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2. STRUTTURA DEL RACCONTO 2.1. Costruzione temporale del racconto Il racconto è articolato in cornici

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2. STRUTTURA DEL RACCONTO

2.1. Costruzione temporale del racconto

Il racconto è articolato in cornici1 o livelli narrativi. Nel primo livello, definito da Genette extradiegetico, il narratore introduce la storia, l’ambientazione, accenna i personaggi e giustifica il perché della sua scelta,

I cannot tell why I choose the half- forgotten story of this Wolfe more than other myriads of these furnace- hands […] perhaps simply for the reason that this house is the one where the Wolfes lived, both hands […] and Deborah, their cousin, a picker in some of the cotton-mills2.

Dopo la presentazione del set del racconto, inizia la narrazione della

1

R. A. HOOD, Framing a “Life in the Iron Mills”, in Studies in American Fiction, 1995, vol. 23, pp.73-84.

2

Le citazioni del racconto compariranno con le pagine tra parentesi e faranno riferimento a questa edizione: R. H. DAVIS, Life in the Iron Mills, The Feminist Press, New York 1985², p.5.

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storia, che costituisce un secondo livello, intradiegetico: «One rainy night, about eleven o’clock, a crowd of half clothed women stopped outside the cellar-door.» (p.5)

Il narratore dei due livelli non cambia, contrariamente alla maggior parte delle storie a cornice, in cui il primo narratore lascia la parola a un secondo. I due livelli sono separati da uno scarto temporale, un’analessi, che Genette chiama esterna, perché la sua ampiezza rimane esterna a quella del primo livello.3 L’analessi ha una portata di trent’anni, e un’ampiezza di una notte, questo segmento è il cuore del racconto.

Il personaggio principale, Hugh Wolfe sta lavorando come operaio in una fonderia. La cugina, Deborah, che gli ha portato la cena, riposa su un cumulo di cenere. Un gruppo di borghesi, tra cui il figlio del proprietario della fonderia, un medico, un giornalista e altre persone vi si recano in visita. Nella fonderia, uno dei visitatori, Mitchell, si imbatte in una misteriosa statua che rappresenta una donna. Ne rimane profondamente toccato e attratto a causa dell’aspetto animalesco e degli occhi affamati. Wolfe viene identificato come l’autore, Mitchell e May capiscono che la statua incarna tutta la sofferenza, e le aspirazioni della classe operaia. Ma nonostante ciò non riescono a trovare un modo per aiutare Hugh Wolfe a uscire da quel mondo infernale, che gli impedisce di esplicare le sue capacità artistiche.

La vita di Hugh e Deb subisce una svolta drammatica quando Deborah, per disperazione e per amore verso Hugh, ruba il portafoglio a Mitchell e ne fa dono al cugino perchè almeno lui fugga dalla ferriera. Ma il furto non servirà a risolvere la vita di nessuno.

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Conclusa la narrazione di quella notte, «[…] the trial-day of this man was over, and he has lost his victory. What followed was mere drifting circumstances […] Do you want to hear the end of it?» (p.25) si apre un’ellissi della portata di un mese e con un’ampiezza brevissima, giusto il tempo della lettura di un articolo di giornale.

«Doctor May, a month after the night I have told you, was reading to his wife at breakfast from his fourth column of the morning-paper […]«Oh, my dear! You remember that man I told you of, that we saw at Kirby's mill?--that was arrested for robbing Mitchell? Here he is; just listen:--'Circuit Court. Judge Day. Hugh Wolfe, operative in Kirby & John's Loudon Mills. Charge, grand larceny. Sentence, nineteen years hard labor in penitentiary.'-- […]»(p.25)

L’ellissi di un mese fa parte del livello intradiegetico, infatti il salto temporale in avanti avviene rispetto alla notte del furto. La lettura dell’articolo è un pretesto per informare il lettore della condanna del giudice, per far conoscere la continuazione della storia.

Il successivo blocco narrativo si apre con Hugh in cella «Hugh Wolfe sat on the window-edge of his cell, looking out.» (p.26) A questo si unisce un terzo momento: la notte in cui Hugh si trova in cella, che poi sarà anche l’ultima notte della sua vita, perché il ragazzo deciderà di suicidarsi. Segue, poi, l’ultima ellissi con portata tre anni e con ampiezza indefinita, «three years after, the Quaker began her work. I end my story here. […] there is no need to tire you with long years of sunshine, and fresh air, and slow, patient, Christ love […]».(p.33) La mattina dopo il suicidio di Hugh, nella cella del

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ragazzo compare una quacchera, che si occuperà della sepoltura di Hugh e che accoglierà anche Deb nella comunità dei quaccheri4, una volta scontata la condanna di tre anni.

Gli avvenimenti che si riferiscono a momenti diversi, appartengono tutti al livello narrativo intradiegetico. È possibile paragonare la seconda cornice a una catena composta da diversi anelli affiancati, il primo è la notte del furto, il secondo la lettura del giornale, il terzo è la notte del suicido e il quarto è Deborah salvata dalla quacchera.

Da questo ultimo blocco narrativo, si ritorna alla prima cornice extradiegetica, quella del narratore «Nothing remains to tell that the poor Welsh puddler once lived, […] The deep of the night is passing while I write […]» (p.33).

La struttura del racconto si chiude in modo circolare: si ritorna nella casa del narratore in cui era iniziata la narrazione.

SCHEMA DELLA SCANSIONE TEMPORALE DEL RACCONTO:

Casa narratore

(Notte furto→articolo di giornale→Suicidio Hugh→Deb e quaccheri) Casa narratore

4

Il quaccherismo è un movimento religioso fondato in Inghilterra nella 1ª metà del XVI sec. e diffusosi negli Stati Uniti nel XVII sec., che esprime un culto privo di gerarchie ecclesiastiche, caratterizzato dal rifiuto per ogni tipo di violenza, da una condotta di vita molto semplice e frugale e da un elevato spirito missionario e caritativo. Durante l’industrializzazione degli Stati si

opponevano alle conseguenze di questo sugli operai.

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Di per sé la cornice che racchiude il racconto ha funzione di introduzione e di chiosa, se non ci fosse il racconto avrebbe comunque senso compiuto. La cornice extradiegetica si può suddividere in due parti: l’introduzione, che è costruita come un graduale avvicinamento alla vicenda e ai suoi personaggi, e la conclusione. Nell’introduzione il narratore non comincia immediatamente a narrare la storia dei due ragazzi, ma parte da lontano, dalla nebbia, il fumo, la città, dai suoi ricordi di bambina. Dall’ambiente esterno passa a descrivere le persone, come camminano, come si muovono, il loro destino. Poi dall’accenno generale agli operai, si sposta verso i due protagonisti, la loro origine, il carattere, la personalità.5 E infine comincia il racconto, che sancisce la fine dell’introduzione.

La seconda parte della cornice extradiegetica, è concepita come chiusura, il narratore afferma di aver scritto tutta la notte e ormai è arrivata l’alba che illumina il soggiorno e nel quale appare la statua di Hugh Wolfe. L’arrivo della luce rappresenta la speranza, dalle situazioni peggiori può nascere qualcosa di buono, di positivo. L’informazione sul passaggio della notte e l’arrivo dell’alba conferisce alla cornice una maggiore dinamicità, che invece sembrava solo avere lo scopo di presentare la storia.6 La seconda parte della cornice extradiegetica, è molto significativa perché costituisce un racconto nel racconto, crea un’altra vicenda, dà tridimensionalità alla cornice stessa.

5

Ibidem, p.5.

6

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Nella cornice intradiegetica gli avvenimenti si muovono sull’asse temporale in maniera orizzontale, cioè sono disposti in modo cronologico.

2.2. Punto di vista e narratore

Il narratore di Life in the Iron Mills è onnisciente ed eterodiegetico.7 Si può capire molto facilmente sin dalle prime frasi del racconto, il racconto è in terza persona e le azioni vengono sempre raccontate dall’esterno: «they went on, the mulatto inclining», «Deborah groped away into the cellar […] The woman Deborah was like him.»(p.6) Nonostante ciò, soprattutto durante i dialoghi, il narratore scompare e fa condurre la storia ai personaggi cercando di riprodurre la mimesi in modo più reale possibile:

«Dah’s a ball to Miss Pott’s to-night. Ye’d best come. Inteet, Deb,if hur’ll come, hur’ll hef fun.»(p.6)

«Mr. Mitchell has picked you up as the man who did

this,-I’m sure I don’t know why. But what did you mean by it?» (p.15).

In altre occasioni, invece, il narratore manifesta la sua presenza tramite i verbi locutori «“Deborah”, she said at last,», «“Yes child. Hur’s welcome,” she said». (p.5)

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In una maniera molto simile a Manzoni, ne I Promessi Sposi, il narratore di questo racconto, o narratore-autore, come viene chiamato da Marchese «si pone come massima istanza narrativa dal cui punto di vista sono dette le cose che avvengono».8 Questo ruolo è facilmente riscontrabile nel testo, perchè è lui il depositario della storia, che appartiene a suoi vaghi ricordi, «My story is very simple, only what I remember of the life of one of these men» (p.6) sia perché l’atto della scrittura è esplicito nel racconto, «the deep of the night is passing while I write»(p.33), quindi ancora di più si rafforza e conferma questa sua missione di voler raccontare, e tramandare ai posteri questa storia, altrimenti dimenticata.

La scelta dell’autore di costruire questa situazione fittizia per raccontare la storia può avere varie ragioni, può servire per giustificare il proprio interesse per una storia di per sé poco significativa. Inoltre l’invenzione di una cornice esterna crea aspettativa nei lettori, che sono più preparati, hanno maggiori elementi per capire e giudicare la storia. Nel caso di Life in the Iron Mills, l’autore sceglie questa costruzione per far in modo che la storia abbia un maggior fondamento di realtà.

Il narratore ha un ruolo centrale non solo perché si incarica di raccontare la vicenda dei due protagonisti, ma anche perché instaura un rapporto molto particolare con il lettore. Il pronome personale «I», «It stifles me» «I open the window», «I can detect»9, ha un alto numero di occorrenze e si riferisce sempre a un secondo interlocutore «you», che fa la sua apparizione già nella prima riga «Do you know […]» «Can you see how foggy the day is?» (p.4).

8

A.MARCHESE, L’officina del racconto,Mondadori Editore, Milano 1983, p.161

9

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Per tutto il racconto la voce narrante richiama l’attenzione del lettore o di questo immaginario destinatario, cercando di mantenere vivo l’interesse, lo accompagna in un mondo sconosciuto o distante dalla propria realtà. Nonostante l’interlocutore rimanga assolutamente indefinito per tutto il racconto, il narratore gli attribuisce delle caratteristiche abbastanza precise:

«There is a curious point for settle, my friend, who study psychology in a dilettante way. […]» (p.4)

«I want you to hide your disgust, take no heed to your clean clothes, and come right down with me, here, into the thickest of the fog and mud and foul effluvia.» (p.25)

Probabilmente si diletta nello studio della psicologia come hobby, forse svolge un lavoro “pulito” dove non è necessario sporcarsi le mani e i vestiti, è religioso, è cinico perché ride dei sentimenti che provano i due protagonisti: «You laugh at it? Are pain and jealousy less savage realities down here in this place I am taking you to than in your own house or your own heart». (p.10) Si può dedurre che abbia tratti molto familiari al narratore, tanto da poter rappresentare una sorta di suo doppio: da una parte dimostra simpatia ed empatia per i personaggi, vicinanza emotiva e partecipazione alla loro sofferenza, dall’altra dimostra il disinteresse e il cinismo, la vena borghese, l’atteggiamento di superiorità e di snobbismo che deriva dall’appartenenza a una classe sociale più elevata rispetto a quella dei protagonisti.

Anche il «voi» indefinito potrebbe designare il lettore ideale del giornale a cui era destinato il racconto, Atlantic Monthly, un giornale

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molto famoso all’epoca, ma letto esclusivamente da borghesi o alto borghesi certamente lontani dalla classe operaia e dai disagi che essa viveva. All’interno del racconto, un personaggio incarna questo tipo di atteggiamento: il dottor May, il medico si rende conto dell’esistenza di un problema, lo vede, ma ha un atteggiamento di superiorità nei confronti di Hugh, gli parla con condiscendenza, gli fa capire di avere le potenzialità per emergere, ma non gli dà un aiuto concreto. «However, in practice, he adopted the theory; for, when, night and morning, afterwards, he prayed that power might given these degraded souls to rise, he glowed at heart, recognizing an accomplished duty».(p.19)

Come già accennato l’uso continuo di “you” ha lo scopo di non far allontanare il lettore, di prenderlo e quasi di trascinarlo dentro questa realtà, di farlo sentire coinvolto. Questa tecnica è molto diffusa anche nel teatro contemporaneo, nel quale l’autore assolutamente vuole evitare l’identificazione sentimentale tra spettatore e personaggio, e cerca di stimolare l’attenzione critica del pubblico, tramite richiami, domande, riflessione diretti al pubblico. La scrittrice sceglie questo metodo per punzecchiare continuamente il lettore, richiamarlo all’attenzione e impedisce l’immedesimazione ponendosi in modo critico verso destinatario del racconto. Il metodo con cui il narratore si rivolge al lettore è attraverso domanda dirette, o richiami, a volte anche rimproveri

Can you see how foggy the day is? [...] You may think is a

tiresome story enough […] Lost? There is a curios point for you to settle, my friend, who study psychology in a lazy, dilettante way. Stop a moment. I am going to be honest.

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This is what I want you to do. I want you to hide your disgust, take no heed to your clean clothes, […] I want you to hear this story. (p.4)

Le frasi del narratore rivolte allo «You» generico, sono però un discorso unidirezionale, un soliloquio. Il soliloquio è una tecnica prevalentemente teatrale, ma che, anche in letteratura permette al narratore di rivolgersi in maniera esplicita al lettore, senza che questi debba rispondere. Inoltre ha «funzione precipua di confessione: quando il personaggio cerca di persuadere qualcuno o se stesso»10, nel caso di Life in the Iron Mills, il narratore cerca di persuadere il lettore ad ascoltarlo, ma cerca anche di convincerlo a guardare i personaggi del racconto in modo benevolo, a non giudicarli solo per il reato commesso, ma a considerare la loro situazione nel complesso.

Be just: when I tell you about this night, see him as he is. Be just,- not like man’s law, which seizes one isolated fact, but like God’s judging angel, whose clear, sad eye saw all the countless nights, when sick with starving, his soul fainted in him, before it judged for this night, the saddest of all.(p.11)

Il modo in cui il narratore si pone nei confronti del lettore, non corrisponde al suo atteggiamento verso i due personaggi, con i quali invece si dimostra comprensivo e solidale. Il narratore infatti pur essendo esterno alla storia, e quindi virtualmente più vicino al lettore, ha un legame con i protagonisti, rappresentato dalla casa, dalla città in

10

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cui vivono, dall’atmosfera che conoscono: elementi comuni che riescono a colmare la distanza temporale, sociale e di estraneità alla vicenda.

Cannot tell why I choose the half-forgotten story […] perhaps because there is a secret underlying sympathy between that story and this day […] or perhaps simply for the reason that this house is the one where the Wolfes lived. (p.5)

Inoltre la vicinanza è sottolineata ancora una volta dall’uso inclusivo di «we», «Korl we call it here» (p.24), così facendo il narratore si mette accanto ai protagonisti della storia. La fortissima solidarietà tra narratore e personaggi è sottolineata varie volte soprattutto da come il narratore presenta i due personaggi:

«With all this groping, this man desire, a great blind intellect stumbling through wrong, a loving poet’s heart» (p.11), «You laugh at it? Are pain and jealousy less savage realities down here in this place I am taking you to than in your own house or your own heart?» (p.10)

Da quest’ultimo passaggio è palese il diverso approccio del narratore nei confronti del personaggio e del narratario. Nelle parole di Genette11, questo narratore predilige la funzione comunicativa, cioè specifica la sua posizione, non si pone come elemento imparziale.

Come si è detto precedentemente, in alcuni momenti il narratore sceglie di rivelarsi in maniera diversa: dialoghi in cui la narrazione continua grazie alla riproduzione della mimesi; oppure, quando i fatti non vengono raccontati direttamente dal narratore. La sentenza di Hugh non ci viene raccontata ma “letta” dal dottor May, che legge la

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notizia sul giornale. È il dottor May a diventare narratore, perché è tramite i suoi occhi che il lettore legge l’articolo che lui sta, a sua volta, leggendo alla moglie.

Oh my dear, you remember that man I told you of, that we saw at Kirby’s mill?- that was arrested for robbing Mitchell? Here he is; just listen-“Circuit Court Judge Day. Hugh Wolfe, operative in Kirby’s & John’s Loudon Mills. Charge, grand larceny. Sentence, nineteen years hard labor in penitentiary” (pp.25-26)

Inoltre quando Hugh è in carcere e momentaneamente la voce narrante diventa Haley, il narratore non riassume le parole di Haley, ma anzi vengono riportate tramite discorso diretto: «“Well” as Haley, the jailer, said […] “When he was first caught,” the jailer said afterwards, in telling the story» (p.26)

2.3. Spazio: i luoghi del racconto

All’inizio del racconto il narratore è in casa, alla finestra, e osserva la strada, i negozi la gente: «I open the window, and looking out, can scarcely see through the rain grocer’s shop opposite». (p.3)

Dall’osservazione dell’esterno si passa poi all’interno: viene sottolineato come il fumo sia riuscito ad annerire anche gli oggetti dentro la casa: l’angioletto sul camino l’uccellino in gabbia.

«Here, inside, in a little broken figure of an angel pointing upward from the mantel-shelf; but its wings are covered with smoke, clotted

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and black. […] Smoke everywhere! A dirty canary chirps desolately in a cage beside me». (p.3)

Nel corso di tutto il racconto il narratore rimarrà sempre all’interno a scrivere. La casa, in quanto spazio abitativo, è l’elemento che unisce il personaggio principale, Hugh, e la sua famiglia al narratore, infatti la famiglia Wolfe ha vissuto tempo prima nella stessa casa con altre sei famiglie. L’elemento spaziale di unione è il primo indizio della solidarietà tra il narratore e i personaggi, a cui si sente vicino, uniti dalla città e dalla casa in cui hanno vissuto.

A sottolineare l’importanza di questo elemento, l’uscita dal livello narrativo extradiegetico e l’entrata nel livello intradiegetico avviene proprio attraverso la casa. Quando il narratore inizia a raccontare la storia, lascia virtualmente la propria abitazione a Deb, infatti le prime battute del racconto si svolgono esattamente davanti alla casa da cui il narratore scrive. «One rainy night, about eleven o’clock, a crowd of

hald-clothed women stopped outside of the cellar-door».(p.5) C’è un

virtuale passaggio di testimone tra narratore e personaggio.

La casa non viene descritta dettagliatamente, solo tratteggiata, nel retro, c’è un cortile di mattoni, disseminato di barili e tubi, che si spinge fino al fiume, «from the back-window I can see a narrow brick-yard sloping down the river-side, strewed with rain-butts and tubes» (p.4), il narratore ci informa che sei famiglie prendevano in affitto la casa e che i Wolfe vivevano in due stanze nello scantinato.

Del salone, luogo in cui il narratore scrive la storia, vengono dati pochi dettagli, la statua rotta dell’angioletto che si trova sul camino, il canarino nella gabbietta. (p.4-5) Nella parte finale della cornice extradiegetica, vengono aggiunte alcune informazioni sul salone.

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«Nothing remain to tell that the poor Welsh puddler once lived, but this figure of the mill-woman cut in korl. I have it here in a corner of my library I keep it behind a curtain». (p.36-37)

2.3.1 La Percezione dello spazio

Grazie agli aggettivi utilizzati per descrivere questi luoghi si capisce come il narratore e i personaggi percepiscano lo spazio che li circonda, «Lo spazio è dunque selezionato e filtrato da un’attitudine percettiva che sarà del narratore, o per sua delega, del personaggio […]». 12

Come già accennato, il fumo, la nebbia copre ogni cosa in questa città, una città di fonderie. Questi elementi ne definiscono il carattere, non sono soltanto un particolare esterno ma finiscono per diventare una caratteristica interiore. «The idiosyncrasy of the town is smoke[…]. Smoke on the wharves, smoke on the dingy boats, on the yellow river […].» (p.3) Addirittura il fumo si appicca alle facciate delle case, alle facce dei passanti, agli alberi. «Smoke […] clinking in a coating of greasy soot to the house-front, the faded poplars, the faces of the passers-by.» (p.3)

Le due stanze, che ospitavano la famiglia Wolfe, vengono descritte come umide, piene di muffa «It was low, damp,-the earthen floor covered with green, slimy moss(p.6)».

La fonderia è in varie occasioni paragonata all’inferno, sia da Deb «’T looks like t’ Devil’s place! » che dal gruppo di visitatori che afferma« […] I would tell you that your works look like Dante’s

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Inferno.[…]. Yonder is Farinata […](p.8)», addirittura creando una similitudine tra gli addetti alle fornaci e i personaggi che Dante inserisce nell’Inferno.

Un'altra descrizione della fonderia molto significativa, vista dagli occhi di Deb,

the mills for rolling iron are simply immense tent-like roofs, covering acres of round, open on every side. Beneath these roofs Deborah looked in on a city of fires, that burned hot and fiercely in the night. Fire in every horrible form: pits of flame waving in the wind; liquid metal-flames writhing in torturous streams through the sand: wide caldrons filled with boiling fire, over which bent ghastly wretches stirring the strange brewing; and through all, crowds of half-clad men, looking like revengeful ghosts in the red light. (p.8)

Da questo brano risulta chiaro il giudizio del narratore sulle fonderie, infatti definisce chi ci lavora «dei pallidi disgraziati»: la fonderia è il simbolo della disumanizzazione dell’industrializzazione.

Secondo l’analisi dello spazio di Lotman13, la casa, rappresenta la frontiera, lo spazio chiuso, partendo dal quale il narratore guarda verso l’esterno. Ha una connotazione neutra, non assume un valore assolutamente positivo, ma viene presentata come il punto di incontro tra narratore e personaggi, il pretesto per la storia.

13

J. LOTMAN, B. A. USPENSKIJ, Il metalinguaggio delle descrizioni della cultura, in Tipologia della cultura, Studi Bompiani, Milano 1973, p. 145-181, qui p. 156-157.

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La frontiera-casa, che può essere allargata alla frontiera-città (IN), rappresenta lo spazio chiuso di condivisione, di conoscenza, di comunione tra narratore e personaggi, e si contrappone a ciò che sta fuori dalla città (ES). La casa, la città costituiscono gli elementi conosciuti, da cui sia il narratore che i personaggi vogliono scappare ed evadere. Non hanno paura di ciò che sta al di là, temono molto di più il luogo in cui vivono, perché sanno che al di là della fonderia, della città, della casa li aspetta il paradiso fatto di colline verde e aria fresca.

sometimes he forgot this defined hope in the frantic anguish to escape,only to escape, out of the wet, the pain, the ashes, somewhere, anywhere, only for one moment of free air on a hill-side, to lie down and let his sick soul throb itself out of the sunshine. (p.20)

Secondo Lotman, l’orientamento che il depositario del testo ha verso l’esterno è diretto. E purtroppo l’unico modo che il protagonista ha di varcare la frontiera del suo spazio è suicidarsi ed essere sepolto sulle colline. «Did hur know where they’ll bury Hugh? […] Take hur out, for God’sake, take hur out where t’air blows (p.33)»

Oltre allo spazio fisico in cui i personaggi si muovono, come spiegato in precedenza, esiste uno spazio psicologico, e narrativo. Lo spazio narrativo viene creato dall’atteggiamento del narratore nei confronti dei personaggi. Si crea vicinanza e solidarietà tra narratore e personaggi, mentre il lettore viene estromesso da questo rapporto “ esclusivo” e di conseguenza si si allontana sia dal narratore che dai personaggi. E nonostante il lettore e il narratore condividano lo stesso

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posto, esterno al racconto, in realtà le due istanze narrative sono lontane.

2.4 Il significato della notte

Il racconto di Rebecca Harding Davis ha un’ambientazione prevalentemente notturna.

o Prima notte: prima cornice, il narratore introduce la storia. o Seconda notte: visita alla fonderia e furto

o Terza notte: suicidio di Hugh.

o Quarta notte: ripresa della cornice iniziale, dopo aver scritto tutta la notte, il narratore vede la luce dall’alba.

Come afferma Bachtin14 l’opposizione notte/giorno è un archetipo molto utilizzato in letteratura, la notte di solito, indica l’oscurità, la paura, l’ignoto che si contrappone al giorno che rappresenta la chiarezza, la speranza, il nuovo inizio.

Anche nel racconto di Davis è possibile riscontrare questo archetipo. Oltre a svolgersi effettivamente di notte, è possibile considerare le vite dei due protagonisti come delle notti simboliche.

Più volte viene ribadito che nella città di fonderie, i due protagonisti non vedono il sole nemmeno di giorno, perchè offuscato dalla nebbia e dal fumo, quindi la loro vita è una perenne notte, in tutte le sue accezioni di significato: notte come buio, ma anche notte come morte, come negazione della luce e quindi della vita. Deb e Hugh non hanno

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futuro e il loro lavoro infernale li rende dei morti viventi. La loro vita, la notte che vivono è la disperazione, l’assenza della vita.

Tutto il racconto “notturno” si contrappone alle poche righe finali in cui il narratore vede i raggi del sole entrare dalla finestre e illuminare le cose che ci sono nella stanza. La luce è la speranza, “l’alba del giorno che verrà”, anticipata dal narratore che vede nel sole che sorge una speranza per tutti, anche per coloro che conducono una vita infernale come quella dei due protagonisti.

While the room is yet steeped in heavy shadow, a cool, gray light suddenly touches its head like a blessing hand, and its groping arm points through the broken cloud to the far East, where, in the flickering, nebulous crimson, God has set the promise of the Dawn (p.37)

2.4.1 Colori

Strettamente legato al tema della notte è l’aspetto del colore, i colori sono molto importanti in questo racconto, perché riescono a costruire l’atmosfera della città delle ferriere.

Tutte le gradazioni di colori presenti nel racconto appartengono al nero o grigio: «Smoke […] settles down in black, slimy pools.[…] its wing are covered with smoke, clotted and black (p.27)». Quindi l’atmosfera cupa viene resa dalla situazione di per sé triste in cui vivono i protagonisti, ma anche dai colori nel racconto. Anche i colori delle persone sono altrettanto sconfortanti: Deborah ha il viso pallido,

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gli occhi acquosi e le labbra blu, e il padre di Hugh ha le stesse caratteristiche “cromatiche” di Deborah, con in più dei piccoli occhi rossi da coniglio.

«Old Wolfe […] was a pale, meek littel ma, with a white face and red-rabbit eyes. The woman Deborah was like him […] her lips bluer, her eyes even more watery.» (p.27)

Le fonderie hanno i colori dell’inferno, le fiamme di fuoco rosso, bollente, e tutti gli operai sono neri di cenere, anche Hugh, la cui pelle è nera, per gli strati di cenere e grasso. «He griped the filthy red shirt that clung, stiff with soot, about him, and tore it savagely from his arm. The flesh beneath was muddy with grease and ashes (p.20)»

In mezzo a questi colori cupi, compaiono delle vere e proprie macchie di colori vivaci che per tutto il racconto saranno l’emblema della vita che Hugh sognerà e non avrà mai. Rappresentano la speranza di una vita migliore e sono simbolo del senso artistico di Hugh: la capacità di osservare e apprezzare i colori, il cielo rosso e arancione del tramonto, «the sun-touched smoke-clouds opened like a cleft ocean,-shifting rolling seas of crimson mist, waves of billowy Silver veined with blood-scarlet, inner dephts unfathomable of glancing light. Wolfe’s artist eye grew drunk with color. (p.24)»15.

I suoi occhi sono in grado di vedere i colori, anche nei momenti più tristi, come quando in carcere guarda fuori dalla finestra della cella e vede il mercato, i colori della selvaggina, il sangue, la frutta:

How like a picture it was, the dark green heaps of corn, and the crimson beets, and golden melons! There was another with game: how the light flickered on that pheasant’s breast, with the purplish blood dripping over

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the brown feathers

E il viso di una mulatta che porta della frutta in testa

a tall mulatto girl, following her mistress, her basket on her head […] a free, firm step, a clear-cut olive face, with a scarlet turban tied on one side, dark, shining eyes, and on the head the basket poised, filled with fruit and flowers, under which the scarlet turban and the

bright eyes looked out half-shadowed. (p.28)

Alla fine del racconto tornano le colline verdi che tanto piacevano a Hugh, le colline dove Deborah vivrà con i quaccheri, le colline dove chiederà alla quacchera che venga sepolto Hugh.

I colori sono come una spia, un segnale della presenza di un altro mondo, di un mondo possibile e diverso rispetto a quello in cui vivono i due cugini. Sono anche la manifestazione del senso artistico di Hugh, la cui frustrazione nasce proprio dal non poter esprimere liberamente il proprio talento.

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