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SOLUZIONI 1998

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(1)

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SOLUZIONI 1998

Nei risultati talvolta si sono qui omessi i passaggi algebrici finali; durante gli esami è però opportuno che i candidati portino a termine (o almeno il più avanti possibile) i calcoli.

Quando il problema comprende dati numerici, la soluzione richiede una risposta numerica.

Si indicheranno con ** eventuali commenti ai procedimenti proposti.

23-1-98 Elettrom.

Il conduttore filiforme C genera attorno sé un campo magnetico B il cui modulo, a distanza x dal centro del filo, vale B I

  x

0

2 (legge di Biot-Savart)

Il conduttore L si muove in questo campo magnetico B con velocità V. Su ogni portatore (di carica q) di L agisce la forza di Lorentz F qV B ovvero un campo elettrico equivalente

E F

eq V B

q . I vettori V e B sono nel nostro problema perpendicolari tra loro e quindi il modulo del campo elettrico si riduce a Eeq  .V B diretto dalla periferia verso il centro del conduttore L .

1) la f.e.m. cercata vale

f e m d V I dr

r

V I R

R R

R

R R

. . . 

Er

 ln

1 2

1 2

0 0 2

2 2 1

(il bordo interno risulta positivo)

** Qualora si voglia risolvere il quesito facendo ricorso alla legge di Faraday (nella forma: f.e.m. indotta legata alla variazione del flusso di B) occorre ipotizzare, fin dalla prima domanda, l’esistenza di un circuito quale quello proposto per la seconda domanda; oppure, in alternativa, ricorrere al concetto di flusso tagliato da parte del conduttore L che si muove. Il risultato ovviamente è identico ma personalmente sconsiglio questo approccio perché ho visto candidati in difficoltà per aver voluto estendere arbitrariamente quest’ultimo tipo di approccio, finendo per falsare il problema proposto.

2) La potenza dissipata vale

 

Pot f e m

. . . 2

Resist . Occorre quindi calcolare la Resistenza elettrica della lastra L , vista fra il bordo interno e il bordo esterno. E’ opportuno pensare alla lastra come a un conduttore di sezione variabile (trapezoidale). Si può pensare di suddividere la lastra in corone circolari di raggio generico r e di larghezza dr; ora si può calcolare la resistenza elettrica come serie di tanti elementi infinitesimi di lunghezza dr e di sezione 2rH crescente (con r) dal centro verso la periferia.

Resist ln

rHdr

H R

R R

R

22

1 2

2 1

(2)

23-1-98 Ottica

Problema in parte simile a quello proposto il 20-2-1997. Infatti il fronte d’onda inclinato rispetto al piano che contiene le fenditure, raggiunge prima S1 e successivamente S2 . In tal modo S1 e S2 si comportano come sorgenti sfasate (con S2 in ritardo); a questo punto si possono inserire ragionamenti analoghi a quelli svolti a proposito del problema 20-2-1997.

Nelle condizioni proposte dalla figura del testo, a valle delle feniture la differenza di cammino

r1Hsen porta i contributi di S1 2 in anticipo rispetto a quelli di S1 ; assumendo questa situazione come riferimento per i segni degli sfasamenti, la differenza di fase ( ) fra S1 e S2

causata dall’inclinazione del fronte d’onda (si ricordi che S2 risulta in ritardo rispetto a S1 ) si scrive:

  

  

  

0 0 7

3 4

2 2 2

510 10 0 17 0 07 10 694 6

r   Hsen        Z

. . , , . , .

avendo chiamato Z il valore assoluto del coefficiente numerico (da usare solo alla fine, per i calcoli numerici).

** Si noti che l’angolo 0 sotto il quale si forma il massimo principale di interferenza è 0 

1) Con ragionamento analogo a quello sviluppato in 20-2-1997 , il secondo massimo (come richiesto) si forma sotto un angolo 1  tale che :

2 2

1 0 1 2 2

   

   

Hsen Hsen Z .( ) da cui sen  ( ) ...

1 2 2

H

Z ; [1]

di conseguenza, il segmento OA richiesto vale: OADtan1 ....

** L’angolo 110 non è grandissimo ma neppure tanto piccolo da autorizzare automaticamente l’approssimazione tan1  sen1; la scelta, in ogni caso, dipende dalla precisione che si vuol conseguire nei calcoli numerici!

** Nota sui segni: nelle condizioni proposte dalla figura, la differenza di cammino r1Hsen1 porta i contributi di S2 in anticipo rispetto a quelli di S1 ; il primo termine quindi ha segno positivo. Scelta in tal modo la convenzione sui segni, allora il segno del secondo termine (secondo quanto esposto poche righe qui sopra) è negativo (0 Z); il secondo membro infine rappresenta la differenza di fase che compete al secondo massimo : 2 volte 2 .

2) Premessa: una lastrina di indice di rifrazione n uniforme e di spessore X , inserita sul cammino di una sola delle due onde, produce una differenza di cammino ottico r X n( 1). Nel nostro caso l’indice di rifrazione varia però da punto a punto (cioè non è uniforme) ; pertanto è opportuno pensare alla lastrina come a infiniti strati infinitesimi posti in serie ; la lastrina di spessore X produce quindi una differenza di cammino ottico data dalla somma dei contributi:

(3)

r n x

d dx n d

d

2 0

2 2 0

1 1 4 0

3 1

  

 

 

 

   



 e la differenza di fase corrispondente:  

2 2

2 r

Senza la lastrina, il massimo principale si formerebbe sotto l’angolo 0 .

Se si vuole ora che il massimo principale si sostituisca a quello laterale (cioè scivoli verso l’alto non formandosi più sotto l’angolo 0 bensì si formi sotto l’angolo 1 precedente calcolato, corrispondente al punto A), la somma di tutti gli sfasamenti deve portare al massimo principale;

cioè:

[lo sfasamento iniziale fra le sorgenti (0 Z)] + [ lo sfasamento imputabile alla differenza dei cammini sotto l’angolo 1 ] + [lo sfasamento 2 introdotto ora dalla presenza della lastrina ] = alla condizione per il massimo principale, cioè = 0.

Z H

2 sen 1 2 0 ma per la [1] della pagina precedente è 2 1 2 2

HsenZ .() quindi 2  .( )2 2

In altre parole la differenza di fase provocata dalla presenza della lastrina, deve aggiungersi quella prodotta dall’inclinazione dei raggi (sì da passare dal 2° massimo laterale a quello principale);

pertanto si può anche scrivere direttamente 2  .( ) da cui, risolvendo per la incognita d2 2 contenuta in 2 , si trova la risposta cercata.

** Si noti che 2 non dipende dall’angolo 1; in altre parole: si sarebbe ottenuto lo stesso risultato anche se le due sorgenti fossero state in fase tra loro (angolo  0).

**Volendo essere estremamente puntigliosi, la differenza dei cammini prodotta dalla lastrina dovrebbe essere corretta per tener conto dell’inclinazione (circa 10°) dei raggi che incidono sulla lastrina non ortogonalmente ad essa e quindi l’attraversano per uno spessore pari a d

cos2 , dove 2 andrebbe a sua volta ricavato dalle leggi di Snell sulla rifrazione. Per semplicità si omette quest’ultimo raffinamento. In sede di esame è stato comunque apprezzato chi, in qualche modo, ha intuito il problema anche senza svilupparne i calcoli.

(4)

20-2 - 1998 Elettrom.

La carica Q provoca l’insorgere sul piano conduttore di una carica superficiale indotta, distribuita un modo non uniforme; il campo di questa carica indotta equivale al campo di una carica -Q posta sotto al piano stesso (teoria delle cariche immagini), carica che, dal punto di vista delle forze elettriche, sostituisce il piano conduttore. Il corpo C risente quindi anche dell’attrazione dalla carica immagine -Q .

1) Il valore della costante elastica k della molla si ricava dalla relazione di equilibrio fra tutte le forze che agiscono sul corpo C:

a) la forza peso mg diretta verso il basso;

b) la forza elastica k HX L che agisce verso l’alto ;

** (H - L) è la coordinata occupata da C quando la molla è a riposo (né tesa né compressa) e quindi (H-L-X) rappresenta l’allungamento xdella molla.

c) la forza elettrica fra Q e la carica immagine -Q . Questa forza su C è diretta verso il basso e in modulo vale

 

| |F K Q

e e X2 2

2

** La distanza fra C e la carica immagine è infatti doppia della distanza X fra C e il piano.

Scegliendo positive le forze rivolte verso il basso si ha: mg k HX LK Q

e X

    

2

4 2 0 equazione da cui si ricava il valore di k . Con i valori numerici forniti si ottiene k N

5 m 8 2) Per la legge di Gauss, la densità

superficiale

è legata localmente al campo esistente in prossimità della superficie del conduttore (nel nostro caso il piano) da

  0E . Sul piano conduttore, E è normale al piano stesso. Nel punto P troviamo il campo E1 di C ed E2 della carica immagine, campi in modulo uguali ma non paralleli; le loro componenti lungo l’asse tangente al piano si eliminano; quelle perpendicolari al piano si addizionano.

 

E E K Q

e X

1 2 2

2 e quindi E K Q

RIS 2 e X

2 2 45

. . cos( ) Direzione e verso quelli di Figura 2-1 Inserendo i valori numerici   0

8

Ke Coulomb m2

3) Si ricava la velocità da un bilancio fra l’energia del sistema nella configurazione iniziale (corpo C distante Y dal piano) e l’energia del sistema nella configurazione finale (corpo C distante Z dal piano) (nel bilancio entrano la energia gravitazionale, quella elastica della molla e quella elettrostatica).

       

mgY k H Y L K Q

Y mgZ k H Z L K Q

Z mV

e e

1    

2 2

1

2 2

1 2

2 2

2 2

2

(5)

da cui si ricava V . Introducendo i valori numerici V = 6,92 m/s

**Si può anche leggere la relazione precedente in questo modo: il lavoro mgY compiuto dalla forza peso provoca l’allungamento della molla (con conseguente variazione dell’energia potenziale elastica), provoca l’avvicinamento della carica al piano (con conseguente aumento dell’energia potenziale elettrostatica - si ricordi che l’energia potenziale elettrostatica in questo caso è negativa) e infine provoca la variazione dell’energia cinetica (da zero a 1

2

mV ).2

4) L’equazione (differenziale) del moto è  F = ma . Scegliendo l’origine in O , l’asse Y rivolto verso l’alto e chiamando y la coordinata di C in un istante generico, si può scrivere:

 

 

mg k H L y K Q y md y

e dt

2 2

2

2 2

( ) Inutile introdurre i valori numerici.

** La forza esercitata dalla molla su C cambia segno attorno al punto y = (H - L) occupato da C quando la molla è a riposo (né tesa né compressa). C può attraversare questa posizione a seconda delle condizioni al contorno del problema (per esempio posizione e velocità iniziali di C).

** La soluzione di questa equazione differenziale non è semplice, presentandosi y2 al denominatore.

20-2 - 1998 Ottica

Calcoli preliminari: il problema non fornisce il passo a del reticolo, un dato che invece serve per rispondere ad alcune domande. Lo si può comunque ricavare dai dati forniti: conosciamo le dimensioni del reticolo; ci dobbiamo procurare il numero di fenditure N . Quest’ultimo parametro figura nel potere separatore, definito come

e che vale N.m (dove m è il numero d’ordine del massimo preso in considerazione - nel nostro caso si dice “risolve il doppietto del sodio allo spettro del primo ordine” quindi m = 1) . Preso quindi  1 5890 Å (del sodio) e   21 6 Å abbiamo N 5890

6 982 e quindi a

N cm

2

0 002037,

1) Per i due massimi richiesti si ha asen1 1.A da cui sen1  ; a... sen2  2.A da cui sen2 ... E ancora Y1 Dtan1 Dsen1 ... e Y2 Dtan2 Dsen2 ...

La distanza cercata vale Y2  Y1 ...

** I valori numerici forniti sono stati previsti per ottenere praticamente intero il risultato precedente .

2) Valgono le relazioni: asen1 1.A e asen2  2.B dalle quali 2 1 ....

3) La relazione generale per i massimi (che tien conto sia della interferenza che della diffrazione - diffrazione che dipende dal parametro cercato b ) è:

(6)

  

0 2

2

2 2 sen( / )

/ .sen( / )

sen( / )

N

con   2

b sen termine di diffrazione e  

 

2

a sen termine di interferenza, da calcolarsi entrambi per il valore di  per il quale si verifica il massimo di secondo ordine:

sen .

 

2 a .

Però, dal momento che i dati forniti riguardano un massimo di interferenza, il termine di interferenza è certamente uguale a N , quindi è superfluo calcolarlo. Resta significativo solo il termine di diffrazione. Abbiamo quindi:

 

 

N

I I

b

b

b a

b a

b a b a

0 0

1 4

1 2

2 2

2 2

   

 

 

 

 

  sen sen 

sen

sen sen

Chiamando X b

a , l’equazione da risolvere si riduce pertanto a : X  sen 2 X

L’equazione trascendente può essere risolta o per via grafica oppure sviluppando in serie il Seno.

La soluzione grafica, realizzata al Computer, dà le curve riportate nella figura.

Da esse si può ricavare b = 0,3 a . Lo sviluppo in serie è invece: sen

! ! ...

x x x x

  3 5

3 5 ; lo si può troncare al secondo termine (supponendo gli angoli abbastanza piccoli) :

 

  

X X X

2 2

6

3

1 2 8 6

2 2

 X ... . In definitiva b a

a

2 3 0 28

, .

con un errore per difetto

7% . Troncando al terzo termine, al Computer si è ottenuto b = 0,305 a , con un errore per eccesso

1,6%

0.1 0.2 0.3 0.4 0.5

0.25 0.5 0.75 1 1.25 1.5

(7)

14 - 3 - 1998 Elettrom.

1) In condizioni di regime, l’intensità della corrente nel ramo del condensatore C è nulla; le due maglie, a sinistra e a destra del condensatore stesso, restano isolate e indipendenti fra loro.

Dopo averlo semplificato riducendo i due rami paralleli (sia a destra che a sinistra del condensatore), il circuito si riduce pertanto allo schema di figura 3-1

dove RP1 è il parallelo delle due resistenze da 3 e 6 e RP2 è il parallelo delle due resistenze da 6 e da 12 .

La condizione data dal problema :

la energia immagazzinata nel condensatore C risulti 10-5 J diviene una condizione sulla differenza di potenziale che deve esistere, in condizioni di regime, fra i punti A e B . Questa si ricava dalla espressione della energia immagazzinata:

Energia 1C V C VAVB 2

1 2

2 2

( ) ( )

dove VA è la caduta di tensione (differenza di potenziale) ai capi di RP1 e VB è la caduta di tensione ai capi della resistenza indicata 4 . Con i valori numerici suggeriti si ha:

( ) . .

V V .

CEnerg

AB    

2 2 10

510 2

5

6 Volt

Ragionando sulle due maglie (di fatto indipendenti) si ha:

V RP I RP V

RP Volt

A  

 

 

1 1

1 1

6

1 22 4

1

. . 1 ; V I V

RP

V

B  

 

4 4 2 4

2 2

2 2

. .

e quindi V V V

AB     2 4 2

2 da cui due possibili soluzioni (entrambe accettabili) :

V2  4Voltoppure V2 12 Volt: la prima nel caso di VA > VB , la seconda nel caso opposto.

2) La potenza dissipata in RR=6 vale WRR I. RR2

La intensità di corrente che circola in RR si ottiene dividendo la corrente erogata dal generatore V2 in parti inversamente proporzionali alle resistenze RR e 12.

Usando il valore V2 = 4

I V

RRRR

 

 

2

8 12 12

1 2

12 12 6

1

. . 3 A da cui W

 6 1 

3 2 3

2

. watt

Usando il valore V2 = 12 , I V

RRRR

 

 

2

8 12 12

12 8

12

12 6 1

. . A da cui W 6 1. 2 6 watt

(8)

14 - 3 - 1998 Ottica A

1-2) Usando la convenzione solita (tutto positivo a sinistra e tutto negativo a destra della lente), si ricava innanzitutto la distanza focale della lente :

1 1 1 1 5 1

1 1 1

1 1

2 1

1 2 1

f

n n

n R R

 





,f  1 m

Come di consueto si analizza il sistema in due passi consecutivi: dapprima la lente (come se il prisma non esistesse), poi il prisma.

L’immagine J (reale) dell’oggetto dato si formerebbe 1 m alla destra della lente (e quindi anche oltre il prisma).

Il prisma presenta tre passaggi: a) un diottro piano AB all’ingresso; b) la superficie obliqua AC ; c) il diottro piano BC : ciascuno di questi passaggi senza tener conto di quelli che lo seguono.

**Descrivendo il passaggio attraverso il primo diottro piano con l’equazione del diottro, si tiene già conto della rifrazione attraverso la superficie AB ; si ricordi infatti che la stessa equazione è stata ricavata applicando le leggi di Snell, con le approssimazioni dell’ottica geometrica (raggi parassiali e poco inclinati).

**La superficie obliqua AC del prisma opera in condizioni di riflessione totale: infatti i raggi incidono sulla superficie stessa con angolo di incidenza

45° mentre

l’angolo limite, per n = 1,5 , risulta arcsen

, ,

1

1 5 41 8. La superficie obliqua opera pertanto come uno specchio piano

**Infine i raggi riflessi in O attraversano il diottro piano BC , per il quale valgono le considerazioni precedenti.

Analizziamo i tre passaggi (ad ogni passaggio è opportuno cambiare l’origine del sistema di riferimento!).

Nella figura 3-2 si possono trovare le corrispondenze con i simboli usati nel seguito. Le distanze X non sono in scala.

- Per il diottro piano AB si può scrivere : n

p n

q

n n R

1 2 1 2

1

0 3

1 5 0

1

1 2

   

 

, , X

n n

X1  ( , ). ,0 3 1 5 0 45, m

** Il primo mezzo è l’aria e il secondo mezzo è il vetro (n2 = 1,5): la luce passa dall’aria al vetro.

P risulta negativo perché “l’oggetto” (l’immagine fornita dalla lente) è alla destra del diottro AB .

L’immagine H (reale come l’immagine J data dalla lente) si forma a distanza X1 dal diottro AB ; X1

negativo indica che l’immagine del diottro AB si forma a destra dello stesso (e, con i valori numerici forniti, 0,4 m a destra anche del punto O).

- Interviene ora la riflessione sulla superficie AC come su specchio piano (inclinato) : l’immagine K (reale) si forma sulla verticale per O, verso il basso, a distanza X2 = 0,4 m da O (quindi più in basso della superficie piana del diottro BC ).

- L’attraversamento di quest’ultima, porta a scrivere : n p

n q

n n R

2 1 2 1

1 5

0 35

1 0

3

,

,

X

(9)

da cui X3

0 35

1 5 0 23

,  

, , m , posizione dell’immagine finale I (anch’essa reale)

L’immagine finale I (ancora reale) si forma a 23+ 5 = 28 cm dal punto O . Vedi figura 3-2.

(10)

L’attraversamento dei due diottri piani è equivalente all’attraversamento di una lastra di vetro (con indice di rifrazione = 1,5) a facce piane parallele e di spessore 10 cm .

La soluzione proposta è completa (nelle approssimazioni dell’ottica geometrica).

Si poteva però procedere anche in modo approssimato, sulla base delle seguenti considerazioni.

Il passaggio della luce attraverso il diottro AB aria-vetro porta (come abbiamo viso) a una variazione sulla distanza calcolata delle immagini. Però, dopo la riflessione, la luce attraversa il diottro BC questa volta vetro-aria portando ad una variazione opposta sulla distanza delle immagini. Alla fine si potrebbe ammettere che i due attraversamenti si compensino e che la posizione finale dell’immagine possa calcolarsi pensando unicamente ad una riflessione sulla superficie dello “specchio” AC . Procedendo in questo modo si può concludere che l’immagine finale si forma semplicemente a 25 cm (anziché 28 cm) dal punto O , commettendo un errore pari a

3

28 10 7%  ,

14 - 3 - 1998 Ottica B

Si tratta di un caso di diffrazione alla Fresnel . Conviene calcolare il raggio N della N-esima Zona di Fresnel relativa al punto P (che dista d dal centro del foro). Applicando il teorema di Pitagora :

N2 d N d

2 2

2



  da cui N N d

Per le prime zone abbiamo

1 1510 2000. . 4. 1mm ; 2 2 510 2000. . 4. 1 41, mm ;...;

4 4 510. . 4.2000 2 mm

La parte centrale del foro corrisponde quindi alla prima Zona ; i raggi delle due ali corrispondono rispettivamente ai raggi esterni della seconda e della quarta Zona.

Per calcolare l’ampiezza risultante può essere conveniente suddividere il foro come in figura 3-3.

Il settore circolare inferiore (tratteggio più scuro), avendo una apertura di 60° , scopre 1/6 della prima e 1/6 della seconda Zona. Le due Zone apportano contributi della stessa ampiezza (perché corrispondenti alla stessa apertura angolare) ma in opposizione di fase, provenendo da Zone adiacenti (prima e seconda). Il contributo risultante è perciò nullo.

Il settore circolare superiore (tratteggio più chiaro) scopre 1/6 della prima, della seconda, della terza e della quarta. Analogamente a quanto detto sopra, il contributo di un numero pari di Zone adiacenti è di ampiezza nulla. La luce in P è unicamente dovuta alla parte restante del foro (quella in chiaro: due settori , entrambi di apertura 120°) corrispondente a 2/3 della prima Zona.

L’ampiezza cercata vale quindi  2

3 2 4

0 3 0

. . essendo 2 l’ampiezza della perturbazione0 provocata dalla intera prima Zona di Fresnel .

(11)

18-4-1998 Elettrom.

Il moto di una carica puntiforme nel campo elettrostatico di un’altra carica puntiforme (fissa) non differisce molto dal moto di un pianeta nel campo gravitazionale di una stella (fissa) (quando si considerino entrambi puntiformi). Entrambi i campi sono conservativi e “centrali” ; l’unica differenza sostanziale è il fatto che le forze elettriche possono essere di attrazione o di repulsione; le forze gravitazionali sono soltanto attrattive.

Nel caso in esame le cariche sono uguali e si respingono; l’energia delle cariche è positiva e il moto non può essere ellittico; la carica descrive pertanto una iperbole che passa per il punto di partenza e devia verso la parte positiva dell’asse X (la carica in moto è respinta dalla carica che si trova nell’origine). (vedi figura 4-1)

1) L’energia potenziale E del corpo P è massima quando il corpo si trova alla minima distanza R dall’origine ed è solo funzione delle coordinate di quel punto.

E K Q Q

e R

max

 . 1

2-3) Il valore di R (e, insieme, quello della velocità W) possono essere trovati scrivendo per il corpo in moto i due principi:

a) conservazione dell’energia meccanica; b) conservazione del momento della quantità di moto (valido anche per il nostro campo di forze “centrali”)

0 1 2

1

0

2

2 1 2

0

  

 



MV K Q Q

R MW MV a MWR

e

.

Con i valori numerici suggeriti, si ottengono R = 6,4 m e W = 1,56 m/s

(12)
(13)

18-4-1998 Ottica.

Facendo riferimento alla figura 4-2 (ricavata dal problema di Ottica del 9-7-98 , analogo al problema qui trattato) possiamo così tradurre i dati del problema:

le onde A e B si propagano lungo l’asse X ; prima delle lamine L, le onde sono entrambe polarizzate linearmente perpendicolarmente al piano della figura (cioè lungo l’asse Z); l’asse ottico di LA è perpendicolare al piano del disegno (cioè giace lungo l’asse Z) e pertanto l’onda A, polarizzata lungo l’asse Z, attraversa la lamina viaggiando alla velocità dell’onda straordinaria ; l’asse ottico di LB è parallelo al piano del disegno (cioè giace lungo l’asse Y) e pertanto l’onda B, polarizzata perpendicolarmente alla direzione di questo asse ottico, attraversa LB viaggiando come onda ordinaria. Entrambe le onde hanno ampiezza 0.

1) - Dopo il passaggio attraverso le due lamine L a quarto d’onda, A è sfasata di

2 per es. in anticipo (dipende dal materiale: positivo o negativo); le lamine S non introducono ulteriori sfasamenti, per cui in P si devono comporre (per es. con i fasori) due onde i cui campi elettrici sono sfasati di

2 nel tempo e sono paralleli nello spazio .

   

         

0 2 0 0 2 0

sen( t...  ) sen( t... ) (sen cos ) . sen( t...  4) o anche con le formule di prostaferesi

   

      

    

 

0 2 0 2 0 2

2

2 sen( ... ) sen( ... ) . sen 2

( ... ) ( ... ) cos

( ... ) ( ... )

t t

t t t t

            

2

4 2 2

2 2

0 0 0

. cos( ) .

2) - La lamina SA è una lamina a mezz’onda con asse ottico che forma un angolo di 45° col piano del disegno : significa che l’asse ottico giace nel piano YZ ed è diretto lungo la bisettrice dell’angolo formato da questi assi YZ. L’onda A , dopo la lamina a mezza onda SA , vede ruotata di

2 (nello spazio) la direzione di polarizzazione, mentre SB non introduce ulteriori sfasamenti fra A e B : ora quindi abbiamo A e B , già sfasate nel tempo di

2 , ora anche ruotate nello spazio di

2 . Ne risulta polarizzazione circolare con ampiezza 0 .

(14)

3) dopo le seconde lamine a quarto d’onda (SA e SB)(asse ottico di entrambe giacente nel piano YZ e lungo la bisettrice dell’angolo formato da questi assi), entrambe le onde sono polarizzate circolarmente con la stessa ampiezza ( 

0

2 ) ma A è già in anticipo di

2 (sempre per il punto [1]).

Allora:

A

nel punto K

z t

y

0

0 sen

nel punto 2

z t

y

0 2

0 sen

nel punto 3

z t

y t

 

 

  

  

0

0

2 2

2 2

.sen( ) .cos( )

B

z t

y

0

0 sen

z t

y

0

0 sen

sfasamento fra raggio ordin. e raggio stra.

dovuto all’attraversamento di LA e LB

z t

y t

 

 

0

0

2 2

.sen( ) .cos( )

onde entrambe a polarizzazione circolare ma sfasate di

2

Sommando tra loro le componenti Z (e tra loro le componenti Y) abbiamo infine in P :

 

Ztot   ttt 

  

 

 

0 0

2 2 2

sen cos .sen( 4) 0sen

 

Ytot   ttt   

  

    

 

0 0

2 2 2 3

4 2

cos sen .sen( ) 0 sen( ) 0 cos

Quindi ampiezza 0 e polarizzazione circolare.

(15)

16-5-1998 Elettrom.

Per effetto della forza peso e di quella elastica delle molle, la sbarretta S si muove di un moto oscillatorio che sarebbe armonico se, durante il moto, non circolasse corrente elettrica (corrente che produce una forza magnetica sulla sbarretta e dissipa energia nella resistenza R).

A causa del moto infatti, l’area della spira si deforma e il flusso di B, concatenato con la stessa spira, varia : si manifesta una f.e.m. indotta, e quindi una corrente, che dissipa energia in R.

1) La potenza istantanea dissipata è P Ri2. Occorre perciò determinare la f.e.m. indotta e quindi la corrente i.

**La potenza dissipata è indipendente dal verso della corrente perché la corrente indotta figura al quadrato;

possiamo perciò calcolare la f.e.m. in valore assoluto!

Se y è il valore istantaneo della coordinata occupata dalla sbarretta (presa l’origine nel punto occupato dalla sbarretta all’istante iniziale), il flusso di B (essendo B perpendicolare al piano della spira ) si può scrivere come   B H L. .( 0y) e quindi

 

| . . .| |f e m d ( ) |

dt BH L y BHdy

dt BHV

  0 essendo V dy

dt il valore istantaneo della velocità con cui si muove la sbarretta nell’istante generico. La potenza dissipata può quindi essere scritta:

P Ri f e m R

BHV

2 R

2 2

( . . .) ( )

** V non è costante; sarebbe pertanto errato scrivere il flusso come BH L( 0Vt) cioè come se il moto fosse uniforme. Per puro caso il risultato coincide, ma il procedimento è errato.

2) La sbarretta, col trascorrere del tempo, compie oscillazioni sempre meno ampie e, dopo un opportuno numero di oscillazioni, si arresta (lo smorzamento dipende dall’entità dell’energia dissipata per ciclo). Il punto in cui si arresta corrisponde a quello in cui la forza peso fa equilibrio alla forza esercitata dalle molle . La forza magnetica in queste condizioni è nulla perché, con la quiete, si annulla anche la corrente indotta. In un tempo appropriatamente lungo, tutto ciò che avviene è il passaggio della sbarretta dalla posizione iniziale (y=0) a quella finale Yf

in cui le molle sono tese, e in equilibrio, sotto l’effetto della forza peso. Se il verso positivo dell’asse Y è stato scelto verso l’alto possiamo scrivere

2kYf Mg 0Y Mg

f   k 2

In questa condizione, l’energia dissipata dal sistema è pari all’energia potenziale che la sbarretta ha perduto scendendo da 0 a Yf (ovvero pari al lavoro che ha fatto la forza peso tra l’istante iniziale e quello finale) meno l’energia che resta immagazzinata nelle molle che ora sono deformate.

Energia dissipata MgYf 21kYf 2

2

3) L’equazione del moto è

F Ma .

Le forze che agiscono nell’istante generico sono:

a) il peso Mg ;

b) la forza elastica delle molle 2ky ; (y, oltre che la coordinata della sbarretta, è anche l’allungamento delle molle);

c) la forza magnetica che agisce sulla sbarretta in quanto è percorsa da corrente istantanea i ed è immersa in un campo magnetico B (perpendicolare alla sbarretta):

| | | . . .| ( )

F HBi HB f e m R

HB BHV

m    R dove V dy

dt è il valore istantaneo della velocità della sbarretta. La forza Fm è sempre di opposizione al moto (si ricordi che la f.e.m. indotta - di cui abbiamo preso il valore assoluto - è affetta dal segno negativo della Legge di Lenz) :

(16)

Fm è una forza che frena, sia che la sbarretta scenda, sia che salga (cioè di segno sempre opposto a quello della velocità)!

Prendendo ancora l’asse Y rivolto verso l’alto e l’origine nel punto in cui le molle sono a riposo, l’equazione del moto, per il punto di coordinata generica y, diviene:

MgkyB H   R

dy

dt Ma Md y 2 dt

2 2 2

2 . Cioè, ponendo B H R

2 2

Md y dt

dy

dt ky Mg

2

2  2   (M, e k sono costanti reali positive!) [1]

Se il coefficiente che determina lo smorzamento, fosse molto elevato (cioè maggiore del cosiddetto smorzamento critico), il moto potrebbe anche risultare aperiodico. Più frequentemente (cioè quando 2  M k4 .2 ) questa è l’equazione del moto armonico smorzato (con smorzamento

 

2 M ) la cui soluzione (come dovrebbe essere noto dalla Fisica 1 e soprattutto dalla Analisi Matematica) è del tipo:

y t( ) A e0 t sen(t )Z0 in cui, dai coefficienti dell’equazione [1], risulta

4 2

2 .M k. 2

M (reale perché, per ipotesi è 2  M k4 .2 ) . All’istante iniziale è nulla la coordinata y ed è pure nulla la velocità iniziale dy

dt t



  0mentre, dopo un tempo infinito, dovremo avere Y Mg

f   k

2 , saranno quindi

2 e A Z Mg

0   0 2k e la soluzione diviene:

y t Mg

k e t Mg

k ( ) .tcos( )

2 2

 [2]

Nel grafico si è riportata la y in funzione del tempo, per valori arbitrari dei parametri ( 1 3 ,

  4 e A0=5 ) La sbarretta S parte da coordinata y  0 e “scende” , oscillando attorno al punto

Y Mg

f k  

2 5, quota a cui tende asintoticamente.

** Il coefficiente rappresenta la forza frenante, “l’attrito”. Se tende a zero, nella [2] anche

tende a zero:

l’esponenziale tende a uno e la pulsazione

tende al valore classico 2k

M (Notare: 2k perché le molle sono due!) : è un moto armonico, attorno al punto di equilibrio Y Mg

f k  

2 5.

2 4 6 8 10

-8 -6 -4 -2

(17)

16-5-1998 Ottica A

Si può procedere in due modi (cioè schematizzando in due modi differenti il sistema):

a) Tre passaggi : diottro sferico (prima faccia della lente convessa-piana); specchio piano (la faccia argentata è uno specchio) ; di nuovo diottro sferico (attraversato in senso opposto).

b) Considerando che la faccia argentata si comporta come uno specchio, questo “crea una immagine anche del diottro” facendo sì che il sistema si comporti, a tutti gli effetti, come una lente (sottile) bi-convessa (cioè con entrambi i diottri sferici) : si trova l’immagine fornita da quest’ultima e la si “ribalta all’indietro” (ciò che in pratica fa lo specchio).

Primo modo. Chiamo A, B, C le posizioni delle immagini fornite ai tre passaggi.

Primo diottro (con le solite convenzioni : tutto positivo a sinistra) : n

p n

q

n n R

1 2 1 21 1 5 1 1 5

0 5

, ,

, ..

AA 1 5, m

** l’immagine fornita dal primo diottro si forma alla sua destra e quindi anche a destra dello specchio.

Specchio piano B = - A = 1,5 m (** alla sinistra dello specchio ) Secondo attraversamento del diottro (Attenzione: dal vetro all’aria!):

1 5 1 1 5 1

0 5

, ,

, ..

B C

C = + 0,5 m (alla sinistra della lente).

Le coordinate richieste sono quindi: X = C = 0,5 m , YC.tan 30 =... (per tener conto che i raggi giungono inclinati di 30°)

Secondo modo. La lente (sottile) “fittizia” biconvessa ha fuoco dato da:

1 1 1 1 5 1

1 1 0 5

1

0 5 2

2 1

1 2 1

F

n n

n R R

 



 ,

, , da cui F=0,5 m .

Di un oggetto all’infinito (i raggi incidono sulla lente inclinati rispetto all’asse ottico ma paralleli tra loro!) la lente (sottile) fornisce un’immagine sul piano focale (cioè 0,5 m a destra della lente stessa). Lo specchio riflette questa immagine su un piano posto 0,5 m a sinistra .

Le coordinate richieste sono quindi (come sopra):

X = C = 0,5 m , YC.tan 30 =... (per tener conto della inclinazione dei raggi)

(18)

16-5-1998 Ottica B

Simile al problema proposto il 14-3-1998. Anche qui conviene cercare il raggio N N d della N-esima Zona di Fresnel. O, meglio ancora, cercare il numero d’ordine N

d

 N

2

corrispondente ai raggi delle circonferenze proposte dal problema.

1) Per il punto P si ha:

N N

P

P 1

3 2 7

2

3 2 7

10

4 10 1 25 2

4 10

4 10 1 25 32

( )

. . ,

( . )

. . ,

Cioè: l’apertura centrale scopre le prime due Zone di

Fresnel; le appendici scoprono una porzione di un numero pari (32) di Zone adiacenti: inentrambi i casi icontributi in P sono nulli. (Zone di Fresnel adiacenti danno contributi praticamente uguali in ampiezza ma in opposizione di fase tra loro).

1) Per il punto Q si ha:

N

N

Q

Q 1

3 2 7

2

3 2 7

10 4 10 10

1 4 4 10

4 10 10 4

 

 

( )

. .

( . )

. .

Prima di discutere il significato di N2Q e soprattutto di N1Q , conviene pensare di suddividere l’apertura in modo analogo a quanto già si fece in 14-3-1998 (vedi figura 5-1).

I settori tratteggiati (la cui apertura è di 90°) corrispondono a N2Q=4 e coprono ciascuno ¼ delle prima quattro Zone; danno pertanto contributo nullo.

Restano i due settori (in chiaro) ciascuno di 90° per un totale di 180°: (**)(vedi dopo) il contributo ammonta a ½ della zona scoperta. Ma per essa abbiamo calcolato N1Q 1

4 . Non si scopre quindi l’intera prima Zona bensì solo ¼ di essa. Attenzione: ciò non significa però che con

questo il risultato sia: “ampiezza uguale a ¼ dell’ampiezza della prima Zona”.

N = ¼ nella relazione N N d significa che, rispetto ai contributi che giungono in P dal centro dell’apertura, i contributi che giungono in P dal bordo del foro di raggio 1 mm, arrivano con un ritardo di fase di

4 , corrispondente ad una differenza di cammino pari a 1

4 2 4

 . Per chiarire, si ricorra alla curva di vibrazione , che rappresenta la somma dei fasori corrispondenti alla Zona in esame (figura 5-2).

Se fosse N1Q = 1 si scoprirebbe tutta intera la prima Zona di Fresnel; si percorrerebbe cioè l’arco ACB (180°) corrispondente ai contributi della prima Zona.(Il primo contributo e l’ultimo sfasati di

tra loro).

Il fasore risultante, in questo caso, è rappresentato dal vettore AB di ampiezza 20.

(19)

Con N = ½ si descriverebbe solo l’arco ADC (90°) (e lo sfasamento fra il primo contributo e l’ultimo ammonta a

2

).

Con N = ¼ ci arrestiamo all’arco AD ( 45 1 4180

   ) : il fasore risultante è rappresentato dal vettore AD .

L’ampiezza richiesta è AH (pari alla metà di |AD|) : ricordare quanto scritto sopra accanto al richiamo

(**)  0sen(22 5, )

(20)

** Occorre prestare attenzione a quanto segue. Le Zone di Fresnel, relative al punto di osservazione P (distante d dal fronte d’onda, per ipotesi piano), sono, come noto, corone circolari tracciate sul fronte d’onda e delimitate da circonferenze luogo dei punti che distano da P rispettivamente dN

2 e d(N1)

2

. Chiamiamo N il raggio della prima di queste circonferenze e N1 il raggio della seconda.

Se l’apertura praticata nello schermo opaco scopre interamente una Zona, il suo contributo va ovviamente computato per intero. Se invece l’apertura scopre solo parzialmente una Zona, si consideri che ciò può avvenire secondo due modalità differenti: la Zona può essere limitata angolarmente o radialmente.

a) Limitazione angolare (Fig. 5-3) : l’apertura scopre il fronte d’onda dal raggio N al raggio N1 della Zona in questione, ma di questa scopre solo un settore (apertura = angolo al centro  ); in questo caso i contributi in P ammontano a una frazione pari a

360 (se  è espresso in gradi) dell’ampiezza 0 relativa a quella intera Zona. Questo è il caso relativo a N2Q della domanda (2) di questo problema oppure al raggio 1 del problema di Ottica del 14-3-1998.

a) Limitazione radiale (Fig. 5-4) : l’apertura scopre un’intera corona circolare (  360) ma almeno uno dei due raggi rN o rN1 dell’anello (o corona circolare) non coincide con N o con N1 (raggi di una Zona intera): l’anello è più “stretto” di un’intera Zona. Ciò significa che i contributi che provengono dai due bordi estremi (raggi rN e rN1 ) della corona circolare non sono sfasati tra loro di

, come invece avviene per i contributi che giungono dai bordi estremi

(raggi N e N1) di una intera Zona. L’ampiezza del contributo va quindi ricercata usando la curva di vibrazione come appunto si è fatto nel caso di N1Q 1

4 per la risposta (2) del presente problema, in cui rN coincide con N ma rN1 è minore di N1 e lo sfasamento fra i due contributi estremi è soltanto

4 . In quest’ultimo problema poi è presente anche la modalità (a): la corona circolare in esame non si presenta con l’apertura (angolo al centro) completa (  =360°) ma è  = 180° ; quindi il contributo si dimezza (secondo il criterio stabilito al punto (a) precedente).

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