VENEZIAMUSICA
e dintorni
G ondellieder, ossia G oethe
e le canzoni da battello
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA
Solisti della Venice Chamber Orchestra
Sabina Bakholdina violino Francesco Di Giorgio violoncello Tommaso Bagnati contrabbasso Maddalena Lotter flauto Giorgia Signoretto oboe Marco Dolfin clarinetto Marco Bottet fagotto Ilaria Torresan clavicembalo Andrea Torresan chitarra classica
il retro di copertina è un’opera originale di Sasha Vinci
sponsor tecnico Artesicura, la prima tutela integrale a 360° nel mondo dell’arte produttore esecutivo Associazione G&G
abito per Giulia Alberti Nicolao Atelier
trucco e parrucco per Giulia Alberti Monika & Umberto Beauty Salon per l’Associazione Culturale Italo-Tedesca di Venezia
Nevia Capello, presidente Paolo Marassi, direttore
per il Venice Centre for Digital and Public Humanities, Dipartimento di Studi Umanistici, Università Ca’ Foscari Venezia
Franz Fischer, direttore
Elisa Corrò, ricercatrice in digital cultural heritage e coordinamento riprese Linda Spinazzè, research facilitator
per aA29 Project Room
Gerardo Giurin, fondatore e direttore creativo
Antonio Cecora, cofondatore e amministratore delegato Lara Gaeta, director aA29 Reggio Emilia
Matilde Sambo, artista e filmmaker
LIRICA E BALLETTO STAGIONE -
Opera inaugurale
Macbeth
Teatro La Fenice
venerdì 23 novembre 2018 ore 19.00 turno A in diretta su
domenica 25 novembre 2018 ore 15.30 turno B martedì 27 novembre 2018 ore 19.00 turno D
giovedì 29 novembre 2018 ore 19.00 turno E sabato 1 dicembre 2018 ore 15.30 turno C
Fondazione Teatro La Fenice
VENEZIAMUSICA
e dintorni
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE
Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello
Teatro La Fenice
venerdì 18 settembre 2020 ore 19.00
Angelica Kauffmann, Ritratto di Johann Wolfgang von Goethe (1787), Goethe Nationalmuseum, Weimar.
SOMMARIO
La locandina
5Johann Adolph Hasse, il divino Sassone: ovvero reggere agli insulti della Storia
7 di Nevia CapelloUn quadretto di vivacità veneziana
Goethe, Hasse e il riverbero delle barcarole nelle arti del Settecento
11 di Giulia Alberti, Diego Mantoan, Pietro SemenzatoIl copione
22Biografie
35Balthasar Denner, Ritratto di Johann Adolph Hasse (ca.1740), Staatsoper, Dresda.
Gondellieder, ossia Goethe e le canzoni da battello
testi di
Johann Wolfgang Goethe
dalle pagine del Diario veneziano (1786)
pubblicate nella «Italienische Reise», prima edizione 1816
tradotte da Nevia Capello in Goethe nel Veneto (Stamperia Valdonega, VR, 1986)
musica di
Johann Adolph Hasse
dalla raccolta Venetian Ballads
trascritta da Adamo Scola e pubblicata a Londra da Walsh (1742-1748) adattata da Pietro Semenzato per Edition Walhall, Magdeburgo, 2020
con la partecipazione straordinaria di
Ottavia Piccolo
soprano
Giulia Alberti
maestro concertatore e direttore
Pietro Semenzato
idea e adattamento Diego Mantoan regia Chiara Clini
effetti visivi Sasha Vinci traduzioni Nevia Capello assistente di produzione Anna Sanachina Solisti dellaVenice Chamber Orchestra
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice con il patrocinio e contributo del Goethe Institut
con il patrocinio del Consolato Generale della Repubblica Federale di Germania Milano realizzato da Associazione Culturale Italo-Tedesca di Venezia
e Venice Centre for Digital and Public Humanities, Dipartimento di Studi Umanistici, Università Ca’ Foscari Venezia
production partner aA29 Project Room
Frontespizio del Demetrio di Johann Adolph Hasse (Teatro di San Giovanni Grisostomo, 1732).
7
Sembra incredibile che una scoperta d’importanza storica vada ascritta a Don Nardino Mazzardis, il parroco di San Marcuola, il mio parroco, che nell’estate del 1982 mi invitava a raggiungerlo per presentarmi, con un senso di animata sorpresa, due documenti olografi rinvenuti nel suo archivio. Si trattava del testamento e del certificato di morte di Johann Adolph Hasse. Ne seguì la visita della chiesa, elegante fabbrica a pianta centrale costruita dal Massari, sul cui pavimento erano tracciati i perimetri di due tombe, che a malapena si scorgevano semicelate dalle file di banchi. Perfettamente affiancate. Nell’area centrale, recavano incisi i nomi di Johann Adolph Hasse e di Faustina Bordoni. Con una scrittura minuta e ordinata, il notaio aveva stilato in lingua italiana il testamento dettatogli da Hasse, impedito da un’incipiente cecità.
All’iniziale commozione, accentuatasi a un sopralluogo nella cantoria nel vedere le canne dell’organo (su cui aveva suonato Hasse) adagiate sul pavimento in un angolo, subentrò l’impellente urgenza di indagare la figura di un compositore che aveva imperato in Europa nel XVIII secolo, cui la storia ingrata ne aveva, a dir poco, cancellata la memoria.
Ero stimolata inoltre dal testo del documento, dal quale trapelava il carattere generoso e conciliante del compositore, già emerso allorché Hasse, nell’ultimo anno di soggiorno presso la corte di Vienna, aveva reagito alle critiche dei sostenitori di Christoph Willibald Gluck, astro nascente, trasferendosi nella sua amata Venezia – come oso immaginare – con un «mi no vado a combater», frutto di un atteggiamento assorbito nei lunghi anni di dimestichezza con la parlata ed il temperamento veneziano. Qui si rivolgeva espressamen- te alla figlia Maria, invitandola a condividere la sua scelta di lasciare in eredità ai domestici il loro guardaroba e varie suppellettili, a ricompensa della dedizione loro dimostrata nel corso di una vita. Il certificato di morte, redatto dal medico, parlava di un’influenza inte- stinale, che aveva portato Hasse nella tomba il 23 dicembre 1783, due anni dopo la morte dell’amata Faustina.
Ulteriori notizie arricchirono questo primo approccio, allorché entrai in contatto con la signora Tempke, una giornalista che curava un piccolo archivio di Hasse a Berge- dorf–Hamburg, sua città natale. Le feci pervenire copia dei documenti tradotti in tedesco.
Con il sostegno della Città di Venezia, venne programmata la celebrazione del Giubileo del «caro Sassone», come i melomani amavano chiamarlo nella sua epoca. La Hasse-Ge- sellschaft, Bergedorf, presentò nella Chiesa di San Marcuola, gremitissima, in presenza di
Johann Adolph Hasse, il divino Sassone: ovvero reggere agli insulti della Storia
di Nevia Capello*
Rosalba Carriera, Ritratto di Faustina Bordoni (ca.1730), Ca’ Rezzonico, Venezia.
9 tutte le reti televisive italiane, l’Oratorio di Hasse I pellegrini sul Golgotha per cinque voci soliste e orchestra. In onore di questa rinascita, nacque a Venezia l’Associazione Johann Adolph Hasse ad affiancare il lavoro dei partner tedeschi, incrementato dal successo del Giubileo. Nell’assunzione dei ruoli per favorire la promozione di Hasse e della sua ope- ra, l’Archivio di Bergedorf s’impegnava nella ricerca filologico–musicale e nella diffusione dell’opera di Hasse nei teatri europei; Venezia, nel restauro della Chiesa di San Marcuola, troppo spesso danneggiata dall’imperversare della marea. Con l’aiuto della sovrintendente Margherita Asso e della Curia patriarcale, la neonata associazione musicale raggiunse il suo intento, realizzando il consolidamento del tetto della Chiesa, seguito, grazie all’intervento della sovrintendente Nepi Sciré insieme con gli studenti dell’Accademia di Venezia – da una rimozione delle incrostazioni accumulatesi sulle parteti interne per il fumo delle can- dele, depositato nei secoli. Intanto Bergedorf faceva onore al suo impegno, approfondendo la ricerca dell’opera di Hasse e riuscendo a inserire le sue opere nella locandina dei teatri dell’opera di Dresda, Lipsia, Praga e Vienna.
Vorrei chiudere questo excursus presentando al lettore alcune tappe significative della vita di Hasse, tanto ricca di eventi, per cui mi si perdoni la stringatezza che potrà solo stimo- lare il vostro interesse. Si deve alla sensibilità dei suoi genitori il precoce esordio in campo musicale di Hasse, nato il 25 marzo 1699, che a tredici anni aveva già raggiunto una conside- revole notorietà come tenore tra i cantanti del Teatro d’Opera di Amburgo. Nel 1722 il poeta della corte di Polonia a Dresda, Johann Ulrich König, suo protettore, lo mise a sovrintendere agli spettacoli del duca di Braunschweig. A diciotto anni Hasse fece eseguire nella medesi- ma città, con un discreto successo, la sua prima opera, l’Antigone. Conscio della necessità di approfondire gli studi di armonia, due anni più tardi iniziava il suo viaggio di noviziato in Italia. Approdò a Napoli, dove poté forse frequentare le lezioni di Nicola Porpora, alle quali seguirono più probabilmente gli studi con Alessandro Scarlatti. Su incarico di un ricco ban- chiere, scrisse la Serenata Marc’Antonio e Cleopatra, il cui successo fu determinante per la sua carriera che si sviluppò poi a Venezia. Qui conobbe Faustina Bordoni, la «nuova sirena» pu- pilla di Benedetto Marcello, dotata di una voce eccezionale. Sarà sua moglie e l’interprete di tutte le sue opere future. A Venezia compose l’Artaserse, cavallo di battaglia del Farinelli e fra le maggiori opere del Settecento, oltre al Miserere, considerato uno tra i maggiori capolavori della musica sacra. Ottenne anche la nomina di maestro di Cappella al Conservatorio degli Incurabili di Venezia. A lui vennero attribuite le tre antologie di Gondoliere o Canzonette veneziane pubblicate a Londra da John Walsh (1742-1748).
Invitato nel 1731 con Faustina alla corte di Polonia, fece eseguire a Dresda la Cleo-
fide che gli valse la nomina ufficiale a Kappellmeister di Dresda diventando uno dei compo-
sitori più ammirati e ambiti d’Europa. Le sue opere e composizioni furono rappresentate da
Parigi a Vienna, da Dresda a Napoli, passando per tutte le principali piazze musicali italia-
ne. Federico II di Prussia, avendo ascoltato un’opera di Hasse, ne espresse il plauso con una
generosa ricompensa e lo volle a corte. Purtroppo Hasse ebbe un’amara delusione: nel 1755,
nell’assedio di Dresda da parte dei Prussiani, perdette tutti i suoi manoscritti. Sentendosi
trascurato e privo di protezione, lasciò Dresda e si diresse a Vienna, accettando l’incarico
offertogli da Maria Teresa d’Austria di impartire lezioni di cembalo alla figlia Maria Anto-
JOHANN ADOLPH HASSE, IL DIVINO SASSONE10
nietta. Nel 1773 tornò a Venezia con Faustina, dove aveva sempre mantenuto la sua dimora nel sestiere di Cannaregio, a San Marcuola, che raggiungeva annualmente in estate quando il principe elettore si recava in Polonia. Il suo decesso avvenne a Venezia a ottantaquattro anni. Le sue ultime composizioni furono un Te Deum e un Requiem, che aveva destinato a sé stesso e affidato a Joseph Schuster. Hasse ha saputo esprimere fino all’ultimo il suo amore per Venezia, che ha voluto eleggere a sua ultima dimora, guidato dall’idea che il semplice, il naturale e il patetico fossero più che sufficienti per affascinare l’orecchio e per toccare il cuore, cercando melodie genuine e spontanee. Charles Burney, che ne apprezzava il talento, gli riconosceva «scienza, eleganza e semplicità».
La presenza di Hasse è sempre tra noi e ci onora per la sua grandezza. Noi non ab- biamo saputo però mantenere il nostro impegno nei suoi confronti. Troverà realizzazione, il giorno in cui le canne del suo organo avranno riguadagnato la collocazione che loro spetta.
*Presidente
ACITdi Venezia, Prüfungszentrum Goethe Institut
NEVIA CAPELLO
11
IN INCOGNITO FRA CALLI E TEATRI
Il 28 settembre del 1786 alle cinque del pomeriggio, Goethe entrava con il Burchiello dalla Brenta nella laguna e, nell’intravvedere la sagoma di Venezia, giungeva a un incontro assai agognato.
2Da tempo aveva atteso di vedere con i propri occhi quella città anfibia, quella
‘Repubblica dei castori’ magnificata dal padre, dopo un viaggio compiuto quarant’anni pri- ma, da cui gli aveva recato un modellino di gondola.
3Fu proprio la vista dei primi rostri a risvegliare in Goethe il ricordo di meravigliosi racconti d’infanzia, quasi si fosse destato da un lungo sogno.
4Tappa importante della sua fuga italiana, Venezia – dove risiedette una dozzina di giorni – alimentò tutta la sua curiosità fanciullesca e i suoi interessi d’intellettua- le. Passava i giorni a osservare la delicata natura e la varia umanità della laguna, mentre tra- scorreva le sere a teatro per assistere a opere e concerti, commedie e tragedie. In nessun’altra città come a Venezia egli frequentò con tanta assiduità eventi culturali e manifestazioni pubbliche, scorgendo proprio nel teatro e nel popolo che vi affluiva la rappresentazione del- lo spirito indipendente e della maturità civica dei Veneziani.
5Nelle annotazioni del diario epistolare che tenne da Karlsbad a Venezia lodò, infatti, le proteste del pubblico dinnanzi allo sviluppo innaturale nella trama di una pièce di Carlo Gozzi, forse l’opera spagnolesca Amore assottiglia il cervello,
6tanto da costringere gli attori a intervenire per sedare gli animi (5 ottobre). Un’autentica epifania la ebbe, invece, quando al Teatro di San Luca assistette a Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni (10 ottobre), dove comprese come il popolo e la scena si fondessero in un tutt’uno durante la recita, divenendo l’uno lo specchio dell’altro ed entrambi custodi della polis come accadeva con il teatro per gli Ateniesi.
7Queste osservazioni in Goethe nacquero per un’immersione pressoché totale negli usi e nei costumi della Venezia tardo settecentesca, per quanto lo consentissero la sua com- prensione linguistica o la corretta traduzione dei suoi intermediari, poiché aveva scambiato il privilegio della sua posizione – ministro a Weimar e già elevato alla nobiltà – con quello dell’anonimato, viaggiando solo e in incognito, come un semplice mercante.
8Nel Diario l’ammirazione di Goethe per i Veneziani traspare con grande franchezza, nonostante la Se- renissima mostrasse i segni della stanchezza di un ordine troppo antico, incarnato dal volto anziano del doge col suo corteo (6 ottobre). Agli occhi del poeta tedesco Venezia assurgeva a
Un quadretto di vivacità veneziana
Goethe, Hasse e il riverbero delle barcarole nelle arti del Settecento
di Giulia Alberti, Diego Mantoan, Pietro Semenzato
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monumento non di un sovrano, bensì di un popolo intero, di un Volk inteso come entità uni- taria che si riconosce nei suoi modelli politici, sociali e culturali.
9Non che Goethe – ammi- nistratore sapiente quale si era dimostrato in Germania – non trovasse nulla da disapprovare nelle abitudini della città lagunare, come dimostrano le sue critiche circa l’asporto dei rifiuti (1 ottobre) e la scarsa pulizia dopo ogni pioggia (9 ottobre). Il giudizio sulla Roma oscu- rantista, tuttavia, non fece che accrescere l’alta considerazione per i Veneziani, un’opinione che non mutò d’una virgola nei trent’anni che separarono il Viaggio in Italia dalla sua pub- blicazione nel 1816, nonostante la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche avessero
ormai cambiato il mon- do.
10Colpisce la sostan- ziale adesione fra le due versioni, a dimostrazione che il Diario veneziano – redatto a caldo giorno per giorno e trasmesso a Charlotte von Stein, destinataria di un amo- re vissuto come pathos – conteneva già le impres- sioni definitive di Goethe su Venezia, una «imma- gine ricca, singolare e unica» (14 ott.).
11L’ESPERIENZA SONORA DELLA LAGUNA
Dal Diario si evince come Goethe avesse re- cepito un’immagine di Venezia caratterizzata da una rilevante dimensione sonora che comprendeva sia i rumori della città, sia la sua cultura mu- sicale. Per quanto con- cerne la prima, il poeta rimase colpito da oratori, ciarlatani, commedianti, commercianti e predica- tori che si esibivano nella pubblica piazza, perlopiù incrociati per caso.
12Ri-
Incisione dalle Baruffe chiozzotte (M. Baratti, ripubblicate nel 1915).
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA
13 guardo la seconda, Goethe non lesinò la ricerca di ascolti mirati per scoprire la ricca varietà di manifestazioni caratteristiche, dal teatro alla musica popolare. A questo proposito è bene sfatare il mito che lo voleva disinteressato e persino disinformato rispetto alla musica del suo tempo;
13al contrario, fu ascoltatore erudito e si applicò in prima persona alla trasposi- zione in musica di opere e poesie proprie, come nel caso del Wilhelm Meisters Lehrjahre.
14Spicca, inoltre, la sua passione per le opere di Mozart, tanto che al teatro di Weimar fece mettere in scena il Don Giovanni ben sessantotto volte.
15Per non parlare del suo apporto alla traduzione con L’impresario in angustie, un intermezzo metateatrale di Cimarosa,
16che volle dedicare alla pittrice Angelica Kauffmann, tenera compagna dei tempi romani.
17Le annotazioni di Goethe durante la permanenza in laguna vanno lette, pertanto, come l’opi- nione di una personalità assai pratica di musica – non solo come ascoltatore, ma soprattutto quale librettista e impresario. La prima tappa fu la visita all’Ospedale dei Mendicanti, per comprendere la preparazione di base attuata nei ‘conservatori’. Pur stimando le voci delle giovani allieve, il suo disappunto per il maestro che batteva rumorosamente il tempo con un rotolo di spartiti contro la grata, pratica assai comune in Francia, rende evidente la co- noscenza di Goethe in fatto di prassi esecutiva (3 ottobre). La stessa sera si recò al Teatro di San Moisé per assistere a un’opera non identificata che non gli piacque affatto, consi- derandola mal eseguita e priva di energia interiore. Sorprendente fu, invece, la scoperta delle canzoni da battello, a cui si riferisce designandole come i «canti dei barcaioli» o dei
«gondolieri» (6 ottobre).
18Seppur appaia casuale, questo incontro testimonia l’ubiquità e la peculiarità di tale repertorio – per certi versi si potrebbe affermare che gli stessi Veneziani ritenessero indispensabile un assaggio di tale genere musicale, fino al punto di organizzare esperienze apposite per ospiti stranieri. «Per questa sera mi ero procurato i famosi canti dei gondolieri», sono le parole del poeta, da cui si deduce come abbia volutamente richiesto di assistere a un concertino di barcarole.
19Il fatto che tale esperienza fosse relegata agli ultimi giorni della sua permanenza suggerisce l’ipotesi di come egli attribuisse un valore minore a questo repertorio, per quanto stuzzicasse, comunque, il suo interesse proto-antropologico o folkloristico. Non è un caso che Goethe segnali nel Diario con viva curiosità sia il conte- nuto aulico di taluni brani – legati ai versi del Tasso e dell’Ariosto – sia la presunta genesi complessiva del repertorio dei canti dei pescatori di Pellestrina.
20Lo stupore di Goethe si riflette nella sua descrizione in chiave estetica in chiave estetica, dai toni estatici, dei canti dei gondolieri, a dimostrazione del fatto che l’espe- rienza gli suscitò emozioni assai più forti rispetto di quelle provate di fronte al teatro musicale, con il quale aveva già confidenza. A ciò non contribuì soltanto l’assoluta man- canza di termini di paragone musicale, bensì soprattutto l’assenza di filtri intellettuali:
oltre a non conoscere il genere, Goethe non capiva il veneziano e, pertanto, poteva ag-
grapparsi unicamente al contesto fisico-geografico dell’esecuzione oppure alle valutazio-
ni spontanee derivate dall’atmosfera, dallo stato d’animo, tanto da attribuire la commo-
zione alla personale Stimmung. Il poeta si dilunga nel descrivere le sensazioni acustiche
legate alla prassi esecutiva; ricorda come venne fatto camminare fra i cantori, su e giù,
ora avvicinandosi ora distanziandosi, così da avvertire il dischiudersi del senso profondo
di tale canto. In parte è lecito sospettare che la mediazione dei suoi accompagnatori
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA
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abbia adulterato l’esperienza, alterandone la percezione, oppure perfino romanzandone alcuni aspetti. Fa sorridere che un simile atteggiamento esistesse fin dagli albori del grand tour e che potesse talora trarre in inganno anche un attento osservatore come Goethe, fino a scatenarne un profondo coinvolgimento. D’altronde Venezia era una città abituata da secoli a rallegrare i propri ospiti e lo faceva proponendo una vasta, quanto variegata gamma di esperienze culturali e di svago – basti pensare alla stessa genesi del teatro musicale ai tempi di Monteverdi, per non parlare della commedia e dei ridotti, degli intrattenitori di piazza e dei casini.
21VENEZIA IN IMMAGINI E CANZONI
Può apparire curioso che Goethe non si sia inte- ressato minimamente alla produzione artistica veneziana coeva, nono- stante essa rispecchiasse appieno i suoi interessi naturalistici e proto-et- nologici. Influenzato dalle idee classiciste di Winckelmann
22, nel suo Diario sdegnò del tutto vedutisti e paesaggisti, che pure presentavano visioni urbane avventu- rose come quelle che egli cercava arrampicandosi sui campanili (30 set- tembre). Per non parlare dell’assenza di commenti circa la pittura di gene- re, come quella di Pietro Longhi o di Francesco Guardi, nonostante si prestasse quale corollario visivo ideale per la descri- zione letteraria che il po- eta fece di Venezia e dei suo abitanti.
23Proprio in Longhi si trovano scene che mostrano usi, costu-
Gian Battista Tiepolo, Il banchetto di Cleopatra (1745–1747), Palazzo Labia,Venezia.
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA
15 mi e intrattenimenti della società lagunare, fra cui figurano diversi riferimenti a momenti musicali.
24In primis si ricorda Il concertino (1741) alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, nel quale si scorgono tre esecutori che suonano da fogli manoscritti sciolti, come accadeva per il repertorio delle canzonette veneziane.
25Due violinisti sono in veste da camera, sono forse i giovani allievi della famiglia benestante, mentre il terzo con occhiali e giacca scura pare essere il maestro di musica. Nella collezione di Ca’ Rezzonico si scorge un suonatore nella Polenta (1735-1741), e sono, inoltre, conservati alcuni disegni che raffigurano musicisti impegnati negli intrattenimenti privati.
26Vi è infine Il concertino (1750-1755) all’Accademia di Brera che presenta, in- vece, due esecutrici, con fogli singoli manoscritti, ritratte in un’occasione familiare.
27Abbondano nelle rappresentazioni di Longhi i momenti musicali ascrivibili al re- pertorio delle canzoni da battello, così come do- vevano abbondare nella quotidianità veneziana dell’epoca, al punto che perfino Giambattista Tiepolo trovò il modo di collocare dei musici – an- cora un piccolo comples- so con fogli manoscritti sciolti – sopra la scena del Banchetto di Cleopa- tra negli affreschi per il salone di Palazzo Labia (1745–1747).
28L’episo- dio antico è collocato nell’atmosfera dei ricevi- menti, ovvero dei ‘freschi’
veneziani, un momen- to che pure per Tiepolo – nonostante le diverse stratificazioni storiciste tipiche della sua pittura – risultava inscindibile dall’accompagnamento musicale.
29Pietro Longhi, Il concertino (1741), Gallerie dell’Accademia, Venezia.
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA
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Vi sono alcune interessanti coincidenze che legano gli affreschi di Tiepolo a Johann Adolph Hasse, celebre a Venezia per i suoi successi teatrali dal 1728 in avanti, il quale proprio negli stessi anni delle decorazioni pittoriche collaborava con Angelo Maria Labia fornendo alcune operine per il suo teatro di marionette a San Girolamo, fra cui si ricorda Lo starnuto d’Ercole (1745).
30E sempre nel periodo, fra il 1742 e il 1748, uscivano a nome del compositore tedesco i tre volumi editi a Londra dal Walsh che andavano sotto il titolo di Venetian Ballads Compos’d by Sig.r Hasse and all the Celebrated Italian Masters. La raccolta ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione della canzone da battello, trattandosi del corpus a stampa più esteso – oltre duecento brani – e l’unico conservato al di fuori di Venezia, dove invece il repertorio circolava perlopiù in antologie manoscritte.
31La titolarità di Hasse – del quale la raccolta include un solo brano certo su testo di Metastasio, Grazie agl’inganni tuoi – fu probabilmente usata come espediente pubblicitario, data la sua notorietà a livello europeo, ma si possono circostanziare le relazioni con Adamo Scola, il copista che diede alle stampe i volumi.
32Virtuoso di origini napoletane trapiantato a Londra, dove fu attivo come clavicembalista dal 1728 al 1748, Scola non ebbe il successo sperato sulle scene della capita-
Frontespizio delle Venetian Ballads di Johann Adolph Hasse (Walsh, Londra 1742)
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA
17 le inglese, motivo per cui ripiegò spesso sull’attività editoriale sfruttando le sue conoscenze dirette con alcune delle celebrità musicali italiane dell’epoca.
33Nel 1734 si occupò dell’e- dizione londinese dell’oratorio David e Betsabea di Nicola Porpora
34, poi nel 1739 stampò trenta sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti
35, impreziosite da un frontespizio dell’incisore Jacopo Amiconi, molto vicino a Farinelli.
26Quest’ultimo era stato collega negli anni londinesi dell’acclamata cantante veneziana Faustina Bordoni, che in seguito sposò Hasse in un chiacchierato matrimonio segreto a Venezia nel 1730.
37A sua volta Hasse era giunto a Napoli nel 1722 per perfezionarsi con Alessandro Scarlatti, padre di Domenico, facendo la conoscenza di Pietro Metastasio per poi avviare la propria carriera con enorme successo dal 1725 assieme a un Farinelli appena ventenne.
38Non bastasse questa fitta rete di relazioni incrociate, è notevole come la dedica «a Sua Eccellenza Carlo Sackvill Conte di Middelsex» nelle Venetian Ballads si sovrapponga a quella di Hasse – dieci anni prima – per Il Demetrio su testo di Metastasio e con Faustina protagonista al Teatro Grimani di San Grisostomo, quando l’allora giovane rampollo inglese era presente a Venezia per il Carne- vale in una tappa del suo grand tour.
39In forza di queste circostanze è lecito supporre che Scola e Hasse si conoscessero fin dai tempi degli studi a Napoli. Dopo le edizioni di Porpora e Scarlatti, Scola evidentemente andava cercando un altro repertorio da pubblicare per sbar- care il lunario, cosicché, forse, domandò al vecchio amico tedesco, ormai divenuto celebre, di mandargli qualcosa. Difficile sapere se Scola avesse già in mente le canzoni veneziane che la stessa Faustina amava eseguire; magari furono proprio lei e il marito a suggerire di racco- gliere quei brani enormemente diffusi in laguna. A ogni modo duecento e più brani finirono per essere dati alle stampe in una versione ripulita, grazie alla quale si ricava un’immagine sonora vivissima della Venezia settecentesca.
FRA LIRISMI E TEATRO DI COMMEDIA
A lungo la storia della musica e ancor più le odierne istituzioni musicali hanno obliato la
canzone veneziana, nonostante la diffusione e l’ammirazione cui furono soggette nel Set-
tecento, per non parlare del richiamo esplicito a quel tratto di venezianità riscontrabile in
talune opere ottocentesche – si pensi fra gli altri all’Elisir d’amore di Donizetti, Un ballo
in maschera di Verdi, Les Contes d’Hoffmann di Offenbach. La recente sfortuna di questo
repertorio è dovuta forse all’equivoco circa la sua presunta semplicità e al gusto popolare. Si
trattava piuttosto di un genere leggero – ossia volutamente in contrasto con la tradizione
impegnata del teatro musicale barocco – che all’analisi rivela caratteristiche del tutto ana-
loghe ai Notturni.
40L’utilizzo del veneziano enfatizzava ancor più la distanza dalla lirica e
l’accostamento, invece, ai sentimenti della città e dei suoi abitanti. Il linguaggio utilizzato si
sovrappone perfettamente a quello del teatro di commedia, oppure agli intermezzi musicali,
come quelli di Carlo Goldoni, facendo ricorso a termini popolari. Ci si imbatte, ad esempio,
nella parola ‘mamera’ o ‘mamara’ – ossia bertuccia, dunque intesa come modo di apostrofare
una persona per la sua stoltezza – sia nell’avvio delle Baruffe chiozzotte che nella canzone
Cos’è sta cossa. Sempre Goldoni dimostrò la centralità di questo repertorio per ricreare in
scena l’atmosfera dell’epoca, collocando una canzonetta in apertura (atto I, scena 1) sia nel
Bugiardo sia – alla francese – nella Vedova scaltra.
41Proprio come nel teatro di commedia o
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA
negli intermezzi, il soggetto delle canzoni veneziane risulta realistico e immediato, lezioso e, talvolta, condito di allusioni erotiche poco velate.
42Colpisce a tal proposito l’opinione di Saverio Bettinelli che già a fine Settecento lodava «certe facili canzonette veneziane grazio- sissime, sparse di prosetta e di negligenza».
43Il problema linguistico delle canzoni veneziane è dato, però, dalla loro struttura strofica che spesso provoca la mancata sovrapposizione fra sillabazione e linea melodica e che va pertanto adeguata via via per non risultare innaturale.
In quanto alle tipologie, nelle Venetian Ballads, come in altre antologie, ne ricorrono varie, quali la serenata galante, il canto popolare, il personaggio di commedia, la poesia mu- sicata o persino canzoni d’autore celebre. La struttura, invece, rimane pressoché invariata, a voce sola con basso continuo e rigidamente strofica con la melodia intonata su due parti secondo la forma binaria AB in tempo andante, laddove nella seconda sezione cala in genere un’armonia oscura risolta sul finale proprio come nella forma lirica delle arie d’opera italiana della prima metà dell’Ottocento.
44Tuttavia si possono riscontrare dei riverberi nella lirica già molto prima, perfino in Mozart, a giudicare dalla serenata strofica Deh, vieni alla finestra di Don Giovanni, oppure dalla somiglianza melodica con l’aria di Dorabella «È amore un ladroncello».
45Circa la prassi esecutiva, le canzoni veneziane erano spesso suonate da ter-
Pagina di spartito dalle Venetian Ballads di Johann Adolph Hasse (Walsh, Londra 1742)
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA
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zetti – melodia, linea del basso e basso realizzato da uno strumento polifonico – a una o due voci, come testimoniato da Charles Burney
46, pertanto il ruolo fondamentale lo giocavano i cantanti – soprani, sopranisti, contraltini e tenori – fra cui figuravano cantatrici ricono- sciute come Rosanna Scalfi o la stessa Faustina Bordoni.
47Per favorire la trasversalità del repertorio la scrittura delle barcarole è tendenzialmente centrale, ma si riscontrano tessiture assai acute che si adattano probabilmente al falsettone maschile per i sovracuti in uso fino alle farse rossiniane.
48La canzone da battello nel Settecento veneziano costituiva dunque un macro-ge- nere che riassumeva un vasto repertorio di ariette e riempiva atmosfericamente i ‘freschi’ e il Carnevale, nei palazzi e nelle calli, nelle barche e nelle ville. La pervasività delle canzoni da battello nel loro secolo di massimo splendore ritrae una Venezia immersa nella musica leggera e cantabile in ogni suo angolo. Siamo di fronte a un genere «povero ma illustre», come ebbe a definirlo il musicologo Giovanni Morelli – un genere squisitamente veneziano tramandatoci da due grandi artisti tedeschi.
UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA 19
Note
1 Il saggio è stato concordato dai tre autori e risulta suddiviso nei seguenti paragrafi: i primi due sono scritti da Diego Mantoan, il terzo da quest’ultimo (per le parti storico artistiche) assieme a Giulia Alberti (per la parte musicologica), il quarto infine da Giulia Alberti (per la parte linguistica e teatrale) assieme a Pietro Semenzato (per la parte compositiva e la prassi esecutiva).
2 Per la Italienische Reise si fa riferimento all’edizione Berlino: Verlag der Contumax, 2016.
3 Per il viaggio del padre del 1740 cfr.: Mönig, K., Venedig als urbanes Kunstwerk. Heidelberg: Winter Verlag, 2012.
4 Cfr. Mayer, M., Goethes Venedig. Berlino, Suhrkamp, 2015.5
5 Puszkar, N., Goethes Volksbegriff und Habermas’ Begriff der Lebenswelt, «German Studies Review», Vol.30/1, p.81.
6 Gutiérrez Carou, J., Il teatro spagnolesco di Carlo Gozzi, Venezia, Lineadacqua 2011, pp.307–322.
7 Puszkar, Goethes Volksbegriff, p.88.
8 Cfr. Gretzschel, M., Babovic, T., Goethe in Weimar. Amburgo, Ellert & Richter, 2005.
9 Mommsen, W., Die politischen Anschauungen Goethes. Stuttgart: Deutsche Verlags-Anstalt, 1948, p.227.
10 Puszkar, Goethes Volksbegriff, p.89.
11 Cfr. Capello, N., Goethe nel Veneto. Verona, Stamperia Valdonega, 1986.
12 Puszkar, Goethes Volksbegriff, p.75.
13 Istel, E.,Goethe and Music, «The Musical Quarterly», Vol.14/2, 1928, p.216.
14 Selbmann, R., Noch einmal und immer wieder, In Goethe und die Musik, Hettche, W., Selbmann, R. (a cura di).
Würzburg, Königshausen & Neumann, 2012, pp.51-65.
15 Hettche, Selbmann, Goethe und die Musik, p.9.
16 Istel, Goethe and Music, pp.225–226.
17 Cfr. Naumann, U., Geträumtes Glück: Angelica Kauffmann und Goethe. Berlino: Suhrkamp, 2012.
18 Istel, Goethe and Music, p.224.
19 «Auf heute Abend hatte ich mir den famosen Gesang der Schiffer bestellt […]» (6 ott.)
20 La tipologia mista delle canzoni riportata da Goethe trova riscontro nella varietà di generi contenuta nelle antologie settecentesche.
21 Mantoan, D., Prove generali di teatro musicale in Laguna, «Venezia Arti», vol. 22–23, pp.84–88.
22 A tal proposito bisogna considerare che Goethe era stato influenzato dalle posizioni di Winckelmann e attri- buiva valore all’arte raffigurativa prevalentemente nella misura in cui trattasse argomenti antichi. Questo spiega quanto poco si interessò alla pittura veneziana coeva, se non quella dei grandi maestri del passato quali Tiziano e Veronese, del quale apprezzò La famiglia di Dario ai piedi di Alessandro (1565–67) a Palazzo Pisani Moretta (8 ott.). Heusler, A., Goethe und die italienische Kunst. Paderborn: Salzwasser, [1891] 2012, pp.5-6.
23 Bagemihl, R., Pietro Longhi and Venetian Life, «Metropolitan Museum Journal», vol. 23, 1988, pp.233–247.
24 Fra questi si segnala di incerta collocazione Il concertino, forse del 1752, in cui Longhi presenta una canta- trice accompagnata da un suonatore di mandola in ambito domestico: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Pie- tro_Longhi_008.jpg
25 Rif. Pietro Longhi, Il concertino, Catalogo 466, 1741, olio su tela, Dono Girolamo Contarini (1838).
26 Si vedano nella collezione di Ca’ Rezzonico i disegni carboncino e gessetto bianco di Pietro Longhi: (1) Il suonatore di mandolino; Inv. 557; cat. 996; (2) Suonatore di mandola; Inv. 443; cat. 1025; (3) Suonatore di mandola seduto; studi di teste e di gambe; Inv. 455; cat. 1071
27 Rif. Pietro Longhi, Il concertino, Inv. 2084, 1750-55, olio su tela, acquisto 1911.
28 Fahy, E., Tiepolo’s Meeting of Antony and Cleopatra, «The Burlington Magazine», vol. 113/825, 1971, pp.737–736.
29 Pignatti, T., Tiepolo’s Revival of the Venetian Golden Age, «Bulletin of the American Academy of Arts and Sciences», vol. 46/6, 1993, pp.31–39.
30 Mellace, R., Johann Adolf Hasse, Palermo, L’Epos 2004, pp.57–58.
31 Morelli, G., Un genere povero ma illustre, in Canzoni da battello, Barcellona, S., Titton, G. (a cura di). Venezia, Regione Veneto, 1990, p. 5.
32 Sirch, L., Piras, M., Notturno italiano, «Rivista Italiana di Musicologia», Vol. 40/1–2, 2005, p.167.
20 UN QUADRETTO DI VIVACITÀ VENEZIANA
33Cfr. Scola, Adamo in Highfill, P.H., Burnim, K.A., Langhans, E.A., A biographical dictionary of actors, actresses, musicians, dancers, managers and other stage personnel in London 1660 - 1800, Vol. 13.
34 Mattei, L., Porpora e l’oratorio all’italiana, in Nicola Porpora musicista europeo, Pitarresi, G., Macavino N. (a cura di), Reggio Calabria, Laruffo 2011, p.161.
35 Kirkpatrick, R., Domenico Scarlatti’s Early Keyboard Works, «The Musical Quarterly», vol. 37/2, 1951, p.145.
36 Clark, J., His Own Worst Enemy, «Early Music», Vol. 13/4, 1985, p.543.
37 Woyke, S.M., Faustina Bordoni, Francoforte, Peter Lang 2010, pp.56-59.
38 Mellace, Hasse, pp. 38-40.
39 Si veda il frontespizio del Demetrio (1732): https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Johann_Adolph_Has- se_-_Demetrio-titlepage_of_the_libretto-Venice_1732.png
40 Sirch, Piras, Notturno italiano, pp.166-167.
41 Cfr. Goldoni, C., Commedie. Mangini, N., Ortolani, G. (a cura di), Torino, Utet 2013.
42 Barcellona, S., La canzone da battello nel Settecento veneziano, in Canzoni da battello, p. 9.
43 Bettinelli, S., Lettere sopra gli epigrammi (1792), in Illuministi italiani, II. Milano–Napoli, Ricciardi, 1969, p.1226.
44 Sirch, Piras, Notturno italiano, pp.169-171.
45 La si confronti con l’incipit della canzone veneziana Quel occhi me fé guerra.
46 Burney, C., Viaggio musicale in Italia (trad. Fubini, E.). Torino, EDT 1979, p.137.
47 Barcellona, La canzone da battello, p.10.
48 Si rammenti a tal proposito l’aria di Dorvil «Vedrò qual sommo incanto» nella Scala di seta.