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Parte seconda: il CMT medio

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Parte seconda: il CMT medio

Cap. VI. - Il CMT medio sulla superficie terrestre

Rappresentazione del CMT medio sulla superficie terrestre

VI.1. Riduzione delle misure locali a valori medi nel tempo

Ci si riferisce alle misure ottenute in un Osservatorio magnetico.

I dati di base sono contenuti nei variogrammi dell’Osservatorio, siano essi di tipo analogico (tratti da variografi fotografici) oppure, come più spesso capita negli Osservatori attuali, di tipo numerico (tratti da variografi assoluti), in ogni caso da intendersi convalidati in quanto sottoposti a regolari tarature. Essi si riferiscono a tre degli scalari del CMT, che possono essere scelti in vari modi tra i sei possibili (i tre elementi tradizionali e le tre componenti cartesiane): per es., l’Annuario dell’Osservatorio magnetico de L’Aquila dell’Istituto nazionale di geofisica, che, come già detto, è uno degli Osservatori fondamentali della Rete mondiale di Osservatori geomagnetici, riporta i dati riguardanti la declinazione, la componente orizzontale e la componente verticale del campo.

Le partizioni temporali cui riferire le medie sono quelle dell’ordinario calendario civile, e cioè l’anno, i mesi dell’anno, i giorni del mese, le ore del giorno; per queste ultime ci si riferisce al tempo universale (U.T. o UT dall’ingl. Universal Time; talora T.U. o TU, dal fr. Temps Universel e dall’it. Tempo Universale), che, più precisamente, è il tempo universale coordinato (v. par. V.2.1) del fuso orario 0, cioè del meridiano dell’Osservatorio astronomico di Greenwich, presso Londra (com’è noto, il tempo civile corrente in Italia, la quale appartiene al fuso orario +1, è il TU aumentato di un’ora, a parte i periodi in cui vige l’‘ora estiva’, nei quali tale differenza sale a due ore).

I tipi di valori medi nel tempo per ognuno dei prescelti scalari del campo e le procedure relative ad essi sono:

(1) i valori orari giornalieri, che sono, per ogni giorno, le 24 medie nell’intervallo di tempo tra i secondi iniziale a finale di ogni ora di tempo universale; nel passato, quando si operava soltanto sui diagrammi forniti da variografi fotografici o grafici, un dato valore orario era determinato appoggiando sulla traccia della voluta componente un trasparente graduato che era spostato finché la sua linea di fede appariva all’occhio come la retta di compenso del tracciato relativo all’ora di interesse (v. fig.

VI.1/1: la linea di fede orizzontale deve deli

mitare sopra e sotto il tracciato due zone di area sensibilmente uguale: un operatore ben addestrato è in grado di fornire medie sorprendentemente accurate); operando con i

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moderni magnetometri a uscita numerica, i detti valori orari sono calcolati dall’elaboratore elettronico associato allo strumento;

(2) i valori giornalieri, che sono le 28 31 medie dei 24 valori orari di ogni giorno del mese;

(3) i valori orari mensili, che sono le 24 medie dei 28 31 valori orari per ogni ora durante tutto un mese;

(4) i valori mensili, che sono le medie dei 28 31 valori giornalieri;

(5) il valore annuo, che è la media dei 12 valori mensili per un dato anno, per es. il 1997 e allora si parla di valore annuo per l’epoca 1997,5, intendendo con questa scrittura l’anno normale di calendario, “centrato” sulla mezzanotte tra il 30 giugno e il 1°

luglio; ci si potrebbe però imbattere nell’espressione epoca 1997,0, e allora s’intenderebbe dal luglio 1996 al giugno 1997, un periodo di 12 mesi “centrato”

sulla mezzanotte tra il 31 dicembre 1996 e il 1° gennaio 1997.

Una prima importante utilizzazione dei detti valori medi consiste nell’identificazione, fatta con uniformi criteri concordati internazionalmente, dei giorni calmi internazionali, indicati col simbolo Q (dall’ingl. quiet “quieto”) e dei giorni disturbati internazionali, indicati col simbolo D (dall’ingl. disturbed “disturbato”), caratterizzati da scarti rispettivamente piccoli oppure grandi dei valori giornalieri rispetto ai valori mensili.

Ogni anno ciascun Osservatorio comunica i suoi valori orari e gli associati valori medi dei tipi detti sopra a un apposito ufficio che fa capo alla IAGA (International Association for Geomagnetism and Aeronomy) e, contemporaneamente li pubblica nel suo Annuario.

A titolo di esempio, nella fig. VI.1/2 appare la pagina dell’Annuario per l’anno 1997 (epoca 1997,5) del citato Osservatorio magnetico de L’Aquila riguardante i valori orari della componente orizzontale del campo nel dicembre 1997. Esattamente, la pagina dell’Annuario è organizzata in forma di tabella le cui caselle contengono il numero da aggiungere a 23.500 per avere il valore orario, in nT, della componente. I 24_31 valori orari (in U.T.) sono contornati dai valori giornalieri (ultima colonna a destra) e dai valori orari mensili (prima riga orizzontale in basso), i quali ultimi sono dati anche separatamente per i giorni Q e D. Per facilitare ulteriori conteggi, sono date anche le somme (indicate con l’ingl. sum) dei valori giornalieri e mensili (le somme di questi ultimi sono, per pure ragioni d’incolonnamento, su due righe, le ultime in basso). Il valore mensile (502, cioè 23.500+502=24.002 nT) appare come terz’ultimo nell’ultima colonna a destra e deriva dalla divisione della somma delle somme (373.647) per 31 giorni e 24 ore. La fig. VI.1/3 dà, sempre per l’Osservatorio de L’Aquila, i diagrammi delle componenti D, H, Z nel periodo 1960-1997.

VI.2. Cartografia del CMT medio

Tale cartografia s’occupa del passaggio dalle rappresentazioni numeriche locali del CMT medio, costituite dalle tabelle di dati degli Annuari dei vari Osservatori, a rappresentazioni analogiche del campo medesimo in regioni più o meno vaste della superficie terrestre (carte o mappe magnetiche o geomagnetiche) o nell’intera superficie

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terrestre (planisferi magnetici). Il problema di base di questa cartografia consiste nel raccordare i dati prodotti dai detti Osservatori mediante isolinee di scalari del campo che ricoprano con sufficiente densità la zona di interesse.

Gli Osservatori magnetici della Rete mondiale sono relativamente pochi (circa 80 nel 2000) e per di più addensati nelle zone abitate più evolute delle terre emerse, con

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(5)

che la stragrande parte della superficie terrestre è priva degli affidabili rilevamenti magnetici continui propri di tali Osservatori .

Tracciare una carta magnetica significa tracciare sulla corrispondente carta geografica le isolinee del prescelto scalare del campo per l’epoca prescelta. Per ottenere ciò i dati degli Osservatori per quell’epoca e per quello scalare sono integrati dai dati provenienti da altre fonti, quali rilevamenti al suolo di zone di particolare interesse (campagne magnetiche) e rilevamenti mediante magnetometri e variografi sistemati a bordo di aerei (rilevamenti aeromagnetici) e di satelliti artificiali terrestri (rilevamenti magnetici satellitari); per necessario confronto, si mettono in opera anche metodi di estrapolazione/interpolazione spaziale tra i dati complessivamente disponibili.

A titolo di esempio dei risultati ottenibili, le figg. da VI.2/1 a /5 illustrano complessivamente il CMT medio all’epoca 1995,0 per la componente orizzontale H, per la declinazione D, per l’inclinazione I e per l’intensità totale F (il modulo dell’induzione magnetica B); si tratta di planisferi tratti dal “campo di riferimento IGRF 1995,0 di cui parleremo più avanti (par. VI.12).. Come prima impressione, si coglie subito la complessità morfologica del campo, le isolinee del quale non sono riconducibili a un qualche modello geometrico: per es., l’equatore magnetico, definito come il luogo dei punti in cui l’inclinazione è nulla (campo perfettamente orizzontale) è riconoscibile nella carta dell’inclinazione come isolinea I=0 (leggermente più marcata delle altre), ma è ben lontano dal coincidere con l’equatore geografico (isolinea di latitudine nulla) e comunque non è una circonferenza massima terrestre. Qualcosa di analogo accade per i poli magnetici. definiti come punti cui corrisponde I=90° (campo perfettamente verticale): come la carta della declinazione mostra chiaramente, essi cadono in punti ben distanti dai poli geografici e per di più non sono antipodi fra loro.

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Analisi armonica del CMT medio

VI.3. L’analisi armonica del potenziale scalare del CMT medio

Quest’analisi è un procedimento matematico che parte dai valori annui del CMT a una certa epoca per identificare la natura formale (scalare, dipolare, quadrupolare, ecc.) e l’importanza (in termini di contributo percentuale) delle varie sorgenti virtuali del campo medio medesimo, immaginate sia nell’interno che all’esterno della Terra: in altri termini, lo scopo dell’analisi consiste nel riconoscere che all’epoca considerata il CMT medio è quello che sarebbe generato da dipoli, quadrupoli, ecc. di determinato momento e opportunamente situati. È da dire subito che tale procedimento non si pronuncia sulla natura fisica delle sorgenti: è in base a considerazioni d’altra natura che le dette sorgenti sono da identificare con appropriati fenomeni terrestri.

Questo procedimento fu attuato per la prima volta, nella forma attuale, da K.F. Gauss nel 1838, analizzando i dati medi dell’anno 1835 (epoca 1835,5). In termini formali, esso consiste nel calcolare il valore dei coefficienti dei termini dello sviluppo in armoniche sferiche costituente la soluzione dell’equazione di Laplace del potenziale scalare del CMT sulla superficie terrestre. Quest’ultima fu approssimata da Gauss con una sfera avente per raggio il raggio terrestre medio e così è stato fatto successivamente; attualmente, una migliore approssimazione del geoide (l’effettiva superficie terrestre) è ottenuta riferendosi a un appropriato ellissoide di rivoluzione (le prestazioni degli attuali elaboratori elettronici consente di superare facilmente le maggiori difficoltà di calcolo) e per scopi particolari ci si può riferire sia direttamente al geoide sia a una qualunque superficie interna della Terra (per es., a quella delimitante il nucleo terrestre o il mantello, ecc.).

VI.4. L’equazione di Laplace e la sua soluzione generale per il potenziale magnetico Si ricorda che il campo d’induzione magnetica B è un campo non conservativo, per cui il potenziale scalare (par. III.1.9) V(P) di esso nel generico punto P dell’atmosfera terrestre è la funzione polidroma di punto, cioè a più valori, in tesla per metro (T m) , definita dall’integrale di linea:

[VI.4*1] V(P) =

? A

l

P, B·dl + 0_ knkik + V(A) ,

con A punto di riferimento (esclusi punti di sorgente!), dove il potenziale è o si assume noto, l* un cammino da P ad A che sia non concatenato con le correnti (stazionarie) generatrici del campo, 0_ knkik l’eventuale “termine di concatenamento”, essendo nk il grado di concatenamento di l* con la generica k-esima corrente generatrice, di intensità ik. Se si prescinde dal detto termine di concatenamento, cioè ci si riduce soltanto all’integrale sul cammino non concatenato e al potenziale di riferimento V(A), si ha il cosiddetto potenziale essenziale

[VI.4*2] ] V*(P) =B·dl + V(A) ,

che, a differenza del potenziale generico prima definito, una volta che sia stato fissato il potenziale di riferimento V(A) è una funzione monodroma di punto, sia pure sotto l’aspetto formale e non sostanziale.

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Si ricorda ancora che il gradiente (par. III.1.8) del potenziale (sia intrinseco che essenziale) dà (segno a parte) il vettore del campo, cioè l’induzione B, e che, essendo quest’ultimo un campo a divergenza nulla (solenoidale), vale per esso l’equazione di Laplace (par. III.1.9):

[VI.4*3] div grad V _ 2V = 0 .

dove l’operatore simbolico 2, detto nabla quadrato od operatore laplaciano, ha, in coordinate cartesiane nello spazio, l’espressione:

[VI.4*4] 2 = (_2/_x2) + (_2/_y2) + (_2/_z2) .

Tenendo presente che nell’ambito dei fenomeni terrestri il riferimento geocentrico sferico (par. V.1.3) conviene più di quello geocentrico cartesiano, utilizzando le relazioni di passaggio date nel paragrafo appena citato per passare dall’un tipo di coordinate all’altro l’espressione dell’equazione di Laplace per il potenziale magnetico in coordinate geocentriche sferiche (distanza polare r, colatitudine , longitudine ) è:

[VI.4*5] +

ƒ ƒ ƒ

ƒ ( )

1 2

2 r

r V

r r 2

2 2 2

2 sen

) 1 sen (sen

1

ƒ + ƒ

ƒ ƒ ƒ

r V

r d = 0 .

Se si assume come dominio dell’equazione una superficie sferica di raggio R. e se si conoscono V e le sue derivate spaziali prime (cioè B) in tutti i punti di tale superficie e inoltre si assume che V e B s’annullino all’infinito come, rispettivamente, 1/r e 1/r2, la soluzione esiste, è unica e nel campo reale ha l’espressione:

[VI.4*6] V(r, , ) = KR[ 1

1 ( , ) ( ) +

×

=

= ? n

n n

i

n r

A R + n n

n e

n R

A( , ) (r)

1× ?

=

= ],

dove K è una costante dipendente dalla natura del mezzo e dal sistema di unità di misura in cui si opera. Nel vuoto, cui può essere assimilata per le proprietà magnetiche l’atmosfera terrestre, e usando unità SI si ha:

[VI.4*7] K = K0 = 4

0 10-7 [H/m]

(in unità CGS, sia CGSem sia di Gauss, è K0=1).

Una caratteristica positiva della soluzione è che la dipendenza dalle tre coordinate è ristretta in parti specifiche, e precisamente nel rapporto (r/R) e nel suo inverso per quanto riguarda la distanza polare r e negli sviluppi in serie Ani e Ane per la colatitudine e la longitudine . Questi sviluppi in serie sono detti armoniche sferiche rispettivamente interne (esponente “i”, relativamente al potenziale generato nello spazio esterno alla sfera da sorgenti interne ad essa, dipendenti da r-(n-1)) ed esterne (esponente “e”, relativamente al potenziale generato nell’interno della sfera da sorgenti esterne ad essa, [dipendenti da rn), e hanno l’espressione:

[VI.4*8] An( , ) = m==n

m 0 [gnmcos(m ) + hnmsen(m )] Pnm( ) ,

dove g e h si chiamano coefficienti di Gauss (ovviamente, aggiungendo gli esponenti i ed e si hanno coefficienti interni ed esterni, rispettivamente, e le due espressioni per le armoniche interne ed esterne), n è il grado dell’armonica e m l’ordine di essa.

Le Pnmnella definizione ora scritta sono funzioni della sola colatitudine e si chiamano armoniche superficiali o funzioni seminormalizzate di Schmidt; esse derivano da funzioni introdotte originariamente da Adrien-Marie Legendre (1752- 1833, geodeta e prof. di matematica nell’École Polytechnique di Parigi), dette funzioni sferiche associate di Legendre, che furono successivamente modificate appunto nelle

(9)

funzioni di Schmidt per ridurre la rapidità con cui esse diminuivano di valore all’aumentare dell’ordine n. La loro espressione generale è:

[VI.4*9] per 0_ m_ n

)!

( )!

2( )

( n m

m Pnm n

+

= − [ n m

n m

d P d

) (cos

) sen (

0

] ,

per m=0 n

n n

n m

n d

d P n

) (cos

) 1 (cos 2

! ) 1 (

2

= .

La parte delle Pnm tra parentesi quadrate definisce le originarie funzioni di Legendre, nelle quali le Pn0 si chiamano armoniche zonali, o armoniche di Legendre.

Ecco alcuni casi particolari:

[VI.4*10] P10 = cos , P20 = (3 cos2 -1)/2 , P11 = sin . VI.5. Significato fisico dei termini della soluzione generale [VI.4*6]

POTENZIALE DI SORGENTI PUNTIFORMI DI RANGO CRESCENTE. Ricordiamo qui di seguito le espressioni del potenziale V di alcuni campi C newtoniani (C =gradV) oppure coulombiani (come i campi elettrici e magnetici: C = – gradV).

(1) Campo di polo, di valore p (sorgente scalare, di rango 0: fig. VI.5/1):

[VI.5*1] V(P) =

r

k p + cost ,

con k costante dipendente dalla natura del mezzo e dal sistema di unità di misura adottato, Il potenziale va con r-1, con r distanza dal polo al generico P circostante.

(2)Campo di dipolo discreto, di momento m = p d, con p valore assoluto uguale dei due poli (puntiformi!) e d distanza (infinitesima!) dal polo negativo al polo positivo (sorgente vettoriale, di rango 1: fig. VI.5/2). In base alla proprietà additiva del potenziale, nel generico punto P è:

[VI.5*2] V(P) = k p(

1

1 r

-

2

1 r

) + cost = = k p

2 1

1 2

r r

r

r +cost _ k pd

2

cos r

+cost , con r media geometrica delle distanze dai due poli al generico punto P. (r è la distanza dal centro di d a P). Il potenziale va con r-2, essendo l’angolo indicato nella figura.

(3) Campo di quadrupolo (sorgente tensoriale, di rango 2): essendo difficile dare il caso generale, ci si limita al caso che a formare il quadrupolo siano due dipoli di ugual momento m a distanza d tra loro. Ripetendo il ragionamento già fatto per il dipolo si ha:

[VI.5*3] V(P) = k m cos ( 1 1)

2 2 2

1 r

r _ 2 k m d

3

cos2

r

, con r media geometrica di r12 e r22. Il

potenziale va con r-3, essendo r e gli elementi indicati nella fig. VI.5/3.

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POTENZIALE DI UN CAMPO SOLENOIDALE GENERATO DA DISTRIBUZIONI DI POLI

(4) POLI DENTRO A UNA SFERA DI RAGGIO R, POTENZIALE ALLESTERNO DELLA SFERA (fig.

VI.5/4). Posti: l’origine del sistema di riferimento nel centro della sfera; di vettore di posizione del generico polo pi (i=1,…,N), contemporaneamente assumendo di<R, r vettore di posizione del generico punto P dello spazio

esterno alla sfera, ri vettore di posizione di P rispetto a pi. È: ri=(r2+di2-2ridicos i)1/2; cos i=(di·r)(dir); 0_ di<R;

R<r<_ ; di<R; _ pi=0 (solenoidalità!); inoltre, posto x=(d12/r2)-2(di/r)cos i è ri=r(1+x)1/2, segue 1/ri=(1/r)(1+x)-1/2 = (1/r)-(1/2)(x/r)+(3/8) (x2/r)- (5/16)(x3/r)+…; tale serie converge

per _ x_ <1, il che è. A conti fatti (ricordare che _ i pi=0), risulta la seguente serie:

[VI.5*4] V(P) = k _ i ( ....,

16 5 cos 3

2 cos 3 8 3 cos

2 7

4 3

2 2 4

3 5

4 2

3 2

+

+

+

r

d p r

d p r

d p r

d p r

d p r d

pi i i i i i i i i i i i i i i i

[(quadrup.) (dip.) (esadecap.) (ottupolo) (quadrup.) (…….)…]

il che, definendo opportunamente le Ani, equivale a scrivere k_ n=1n=

_ (R/r)n+1, cioè i coefficienti Ani della [VI.4*6] per le sorgenti interne.

(5) POLI ESTERNI ALLA SFERA, POTENZIALE NELLA SFERA (fig. VI.5/5). Ripetendo analogicamente le considerazioni di prima: ri come sopra;

0_ r<R; R<di<_ ; di>R; _ pi=0 (solenoidalità!); con x=(r2/di2)-2r(cos i/di), segue ri=di(1+x)1/2 e 1/ri=lo sviluppo precedente, salvo di al posto di r, che converge per _ x_ <1, il che è. A conti fatti, includendo nella costante k’ tutti i termini costanti, risulta la seguente serie: V(P) = k’ _ i [-(1/2)pir2/di3+pircos i/di2-(3/8)pir4/di5-(3/2)pir3cos2

i/di4+…=(definendo opportunamente le An’) k _ n=1n=

_

An’(r/R)n, cioè i coefficienti Ane della [VI.4*6] per le sorgenti esterne.

CONCLUSIONE

La soluzione generale [VI.4*6] dell’equazione di Laplace in coordinate sferiche [VI.4*5] per il potenziale del CMT rappresenta, in due serie separate, il contributo che al potenziale danno sorgenti puntiformi sia interne che esterne alla generica sfera con centro nell’origine (simulante la sfera terrestre). In particolare, le sorgenti interne danno al potenziale esterno contributi di rango crescente a partire da quello di dipolo.

VI.6. Derivazione delle componenti cartesiane del CMT dal potenziale scalare

Combinando le [VI.4*5] e [VI.4*7] l’espressione generale del potenziale scalare essenziale del CMT è dunque:

[VI.6*1] = n==× == + + +

n

n m m

mi n mi

n n m

n g m h m

r P R

kR r

V( , , ) 1 0 ( ){( ) 1[ cos( ) sen( )]

(11)

+ ( ) [g cos(m ) h sen(m )]}

R

r me

n me

n

n + .

(12)

Tenendo presenti le relazioni di passaggio tra coordinate geocentriche sferiche e cartesiane (Tab. V.1.3), dalla relazione generale secondo la quale il vettore B del campo è il gradiente del potenziale (par. III.1.8) si ha:

[VI.6*2] = + +

ƒ

= ƒ n m + nme n

n mi n m

m m

R g r r

g R d

R dP r K

X V ( ){[ ( ) 2 ( ) 1]cos( )

0

[_ _ _ _ lnm _ _ _ _ ]

[ ( ) 2 ( ) 1]sen(m )]}, R

h r r

hnmi R n+ + nme n +

[_ _ _ _ pnm_ _ _ _ ]

[VI.6*3] =

ƒ

ƒ

= rsen

Y V n mnm

m n m

n m l m p m

R P

K ( ) [ sen( ) (cos( )]

sen

0 ,

[VI.6*4] = − + +

ƒ

n m

n mi n n

me n m

n m

r g R R n

ng r P

R r K

Z V 0 ( ){[ ( ) 1 ( 1) ( ) 2]cos( ) +

[ ( ) 1 ( 1) ( ) 2]sen(m )}

r h R R n

h r

n nme n − + nmi n+

+ .

Se si considera la sfera terrestre, è r=R e quindi, posto

[VI.6*5] nme mi n m n me n mi n m

n g g h h h

g = + , = + ,

segue:

[VI.6*6] = +

n m

m n m

n m

n g m h m

d R dP

K

X ( )[ cos( ) sen( )]

0 ,

[VI.6*7] = −

n m

m n m

n m

n m g m h m

R P

Y K ( ) [ sen( ) cos( )]

sen

0 ,

[VI.6*8]

+

− +

+

= n m

mi n me

n mi

n me

n m

n g n g m nh n h m

P R

K

Z 0 ( ){[ ( 1) ]cos( ) [ ( 1) ]sen( )} . Com’è naturale, la distinzione tra coefficienti “esterni” e “interni” viene meno per le componenti orizzontali X e Y (che sono sulla superficie sferica), mentre resta per la componente verticale Z.

VI.7. Procedimento di analisi per le componenti orizzontali X e Y

Il procedimento è il medesimo per le due componenti e basterà quindi considerare una delle due, qual è la X.

Se si considera un parallelo terrestre p, per la colatitudine è p= cost, ognuna delle armoniche superficiali, Pnm( p), è parimenti costante e tutto può essere inglobato con K0 in nuove costanti C0m,n, cosicché per la componente orizzontale al nord lungo il parallelo scelto p; se si conosce un sufficiente numero di valori di X lungo p è possibile fare un’analisi di Fourier di X lungo p, scrivendo:

[VI.7*1] = m==n +

m m p m p

m n

p C a m b m

X( ) 0, 0[ ( )cos( ) ( )sen( )] .

Confrontando le [VI.7*1] con le [VI.6*6_ 8] si ha un sistema di equazioni nelle incognite gnm e hnm in cui compaiono come valori noti i coefficienti di Tayloranm e bnm, nonché le quantità p p

m

n d

dP ( ) ; se il numero p dei paralleli prescelti è non minore di n il detto sistema è risolubile.

(13)

PROCEDURA ESEMPLIFICATIVA PER LANALISI A UNA CERTA EPOCA XXXX,X

(1) Si adotta un valore massimo (intero!) per n e m, con m_ n; l’accuratezza dei risultati aumenta con n, ma v. oltre: par. VI.9 (Gauss nella sua prima analisi del 1838 scelse m=n=4).

(2) Si scelgono p paralleli equidistanti (Gauss scelse p=7).

(3) Si scelgono q meridiani equidistanti (Gauss scelse q=12, cioè ogni 30° di longitudine).

(4) Da carte magnetiche per l’epoca xxx,x si ricavano i valori di X nei pq nodi del reticolo meridiani-paralleli (per Gauss pq=84).

(5) Si effettua l’analisi di Fourier di questi dati per ognuno dei paralleli scelti:

_ = 1 X1 =C0[a0( 1)+a1( 1)cos +b1( 1)sen +

_ +a2( 1)cos(2 )+b2( 1)sen(2 )a2+…

[VI.7*2] _...

_...

_ = p Xp =C0[a0( p)+a1( p)cos +b1( p)sen +…… , con totali (2n+1) p coefficienti a e b noti.

(6) Si sviluppa la [VI.6*6] per ognuno dei p paralleli scelti:

_ { ) ( ) [ cos 11sen ]

1 1 1 1 0 1 0 1 0 1

1 1 1 g h

d g dP d

C dP

X = + +

= +…

_ …+ ( ) ( ) [ 1 cos 1 sen ]

1 0

0

1

1 n n

n n

n g h

d g dP d

dP + + +…

[VI.7*3] _………

_………

_ = p Xp =……… .

(7) Confrontando il sistema [VI.7*2] col sistema [VI.7*3] si ottiene un sistema di (2n+1) equazioni nelle n(n+2) incognite gnm, hnm, la soluzione del quale è:

_ 0

0 0

1 0 1 1

0( ) ( ) 1 ... ( n ) 1gn

d g dP

d

a = dP + + ,

[VI.7*4a] _..., _a0( p) = 10

0 1

) 1

( g

d

dP +...,

_ 1

1 1

1 1 1 1

1( ) ( ) 1 .. ( n ) 1gn

d g dP

d

a = dP +. +

[VI.7*4b] _ . , _ 1

1 1

1 1 1

1( p) ( ) .. ( n ) gn

d g dP

d a dP

p

p +. +

= ,

e così via fino ad an, e altrettanto per le bi (hnm), con i da 1 a p.

In definitiva, si ha un sistema largamente sovrabbondante: nella prima analisi di Gauss del 1838, con m=n=4 v’erano 4g0n, 10gnm e 10hnm (con m da 1 a 4), per un totale di 24 incognite in 63 equazioni (per ognuna delle componenti X e Y). Un tale sistema si risolve applicando alle [VI.7*4] il metodo dei minimi quadrati.

(14)

Il grande numero e la grande complessità dei calcoli da effettuare e la mancanza di veloci macchine di calcolo rendeva nel passato tale analisi assai faticosa; da circa il 1968 sono stati sviluppate però procedure con elaboratori elettronici che hanno estremamente ridotto la fatica di calcolo e per di più, come accennato in precedenza, hanno reso materialmente possibile di complicare ancora i calcoli riferendosi non più al modello della Terra sferica, ma, con migliore approssimazione, al modello dell’ellissoide di rotazione (ellissoide terrestre internazionale, che è periodicamente aggiornato: per i parametri di quello attualmente in uso v. Tab. II.1.1). e, volendo, direttamente al geoide.

Teoricamente, i coefficienti corrispondentisi trovati per l’una e l’altra delle componenti orizzontali X e Y dovrebbero essere identici; in realtà, si riscontrano tra essi piccole differenze, dovute al fatto che, a causa delle differenze di struttura nelle espressioni [VI.6*4, *5] o [VI.6*7, *8] di X e Y gli inevitabili piccoli errori presenti nei dati di partenza si ripercuotono in maniera differente nei valori finali che l’analisi dà per le due componenti. Per minimizzare gli errori conseguenti la regola è di effettuare l’analisi per tutte e due le componenti e di mediare poi i valori dei coefficienti ottenuti.

VI.8. Analisi armonica sulla componente verticale Z: campo interno e campo esterno Com’è stato osservato a proposito delle [VI.6*6_ *8], lo sviluppo armonico della componente verticale Z è l’unico nel quale compaiono esplicitamente e separatamente i contributi delle sorgenti interne alla Terra e di quelle esterne: esso è quindi l’unico che consente di trarre informazioni sul peso relativo di quelli che si possono chiamare CMT interno, cioè che si origina nella cosiddetta Terra solida, e CMT esterno alla Terra.

Per arrivare a tali informazioni si segue la strada seguente:

(1) A partire dalle [VI.6.5] e [VI.6.8], di Z si può dare l’espressione:

[VI.8*1] Z =C0n P ( ){[ncnm (n+1)(1cnm)]gnm cos(m )+

n m

m n

+ndnm −(n+1)(1−dnm)hnmsen(m )]}, con

[VI.8*2] cnm = gnme /gnm , gnm = gnme +gnmi , dnm =hnme/hnm , hnm =hnme +hnmi , dove cnm e dnmrappresentano dunque le frazioni di coefficienti esterni (meglio: del campo esterno).

(2) Si esegue sui dati di D l’analisi di cui al precedente punto (5) per le componenti X e Y, ottenendo per i p paralleli scelti le equazioni, simili alle [VI.7*2]:

[VI.8*3] Z=C0n P ( )[anmcos(m )+

n m i

m

n bnmsen(m )] ,

con i=1,…,p .

(3) Confrontando tra loro le [VI.8*1] e [VI.8*3] si hanno i due sistemi di equazioni [VI.8*4] anm =[ncnm −(n+1)(1−cnm)]gnm, bnm =[ndnm−(n+1)(1−dnm)]hnm ,

nei quali gli anm e bnm sono noti dall’analisi di Fourier dei dati e i gnm e hnm sono noti dall’analisi dei dati delle componenti orizzontali X e Y: si ricavano quindi i cm e dm.

(15)

La seguente tab. VI.8-1 riporta

. alcuni risultati recenti per i termini del primo ordine (n=1), cioè riguardanti un’ipotetica sorgente dipolare esterna alla Terra:

TAB. VI.8-1 - VALORE DEI TERMINI ESTERNI DEL PRIMO ORDINE (n=1) Autori Epoca c10 c11 d11

Adam e collab. 1960,0 +2,63 10-3 -18.3 10-3 +3,46 10-3 Hurwitz e coll. 1965,0 +2,70 10-3 +11,4 10-3 +2,95 10-3

Coefficienti esterni dipolari così piccoli non possono essere considerati intrinsecamente nulli ma comunque sono lecitamente trascurabili rispetto ai corrispondenti coefficienti interni.

Come vedremo a suo tempo, la presenza di una piccolissima ma non nulla componente dipolare esterna nel CMT è dovuta al fatto che nell’atmosfera terrestre scorrono sistemi di deboli correnti elettriche;

alcune di esse sono intrinsecamente irregolari e non hanno quindi effetti magnetici rilevabili nel CMT medio, mentre altre hanno un carattere pseudoperiodico con valore medio modesto ma non nullo. Tra queste ultime correnti la più cospicua è costituita dal cosiddetto elettrogetto equatoriale, una corrente che scorre nel piano equatoriale terrestre da est verso ovest a una quota di circa 120 km, producendo nel CMT una componente all’incirca secondo l’asse terrestre e, a medie latitudini, con un valore medio dell’ordine di poche decine di nT, contro gli oltre 40.000 nT della componente assiale media (cap. XI).

Un altro sistema di correnti atmosferiche con valore medio non nullo e che quindi potrebbe influire sul CMT medio è costituito dalle cosiddette correnti verticali, dette anche correnti di bel tempo in quanto scorrono verticalmente verso il suolo nelle zone in cui non sia presente attività temporalesca con una den- sità locale dell’ordine di 3 10-12 A/m2. Come mostra

lo schema della fig. VI.8/1, l’attività temporalesca può essere schematizzata come un generatore di forza elettromotrice che sollecita le cariche positive e negative degli ioni presenti nelle nubi a portarsi rispettivamente verso l’alto e al suolo, conferendo quindi una carica elettrica negativa alla Terra solida e positiva all’alta atmosfera (oltre 30÷50 km di quo- ta); nei luoghi distanti da centri temporaleschi (zone di bel tempo) il circuito dai centri temporaleschi si chiude appunto con una corrente verticale verso il basso. Si riconosce peraltro che gli effetti magnetici di correnti di questo tipo sono lecitamente trascurabili.

A tal fine, e in via molto schematica, si consideri una zona di bel tempo di forma circolare con raggio r; indicando con B’ l’induzione del campo generato dalla corrente, il teorema della circuitazione del campo magnetico dà la relazione:2_ rB’= 0j_ r2; considerando anche una regione piuttosto estesa, per es.

di raggio r=600 km, da questa relazione si ricava B’_ 10-3 nT!

Se poi si considerano i coefficienti di ordine superiore al primo (n>1), essi sono ancora più piccoli, tanto che in genere sono imputati a errori dei dati: a tale riguardo v’è da osservare che gli errori che affettano le misure della componente verticale Z sono maggiori di quelli riguardanti le altre componenti. In definitiva, si può concludere dicendo che sono

[VI.8*5] cnm 0, dnm0

e che, equivalentemente, il CMT medio è quasi esclusivamente di origine interna alla Terra: per descriverlo bastano quindi i coefficienti gnm e hnm (salvo che per una piccolissima parte dei coefficienti del primo ordine, riguardanti il campo dipolare).

(16)

VI.9. Risultati di analisi del CMT medio interno

Dall’analisi di Gauss del 1838 su dati del CMT medio da sorgenti interne nella Terra all’epoca 1835,0 (cioè medi annui dal 1° luglio 1834 al 30 giugno 1835) effettuata, come già ricordato, con ordine n=4 e grado m=4, che rese definitivo il metodo rispetto a meno accurate analisi precedenti, si sono fatte molte altre analisi di routine, con n di valore crescente e per il campo sia interno che interno, nonché per differenti valori del raggio della sfera di separazione (il maggior numero di analisi riguarda comunque il campo da sorgenti interne nella sfera terrestre).

La tab. VI.9-1 riporta, a fini di confronto, i coefficienti del 1° e del 2° ordine di alcune tra le decine di analisi effettuate dopo quella di Gauss per il CMT medio interno, con vari valori dell’ordine massimo nM, e, per confronto, i corrispondenti coefficienti relativi ad alcuni dei recenti IGRF, cioè dei modelli del campo nucleare del quale si parlerà più avanti (par. VI.12).

TAB. VI.9-1. – COEFFICIENTI DEL E DEL ORDINE DI ANALISI ARMONICHE DEL CMT MEDIO INTERNO

Autori Epoca nM Coeff. 1° ordine [nT] Coeff. 2° ordine [nT]

Coefficienti

Gauss 1835,0 4 -32.350 -3.110 6.250 510 2.920 20 120 1.570

Adams 1845,0 4 -32.190 -2.780 5.780 90 2.840 40 -100 1.350 Neumayer 1875,0 6 -31.570 -2.480 5.910 -350 2.860 680 -750 1.460 Schmidt 1885,0 6 -31.740 -2.360 5.980 -500 2.780 850 -710 1.490 Vestine e collab. 1905,0 6 -31.423 -2.270 5.981 -773 2.952 1.107 -1.051 1.156 Vestine e collab. 1915,0 6 -31.176 -2.176 5.912 -842 2.940 1.345 -1.144 986 Vestine e collab. 1925,0 6 -30.892 -2.166 5.839 -946 2.946 1.510 -1.284 814 Vestine e collab. 1935,0 6 -30.662 -2.129 5.792 -1.086 2.959 1.608 -1.460 676 Fanselau e Kautzleben 1945,0 15 -30.668 -2.160 5.770 -1.279 2.900 1.547 -1.673 581 Finch e Leaton 1955,0 15 -30.550 -2.270 5.900 -1.520 3.030 1.580 -1.900 240 Jensen e Cain (*) 1960,0 22 -30.411 -2.147 5.799 -1.602 2.959 1.545 -1.912 812 Hurwitz e collab. 1965,0 12 -30.388 -2.117 5.760 -1.640 2.983 1.583 -2.004 125 IGRF 1975 ( par. VI.12) 1975,0 10 -30.100 -2.013 5.675 -1.902 3.010 1.632 -2 067 -68 IGRF 1985 1985,0 10 -29.873 -1.905 5.500 -2.072 3.044 1.687 -2.197 -306 IGRF 1995 1995,0 10 -29 682 -1.789 5.318 -2.197 3.074 1.685 -2.356 -425

IGRF 2005 2005,0 10

(*) All’epoca, l’analisi spinta all’ordine maggiore (n=22).

Un primo sguardo della tabella precedente porta alle seguenti osservazioni sommarie.

a) Variazione dei valori da un’epoca all’altra: è ascrivibile (1) all’intrinseca variabilità nel tempo del CMT medio, in particolare con una netta e regolare diminuzione dei coefficienti del 1° ordine (cosiddetta variazione secolare: cap. VII), (2) al diverso metodo di analisi (differente troncamento di ordine e di grado, nonché, da un certo punto in poi, all’uso delle funzioni di Schmidt in luogo di quelle di Legendre) e all’adozione dell’IGRF (par. VI.11) e infine (3) al differente numero e alla differente accuratezza dei dati sperimentali.

b) Importanza relativa dei termini di ordine differente: come si vede dalla tabella e come meglio si vedrà dai valori dei coefficienti fino all’ordine n=10 che saranno dati per l’IGRF, il valore di coefficienti analoghi diminuisce all’aumentare sia dell’ordine che del grado; per es., per alcuni dei coefficienti g del 1° e del 2° ordine in anni recenti risultano mediamente i seguenti rapporti:g11 g100,07,g20 g100,07,g30 g100,04, e così via;

analogamente accade per i coefficienti h.

c) Errori assoluti sperimentali. Vari coefficienti diventano confrontabili con tali errori, e quindi è come se fossero evanescenti, già per n?6, ma troncare l’analisi a

(17)

quest’ordine dà risultati che secondo l’opinione corrente sono da considerare imprecisi.

d) In conclusione, dal puro punto di vista del trattamento dei dati sperimentali si ritiene che un’analisi spinta a n=m=8 sia necessaria e sufficiente. Se però si aggiungono considerazioni sulla significatività fisica dei termini, si ritiene che si debba andare a ordini e gradi un poco maggiori, in pratica n=10, come si fa attualmente per gli IGRF (par. VI.12).

VI.10. Lo schema tradizionale del campo dipolare e del campo non dipolare VI.10.1. Significato dei coefficienti del primo ordine: il campo di dipolo centrale

Considerando i tre coefficienti del 1° ordine (n=1, m=0 e 1), per il potenziale essenziale ad essi relativo si ricava dalla [VI.6*1] l’espressione:

[VI.10.1*1] *( , , ) 2 ( 10cos 11sen cos 11sen sen )

3 0

1 g g h

r R r K

V = + + ,

con i coefficienti g10,g11,h11 forniti dall’analisi del campo. Si ponga:

[VI.10.1*2] Hm= (g10)2+(g11)2+(h11)2 , g10=Hmcos m, h11 =g11tan m.

Si osservi che Hm, m, m sono immediatamente calcolabili; inoltre, in base all’ultima relazione ora scritta si può porre

[VI.10.1*3]

m m

m k

k g

h

cos tan sen

1 1 1

1 = = ,

con k ? 0 arbitrario, da cui segue:

[VI.10.1*4] g11=kcos m, h11=ksen m . Dalla prima delle [VI.10.1*2] si ricava allora:

[VI.10.1*5] Hm2 =Hm2cos2 m+k2cos2 m+k2sen2 m =Hm2cos2 m+k2 ; si ha dunque

[VI.10.1*6] Hmsen m=k

e dal complesso delle relazioni scritte finora si può scrivere:

[VI.10.1*7] g10 =Hmcos m, g11= Hmsen mcos m, h11=Hmsen msen m . Sostituendo nelle [VI.10.1*1] si ha :

[VI.10.1*8] *= (cos cos +sen cos sen cos +

2 3 0

1 m m m

m

r H K R V

+sen msen msen sen ) 2 [cos cos sen sen cos( )

3

0 m m m

m

r H

K R +

= .

A questo punto, si ponga ultimativamente

[VI.10.1*9] M = R3Hm ,

[VI.10.1*10] cos 1 =cos mcos +sen msen cos( m) , ottenendosi:

[VI.10.1*11]

2 1 0

1

cos r K M

V = ,

che è l’espressione del potenziale essenziale del campo magnetico generato da un dipolo di momento M, con ciò verificando che effettivamente i termini del primo ordine dello sviluppo armonico considerato riguardano una sorgente dipolare da immaginarsi situata nel centro della Terra (cosiddetto dipolo magnetico centrale o di dipolo centrale).

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