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Capitolo 4: La contabilità direzionale per il controllo della banca

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Academic year: 2021

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Capitolo 4: La contabilità direzionale per il controllo

della banca

4.1 La struttura informativa del controllo.

Riferendoci alla struttura tecnico-contabile si intende l’insieme degli strumenti di misurazione economica degli obiettivi e delle prestazioni che consentono lo svolgimento del controllo sulla gestione d’azienda51. È corretto riferirsi all’insieme di tali misure come sistema di contabilità direzionale per descrivere un sottosistema del più ampio sistema di controllo che presenta strette relazioni anche con gli altri sistemi informativi aziendali, a valore o meno. La definizione delle misure economiche in funzione delle quali impostare i processi di determinazione degli obiettivi aziendali, di responsabilizzazione economica e di valutazione della performance costituisce uno dei passaggi fondamentali nella progettazione dei meccanismi operativi del controllo direzionale. Pertanto qualsiasi misura di performance va valutata, più che sul piano della sua presunta “oggettività” nel rappresentare la realtà, principalmente in base alla sua capacità di indirizzare con efficacia l’azione del management verso l’obiettivo della massimizzazione del reddito e del valore, in un ottica valoriale, del capitale azionario. La funzione cui assolve la contabilità direzionale è quella di tramite tra i dati raccolti in maniera grezza nel sistema informativo e il sistema di controllo, che necessita di informazioni generate con l’incrocio e l’ordinamento di tali dati per creare le conoscenze necessarie alla gestione. Al crescere dell’oggettività del dato gestionale cresce anche la capacità di perseguire gli obiettivi.

Fondamentale rimane l’interazione tra le parti del sistema di controllo, quindi della contabilità direzionale con il processo ed in particolare con la struttura organizzativa prescelta. La scelta sulla ripartizione delle responsabilità economiche genera di riflesso importanti ripercussioni nella strutturazione delle aree di risultato, e quindi nelle rilevazioni ottenibili con la contabilità direzionale.

Bisogna innanzi tutto individuare gli elementi costituenti la contabilità direzionale, che si estrinseca in un complesso di norme e procedure di raccolta ed elaborazione di valori provenienti dal sistema informativo alfine di raggiungere risultati conoscitivi richiesti

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per il governo dell’attività, che saranno diversi a seconda della rilevanza della performance che si vuole misurare.

Nei mezzi tecnici possiamo senza dubbio far rientrare anche la strumentazione tecnico-informatica, hardware e soprattutto software, che sono poi i mezzi attraverso i quali è possibile svolgere il processo in maniera ottima. L’ICT (information communication

technology) ha visto negli ultimi anni un’evoluzione che ha potenziato fortemente i

tradizionali mezzi di contabilità direzionale, migliorando la precisione e la puntualità delle misure e creando input per la generazione di nuovi strumenti direzionali. Il ricorso all’informatizzazione è oggi imprescindibile nel momento dell’analisi della contabilità direzionale e del sistema di reporting, con una rilevanza cruciale sull’impianto e lo sviluppo degli stessi sistemi di controllo.

L’importanza dell’ICT nel settore bancario è testimoniata dal peso degli investimenti in tale ambito: Nel 2004 i complessivi costi ICT dei primi venti gruppi bancari si sono attestati a 4.102 milioni di euro, importo leggermente inferiore a quello dell’anno precedente (4.111 milioni di euro).

Gli elementi della contabilità direzionale

In banca gli strumenti informativi del controllo direzionale devono consentire principalmente:

a) il controllo della redditività di filiale, di centro di responsabilità di Direzione Centrale, di cliente/prodotto;

b) il controllo dei costi operativi;

c) il controllo dell’efficienza, della produttività e della qualità dei servizi; d) il controllo dello sviluppo commerciale;

e) il controllo del rischio.

Giungere ad un efficace controllo direzionale, significa ottenere una scomposizione funzionale ed operativa dei risultati periodici rilevati in sede di bilancio, in altre parole è necessario ricostruire il processo di gestione esprimendolo nei risulti di periodo e per ciascuna area di attività e/o di prodotto/servizio.

Possiamo dire, prescindendo dalle specifiche situazioni ambientali e aziendali, che la contabilità direzionale si articola su quattro principali sottosistemi:

Contabilità generale (Co.Ge.) Contabilità analitica (Co.An)

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Sistema di budget e standard

Sistema delle variazioni (variance analysis)

La contabilità generale raccoglie i valori derivanti dagli scambi monetari tra l’impresa e i terzi ed è la base per la redazione dei bilanci di esercizio, strumento di suprema sintesi dell’andamento della gestione, tradotta nel linguaggio economico-finanziario che gli è proprio.

Scopo di tale sistema informativo, cui l’azienda non può comunque prescindere, è mettere in evidenza le situazioni di credito e debito che sorgono nell’interfacciarsi con i terzi che entrano in contatto con l’azienda nella sua attività di scambio, vale a dire i clienti, i fornitori, i finanziatori e così via.

Ma oltre questo scopo rispondente ad esigenze di legge ve ne sono altri, tra cui quello di raccogliere in modo sistematico e continuativo, i valori consuntivi ed effettivi dei costi dei fattori produttivi e dei ricavi da prodotto. Tali informazioni sono la base di partenza delle elaborazioni di un altro sistema informativo, quello della contabilità analitica. La contabilità generale consente anche la formazione di sintesi periodiche su dati consuntivi reali con cadenze annuali e infrannuali, utili per il controllo a posteriori dell’assetto economico, finanziario e patrimoniale dell’azienda. Impossibile prescindere quindi dalla contabilità generale per scelte strategiche ed operative.

La Contabilità analitica, consente, fra l’altro, di rispondere ad un quesito sempre più pressante per tutti gli amministratori, vale a dire: “quanto costa?” In altre parole, attraverso l’impiego di tale strumento contabile, è possibile determinare il valore delle risorse consumate in riferimento a diversi possibili oggetti di costo, cioè unità economiche di riferimento, i costi delle quali costituiscono informazioni utili al

management per assumere decisioni coerenti e “razionali”, nonché per valutare

comportamenti ed effetti

delle decisioni già assunte. Il calcolo dei costi, pertanto, richiede di riferire tali determinazioni a periodi di tempo definiti e, normalmente, infrannuali (mese, trimestre, semestre e, al limite, l’anno medesimo).

La contabilità analitica si basa, come quella generale, su valori consuntivi, ma fornisce valori aggregati che non si limitano ai dati di scambio azienda-mercati, ma all’impresa nel suo insieme, compiendo aggregazioni per settori, business units, clienti e per aspetti significativi alla gestione. Un tale sistema può attingere ad una fonte dati comune con la

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contabilità generale, integrandola con valori non di scambio, oppure essere gestita in maniera completamente separata, immettendo comunque come dati di partenza le rilevazioni contabili. È quindi possibile pervenire alla determinazione di costi di prodotto, alla redditività per cliente, alla definizione di risultati parziali per settore, funzione o divisione.

In concreto con la contabilità analitica si effettuano elaborazioni spaziali e temporali dei dati raccolti dalla contabilità generale al fine di evidenziare chiaramente gli andamenti gestionali del processo produttivo e distributivo, fornendo le basi per le decisioni d’azienda.

I budget e gli standard costituiscono un sistema di valori che assolvono a due importanti compiti:

• fornire supporto quantitativo-monetario al processo decisionale

• Approntare strumenti di misurazione degli obiettivi economici, generali o par-ziali (milestones) da assegnare ai responsabili nell’ambito dell’organizzazione d’impresa.

Le decisioni sorte in fase di programmazione, alla base di qualsiasi sistema di controllo di gestione, devono essere sostenute da dati espressi con valori quantitativi, monetari e non, sia per valutare almeno di massima le diverse alternative d’azione, sia per scegliere tra tutte quella più conveniente. Ovviamente i calcoli di convenienza non devono e non possono fermarsi all’ambito meramente monetario, né si può pensare di prescindere dalla sistematicità che tali scelte comportano a livello di redditività globale.

Con lo strumento del budget l’ottica gestionale si sposta al futuro, declinata per scelte di convenienza su valori preventivi che delineino le più probabili condizioni di svolgimento della funzione futura, sfruttando o meno (zero-budget) la conoscenza derivante dalla consuntivazione informativa passata.

Esaurito il processo di programmazione o revisione del budget i valori preventivi espressi diventano anche obiettivi da perseguire.

Nel budget è evidente il legame del controllo con il sistema informativo della pianifica-zione formale, momento in cui si scelgono gli obiettivi e le politiche di più ampio re-spiro per la vita dell’azienda. La fase di pianificazione strategica è per il controllo di gestione sia l’input che l’output primario poiché gli obiettivi di programma tradotti nel budget derivano direttamente dal momento strategico di pianificazione, che può

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formalmente esistere come funzione o comitato oppure provenire dall’imprenditorialità di un’unica persona, ma è comunque alla base di qualunque budget.

Il budget, riassumendo, svolge le funzioni di52:

1. supporto allo sviluppo dei piani di breve termine e al loro coordinamento; 2. comunicazione di questi piani ai manager dei diversi centri di responsabilità; 3. motivazione dei manager a conseguire i propri obiettivi;

4. riferimento (benchmark) per il controllo delle attività in corso;

5. base per la valutazione della prestazione dei centri di responsabilità e dei loro manager;

6. mezzo per formare i manager;

Il percorso attraverso cui si articolano gli obiettivi nel budget verranno trattati approfonditamente nel prossimo capitolo, in cui si parla del processo di controllo di gestione negli istituti di credito.

Ultimo elemento della contabilità direzionale è l’analisi delle variazioni o varianze, cioè degli scostamenti tra i valori obiettivo fissati nel budget e i valori consuntivi. È un analisi fatta su un insieme coerente di variazioni elementari che mettono in evidenza, in termini valoriali, le variabili influenti dei costi e dei ricavi di vendita. L’informazione nasce dall’accostamento, in termini differenziali, tra costi e ricavi omogenei, ma determinati in due ipotesi alternative, che si diversificano per una variabile configurata o secondo quanto programmato oppure per ciò che si è verificato nella realtà.

Dalle variabili elementari è possibile, aggregandole, osservare gli effetti sul reddito e sulla redditività dell’impresa o della business unit analizzata.

La complessità dell’analisi delle variazioni è funzione della complessità e della dimensione dell’azienda. Diventa determinante fissare un grado di analisi adeguato a fornire informazioni rilevanti alla gestione, selezionando al massimo tali indicatori sulla base dell’orientamento del controllo e della rilevanza del dato con quest’ultimo.

Le variazioni consentono il “controllo per eccezioni”, ovvero la possibilità di analizzare approfonditamente solamente gli scostamenti più macroscopici tra obiettivi e consuntivi, mentre i valori in linea con gli obiettivi possono essere verificati in maniera più blanda. Inoltre l’analisi per variazioni consente il controllo economico ed esecutivo.

52 ROBERT N.ANTHONY,DAVID F.HAWKINS,DIEGO M.MACRÌ,KENNETH A.MERCHANT - Sistemi di

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L’essenza del processo di configurazione del sistema di controllo direzionale consiste nel rendere espliciti, attraverso il sistema delle misure, i nessi logici tra le strategie deliberate per conseguire le finalità dell’impresa, l’articolazione organizzativa e il sistema delle responsabilità economiche.

Analizziamo ora come i diversi sistemi elencati si interfacciano tra loro per fornire l’articolato quadro di controllo che serve per le scelte direzionali d’azienda:

La contabilità generale raccoglie dati quantitativo-monetari, elaborati poi sulle dimensioni spaziale e temporale dalla contabilità analitica. Tali sistemi contabili di fatto consuntivano la gestione attraverso la sistematica raccolta ed elaborazione dei dati rilevati in funzione delle specifiche esigenze conoscitive perseguite.

Budget e standard sono un sistema che accoglie la dimensione prospettica necessaria a fornire supporto informativo alle decisioni e per dare riferimenti di natura economica agli obiettivi delle unità.

Usando dati consuntivi e dati prospettici dei sistemi precedenti l’analisi delle variazioni consente il monitoraggio delle attività a rischio e l’evidenziazione delle aree per interventi correttivi.

Sono evidenti le interrelazioni fra i quattro sistemi, oggi sempre più integrati attraverso lo sviluppo dell’information technology aziendale, di cui migliora l’evidenza informativa e la velocità di calcolo, ne conserva gli output in memoria e ne migliora la portata informativa.

La conservazione dei dati nel sistema informatico e la sua facile interfacciabilità fornisce un serbatoio di dati quantitativi, monetari e non, da cui attingere per determinare programmi, redigere rapporti di gestione e in genere, supportare le scelte decisionali dei decisori.

La denominazione di sistema contabile è oggi riduttiva rispetto allo sviluppo di sistemi integrati o ERP (Enterprise Resources Planning). Si tratta di sistemi di misurazione che combinano gli aspetti operativi della gestione (budget, liquidità, logistica, personale) con quelli economici (costi e ricavi) creando una unica base di dati disponibile per le diverse esigenze. In questo modo una grande quantità di informazioni diviene disponibile a costi relativamente bassi grazie alla drastica riduzione della ridondanza degli archivi conseguente la creazione di una unica base di dati.

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4.2 Il sistema di reporting

La definizione di obiettivi in fase di programmazione alimenta la contabilità direzionale soprattutto per quel che riguarda la loro traduzione in valori quantitativo-monetari nella definizione del budget e degli standard. Per la valutazione dei risultati e le conseguenti azioni correttive alla guida dell’azienda si utilizza un altro sistema che si alimenta degli output provenienti dalla contabilità direzionale e ne rappresenta la sintesi, ovvero il sistema di reporting, o rapporto di gestione. Tale sistema non esaurisce tutte le necessità di controllo dell’azienda ma è utile ad interrelare i risultati passati rispetto agli obiettivi prestabiliti e a mettere in evidenza le tendenze evolutive dell’organizzazione. L’attività di reporting si propone in particolare, di completare la contabilità direzionale, integrandone gli output, attraverso informative volte a soddisfare le specifiche esigenze dei responsabili ai diversi livelli organizzativi, con particolare riguardo per il vertice aziendale. Deve fornire le conoscenze necessarie per il controllo dell’andamento rispetto agli obiettivi prefissati, per l’analisi delle cause degli scostamenti tra valori preventivi e consuntivi e l’adozione di adeguati provvedimenti correttivi per l’aggiornamento o la riformulazione degli obiettivi strategici e di più breve periodo dell’azienda.

A tal fine l’attività di reporting ha lo scopo di selezionare i dati nell’ambito del sistema informativo aziendale, per trasformarli in informazioni necessarie, chiaramente interpretabili da chi ne deve fare uso per le proprie decisioni. E proprio l’efficacia di tale strumento è misurabile innanzi tutto dalla corrispondenza tra la necessità informativa del singolo utente cui è destinato e il suo contenuto, senza prescindere comunque da altri necessari requisiti, quali il tempo in cui è reso disponibile e la forma con cui le informazioni vengono presentate. I seguenti requisiti posono essere considerati fondamentali per un buon sistema di reporting:

- contenuto: in relazione alla natura ed al volume delle informazioni, rispetto alle esigenze deve fornire solo le informazioni strettamente necessarie e funzionali agli obiettivi conoscitivi: troppe informazioni rischiano infatti di creare confusione e, in sostanza, di non fornire alcuna informazione utile.

- tempestività: facendo in questo caso riferimento alla disponibilità dei rapporti di gestione al momento in cui questi sono effettivamente necessari;

- frequenza: dipende dall’assiduità con cui si manifestano i fenomeni oggetto di interesse e dalla loro rilevanza;

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- chiarezza: riguarda l’immediata comprensibilità delle informazioni per gli specifici destinatari

- attendibilità: con riguardo al grado di precisione con cui vengono registrati i dati e rese disponibili le informazioni.

Le informazioni che arrivano ai diversi livelli dell’organizzazione devono essere vagliate per livelli crescenti di pertinenza e selettività, per non rischiare di fornire agli alti livelli un eccessivo quadro informativo che disperderebbe il valore informativo della comunicazione.

L’elaborazione successiva cui sono sottoposti i dati informativi incide sul livello di chiarezza e sinteticità del report, che può sempre essere integrato con approfondimenti ed analisi specifiche una volta evidenziata una possibile area di intervento.

Caratteristiche e tempi con i quali le informazioni devono pervenire ai diversi livelli direzionali non sono gli stessi: l’alta direzione ha bisogno di informazioni dotate di un grandissimo grado di sintesi che riguardano l’andamento generale della banca e dell’ambiente circostante; le direzioni territoriali e di filiale necessitano di informazioni strutturate con maggior dettaglio e con una cadenza temporale ben più rapida. A loro interesserà osservare ciò che riguarda lo stato delle morosità, le risorse acquisite ed impiegate con la loro distribuzione temporale, le diverse tipologie di cliente e così via. Il sistema di reporting può quindi essere definito come un insieme di rendiconti, tabelle e grafici opportunamente strutturati a seconda dell’area di responsabilità e degli oggetti del controllo, nei quali sia possibile evidenziare il confronto tra risultati effettivamente conseguiti e quelli preventivati. Il reporting deve assolvere ad una duplice funzione:

Funzione di informazione: le informazioni contenute nel report devono consentire al

management di comprendere l’andamento della gestione aziendale, osservato secondo il profilo economico, finanziario e (possibilmente) strategico.

Funzione di valutazione: le informazioni contenute nel report devono poter essere

utilizzate a supporto del processo generale di valutazione delle performance manageriali.

Tra i rapporti di gestione tipici della gestione bancaria quello economico espone un conto economico rielaborato in cui vengono evidenziati ed analizzati i risultati intermedi ed alcuni indicatori che pongono in evidenza le quantità fondamentali del bilancio bancario, come gli interessi attivi e passivi per unità intermediata, lo spread, il costo del lavoro per dipendente, il margine di interesse per dipendente e così via. Il

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rapporto finanziario contiene a sua volta la situazione del capitale di funzionamento, ottenuto mediante la rielaborazione delle voci che alimentano lo stato patrimoniale. È importante tenere sotto controllo la condizione di equilibrio nella struttura finanziaria con l’utilizzo di tecniche e parametri particolari quali la durata media ponderata e la

duration, nonché di indicatori di struttura degli impieghi e delle fonti e di relazione tra

essi.

L’orientamento spiccato al mercato con particolare riguardo al cliente servito attraverso la divisione trova nel report per cliente un valido ausilio, fornendo per ciascuno di essi gli aspetti finanziari, economici, quantitativi e qualitativi della complessa relazione col singolo operatore, fornendo precise indicazioni sui risultati economici raggiunti e consentendo di individuare agevolmente eventuali aspetti da modificare o migliorare.

4.3 Gli strumenti gestionali caratteristici della banca

La riclassificazione dei costi, rilevati attraverso il sistema di contabilità generale, generati dall’attività della banca procede generalmente con una prima distinzione tra costi finanziari e costi operativi. I primi scaturiscono dall’attività di intermediazione finanziaria della banca, in particolare dalla creazione di attività finanziarie attraverso le quali la banca si procura i fondi necessari allo svolgimento dell’attività di finanziamento. Il costo finanziario della raccolta bancaria è costituito dagli interessi corrisposti sui depositi e sulle altre forme di approvvigionamento bancario (Banca d’Italia), attraverso le quali la banca si procura fondi necessari allo svolgimento dell’attività di finanziamento e, in quanto tale, è dato dalla differenza del flusso di cassa in uscita, corrispondente al rimborso del deposito da parte della banca, e il correlato flusso in entrata che ha luogo al momento del versamento della moneta legale da parte del depositante.

I costi operativi sono quelli che esulano dall’acquisizione di risorse finanziarie e riguardano fattori produttivi diversi. Si tratta in particolare di:

Costi del personale, comprensivi degli oneri diretti per stipendi e degli ineri di natura

previdenziale e di trattamento di fine rapporto. Tale categoria di costi è senz’altro quella più rilevante nella banca, in considerazione dell’elevata importanza del personale dell’erogazione dei servizi bancari.

Costi per attrezzature, che riguardano immobili e macchinari utilizzati. Le banche,

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un’ampia rete territoriale di punti operativi che incidono in maniera rilevante sulla struttura dei costi.

Costi per materiale di consumo, costituiti di solito da oneri per acquisti di cancelleria e

stampanti.

Tali categorie possono essere a loro volta aggregati distinguendoli tra costi diretti o indiretti dei centri di responsabilità: i primi sono sostenuti direttamente dal centro che provvede direttamente all’acquisizione dei fattori produttivi, mentre i secondi risultano da un processo di imputazione al centro utilizzatore del servizio dei costi sostenuti direttamente dal centro fornitore. Questo è un punto critico dell’allocazione dei costi tra le diverse unità organizzative, in quanto le misure di redditività ed efficienza adottate sono influenzate dalla definizione fatta sul metodo di ripartizione, che dovrebbe quindi essere fatto secondo criteri che rispettino il grado di utilizzo dei servizi centrali.

Nei centri di profitto i costi diretti e indiretti sono solitamente posti in relazione coi ricavi derivanti dall’attività di intermediazione e di servizio. Le due attività caratterizzano la diversa natura dei ricavi bancari che scaturiscono rispettivamente dall’attività di prestito e raccolta fondi da un lato, e dall’erogazione di servizi finanziari e consulenziale che non constano di flussi finanziari in entrata ed in uscita per la banca, anche se in taluni casi la funzione di tali servizi è quella di facilitare l’intermediazione finanziaria, come nel caso dei servizi di pagamento.

La rappresentazione della redditività nell’attività di intermediazione nella banca è normalmente, considerata nel suo insieme, espressa contrapponendo gli interessi attivi, percepiti sui prodotti di finanziamento e impiego, al costo della provvista di fondi. Da questo se ne ricava il margine di interesse (spread).

Ciascuna delle unità organizzative in cui può essere disaggregata una banca, con particolare riguardo alla filiale, dispone di una sorta di stato patrimoniale e conto economico. Nello stato patrimoniale vengono considerate le attività e le passività nei confronti del mercato e delle altre unità e, nell’ipotesi in cui si proceda all’allocazione del capitale, anche il capitale allocato alla singola unità operativa. Il conto economico individua un risultato di esercizio delle business units che corrisponde al margine di contribuzione di ciascuna di esse, ovvero un risultato operativo definito come differenza tra margine di intermediazione (ricavi e costi). Sommando i margini delle singole

business unit o dei singoli centri di profitto, viene a delinearsi il conto economico della

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Il margine di contribuzione è delineato differentemente per i diversi istituti, e dipende dalla possibilità del sistema di contabilità analitica di imputare correttamente alle unità voci di costo generali. Ad esempio in alcuni casi viene calcolato il margine di contribuzione al netto della fiscalità, imputando pro quota alle unità operative il totale delle imposte e tasse previste per l’esercizio.

Il margine di contribuzione dell’unità è condizionato dai risultati di due ambiti di operatività: quella verso il mercato, regolata ai tassi e alle condizioni del mercato stesso, e quella riconducibile al mercato interno dei fondi. I risultati economici conseguiti su questa seconda tipologia di operatività sono influenzati dal contenuto di convenzioni assunte dal management con riferimento agli elementi di entità dei tassi interni di trasferimento e le modalità di imputazione dei costi generali.

Le scelte gestionali effettuate con riferimento a questi due elementi incidono anche significamene sull’entità dei risultati delle unità operative e per questo sono un punto estremamente delicato nell’implementazione del sistema di controllo.

4.4 Il Tasso interno di trasferimento

Il tasso interno di trasferimento (TIT) è il tasso convenzionale al quale sono regolati i

trasferimenti di fondi tra centri di responsabilità, in particolare tra la tesoreria e le filiali/sportelli. Il suo utilizzo a livello gestionale è necessario poiché gli sportelli presentano un diverso orientamento all’attività di impiego e di raccolta in ragione delle condizioni di mercato in cui si trovano ad operare e ciò può creare squilibri tra i flussi finanziari che vengono compensati mediante il trasferimento interno di fondi tra unità operative. La sua determinazione è una necessità imprescindibile del controllo di gestione tipico degli istituti di credito, perchè necessario a determinare la redditività parziale delle singole unità organizzative in cui si suddivide la rete territoriale e per rendere operativo il controllo della gestione bancaria che presenta problemi decisamente più complessi di quelli che si incontrano normalmente in altre categorie di imprese53. È possibile identificare più di un tasso di trasferimento, distinguendoli per scadenza.

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Figura 11: Esempio di Tit multipli a scadenza

Per le banche italiane è piuttosto diffusa la scelta dei tassi interbancari (Euribor, IRS) come tassi di riferimento, ovvero di adottare il tasso interbancario come tasso interno di trasferimento (TIT): ciò consente di assegnare valore agli scambi di risorse finanziarie

tra unità organizzative di una medesima impresa bancaria, con lo scopo di orientare la negoziazione, nei mercati specifici delle singole unità, di operazioni di raccolta e impiego che rispondono a condizioni di convenienza per l’intera banca54. Questa è una scelta agevole, che semplifica non poco l’utilizzo del TIT, in quanto si tratta di tassi

conoscibili dall’esterno e dunque utilizzabili agevolmente. Usare tassi interbancari comporta comunque la necessità di adottare adeguati strumenti di gestione dei rischi, in quanto questi tassi non incorporano un premio adeguato per il rischio assunto quando vengono usati per regolare l’attività di prestito. Quanto più il tassi interno è legato alle condizioni effettive del mercato interbancario, tanto più questo consente di avvicinarsi alla misurazione reale dei costi e ricavi che non sarebbero fittizi, ma reali. Inoltre un tasso di mercato induce comportamenti ottimali nei singoli operatori, costituendo un riferimento limite oltre il quale si distruggono risorse finanziarie, quindi valore e ha la caratteristica di anticipare certi trend sia in aumento che in diminuzione, orientando quindi al futuro le decisioni dei responsabili.

Se definito in via autonoma dalla banca il TIT riflette le politiche che la direzione vuole

imprimere alla gestione delle diverse attività. Così, ad esempio, variazioni positive del TIT possono incentivare la politica di provvista fondi della banca, rendendo più

profittevoli i prodotti di raccolta rispetto a quelli da impiego; analogamente creare una struttura di tassi interni differenziati in relazione alla durata di impiego e di raccolta, consente di considerare nelle scelte anche i rischi associati alla variazione del tasso di interesse, attribuendo ai centri di profitto la responsabilità di tali decisioni. Ma la

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fissazione del TIT per le filiali da parte della direzione non si adatta alla logica di

mercato ricercata dalle banche, in quanto i direttori di filiale non la interpretano direttamente, ma viene filtrata dal Tasso imposto, e ciò porta i direttori, nel medio periodo, ad essere orientati più alla “statistica interna” che non al mercato, ponendo più enfasi sul “profitto fittizio” che sul “profitto reale”.

Attraverso il TIT è possibile in primo luogo influenzare il valore degli interessi che sono

alla base dell’individuazione dei margini di contribuzione. Secondariamente, attraverso il confronto tra il valore dei capitali resi disponibili dalla banca e il valore dei capitali messi a disposizione del cliente, si ottiene una scomposizione del margine tra una componente strettamente finanziaria ed una legata ai servizi di pagamento.

L’uso del TIT permette la rilevazione della redditività per centro di responsabilità e di

valutare le performance dei centri operativi attraverso l’utilizzo del sistema a “flussi lordi”, che evidenzia il ruolo delle filiali nel flusso globale di risorse ed impieghi della banca. Il metodo di contribuzione a flussi lordi e imperniato sull’ipotesi che tutti i fondi raccolti confluiscano in un pool centrale di tesoreria (virtuale) e che tutti gli impieghi, nelle diverse forme, vengano finanziati attingendo al pool centrale. I vari movimenti a flussi lordi sono valorizzati al tasso interno di trasferimento. Con il sistema di reporting a flussi lordi viene misurata la redditività dei fondi raccolti o impiegati attraverso la contribuzione calcolata come differenza tra gli interessi forniti dalla contabilità generale e i costi/ricavi figurativi risultanti dall’applicazione del TIT ai volumi medi contabili

oppure effettivi.

Ciò consente una rilevazione migliore dei contributi reddituali rispetto all’uso della sola contabilità generale, in quanto la contabilità tradizionale “a flussi netti” non permette di osservare il formarsi della redditività. L’uso del sistema a flussi netti presenta infatti i seguenti svantaggi:

- Non è chiaro come si forma il risultato economico

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Attraverso il metodo della contribuzione è possibile un analisi diretta e chiara della formazione del reddito, in quanto:

- Collega costi e ricavi finanziari con le poste patrimoniali alle quali si riferiscono - Evidenzia il margine di gestione del denaro come differenza tra totale dei ricavi da

impieghi e il totale dei costi di finanziamento.

- Evidenzia guadagni e perdite a livello di forma tecnica - Previene comportamenti non ottimizzanti

Il tasso interno di trasferimento dei fondi valorizza ciascun flusso e associa ad esso un costo/ricavo figurativo interno ed esso possiede due valenze fondamentali:

è innanzitutto un parametro oggettivo di misurazione reddituale “ex post” delle singole unità organizzative (filiali, centri di profitto della direzione generale) in quanto consente di calcolare la contribuzione delle singole forme tecniche di raccolta ed impiego, tramite la valorizzazione di ciascun flusso ad un costo/ricavo figurativo interno e non modifica la determinazione a consuntivo del reddito di istituto, poiché è frutto della disaggregazione analitica del risultato globale.

È inoltre uno strumento gestionale di notevole importanza poiché costituisce un parametro di riferimento comune per tutte le decisioni locali, che possono di conseguenza essere prese in maniera indipendente per la raccolta e gli impieghi in ottica di massimizzazione della redditività e possiede un forte impatto sulla formazione del risultato economico globale, in quanto valori diversi del TIT orientano diversamente le

singole decisioni

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Si può ben capire che il tasso interno di trasferimento fondi rappresenta:

- Un parametro di misurazione unico e sintetico della redditività, sia in dare che in avere. L’uso di un tasso doppio falserebbe infatti le vere contribuzioni della raccolta e degli impieghi, creando impropriamente un utile del pool di tesoreria non giustificato da un reale valore aggiunto.

- Un punto di riferimento per le decisioni, capace di indurre comportamenti redditualmente ottimali per il complesso bancario. Da qui la necessità di un tasso uguale per tutti e legato, se non coincidente, al mercato dei tassi.

La scelta di un tasso di mercato permette di fare riferimento ad uno standard realmente obiettivo e chiaramente percepibile come tale dai responsabili operativi (direttori di filiale, gestori della relazione con le imprese…).

Al contrario tassi arbitrari (ad esempio media dei ricavi delle filiali e della tesoreria, eventualmente depurato degli effetti delle riserve), i tassi interni marginali (come la media ponderata tra il tasso minimo di impiego e quello massimo di raccolta) non garantiscono la stessa neutralità allo strumento. Un tasso di mercato risponde anche all’esigenza di essere disponibile giornalmente, consentendo di tarare le decisioni in tema di condizioni da applicare alla clientela in funzione dell’evoluzione del mercato monetario.

Il TIT , in quanto parametro di riferimento orientato strettamente alle decisioni, ha

bisogno del supporto di altre procedure e strumenti di gestione e non rappresenta né deve rappresentare uno strumento per dirigere meccanicamente dal centro le attività delle filiali, né tanto meno essere considerato uno strumento improntato meramente al risultato consuntivo sul passato tralasciando la gestione presente e la costruzione del futuro.

Delegare le facoltà di determinazione del TIT ai direttori di filiale pone in condizione

quest’ultimi di operare nelle stesse condizione di mercato in cui opera un direttore generale di una qualsiasi banca e appare inoltre evidente come l’approccio al mercato si basi essenzialmente su una maggiore partecipazione delle filiali, dove queste ultime sono intese come centri di profitto operanti in maniera “quasi autonoma”55.

55 HINNA,L. – Il tasso di trasferimento nel sistema di controllo di gestione dell’azienda di credito –

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4.5 Le misure di performance aggiustate per il rischio nel

sistema di controllo

L’universo dei rischi che ogni azienda si trova a fronteggiare è la fotografia del suo modello di business rappresentato da strategie, obiettivi, organizzazione, processi, flussi informativi e regolamentazione di mercato56. La risposta al perché chi fa P&C debba occuparsi di Risk management è più nei fatti, che nella teoria. Guardare alla gestione della banca con un’ottica integrata, coerente e, soprattutto, ex-ante, caratteristica tipica dei sistemi di P&C, è condizione essenziale per l’introduzione e lo sviluppo armonico del Risk Management.

Sotto il profilo della Pianificazione trova pieno compimento il fine ultimo del Risk

management, ossia provvedere all’allocazione del capitale nel modo più efficace ed

efficiente possibile; di fronte ai vincoli alla crescita che la banca si trova ad affrontare, quali il calo della redditività e la scarsità del capitale, la gestione del rischio nell’ambito dei sistemi di Pianificazione, consente di allocare meglio il capitale disponibile, migliorare la redditività ed in ultima analisi aumentare il valore creato.

Nel campo del Controllo di gestione, sistema di misure per eccellenza, l’individuazione di indicatori nuovi che introducono la dimensione del rischio nella valutazione delle performance, consente alle banche non solo di confrontare in modo omogeneo attività diverse tra loro ma, sopra ogni cosa, di definire correttamente ed in via preventiva il sistema dei limiti, in termini di combinazioni rischio/ritorno.

In questo modo il perimetro tradizionale entro il quale si muove il sistema del Controllo, cliente – prodotto – canale, si arricchisce di una nuova dimensione: il rischio57.

I legami molto stretti che legano la programmazione e il controllo con la gestione dei rischi, trovano un’ulteriore elemento di rafforzamento sotto il profilo organizzativo, laddove si evidenzia che, frequentemente, le unità di Risk Management sono sorte nelle banche all’interno dell’unità organizzativa che presiede alla P&C e che tale fenomeno può rappresentare una modalità adeguata anche in risposta alle esigenze dei Sistemi di Controllo Interno richiesti dalle Autorità di Vigilanza.

Compito del moderno controller è la creazione strutturata di una stretta correlazione tra gli indicatori delle performance attese e realizzate e gli impatti negativi di eventi (rischi) che potrebbero determinare il mancato pieno raggiungimento degli obiettivi stabiliti.

56 “Risk is the possibility that an event will occour and adversely affect the achivement ov objectives” –

COSO – Enterprise Risk Management integrated Framework – 2004

57 Con riferimento alla relazione tra Controllo di Gestione e risk Management si rimanda a COLOMBO L.,

CENCIONI A. – Risk Management e controllo di gestione, una «integrazione necessaria» su

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L’integrazione di tali elementi e l’esplicitazione del legame tra la gestione dei rischi e la creazione di valore devono pertanto essere considerati come obiettivi di un moderno modello integrato di controllo, che operi come elemento di differenziazione e creazione di un sostenibile vantaggio competitivo per le aziende.

Le misure di performance RAPM58 (Risk adjusted performance measures) sono state

sviluppate nel corso degli anni ’90 parallelamente all’elaborazione e alla diffusione di tecniche di misurazione dei rischi finanziari e alle modificazioni che hanno interessato gli assetti organizzativi.

Tali misure sono state mutuate dai modelli industriali multidivisionali che gestiscono un portafoglio di attività ed hanno prepotentemente fatto il loro ingresso come strumenti di gestione per le attività dei gruppi bancari italiani, anche alla luce delle linee guida delineate dal comitato Basilea del 2001 (detto Basilea 2), le quali hanno ridisegnato le direttive di gestione dei rischi da parte degli istituti bancari italiani e internazionali. I fattori di rischio (di seguito business risk) sono eventi la cui manifestazione può precludere all’azienda il raggiungimento degli obiettivi strategici e compromettere di conseguenza la continuità aziendale. Per questa ragione, i business risk rappresentano un fattore chiave da mantenere sistematicamente sotto controllo nell’attività di gestione. I Rischi di mercatosono generati dall’esposizione alle possibili variazioni dei prezzi che possano influenzare il valore delle attività della banca (o della singola business unit) in relazione alla dinamica dei tassi d’interesse, dei corsi azionari e dei corsi valutari. I rischi di creditosono relativi alla possibilità che la controparte risulti insolvente, cioè che non faccia pienamente fronte ai propri obblighi (in tale fattispecie rientra anche il così detto rischio paese).

I rischi di liquidità attengono invece alle possibili tensioni indotte dallo sfasamento temporale tra entrate e uscite di cassa in termini di gap (deficit o surplus) consistenti e imprevisti, con conseguente necessità di prendere decisioni economicamente sub-ottimali.

58 Per una trattazione articolata su tema delle misure aggiustate per il rischio si rimanda a:

SIRONI A.,SAITA F. – Dal Risk Management all’allocazione del capitale: un percorso a ostacoli, in Bancaria n.5/1998.

SIRONI A.,MARSELLA M. (a cura di) - La misurazione e la gestione del rischio di credito: modelli,

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I rischi operativi,infine, sono intesi come eventuali perdite derivanti da inadeguatezza dei controlli e dei processi interni (per cause tanto umane quanto tecnologiche) o da eventi esogeni (per es. catastrofali).

Una volta individuate le differenti tipologie di rischio, è necessario valutare, per ogni

business unit, il Capitale a Rischio (CaR), ossia le risorse assorbite dalla banca nello

svolgimento delle proprie attività che si considerano, quale quota parte del capitale disponibile, a fronte della massima perdita potenziale emergente.

Figura 13: Modulazione del capitale a rischio

È attraverso queste informazioni che chi gestisce entra in possesso, accanto alle grandezze economico-finanziarie, anche di indicatori che spiegano i reali motivi di successo o di insuccesso dell’impresa. A questo scopo, la strumentazione tradizionale (ad esempio, la contabilità generale) può risultare insufficiente e deve evolvere in misura adeguata rispetto alle nuove necessità: per questo motivo si sono diffusi i termini di Strategic o Advanced Management Accounting o Contabilità direzionale integrata (CDI), la cui validità, in ultima analisi, è data dalla capacità di supportare e motivare i manager nell’ottenimento degli obiettivi, indirizzando i comportamenti in sintonia con la missione ed i prescelti indirizzi strategici. In questo senso, l’esistenza di un sistema di controllo di gestione adeguato rappresenta un indispensabile strumento a supporto del management per la gestione della società, posto a diretta salvaguardia della finalità di creazione di valore per gli azionisti.

Le misure di performance aggiustate per il rischio possono essere interpretate come varianti del ROE (e del ROA), che viene normalizzato attraverso la ponderazione in base al rischio del numeratore e/o del denominatore dell’indice. In quest’ultimo caso tali indicatori sono il risultato di un processo di allocazione del capitale in sede strategica e di budgeting.

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A differenza degli indicatori basati su indici di bilancio queste misure sono in grado di esprimere la redditività attesa, dato un certo rischio, di una unità di business o della banca nel suo complesso, vista come un’insieme di unità elementari di business.

Le possibilità di calcolo per tali indici sono diverse, a seconda che venga ponderata per il rischio la misura del reddito, piuttosto che del capitale o entrambe; Tale scelta, che dipende dai fini informativi perseguiti e dalla capacità tecnica di realizzare misure efficaci, può generare diversi indici. Nella prassi operativa si sono sviluppate diverse varianti di indici aggiustati per il rischio e non sempre i diversi acronimi corrispondono, talvolta individuando con lo stesso nome indici effettivamente diversi.

Tra gli indicatori di rischio più conosciuti e riconosciuti troviamo:

RAC = Return on allocated capital

RORAA = Return on Risk Adjusted Asset

RORAC = Return on Risk Adjusted Capital

RAROC = Risk Adjusted Return on Capital

RARORAC = Risk Adjusted Return on Risk Adjusted Capital

Sono misure di performance sostanzialmente interne e fanno riferimento a valori in parte stimati e in parte riferiti al valore di mercato degli assets e delle passività della banca e sono difficilmente replicabili dall’esterno. Il mercato non è infatti in grado né di calcolare tali indici, né di utilizzarli per confrontare la performance della banca con quella di altre.

Un complesso sistema di misure di questo genere non può prescindere da altri sistemi aziendali quale quello organizzativo e di contabilità analitica, che deve in particolare essere in grado di individuare e misurare il reddito prodotto dalle singole aree operative, dai prodotti o dai clienti e di imputare ad essi una quota adeguata dei costi operativi aziendali, oltre che pervenire ad una misura della loro rischiosità specifica, attraverso tecniche di allocazione del capitale.

Le misure di redditività aggiustate per il rischio non sono del tutte indipendenti sa un certo grado di soggettività, dovuta al fatto che la stima della rischiosità è basata su ipotesi di sviluppo che possono anche differenziarsi all’interno della stessa unità operativa.

Gli indicatori RAPM sono primariamente funzionali, in un ottica disaggregata e interna,

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strumentali a formulare strategie di sviluppo delle aree di business più redditizie e a supportare scelte di ricomposizione del mix produttivo, ma sono allo stesso tempo riferibili a singole transazioni e utilizzabili quindi per selezionare tra alternative possibili la combinazione di maggiore redditività. Diversamente dalle misure basate su valori di bilancio, le misure di performance aggiustata per il rischio a livello aziendale possono essere calcolate secondo una logica di disaggregazione, ed essere impiegate come parametri di valutazione e strumenti di decisione a livello micro.

La logica seguita per il calcolo degli indicatori differisce a seconda del modo di valutare la redditività aggiustata per il rischio. RAROC e RORAC considerano rispettivamente la

variabilità dell’utile e del capitale, mentre il RARORAC può considerarsi una

combinazione dei due. Nel dettaglio:

Il RAROC viene calcolato rapportando al patrimonio della banca la somma degli utili

delle unità di business ponderati per una stima di rischio. Esso può considerarsi coerente con un approccio di misurazione del rischio basata, come si diceva, sulla variabilità degli utili, avvero sul concetto di earning at risk (ricavi a rischio). Da un punto di vista pratico-applicativo la misurazione dell’utile a rischio di una business unit impiega un concetto di variabilità degli utili osservata in un determinato periodo di riferimento. La metodologia di valutazione del rischio basata sulla variabilità degli utili presenta il sicuro pregio di essere di relativamente semplice calcolo e di immediata comprensione. È applicabile anche utilizzando una limitata o imprecisa disaggregazione in unità operative, poiché può essere impiegata anche in un approccio top down. D’altro canto tale metodologia presenta il limite di poggiare sulla nozione del cosiddetto “rischio prevedibile”, basato sull’osservazione della varianza dei fenomeni osservati, mentre esclude forme di rischio che non possono essere quantificate sulla base dell’osservazione dell’esperienza passata in termini di volatilità degli utili. La valutazione della rischiosità di una unità operativa necessita dunque di tecniche più complesse che tengano conto del rischio prevedibile così come di quello imprevedibile e che introducano pertanto la nozione di capitale a rischio.

Il RORAC è rappresentativo dell’approccio al capitale di rischio (capital at risk) e misura

la rischiosità in base all’impatto delle diverse fonti di rischio sul capitale della banca, presupponendo in altri termini l’allocazione del capitale alle singole unità operative e

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rappresenta la somma della redditività individuali normalizzati sulla base del rischio di ciascuna business unit.

Secondo queste metodologie la rischiosità di una unità di business, così come quella di una singola transazione o un insieme di esse, è ricollegata a un concetto di massima perdita probabile: ai parametri di risultato atteso e della sua varianza viene cioè associata una misurazione della probabilità di accadimento dei diversi scenari individuati.

La determinazione della massima perdita probabile, dato un certo intervallo, coincide con il cosiddetto valore a rischio (Var), che a sua volta può essere inteso come sinonimo di capitale allocato o di capitale a rischio (Car), nell’ipotesi che l’intero valore a rischio sia coperto dal capitale.

Le tecniche di allocazione del capitale a rischio tendono comunemente a misurare l’entità del capitale allocato al rischio che caratterizza un’unità operativa, anche se, nella logica del funzionamento di un mercato interno dei capitali, sarebbe più corretta, ancorché più difficile, una differenziazione del costo del capitale in base al rischio sopportato dall’unità operativa. Le difficoltà sono soprattutto dovute alla mancanza di un prezzo di mercato per tutte le unità a rischio che compongono una banca.

La dimensione del valore a rischio di una posizione è proporzionale, oltre che al valore della posizione stessa e all’orizzonte temporale di riferimento per la valutazione, anche alla misura della sua sensibilità a variazioni del fattore di rischio e alla variabilità di quest’ultimo. Il Var è anche influenzato dalle scelte in termini di intervallo di confidenza, ovvero di percentuali di errore accettato nella stima.

Soprattutto nel caso del RAROC e del RARORAC la stima del rischio per unità operative

implica la necessità di pervenire, in una logica di portafoglio, anche a una valutazione della matrice delle correlazione fra utili e rischi nelle singole unità, considerando quindi gli effetti della diversificazione interna.

* bu bu U R Raroc P =

bu bu U Un Rorac Car Car =

= bu* bu bu U R Rarorac Car =

Ubu = Utile per business unit Un = Utile netto (Nopat) P = patrimoni bancario

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Carbu = Capitale a rischio per business unit

Una struttura tecnico-contabile che comprenda misure di rischio è oggi condizione imprescindibile per un sistema di controllo di gestione di ambito bancario, cosicché possa operare come elemento di differenziazione e creazione di un sostenibile vantaggio competitivo per le aziende di credito e per tutti gli stakeholder che gravitano nella loro orbita.

Le aziende sono tradizionalmente dotate di modelli di pianificazione e controllo di gestione disegnati e strutturati per definire, misurare e monitorare, attraverso idonei strumenti, il raggiungimento degli obiettivi aziendali. I modelli di controllo in uso hanno raggiunto significativi livelli di sviluppo e sofisticazione, permettendo al management di monitorare l’andamento dell’azienda sulla base di dati univoci, tempestivi e corretti in termini di provenienza, trattamento e contenuto.

Figura 14: Il calcolo del RARORAC dal CdG e dal Risk Management

Come detto esiste una stretta relazione tra i rischi e gli obiettivi aziendali e quindi quanto più un’azienda è in grado di governare i rischi d’impresa, tanto maggiore è la garanzia sul controllo e contenimento degli impatti significativi sulle performance aziendali.

Le ragioni dell’integrazione dei sottosistemi aziendali pianificazione, controllo e gestione rischi possono essere ricondotte a tre ordini di motivi:

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1. Necessità di dare una completa rappresentazione dei fenomeni (rischi) che possono impedire la realizzazione di obiettivi e strategie aziendali in un contesto di accresciuta complessità.

2. L’opportunità di soddisfare le aspettative degli stakeholder in termini indicatori di buon governo e di correlati strumenti di gestione e mitigazione dei rischi; 3. l’esigenza di una corretta rappresentazione del livello di confidenza (inteso

come range di variazione del dato in considerazione dell’andamento dei fattori che influenzano le previsioni) associabile alle grandezze economiche che indirizzano le scelte dell’azienda.

Nel mondo bancario gli obblighi regolamentari stanno spingendo verso modelli di gestione dei rischi con forti connotazioni quantitative e, quindi, sempre più integrati nell’ambito dei flussi dell’informativa finanziaria e di controllo.

Un sistema di controllo integrato con gli elementi della gestione dei rischi porta non pochi vantaggi all’azienda di credito:

- Sinergie di costo legate all’unificazione di due processi che presentano rilevanti elementi di sovrapposizione

- Benefici economici legati all’implementazione di logiche di controllo finalizzate alla misurazione e al contenimento dei rischi che abbiano un impatto materiale sulle performance aziendali

- Migliore governo delle performance aziendali grazie all’implementazione di un controllo con forte focalizzazione sugli eventi futuri (ex-ante, sui rischi).

- Gestione tempestiva e corretta dell’informativa al mercato finanziario per evitare di essere costretti a comunicare sorprese negative, generalmente penalizzate dalla competitività degli investitori.

In particolare il nuovo modello di controllo di gestione così sviluppato si caratterizzerà, rispetto ad un modello tradizionale, seppur evoluto, per i seguenti aspetti:

- disponibilità di una mappa aggiornata del profilo di rischio;

- capacità di correlare gli impatti dei rischi e i valori economici delle performance attese;

- visione integrata e trasversale sui rischi, dati economico finanziari e operativi tramite diverse prospettive (divisione, società, cliente, prodotto/servizio, responsabile, tipologia di rischio);

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- individuazione delle azioni correttive e delle modalità di allocazione delle relative risorse

- definizione di un sistema di flussi informativi predefiniti e periodici che consenta il costante aggiornamento delle informazioni;

- Realizzazione di un cruscotto di gestione riepilogativo delle informazioni, che assicuri il monitoraggio dei diversi settori, società, clienti al fine di sollecitare, intraprendere e monitorare azioni di prevenzione e mitigazione dei rischi.

4.6 Il controllo del rischio di credito: Il rating come strumento di

controllo e di gestione.

Il forte orientamento del sistema bancario al controllo dei rischi, sotto le recenti spinte innovative date dal nuovo accordo sul capitale di Basilea59 e dall’autorità di vigilanza, attraversa tutti i livelli ed i processi aziendali della banca. Anche nella gestione operativa e commerciale è importante riferire e collegare gli obiettivi particolari, contenuti nel piano di budget e nei ruoli delegati alla gestione stessa, come il corporate

banker o il direttore di filiale, con un’adatta ponderazione dei rischi di credito, che

riguardano la probabilità che il finanziamento erogato si tramuti in perdita a causa dell’ insolvenza del debitore.

Il sistema di rating può essere considerato null’altro che la sistemazione ordinata ed articolata delle conoscenze che la banca ha sull’impresa, sul suo ambiente competitivo, sulla rilevanza ed intensità dei risk-driver che possono comprometterne la capacità di effettuare il servizio del debito. Esso consente di sintetizzare in misure di rischio le analisi effettuate nelle tradizionali istruttorie, offrendo all’analista un trasparente ed oggettivo parametro, quindi misura, di confronto alle proprie valutazioni.

Il sistema di rating, lontano dal rappresentare una rivoluzione del “modo” di fare credito, rappresenta un passo in avanti verso il miglioramento delle misurazioni di rischio e nelle strategie business – prodotto, con evidenti riflessi positivi sulla qualità del servizio reso al cliente. Se da un lato, infatti, le aziende devono perseguire politiche sempre più virtuose, dall’altro la banca deve puntare ad un’attività non solamente passiva e di semplice erogazione del credito, ma attiva e propositiva verso l’impresa fino a costruire un vero e proprio “abito su misura” per ogni esigenza aziendale.

59 Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali; nuovo

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I principali elementi che il Nuovo Accordo pone alla base della quantificazione del rischio che una banca assume affidando un’impresa, li troviamo nella definizione di perdita attesa (EL, expected loss). In sintesi abbiamo:

Probabilità di insolvenza

Probability of default

PD

Probabilità che si manifesti l’evento negativo (rimborso del prestito)

Perdita in caso di insolvenza

Loss given default

LGD

Parte di credito che non è possibile recuperare nel caso di insolvenza Esposizione al momento

dell’insolvenza

Exposure at default

EAD

Valore del credito utilizzato al momento dell’insolvenza

Durata

Maturity

M

Scadenza dell’esposizione

Expected Loss = PD * EAD * LGD * M

Il contributo di ognuno di questi elementi all’identificazione del rischio associato a ogni controparte viene misurato attraverso la stima di modelli econometrici che consentono di calibrarne i pesi. Tali stime vengono effettuate su segmenti di clientela “omogenei”, in termini di settore merceologico di appartenenza, classe di fatturato, localizzazione geografica e così via, onde evitare possibili effetti distorsivi. Passando dal sistema dei rating esterno a quello interno avanzato si ottengono misurazioni più accurate del rischio ma contemporaneamente aumenta il fabbisogno informativo sulle caratteristiche della controparte, in termini sia quantitativi sia qualitativi, nonché i costi e l’impegno per banca.

Basilea 2 ha individuato tre metodi di calcolo del rischio di credito utilizzabili dalle banche, le quali possono scegliere in autonomia la metodologia adeguata alle proprie risorse ed al proprio sistema informativo. I tre metodi differiscono per la derivazione esterna o interna delle variabili che sono alla base della formula per la determinazione della perdita attesa.

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La PD60 è misurata partendo dal rating assegnato ad ogni controparte. La centralità del rating la ritroviamo in tutti i modelli previsti dal Nuovo Accordo:

a) Standardizzato  rating esterni e utilizzo di fattori di rischio esterni b) IRB Foundation  rating interni e utilizzo di fattori di rischio esterni c) IRB Advanced  rating interni e utilizzo di fattori di rischio interni

Passando da a) a c):

- si ottengono misurazioni più accurate del rischio

- servono maggiori informazioni quantitative e qualitative sulla controparte - cresce l’impegno della banca

Parleremo velocemente delle metodologie standard e IRB Foundation per soffermarci più specificatamente sulla metodologia IRB Advanced, che a fronte di un maggior impegno richiesto alle banche nello sviluppo e nell’implementazione permette di controllare puntualmente i rischi di credito attingendo dagli stessi dati informativi usati per la definizione della strategia e degli obiettivi aziendali. La coerenza informativa può chiaramente diventare fonte di vantaggio competitivo per le banche che scelgono di sviluppare sistemi di rating interni.

Il metodo standard parte dal presupposto che tutti i soggetti finanziati registrano il massimo rischio e che il relativo accantonamento patrimoniale sia molto elevato. In questo caso, il fruitore del finanziamento avrà una maggiore probabilità di accesso al credito, ma ad un costo certamente più elevato. Nell’approccio standardizzato si prevede che l’analisi del merito creditizio sia fornita da istituti esterni. L’adozione di tale approccio, pertanto, implica per le banche l’utilizzo dei cosiddetti rating esterni, ovvero di giudizi assegnati alle imprese da agenzie specializzate, le quali utilizzano una base informativa molto ampia e non hanno alcun contatto con il cliente.

I coefficienti di ponderazione sono quelli utilizzati dalle agenzie di rating (ECAI –

External Credit Assessment Institution) se soddisfano requisiti di: obiettività,

indipendenza, trasparenza, credibilità, disponibilità di risorse. Le autorità di vigilanza

60 L'insolvenza è identificata, ad esempio, da parte di Standard & Poor's (S&P) nel momento in cui viene

meno la capacità o la volontà del debitore di tenere fede ai suoi impegni finanziari relativi a un'obbligazione, rispettandone i termini originari

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predispongono tabelle di raccordo (mapping) tra le scale di rating adoperate dalle agenzie e le tabelle previste dal modello standard61.

Le imprese che non dispongono di rating continueranno ad avere una ponderazione del 100%. La sfida è eliminare le distorsioni derivanti dalla mancanza di interesse a chiedere l’attribuzione del rating da parte dei peggiori prenditori.

I metodi IRB, invece, si basano sulla ricerca del grado di rischio specifico connesso alla singola operazione del singolo prenditore e mirano, quindi, ad un’ottimizzazione dell’entità dell’adeguatezza del proprio patrimonio. Sono elaborati direttamente dall’ente finanziatore e tengono conto di tutte le informazioni, anche di quelle acquisite dal diretto contatto con il cliente. La tipologia di informazioni ed il peso da attribuire ad esse sono stabilite direttamente da una normativa interna alla banca.

Il requisito patrimoniale sarà calcolato a partire da quattro input:

La Banca d’Italia è chiamata a valutare il sistema di rilevazione predisposto da ciascun Istituto di credito ed a giudicarne l’adeguatezza. Creare un sistema interno, tuttavia, costituisce per l’istituto un notevole sforzo sia in termini finanziari che organizzativi ed è quindi presumibile che solo i grandi gruppi utilizzeranno questo approccio, mentre le piccole realtà opteranno per l’utilizzo del metodo standard.

61Sono previste quattro classi di esposizione: verso imprese private, portafoglio al dettaglio, verso

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Il Laboratorio di Analisi monetaria ha svolto una ricerca62 riguardante l’approccio scelto dalle banche italiane per il calcolo dell’attivo ponderato per il rischio di credito. Tale ricerca si basava su un questionario contenente una serie di domande sugli effetti del passaggio dalla vecchia alla nuova regolamentazione alle quali hanno risposto realtà bancarie di varie dimensioni (maggiori/grandi, medie e minori/piccole). Il risultato di questa ricerca non si discosta molto da quella effettuata, in ambito mondiale, dalla IBM. Infatti, dalle risposte ai questionari, risulta che, anche a livello nazionale, la maggior parte delle banche, circa l’80%, ha deciso di adottare modelli di rating interni (foundation o advanced) e che solo una quota pari al 20%, tutte appartenenti al comparto delle banche minori/piccole, ha dichiarato che adotterà l’approccio standard. I motivi che hanno indotto queste banche a scegliere l’approccio standardised sono alquanto eterogenei, in quanto dalle loro risposte si evince una difficoltà dell’utilizzo dell’IRB, una “mancanza di informazioni” e un livello di costi mediamente alto.

Per implementare un sistema di rating interno la banca deve soddisfare determinati requisiti (quali-quantitativi) in termini di:

- Diversificazione del portafoglio crediti: il portafoglio deve essere distribuito su un certo numero di classi di rischio.

- Livello minimo di stima: il modello deve almeno stimare la probabilità di insolvenza (PD) quale elemento di rischio.

- Capacità di differenziazione: il modello deve essere capace di individuare gli elementi propri di ciascuna controparte.

- Timing di valutazione: la valutazione del merito creditizio deve essere fatta prima che sia stato accordato il prestito e rivista periodicamente.

La sostanziale differenza tra i due metodi IRB è che il foundation approach si limita a stimare solo una componente del rischio di credito: la probabilità di insolvenza ad un anno (PD). Le altre componenti di rischio (LGD EAD, M) sono fornite dall’autorità di vigilanza.

Invece l’advanced approach formula internamente tutte le componenti di rischio (PD, LGD e, in ogni caso, M).

(29)

4.7 Il sistema IRB Advanced per l’ottimizzazione della relazione

L’orientamento della normativa va nella direzione di creare un incentivo (in termini di minori assorbimenti patrimoniali a parità di condizioni) per l’utilizzo dell’IRB

Advanced.

Al fine del controllo di gestione questo sistema di rating è quello più interessante, perché richiede una forte integrazione dei sistemi informativi della banca ed uno sviluppo in chiave strategica di tutti i sottosistemi di controllo, dall’organizzazione al processo, per arrivare ad uno strumento, quello del rating, che ha una valenza operativa nella traduzione degli indirizzi strategici nella normale gestione. L’abbondanza di informazioni quantitative e qualitative di clienti particolari delle banche, come appunto le aziende, ha fatto in modo che le divisioni corporate di molti gruppi bancari siano stati i primi ad arricchire le proprie strutture tecnico-contabili con i rating sviluppati internamente. Le aziende di credito nell’attività di impiego in prestiti acquisiscono ed elaborano una gran massa di informazioni relative ai soggetti richiedenti. Tra queste risaltano in particolare i dati contabili, dati riferiti alle politiche di gestione, dati esterni

Probabilità di insolvenza (PD) Perdita in caso di insolvenza (LGD) Esposizione al rischio di insolvenza (EAD) Durata del prestito (M)

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Probabilità che l’impresa “si renda inadempiente nell’arco di un dato orizzonte temporale”

“La scadenza economica residua dell’esposizione”

“Stima l’ammontare della linea creditizia accordata, destinato ad essere utilizzato in caso di inadempienza”

“Parte dell’esposizione che andrà perduta all’eventuale verificarsi dell’inadempienza”

Dipende dalle

caratteristiche

economico-finanziarie e di

business

dell’impresa

Figura

Figura 11: Esempio di Tit multipli a scadenza
Figura 12: Rilevanza del T IT  nella formazione del risultato economico di istituto
Figura 13: Modulazione del capitale a rischio
Figura 14: Il calcolo del R ARORAC  dal CdG e dal Risk Management
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