato di Maastricht. In quel contesto, era applicato ai

rapporti tra Europa e Stati membri per riavvicinare i cittadini alle istituzioni e limitare la pervasività che rischiava di assumere l’attività comunitaria.

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funzione della collettività interessata. I principi di differenziazione e adeguatezza sono quasi dei corollari della sussidiarietà. Il primo stabilisce la possibilità che enti del medesimo livello di governo (due Comuni ad esempio) possano vedersi attribuire funzioni differenti (Comuni più grandi possono svolgere attività impensabili per quelli più piccoli). Il principio di adeguatezza si rifà proprio all’idea che l’ente sia in grado di svolgere delle funzioni rispetto ai mezzi che ha a disposizione.

Il principio che deve informare i rapporti tra i soggetti pubblici è quello della

leale collaborazione, elaborato dalla Corte costituzionale e più che mai attuale

rispetto al nuovo assetto istituzionale, dove non c’è più spazio per relazioni competitive e la collaborazione interistituzionale è l’unica strada percorribile. I principi qui esposti, assieme al non menzionato ma non meno importante secondo aspetto della sussidiarietà (c.d. orizzontale), verranno maggiormente approfonditi nel capitolo 4.

d) Le sedi del rapporto tra i livelli di governo.

La necessità di collaborazione tra i vari livelli istituzionali impone la creazione di apposite sedi ufficiali di confronto. Per quanto riguarda il rapporto tra lo Stato e le Regioni, la principale sede di confronto è la Conferenza Stato-Regioni. Questo organo ha iniziato a funzionare in seguito al d.P.C.M. 12 ottobre 1983 con funzioni consultive, e che è stata istituzionalizzata dalla legge 400/88 con il nome di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province

autonome (articolo 12). Nel corso degli anni la Conferenza ha assunto nuove

funzioni rispetto agli inizi, specificate attualmente nella legge 59/9741 (e nei successivi decreti legislativi, in particolare nel d. Lgs. 281/1997). La Conferenza è convocata e presieduta dal Presidente del Consiglio, o più spesso dal ministro per gli Affari Regionali: è composta dai Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, oltre che dai Ministri invitati dal presidente dell’assemblea sulla base

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dell’ordine del giorno. Possiamo qui vedere come le Regioni si interfaccino con il Governo nazionale, che occupa quindi una posizione privilegiata rispetto al Parlamento. Parte del cosiddetto “sistema delle Conferenze” è anche l a

Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, istituita con d.P.C.M. 2 luglio 1996

ed ora regolata dallo stesso d. Lgs. 281/1997: il suo ruolo è quello di favorire i rapporti ed il coordinamento tra il centro e la periferia istituzionale.

In relazione a temi di interesse comune per Regioni, Province e Comuni, le due Conferenze confluiscono in quella che è definita Conferenza unificata, con le medesime prerogative della Conferenza Stato-Regioni. Tra le altre, le competenze più importanti di questo istituto sono:

• il parere obbligatorio su schemi di leggi predisposti dal Governo su tematiche di interesse regionale.

• La possibilità di stipulazione di intese tra lo Stato e le Regioni; quando una legge prevede un’intesa di questo tipo, il Consiglio dei Ministri può procedere unilateralmente in caso di urgenza o nel caso in cui l’accordo non sia raggiunto entro trenta giorni.

• La possibilità di stipulare accordi tra Stato e Regioni per lo svolgimento di attività di interesse comune o al coordinamento delle rispettive funzioni. • La promozione della circolazione di dati e informazioni tra i vari livelli di

governo.

• La determinazione, nei casi previsti dalla legge, della ripartizione di risorse finanziarie alle Regioni.

Il ruolo della conferenza è destinato a cambiare nel corso di questi anni in funzione dell’attuazione della riforma del Titolo V. Da un lato abbiamo infatti la mancata attuazione di un sistema che possa portare gli interessi regionali nel Parlamento42, situazione che lascerà alla Conferenza questo ruolo. Dall’altro lato abbiamo la riallocazione delle funzioni tra Stato e Regioni: in questo senso un

42 La legge costituzionale 3/2001 prevedeva all’articolo 11 che «Sino alla revisione delle norme del titolo

I della parte seconda della Costituzione, i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali».

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ruolo molto importante sarà svolto dal sistema delle Conferenze, specialmente per quanto riguarda le previsioni di cui all’articolo 7 della legge 131/03 (vedi

infra, paragrafo successivo). Il secondo comma di questo articolo prevede che, in

sede di Conferenza unificata, siano stipulati accordi con Regioni ed enti locali «diretti in particolare all’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie,

umane, strumentali e organizzative necessarie per l’esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire». In base a detti accordi il Governo presenta dei disegni di

legge collegati alla legge finanziaria, in modo che questi patti siano recepiti dall’ordinamento. È inoltre previsto, sulla base dei medesimi accordi e in attesa dell’approvazione dei succitati d.d.l., che lo Stato avvii i trasferimenti tramite d.P.C.M. Questo schema sarà applicato, a norma del comma 2, «fino alla data di

entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione».

Per completezza, anche se il tema sarà diffusamente trattato nel Capitolo 3, non possiamo non menzionare il Consiglio delle Autonomie Locali, previsto dall’articolo 123 della Costituzione. Questo organo è disciplinato dallo statuto regionale ed è la sede preposta alla «consultazione fra la Regione e gli enti

locali».

Naturalmente tutti i rapporti istituzionali devono sempre informarsi al principio di leale collaborazione.

e) Un cenno ad una delle prime attuazioni della riforma: la legge “La Loggia”.

La legge 131/03 si occupa dell’attuazione di alcune importanti previsioni della riforma costituzionale: alcuni istituti vengono regolati direttamente, mentre per altri è la legge contiene una delega al Governo. Le materie direttamente regolate sono la partecipazione regionale alla formazione di atti comunitari, l’attività internazionale delle Regioni, l’esercizio delle funzioni amministrative, il potere sostitutivo, i ricorsi alla Corte costituzionale. Le materie delegate sono l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali e la contestata

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possibilità del Governo di emanare decreti legislativi «meramente ricognitivi dei

principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti» per «orientare l’iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi princìpi fondamentali» nelle

materie di potestà legislativa concorrente. Proprio quest’ultima previsione è stata oggetto di alcuni ricorsi alla Corte costituzionale43, che si basavano essenzialmente su due ordini di problemi. Il primo è che la legge fosse in contrasto con l’articolo 76 della Costituzione, perché la delega avrebbe avuto caratteri di «incongruenza e contraddittorietà» e perché i principi-guida del decreto legislativo sarebbero stati troppo vaghi («evanescenti», nelle parole dei ricorrenti) per poter limitare l’azione governativa. In secondo luogo la legge di riforma costituzionale n. 3/2001 stabiliva che i progetti di legge in materia di legislazione concorrente fossero esaminati dalla commissione parlamentare per le questioni regionali opportunamente integrata (vedi nota 36).

La Corte, con una sentenza decisamente compromissoria, ha stabilito che l’esercizio della delega «meramente ricognitiva» da parte del Governo è lecito nei termini della provvisorietà di questa regolamentazione (dice l’articolo 1 comma 2 «fino all’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento

definirà i nuovi princìpi fondamentali») e a patto che non ci siano delle

innovazioni. In questo senso il decreto legislativo rappresenterebbe per le Regioni un aiuto «senza peraltro avere carattere vincolante e senza comunque

costituire di per sé un parametro di validità delle leggi regionali, dal momento che il comma 3 dello stesso art. 1 ribadisce che le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato, o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti»:

una curiosa forma di legge non vincolante! Allo stesso tempo però la Consulta abroga i commi 5 e 6 della legge (contenenti i principi per l’esercizio della delega), ritenendoli incompatibili con la lettura «minimale» della delega data dalla Corte. Una sentenza quindi che salva il contestabile impianto della legge,

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cercando però di limitarne i profili più controversi, in maniera forse un po’ goffa44.

44 Alcuni commenti in proposito, reperibili sul sito www.giurcost.it, nella pagina relativa alla sentenza

280/04.

M. Barbero, La Corte costituzionale interviene sulla legge “La Loggia”.

N. Maccabiani, I decreti legislativi “meramente ricognitivi” dei principi fondamentali come atti senza

forza di legge”?

F. Drago, Luci (poche) ed ombre (molte) della sentenza della Corte costituzionale sulla delega per la

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