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Il CMT variabile nel tempo

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Il CMT variabile nel tempo

Cap. VII. - Le variazioni temporali del CMT

VII.1. Variabilità temporale del CMT medio

Nel CMT medio sono assenti, per il modo stesso nel quale tale campo è definito (campo medio annuo), variazioni temporali di periodo uguale o minore a un anno; sono invece presenti variazioni di modesta entità (al massimo qualche decina di nT all’anno) e di grande o grandissimo periodo; salvo qualche regione (per es., l’Europa) in cui nei dati a disposizione (circa due secoli di osservazioni significative) è stato riconosciuto un anda- mento pseudoperiodico, in genere non è riconoscibile un andamento pseudoperiodico e men che meno periodico, ma piuttosto un andamento monotono: per es., leggermente crescente nell’Asia centromeridionale e leggermente decrescente nelle due Americhe. Per questa ragione si parla di variazione secolare del CMT medio, con ciò intendendosi che se v’è uno pseudoperiodo questo è dell’ordine di parecchi secoli oppure, come ap- pare più probabile, che ci si trovi di fronte a una variazione sprovvista di una qualunque periodicità. Va osservato subito che i differenti andamenti cui abbiamo ora accennato a proposito di Europa, Asia ed Americhe possono essere spiegati facendo intervenire il fenomeno, al quale accenneremo nel successivo cap. VIII, dell’inversione del CMT, consistente, nel dirla in breve, nel fatto che il campo ogni tanto, ma senza alcuna rego- larità, inverte la sua polarità (il suo polo nord diventa sud, e viceversa, peraltro (per quello che se ne può arguire) senza mutare la sua struttura e il suo asse quasi dipolari , in qualche migliaio o in qualche decina di migliaria di anni (come dire quasi istantaneamente alla scala dei tempi geologici) e attualmente (cioè da qualche secolo) si sta avviando verso un’inversione.

La fig. VII.1/1è una mappa delle isopore annue (curve luogo di uguale variazione an- nua) dell’intensità totale F e dà un quadro della variabilità sulla superficie terrestre

FIG. VI.14/1 – ISOPORE, IN nT/anno, DELLINTENSITÀ F DEL CMT ALLEPOCA 1955,0.

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della detta variazione. Come si vede, queste isopore individuano delle zone di anomalia (il sud del Pacifico e dell’Atlantico, ecc.) che ricordano le isolinee della fig. VI.10.4/1, ove queste ultime possano essere interpretate come isoanomale (del CMT rispetto al campo di dipolo centrale, visto, all’antica, come campo di riferimento); non si è in grado attualmente d’interpretare questa situazione, altro che vedendola come prova del fatto che la variazione secolare rientra nelle fenomenologia del campo nucleare, cioè attiene ai fenomeni primari donde questo campo s’origina (v. oltre: cap. IX).

È peraltro possibile aggiungere due osservazioni di grande rilevanza:

a) i risultati della sistematica analisi armonica annua del potenziale del CMT mostrano che il momento dipolare (come dire l’intensità del campo di dipolo centrale) sta diminuendo linearmente (dal 1835) in ragione di circa –4 1019 A m2 all’anno (equiva- lente a _ -0,05 % all’anno _ -5 % a secolo) e teoricamente, se mantenesse il suo attuale andamento, finirebbe con l’annullarsi intorno all’anno 4000, cominciando poi a ricrescere in direzione opposta: è l’inversione del CMT alla quale abbiamo accennato poco sopra;

b) passando dal dominio temporale a quello spaziale, le componenti del CMT mostrano una variazione che nel complesso equivale a uno “spostamento” delle sorgenti del campo verso ovest (deriva occidentale); nel passato ciò era interpretato come una variazione della longitudine del polo di dipolo centrale, ferma restando l’inclinazione, in ragione, attualmente, di 5° a secolo verso ovest, accompagnata da una più marcata analoga variazione verso ovest, in ragione (attualmente) di _ 20° a secolo, della parte non dipolare del campo (riguarda quindi qualche percento del campo effettivo); in termini moderni, bisogna fare capo a opportune variazioni del sistema di correnti elettriche dal quale s’origina il campo nucleare.

VII.2. Quadro d’insieme delle variazioni temporali del CMT

Una volta definito, su scala locale oppure su scala planetaria, un andamento tempo- rale normale per ognuno degli elementi magnetici oppure del CMT nel suo insieme, re- stano individuate le variazioni temporali di un dato elemento del CMT, come scosta- menti a un certo istante o per un certo intervallo di tempo del valore istantaneo o medio in quell’intervallo rispetto ai corrispondenti valori dell’andamento normale; quest’ultimo è quello definito dai cinque giorni calmi internazionali di cui diremo nel successivo par. 6. L’insieme di queste variazioni costituiscono l’attività delCMT: come dire che il campo è considerato «attivo» quando s’allontana dalla sua normalità (significato simile, per es., allo «stato attivo» di un vulcano).

Si distinguono:

a) variazioni regolari, o variazioni pseudoperiodiche, caratterizzate dal riconosci- mento nell’andamento temporale di esse di uno pseudoperiodo, secondo il quale si susseguono, a uguali intervalli di tempo, massimi e minimi, pur non essendo i massimi (e così i minimi) uguali tra loro;

b) pulsazioni, costituite da treni di oscillazioni pseudoperiodiche e perciò dette anche variazioni intermedie;

c) variazioni irregolari, nelle quali non è riconoscibile alcun carattere di regolarità e tra le quali possono essere ulteriormente distinte baie, tempeste e inversioni (per queste ultime, com’è stato accennato sopra si rinvia a quanto se ne dirà nel successivo cap. VIII, par. 3);

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d) variazioni secolari, che si presentano con carattere di monotonicità e traggono la loro denominazione dal fatto che, in linea teorica, potrebbero essere pseudoperiodiche ma con un periodo certamente maggiore dell’intervallo di tempo (all’incirca gli ultimi duecento anni) per il quale si dispone di una serie abbastanza continua di misure attend- ibili degli elementi del CMT.

Prima di dare notizie su questi tipi di variazioni temporali, riportiamo nella seguente tabella le grandezze caratteristiche di esse, e precisamente lo pseudoperiodo T, l’ampiezza A e la natura dell’ente fisico che le genera (origine).

TAB. VII.2-1 - VARIAZIONI TEMPORALI DEL CMT Denominazione T A [nT] Origine VARIAZIONI REGOLARI

Variaz. diurna solare 24h 10÷80 Correnti elettriche nella ionosfera Variaz. diurna lunare 24h50m 2÷8 idem

Variaz. solare ciclica ≈ 11 anni ≈ 10 Variazioni dell’attività solare VARIAZ. INTERMEDIE

Pulsazioni 0,1 ÷1000 s 0,05 ÷300 Onde magnetoplasmadinamiche nel- la magnetosfera terrestre VARIAZ. IRREGOLARI

Tempeste aperiodiche 50÷500 Correnti elettriche nella magnetosfera

Baie aperiodiche 10÷300 Precipitazione di particelle solari

Inversioni aperiodiche (6÷12)104 Instabilità di correnti elettriche nel nucleo esterno fluido della Terra

Come osservazione generale, si può dire che;

a) le variazioni temporali con pseudoperiodo non maggiore di quello della ro- tazione terrestre (24h) sono di origine esterna alla superficie terrestre, in quanto legate all’azione radiativa del Sole, sia direttamente (flussi di particelle cariche dal Sole) sia indirettamente (sistemi di correnti elettriche nell’alta atmosfera terrestre prodotte dall’interazione della radiazione solare con i gas atmosferici);

b) le variazioni temporali con periodo maggiore di quello della rotazione ter- restre (24h) hanno origine nell’interno della Terra, attenendo direttamente ai proc- essi mediante i quali si origina il campo magnetico nucleare.

In quel che segue ci si limiterà a considerazioni classificatorie e morfologiche, rinviando per le considerazioni sui meccanismi di generazione al successivo cap. X, in cui si trat- terà dell’origine del CMT e, implicitamente, delle variazioni di esso.

VII.3, Le variazioni regolari e intermedie VII.3.1. La variazione diurna solare Sq

La variazione diurna di un dato elemento del CMT in un certo giorno è l’andamento nelle 24 ore della differenza del valore istantaneo dell’elemento considerato rispetto al valore medio nell’intero giorno. Se si considera un giorno in in condizioni di attività so- lare nulla si ha la variazione solare diurna Sq (sigla dall’ingl. quiet Sun [day varia- tion] ”[variazione diurna] con Sole quieto”); operativamente, è considerato come “giorno di Sole quieto” il giorno definito dall’andamento medio nei 5 giorni calmi internazionali (giorni QQ) del mese d’interesse; nelle zone ad alta latitudine geografica, dove il CMT è perturbato quasi continuamente, si è costretti a fare riferimento ai rari giorni in cui l’attività magnetica è particolarmente bassa (che non è detto raggiungano la cifra di 5).

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Come mostra la fig. VII.3.1/1, la variazione diurna Sq in un dato mese è, ovviamente, pseudoperiodica con pseudoperiodo pari alla durata (24h) del giorno solare, dipende for- temente dalla latitudine geografica, è ristretta in pratica alle ore d’illuminazione solare con un massimo intorno al mezzogiorno locale e ha andamenti inversi nei due emisferi;

nell’anno, presenta un massimo estivo e un minimo invernale (il rapporto tra i due può raggiungere anche 3); a lungo termine, varia in accordo con il ciclo dell’attività

solare (il coefficiente di correlazione tra la media annuale dell’ampiezza della Sq e la me- dia annuale del cosiddetto numero delle macchie solari – il più popolare tra gli indici dell’attività solare – è uno dei maggiori nell’ambito geofisico, risultando quasi pari all’unità).

FIG.VII.3.1/1 - VARIAZIONE SOLARE Sq DELLE COMPONENTI CARTESIANE LOCALI X, Y, Z A VARIE LATITUDINI GEOMAGNETICHE IN CONDIZIONI EQUINOZIALI.

VII.3.2. La variazione diurna lunare L

È una variazione analoga a quella solare, con periodo poco diverso (la durata del giorno lunare, 24h50m, contro le 24h del giorno solare) ma ampiezza molto minore (circa 1/10, come dire 2-8 nT).

Per ricavarla dalle misure orarie giornaliere si segue il procedimento seguente. Per ogni ora del giorno e del mese considerati si determina la differenza tra il dato orario dell’elemento considerato (D, H, Z o altra componente cartesiana) e la media mensile dell’elemento alla stessa ora; nell’andamento così ottenuto il procedimento di differenza ha annullato gran parte della Sq, ma resta una parte di questa e la variazione solare, oltre alla parte che interessa, cioè quella dipendente dall’ora lunare; per arrivare a quest’ultima

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variazione, la serie di tutti i valori orari del mese ottenuti com’è stato detto sono ordinati secondo le ore del giorno lunare e raggruppati in giorni lunari, avendosi così la variazi- one diurna lunare giornaliera giorno lunare per giorno lunare; le medie a ogni ora dei valori dei giorni di tutto un mese lunare danno la variazione diurna lunare mensile, L, per il mese considerato.

A differenza della Sq nella fascia a non alta lati- tudine, che, come abbiamo visto poco sopra, mostra un diagramma temporale a un solo mas- simo e un solo minimo intorno al mezzogiorno lo- cale, la L mostra un diagramma a due massimi e due minimi, l’occorrenza oraria dei quali dipende dalla fase lunare, e ciò a causa del progressivo sfasamento da giorno a giorno del tempo lunare rispetto a quello solare. La fig. VII.3.2/1 mostra, quale caso sufficientemente indicativo in generale (altri elementi e altri luoghi), la variazione L della declinazione D a Batavia, Indonesia; in essa, la curva in basso, a doppia onda, è la L mensile, mentre le curve sovrastanti riguardano gli anda- menti per 8 fasi lunari equidistanti a partire dalla Luna nuova. Per la dipendenza dalla latitudine ge- ografica, dalla stagione dell’anno e dall’attività solare la variazione diurna lunare ha caratteri simili a quelli della variazione diurna solare e anzi di en- tità maggiore (ampiezza maggiore alle basse latitu- dini, d’estate e in periodi di alta attività solare).

VII.3.3. Le pulsazioni

Si tratta di treni di oscillazioni pseudoperiodiche delle osservabili geomagnetiche (nel seguito ci si riferirà prevalentemente a elementi intensivi, cioè da misurarsi in nT (F, H, X, Y, Z); un esempio di dati osservati è mostrato nella fig. VII.3.3/1.

La grande estensione dei periodi (da decimi a centinaia di s) e delle ampiezze (da centesimi a centinaia di nT) ha indotto la IAGA (International Association of Geo- magnetism and Aeronomy) alla classificazi- one ordinatrice comportante le due partizi- oni delle pulsazioni continue (sigla Pc) e delle pulsazioni irregolari (Pi), ciascuna delle quali è poi ripartita, rispettivamente,in 5 classi (da Pc 1 a Pc 5) e in 2 classi (Pi 1 e Pi 2), i cui caratteri morfologici fondamen- tali sono riportati nella tab. VII.3.3-1 se- guente.

È da notare che le pulsazioni di piccola ampiezza (genericamente, meno di qualche

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nT) sono dette correntemente micropul- sazioni magnetiche.

Rinviando al cap. XI per considerazioni sui meccanismi di eccitazione delle pulsazioni, ci limiteremo qui ad ampliare i dati della tabella con ulteriori informazioni, tratte dalle osservazioni, sulla morfologia delle varie classi.

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TAB. VII.3.3-1 - CLASSIFICAZIONE IAGA DELLE PULSAZIONI DEL CMT

Denominazione Periodo

[s]

Frequenza [mHz]

Ampiezza [nT]

CONTINUE: Pc 1 0,1 - 5 500 - 200 0,05 - 0,1 Pc 2 5 - 10 200 - 100 0,1 - 2 Pc 3 10 - 45 100 - 22 0,1 - 2 Pc 4 45 - 150 22 - 6,7 2 - 20 Pc 5 150 - 600 6,7 - 1,7 5 - 500 IRREGOLARI: Pi 1 1 - 40 1000 - 25 0,1 - 1 Pi2 40 - 150 25 - 6,7 0,1 - 100

a) Pulsazioni continue Pc 1. Si osservano su tutta la Terra, più frequentemente nelle zone aurorali e subaurorali, sia di giorno che di notte in giorni magneticamente quieti o almeno poco perturbati, come dire che costituiscono un fenomeno della magnetosfera calma. Si presentano come una successione di treni di oscillazioni ripetute per un pe- riodo di tempo che va da qualche minuto e qualche ora; questo evento tende a ripetersi per qualche giorno, presentandosi all’incirca alla stessa ora.

b) Pulsazioni continue Pc 2, Pc3 e Pc 4. Il carattere unificante di queste tre classi (che peraltro differiscono assai per il periodo e soprattutto per l’ampiezza, che per le Pc 4 è circa il decuplo di quella delle Pc2 e Pc3) è costituito dal fatto che si tratta di fenomeni propri della parte della magnetosfera terrestre che è rivolta verso il Sole (magnetosfera dayside; per notizie sulla magnetosfera terrestre v. cap. XI). Le Pc 2 e Pc 3 si presentano prevalentemente tra l’alba e il mezzogionro locali; le Pc 3 sono un fenomeno magnetico

“coniugato”, nel senso che si presentano contemporaneamente in due località, una nell’emisfero boreale e l’altra nell’emisfero australe, che abbiano latitudine magnetica uguale e contraria, cioè che si trovino alle estremità di una medesima linea del CMT;

questa circostanza costituisce una buona prova della fondatezza dell’ipotesi di attribuire le pulsazioni a oscillazioni delle linee del campo. Quanto alle Pc 4, esse dividono con le Pc1 la caratteristica di riguardare la magnetosfera quieta e con le Pc3 il fatto di essere un fenomeno coniugato nel senso detto.

c) Pulsazioni continue Pc 5. Le due caratteristiche tipiche di esse sono la grande am- piezza (quelle più ampie, da centinaia di nT, sono tote anche come pulsazioni giganti) e di essere un fenomeno delle prime ore del mattino.

d) Pulsazioni irregolari Pi 1. Sono un fenomeno delle ore notturne e sono correlate con sottotempeste magnetiche alle alte latitudini (v. successivo par. VII.3); hanno la caratteristica che il loro pseudoperiodo diminuisce progressivamente nel tempo.

e) Pulsazioni irregolari Pi 2. Anch’esse si presentano nelle ore notturne, con un mas- simo intorno alla mezzanotte locale, e sono correlate con sottotempeste magnetiche; la loro ampiezza va da qualche decimo di nT alle basse latitudini geografiche a decine di nT alle alte latitudini.

VII.4.Variazioni irregolari

Per separare dalle variazioni regolari diurna solare e diurna lunare le vere e proprie variazioni irregolari, che qui indicheremo con la lettera D (dall’ingl. disturbance “dis- turbo”), si mette in opera il procedimento sintetizzato nella seguente autospiegantesi relazione:

[VII.4*1] D = i −<i> − Sq − L ,

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dove i è il valore a un certo istante (o valore medio in un breve intervallo di tempo) dell’elemento considerato, <i> il valore medio a quell’istante su un periodo di tempo suf- ficientemente lungo (usualmente, il mese in corso), Sq e L sono i valori a quell’istante della variazione diurna solare e lunare, rispettivamente.

Le variazioni irregolari che in tal modo si mettono in evidenza si presentano assai complesse; di esse quelle più cospicue in termini di ampiezza e di effetti provocati (particolarmente rilevanti quelli sui sistemi di radiocomunicazione a onde corte) sono de- nominate tempeste magnetiche (ingl. magnetic storms) e hanno caratteristiche mor- fologiche loro proprie,che le fanno facilmente individuare rispetto ad altre perturbazioni, anche di ampiezza comparabile con la loro.

VII.4.1. Le baie

La denominazione deriva dalla somiglianza fra l’aspetto di questa variazione nei mag- netogrammi e il profilo in una carta geografica di una costa marina con una baia; la durata della variazione rispetto all’andamento imperturbato è da qualche minuto a una o due ore; si parla di baia positiva e di baia negativa a seconda che la variazione dell’elemento considerato (tipicamente, la componente orizzontale H) sia ad aumentare oppure a diminuire rispetto all’andamento normale.

Si tratta di un fenomeno che dipende fortemente dalla latitudine, sia per l’ampiezza, la quale aumenta all’aumentare della latitudine, sia per quanto riguarda l’osservabilità e il tipo, per le quali caratteristiche si osserva inoltre un’ulteriore forte dipendenza dall’ora del giorno. Precisamente, alle basse e medie latitudini nelle ore notturne le baie sono prevalentemente positive, mentre sono prevalentemente negative nelle ore diurne, con un’occorrenza massima nel pomeriggio locale; alle alte latitudini la situazione è al con- trario: le baie notturne sono prevalentemente negative (nella zona aurorale, cioè a latitu- dini di 65°-75°, sono circa nove volte più frequenti di quelle positive), con un’occorrenza massima poco dopo la mezzanotte locale, mancando quasi completamente intorno al mezzogiorno locale, mentre di giorno si hanno prevalentemente baie positive, con un’occorrenza massima intorno alle 18h locali.

VII.4.2. Le tempeste magnetiche

Le caratteristiche morfologiche alle quali abbiamo accennato poco sopra come elementi distintivi delle tempeste magnetiche sono ben riconoscibili quando l’andamento pertur- bato D che è stato definito precedentemente sia analizzato secondo due scale di tempo differenti: la prima è l’ordinaria scala del tempo locale e dà luogo all’andamento indicato con la sigla SD (interpretabile come Storm in Disturbance, “[andamento della] tempesta nel disturbo”, dato che il disturbo potrebbe comprendere altre cose oltre alla tempesta) o anche DS, e la seconda è sempre in ore e sue frazioni ma ha come istante iniziale l’istante d’inizio della tempesta (tale tempo è internazionalmente noto come storm time, “[scala di] tempo della tempesta”) e dà luogo all’andamento indicato con la sigla Dst (interpret- abile come Disturbance by storm, “disturbo da tempesta”); il primodi questi due tipi di andamento è locale, mentre il secondo è simultaneo in tutto il pianeta ed è il più significa- tivo dal punto di vista fisico.

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a) La variazione Dst. Per potere individuare questa variazione occorre preventivamente individuare la predetta scala del tempo della tempesta e ciò è possibile se quest’ultima è una tempesta a inizio brusco (denominazione internazionale ingl.: sudden commence- ment [sigla s.c.] storm); si hanno infatti anche tempeste a inizio graduale, per le quali questa variazione non può essere univocamente riconosciuta. Nelle tempeste s.c. l’inizio è usualmente indicato da un brusco impulso della componente orizzontale H (o dall’una ol’altra delle due componenti orizzontali cartesiane) e abbastanza spesso da un simile impulso di tutti gli elementi del campo.

Poiché, come èstato detto, si tratta di un andamento simultaneo alla scala mondiale, lo studio della Dst è fatto esaminando gli andamenti storm time in un numero relativamente grande (qualche decina) di Osservatori ben distribuiti in medie e basse latitudini geomag- netiche (per le alte latitudini, oltre 60°, si parla propriamente di “tempeste polari”:v. ol- tre) e con gli istanti locali d’inizio ugualmente ben distribuiti nelle 24 ore del giorno alfine di eliminare le variazioni diurne).

FIG. VII.4.2/1 - ESEMPIO DI VARIAZIONE Dst DA TEMPESTA

Il risultato di un’analisi di questo genere per tre gruppi di 4 Osservatori ciascuno con latitudini intorno ai paralleli geomagnetici, rispettivamente, 22°, 40° e 53° N e per 48 ore di storm time è riportato nella fig. VII.4.2/1 relativamente alle componenti orizzontale H, verticale Z e cartesiana verso l’est Y, talché si hanno anche l’inclinazione I=arctan(Z/H) e .la declinazione D=arcsin(Y/H). I fatti principali sono: (a) v’è una breve fase iniziale in cui H aumenta di poco, fino a un massimo relativo, mentre Z e Y di- minuiscono; (b) seguono una fase principale in cui H diminuisce fino a raggiungere un minimo molto pronunciato, mentre Z e Y aumentano nell’emisfero nord e diminuiscono nell’emisfero sud, assumendo in ogni caso un andamento quasi oscillatorio; (c) nella suc- cessiva fase di ricupero ci si riporta poi ai valori iniziali, per una durata complessiva del fenomeno di 3-4 giorni; (c) per H, che è la componente con la variazione maggiore e meglio definita, l’ampiezza della variazione (differenza tra massimo e minimo

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consecutivi) diminuisce all’aumentare della latirudine, mentre il contrario, sia pure meno decisamente, avviene per Z e Y; (d) l’inclinazione e la declinazione, che alle basse e medie latitudini hanno caratteri poco decisi, simili a quelli di Z e Y, allealte latitudini tendono ad avere un andamento concorde con quello di H e opposto a quello di Z.

Questo commento alla situazione illustrata dalla figura qui mostrata va inteso in senso largamente statistico, nel senso che l’unico fatto universale è la forte diminuzione di H nella fase principale e che le altre particolarità sono prevalenti ma non esclusive nei sin- goli eventi.

b) La variazione SD. Per ottenerla si ricava prima l’andamento di Dst per un certo nu- mero di Osservatori, ciò che si può chiamare Dst medio e si sottrae questo dall’andamento perturbato, si riordinano i residui secondo il tempo locale di ogni Osser- vatorio e si sottrae poi la variazione solare locale Sq. Un esempio di ciò che si ottiene è mostrato nella fig. VII.4.2/2, che riguarda la componente orizzontale H in Osservatori nella fascia di latitudine geoimagnetica tra 22° e 60° N. Come si vede, l’andamento per- turbato locale rappresentato dalla variazione SD è nettamente differente da quello mondiale rappresentato dalla variazione Dst. Le principali caratteristiche sono (a) l’ampiezza (differenza tra il valore massimo e il valore minimo nello stesso giorno) di- minuisce andando all’equatore a una latitudine geomagnetica di 50°-58°, laddove si ha un’inversione di fase seguita da un rapido cospicuo aumento; (b) l’ampiezza è massima nel primo dei 3-4 giorni di durata dell’evento.

In qualche caso il diagramma dei valori osservati risulta più significativo se si fa rif- erimento non al tempo locale ordinario ma al tempo geomagnetico locale, che è la misura in ore (essendo una di queste ore equivalente a un angolo di 15°) dell’angolo che il meridiano geomagnetico del punto in esame forma con l’antimeridiano magnetico del Sole.

c) Le tempeste polari. Si chiamano così le tempeste e anche le baie (v. subito sopra) nelle zone aurorali, in quanto hanno carat- teristiche loro proprie:una perturbazione polare inizia con un aumento di H intorno alle 15h di tempo locale (fase positiva), se- guito da una forte diminuzione (fase nega- tiva) con un minimo intorno alla mezzanotte locale al quale segue infine un graduale ri- torno alle condizioni normali. A differenza delle tempeste delle latitudini medie e basse, che sono un fenomeno planetario, le tem- peste polari sono un fenomeno locale.

VII.5. Perturbazioni del CMT e attività solare

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Si è riconosciuto da lungo tempo che le baie e soprattutto le tempeste magnetiche sono fortemente correlate con l’attività radiativa del Sole. Alla scala dei singoli eventi, ciò risulta ampiamente dalla correlazione di evenienza temporale tra perturbazioni solari (per es., i cosiddetti brillamenti solari) e perturbazioni magnetiche; a più grande scala temporale, la conferma della detta correlazione si ha dalla tendenza che le perturbaioni magnetiche mostrano di ripetersi dopoun intervallo di circa 27 giorni, che è il periodo di rotazione del Sole e, più in generale, dall’esistenza nella loro occorrenza a lungo termine di uno pseuderiodo di circa 11 anni, che è quello caratterizzante l’attività solare.

VII. 6. Indici di attività geomagnetica

Come appare dalla precedente tabella VII.1-1, l’ampiezza delle variazioni che il CMT può presentare in un dato intervallo di tempo rispetto a un andamento medio di riferi- mento può essere piuttosto vario e, in conseguenza, è piuttosto vario il carattere di mag- giore o minore variabilità, quello che si chiama indice di attività geomagnetica, o brevemente indice magnetico, da attribuire a quell’intervallo temporale, Questi indici sono molto importanti per potere definire − in base a prefissati criteri − quell’intervallo come magneticamente calmo oppure come magneticamente perturbato, e, in questo caso, definire in qualche modo il maggiore o minore grado di perturbazione e, al tempo stesso quello che può esere assunto come andamento normale o andamento imper- turbato.

a) Indici C. Il primo indice magnetico entrò nella pratica intorno al 1885 ed era costi- tuito semplicemente, Osservatorio per Osservatorio, dall’escursione diurna degli ele- menti scalari del CMT, di norma la componente orizzontale H e la declinazione D, in- tendendosi per escursione istantanea a un certo istante la differenza tra il valore a quell’istante e il valore medio per tutto il giorno e per escursione diurna la differenza tra il valore massimo e il valore minimo delle escursioni istantanee nel giorno. Questo in- dice fu però abbandonato abbastanza presto, dato che l’escursione diurna comprendeva anche la variazione diurna regolare (l’insieme della variazione diurna solare e di quella diurna lunare: v. oltre), che di per sé è caratteristica dell’andamento nromale del campo.

si preferì allora ricorrere ai cosiddetti indici C: ogni Osservatorio magnetico contrad- distingueva con il valore 0, 1 2 ogni giorno di Greenwich (ognuno degli intervalli datati 00h-24h UT, cioè di Tempo Universale, quello del meridiano di Greenwich) a seconda che − a giudizio degli osservatori − le misure mostrassero una situazione calma (0), mod- eratamente perturbata (1) e perturbata (2); l’indice Ci internazionale di un giorno (sempre di Greewich) si otteneva facendo la media degli indici forniti per quel giorno dai vari Osservatori facenti parte di una rete internazionale ad hoc e arrotondando poi al decimo (la successione dei possibili valori di Ci era dunque 0,0; 0,1; 0,2; ...; 1,9;

2,0).Questo indice fu adottato nel 1905 e servì a lungo per individuare, a cura di un ap- posito Servizio internazionale, i 5 «giorni calmi» di ogni mese (indicati con la sigla QQ, dall’ingl. quiet «quieto»), i 5 «giorni sufficientemente calmi» (sigla Q), i 5 «giorni moder- atamente perturbati» (D, dall’ingl. perturbed) e, infine, i «giorni perturbati» (DD); ri- mase in uso fino al 1975, quando fu sostituito dai vari indici attualmente in uso, i quali sono definiti in modo da rappresentare l’attività magnetica in rapporto a specifiche cause di perturbazione.

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b) Indici K. Entrati nell’uso corrente e ufficiale nel 1940, sono, in un certo senso, la versione “specializzata” (come dire indicativa soltanto delle variazioni di attività mag- netica e non anche delle variazioni normali, quali quelle diurne solare e lunare) dei prece- denti indici C; come per questi ultimi, sono calcolati a cura di ogni singolo Osservatorio dopo che per esso siano stati individuati i giorni calmi del mese d’interesse; danno conto dell’attività magnetica connessa all’irraggiamento elettromagnetico del Sole (cioè danno conto delle perturbazioni del CMT dovute al cosiddetto ‘vento solare’ e a getti di par- ticelle o di plasma provenienti da regioni attive del Sole) e sono definiti per intervalli di 3 ore di tempo universale (si hanno quindi 8 indici per ciascun giorno). Per ognuno dei detti intervalli triorari UT si determina il massimo scarto, in nT, delle componenti H e D (oppure Y invece di D) rispetto ai valori riscontrati in quell’intervallo nei giorni calmi di quel mese; tale scarto massimo determina, secondo una tabella di conversione che dipende dalla latitudine geomagnetica dell’Osservatorio, il valore dell’indice K in una scala di valori numerici discreti da 1 a 9, ciascun intervallo tra i quali (eccettuati i due estremi) tripartito in valori affetti da un segno meno, uno zero o un segno più (per lo zero iniziale si hanno i due valori 00 e 0+, e analogamente per il 9 finale i due valori 9– e 90), avendosi così una scala discreta di 28 valori. La seguente tab. VII.5-1 di corrispon- denza (quasi logaritmica) lega il valore dell’indice K al predetto scarto massimo (in nT) per la fascia di latitudine geomagnetica intorno a 40° N, nella quale si trovano, in parti- colare, gli Osservatori italiani.

TAB. VII.5-1. INDICE K E VARIAZIONI GEOMAGNETICHE [nT] PER L’ITALIA

K K K K

00 0 2+ 13 5- 55 70 185

0+ 1 3- 16 50 65 7+ 210

1- 3 30 20 5+ 78 8- 241

10 5 3+ 25 6- 92 80 292

1+ 7 4- 31 60 109 8+ 332

2- 9 40 38 6+ 131 9- 374

20 11 4+ 46 7- 156 90 420

L’andamento temporale di questi indici è espresso da caratteristici diagrammi (detti, per evidenti motivi di somiglianza, “diagrammi musicali”, dei quali la fig. VII.6/1 dà un esempio per un intero periodo di rotazione del Sole (27 giorni); in questa figura è ripor- tato anche il codice diagrafico per gli indici K e Kp. Figure diagrammatiche di questo genere sono assi utili per cogliere a colpo d’occhio situazioni locali di bassa, media e alta attività magnetica.

Dagli indici elaborati dai vari Osservatori facenti parte della Rete geomagnetica mondiale si può passare a un indice planetario Kp e ciò si ottiene eliminando, o almeno riducendo fortemente la componente “locale” degli indici di Osservatorio; a tal fine si prendono in considerazione gli indici degli Osservatori a latitudine geomagnetica intorno a 50° (che hanno una “caratteristica locale” media tra quelle degli Osservatori a latitdine minore e maggiore), trattandoli poi con opportuni procedimenti statistici.

c) Altri indici. Accanto agli indici K sono in uso anche altri indici, che però sono indici specializzati, ossia rappresentativi dell’attività magnetica originata da specifici processi fisici: Si possono dividere in due categorie, delle quali la prima costituisce una sorta di specializzazione deli indici K, mentre la seconda è relativamente indipendente da quegli indici.

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Appartengono alla prima categoria:

gli indici a e ap (“a planetari”), che sono, in un certo senso, “indici di media” degli indici K e Kp, in quanto danno conto di quella che si può chiamare intensità dell’attività; sono costituiti dalla media degli indici rispettivamente K o Kp di un gran numero di Osservatori;

gli indici aa, costituiti dalla media degli indici a di due Osservatori geomagnetica- mente coniugati (cioè all’incirca a latitudine geomagnetica di uguale valore assoluto, ma una boreale e l’altra australe (per es., Osservatori britannici e australiani); hanno il pregio di essere molto omogenei anche su lunghi intervalli di tempo e consentono quindi di avere attendibili informazioni sull’attività magnetica estendendo al passato i valori attu- ali, sia pure con qualche precauzione;

Appartengono invece alla seconda categoria altri tipi di indici, tra i quali ricorderemo:

l’indice AE, basato sulla differenza dei valori della componente orizzontale H ris- petto al suo valore normale mediato per un certo numero di Osservatori nella fascia di latitudine geomagnetica 60°-70°, cioè nella zona aurorale; è indicativo dell’intensità delle correnti elettriche che scorrrono nella zona aurorale da est verso ovest (donde la sigla identificativa, dall’ingl. Auroral “aurorale” e East “est”);

l’indice Dst, ottenuto come media oraria della diminuzione di H nella variazione Dst di tempesta rispetto al suo valore normale in alcuni Osservatori a bassa e media latitudine;

è indicativo dell’intensità della corrente elettrica anulare (ingl. ring current) che scorre da est a ovest intorno alla Terra nel piano equiatoriale a distanza di 5-6 raggi terrestri e che è la sorgente principale delle tempeste magnetiche.

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