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4. I trattamenti biologici

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4. I trattamenti biologici

I trattamenti biologici sono finalizzati all’abbattimento del carico organico, dei composti azotati e fosforici presenti nel liquame per via biologica o chimica. Questi composti devono essere rimossi per evitare il consumo dell’ossigeno contenuto nei corpi idrici recettori, inoltre azoto e fosforo potrebbero provocare fenomeni di eutrofizzazione.

4.1 Ossidazione biologica

L’ossidazione consiste in un insieme di reazioni biochimiche di trasformazione di sostanze organiche disciolte e sospese non sedimentabili fino a sostanze sedimentabili e prodotti semplici come acqua e anidride carbonica. I microrganismi che ossidano le sostanze contenute nel liquame si aggregano in forma di fiocchi di fango attivo. La misura della quantità di massa biologica viva e attiva è ricondotta ai solidi sospesi volatili nella vasca di aerazione; essi sono mediamente il 65% - 75% dei solidi sospesi totali. L’azione catabolica del metabolismo ha come principale effetto il consumo di inquinante solubile per ottenere energia necessaria alla vita dei batteri; l’anabolismo è la produzione di nuova biomassa [5].

Dapprima i fiocchi di fango attivo catturano la sostanza contenuta nel refluo (bioflocculazione), che viene poi idrolizzata e ossidata. Queste reazioni biologiche necessitano di ossigeno:

C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O

In Figura 4.1 si riporta l’andamento nel tempo dei tre soggetti principali alla fase del processo: carico organico, microrganismi e consumo di ossigeno. Il processo biologico viene descritto da cinque fasi delle curve, in cui quelle principali sono la tre e la quattro [6]:

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fase 1: stazionaria: microrganismi costanti;

fase 2: avviamento: la velocità di reazione tende alla velocità di regime;

fase 3: crescita logaritmica: elevata quantità di cibo, pochi microrganismi che

crescono in maniera esponenziale;

fase 4: crescita limitata dalla disponibilità del cibo (carico organico); fase 5: fase endogena o morte dei batteri.

Figura 4.1 –Andamento del carico organico, del consumo di ossigeno e dei

microrganismi in funzione del tempo

L’ossigeno è consumato dapprima da composti riducenti come mercaptani, aldeidi, solfuri e solfiti; quindi è consumato nelle reazioni biochimiche di ossidazione della sostanza organica e di respirazione endogena. La quantità di ossigeno richiesta dall’ossidazione biologica si calcola con la seguente formula [5]:

Nella formula O è la richiesta complessiva di ossigeno [kgO2/d], I è la richiesta immediata di ossigeno, Fa è il BOD5 abbattuto nel sistema [kgBOD5/d], a’ è il coefficiente di respirazione per sintesi [kgO2/kgBOD5], Md è la massa complessiva di microrganismi [kgSSV], b’ è il coefficiente di assorbimento di ossigeno per respirazione endogena [kgO2/kgSSVd], t è il numero di ore in cui sono in funzione gli aeratori (nel caso di trattamenti a biomassa sospesa), 4,6 sono

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i kg O2 assorbiti per i nitrati in 1 kg di N-TKN, TKN è l’azoto che viene nitrificato [kgTKN/d], m è la frazione di azoto ridotto nitrificato, N è l’azoto sotto forma di nitrato soggetto a denitrificazione [kgN-NO3/d], m’ è la frazione di azoto sotto forma di nitrato soggetto a denitrificazione, 2,85 sono i kg di O2 recuperati a seguito della riduzione di 1 kg di NO3 in azoto gas.

Il principale parametro di dimensionamento delle vasche di ossidazione biologica è il carico del fango, ossia il rapporto tra il carico di sostanza organica in ingresso e la quantità di biomassa presente nella vasca:

In questa formula f/t è la portata di composto organico [kgBOD5/giorno], m è la massa di microrganismi presenti nella miscela aerata [kgSS]. Gli impianti sono detti ad ossidazione prolungata per Fc < 0,10 kgBOD5/kgSSd, basso carico per Fc compreso tra 0,10 – 0,30 kgBOD5/kgSSd, a medio carico per Fc tra 0,30 – 0,50 kgBOD5/kgSSd, ad alto carico per Fc > 0,50 kgBOD5/kgSSd. Quanto minore è il carico del fango, tanto più elevato è il grado di stabilizzazione della sostanza organica, maggiore la richiesta di ossigeno e minore la produzione di fango di supero.

Un altro parametro molto importante è l’età del fango (misurata in giorni) è definita come il rapporto tra la biomassa totale presente nella vasca di ossidazione e la quantità che viene estratta giornalmente come fango di supero:

Qui E rappresenta l’età del fango, M è la quantità di fango presente complessivamente nel sistema [kgSS] e ΔX è la quantità di fango di supero prodotta giornalmente [kgSS/d].

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4.2 Nitrificazione

La nitrificazione è una trasformazione che consente di ottenere nitrati dall’azoto ammoniacale, reazione che avviene ad opera di batteri autotrofi strettamente aerobi, che traggono cioè l’energia necessaria alle loro funzioni vitali dall’ossidazione dell’ammoniaca. In realtà la trasformazione non è diretta ma composta dalla reazione di nitrosazione, ad opera di batteri del genere Nitrosomonas che trasformano l’azoto ammoniacale in nitrito, e dalla reazione di

nitrificazione vera e propria, in cui i batteri del genere Nitrobacter convertono i

nitriti in nitrati. [5]

Nitrosazione:

NH4++ 1,5O2 → 2H+ + H2O + NO2- {58 – 84 kcal}

Nitrificazione:

NO2- + 0,5 O2 → NO3- {15,4 – 20,4 kcal}

Dalle formule si può osservare che l’ossidazione di una mole di ammoniaca da parte dei Nitrosomonas libera più energia che non per i Nitrobacter per cui la crescita batterica dei primi deve essere maggiore dei secondi; infatti per i Nitrosomonas il coefficiente di produzione dei batteri y = 0,04–0,15 gSSV/gNH4-N ossidato e per i gSSV/gNH4-Nitrobacter y = 0,02 – 0,07 gSSV/ggSSV/gNH4-NO2-gSSV/gNH4-N ossidato.

La velocità del processo di nitrificazione dipende principalmente dalla concentrazione di ossigeno disciolto, dal pH e dalla temperatura. Lo stadio limitante del processo di conversione dell’azoto è dato dalla nitrosazione. Per garantire la nitrificazione nella vasca in cui avviene l’ossidazione occorre mantenere una velocità di asportazione di fango di supero sempre inferiore della velocità di produzione del microrganismo; ossia si deve operare con carichi del fango non oltre 0,15 kgBOD5/kgSSd.

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I valori ottimali di pH sono all’interno del range 8,4 – 9; al di sotto della soglia di 6 la nitrificazione non avviene. Questo parametro deve essere attentamente controllato in quanto la reazione di nitrificazione abbatte l’alcalinità dell’effluente (pari a 7,14 g di CaCO3 per ogni g di N ossidato). Il processo funziona bene anche a basse temperature (5 – 6 °C), ma l’innesco della reazione avviene spontaneamente solo se a temperature superiori a 10°C; la velocità del processo dipende esponenzialmente dalla temperatura con fattore di correzione 1,12 per ogni grado. I batteri nitrificanti sono i più sensibili alle perturbazioni fra cui scarichi di metalli pesanti, e ne potrebbero risultare avvelenati.

La velocità di nitrificazione è descritta con la cinetica di Monod: [5]

In questa formula

vmax(20°C) = valore massimo della velocità di nitrificazione a 20°C, in assenza di azioni limitanti dovute a carenza di substrato ed in condizioni ottimali di pH; ϕ = fattore di correzione per la temperatura ed è uguale a 1,12;

Kn = costante di semisaturazione dell’azoto, dipende dalla temperatura ed è esprimibile come

KO = costante di semisaturazione dell’ossigeno disciolto e può assumere valori tra 0,15 – 2,0 mg/l;

[NH4+] = concentrazione di azoto ammoniacale (mg/l); [O2] = concentrazione di ossigeno disciolto (mg/l).

Il modello di Monod esprime la velocità di crescita batterica come differenza tra un termine di crescita ed uno di scomparsa o morte:

Dove:

μmax: velocità massima di crescita batterica (t-1 )

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KS: costante di semisaturazione, ovvero la concentrazione di substrato per la quale si ottiene una velocità di crescita (μ) pari alla metà di quella massima:

per KS = S si ha μ = 0,5 μmax (mgN/l) Kd: costante di decadimento batterico (t-1)

x: concentrazione batterica

Nella relazione è possibile non tener conto del termine di morte o scomparsa batterica, KD, se questo assume valori trascurabili, rispetto al termine di crescita [10]. Questa semplificazione non si può effettuare quando la popolazione batterica, presente nel fango, si trova in condizioni di crescita stazionaria o in condizioni endogene; in queste circostanze, caratterizzate da una grande carenza di substrato, i microrganismi utilizzano il protoplasma cellulare dei batteri morti come fonte di sostentamento. In tali condizioni il termine di morte o scomparsa risulta superiore a quello di crescita e non può essere trascurato.

La caratteristica chiave del metodo di Monod è il rapporto tra la concentrazione del substrato e la costante di semisaturazione:

 Se S >> KS , la crescita procede con velocità prossima a quella massima.  Se S << KS , la crescita è limitata dalla carenza di substrato, quindi la

velocità diminuisce

La velocità di crescita batterica è anche proporzionale alla velocità di nitrificazione vN (gTKN/gSSV h)) tramite il coefficiente di crescita cellulare Y:

In genere il tasso di crescita dei nitrito-ossidanti è superiore del 30% circa a quello degli ammonio-ossidanti [10]:

 μmax Nitrosomonas : 0,3-2,0 d-1

valore tipico : 0,7 d-1  μmax Nitrobacter : 0,4-3,0 d-1 valore tipico: 1 d-1

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4.2.1 Influenza dei fattori ambientali

 Ossigeno Disciolto

Attraverso indagini sperimentali si è stabilito che la concentrazione di ossigeno disciolto, che limita il processo di nitrificazione, varia tra 0,5 e 2,5 mg/l in base alle caratteristiche del refluo, alla resistenza che il fiocco oppone alla diffusione del gas al suo interno ed al tempo di ritenzione.

Limitatamente ad impianti a fanghi attivi, l‘adozione di un valore di ossigeno disciolto pari a 2 mg/l (EPA, 1993), non sembra rallentare la cinetica del processo e può quindi essere adottato con sufficiente tranquillità in fase di progetto. Durante la gestione dell‘impianto, al fine di evitare gli effetti negativi dell‘ossigeno sulla velocità di nitrificazione, devono essere prese particolari precauzioni affinché la sua concentrazione nella vasca di reazione non scenda mai sotto 1 mg/l; va inoltre ricordato che al diminuire della concentrazione di ossigeno in vasca, aumenta il tempo di ritenzione minimo per realizzare una nitrificazione completa. E‘ stato dimostrato che l‘attività dei Nitrobacter è influenzata dalla presenza di O2. Esaminando dei campioni di biomassa, ognuno dei quali caratterizzato da un differente valore di pH ed in diverse condizioni di ossigenazione (variabili in un intervallo compreso tra 0,5 e 6 mg/l), si riscontra un aumento della concentrazione di nitriti, se si scende al di sotto della soglia limite di O2 (Yang & Alleman, 1992). Per quanto riguarda il ceppo dei Nitrosomonas, il loro tasso di crescita non è limitato per concentrazioni superiori ad 1 mg/l.

 pH

Nel corso della nitrificazione si è riscontrata, sperimentalmente, una diminuzione del tasso di ossidazione dell‘ammonio al decrescere del pH; ristabilendo poi le condizioni iniziali, si è constatato che i bassi valori di pH determinano solo un effetto inibitore e non tossico sulla popolazione batterica (EPA, 1993).

Secondo l‘EPA (1993), l‘intervallo più favorevole per il processo è compreso tra 6,5 e 8,0, mentre per Grunditz & Dalhammar (2001) i picchi di attività per le due

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principali specie batteriche si osservano per valori del pH pari a 8,1 per i

Nitrosomonas e 7,9 per i Nitrobacter.

 Temperatura

I batteri nitrificanti prediligono temperature moderate, tra i 20 e 35°C, dato che temperature troppo basse o troppo elevate possono causare rallentamenti del metabolismo (questo è il motivo per cui nelle stagioni calde la nitrificazione si svolge in maniera ottimale). Nonostante ciò, sono state riscontrate crescite significative di alcune specie batteriche nitrificanti fino a temperature minime di 4°C e massime di 50°C (Painter, 1970).

La temperatura influenza in modo differente l‘attività degli ammonio e nitrito ossidanti, infatti i valori ottimali, per i quali l‘attività è massima, sono 35°C circa per i Nitrosomonas e tra 35 e 42°C per i Nitrobacter (EPA, 1993), mentre a temperature di 10-15°C Randall e Buth (1984) osservarono una maggiore attività degli ammonio ossidanti rispetto ai nitrito ossidanti.

Bisogna comunque prestare attenzione a mantenere stabile la temperatura nel reattore per evitare condizioni estreme e rapidi sbalzi. Infatti, secondo Christensen e Harremoes (1977), ciò che provoca una diminuzione considerevole della velocità di nitrificazione, sono i cambiamenti di temperatura bruschi ed imprevisti che si verificano durante la giornata, mentre le variazioni stagionali incidono in maniera meno marcata.

Srna & Baggaley (1975) hanno misurato l‘effetto di un rapido cambiamento di temperatura sul processo di nitrificazione. I loro studi dimostrarono che un incremento di temperatura di 4°C provoca un aumento del 50% nella velocità di nitrificazione, mentre un abbassamento di 1°C porta ad una diminuzione della velocità del 30% circa.

Il tasso di crescita batterica è sempre favorito dall‘aumento della temperatura; per i Nitrosomonas, in particolare, è stata ricavata una relazione valida nell‘intervallo tra 5 e 30°C (EPA, 1993):

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 Tempo di ritenzione e concentrazione cellulare

La quantità di microrganismi presenti nel reattore influenza la velocità di nitrificazione, infatti, il tempo richiesto per rimuovere l‘ ammoniaca è inversamente proporzionale al numero di batteri (Sharma & Ahlert, 1976) e l‘intervallo di concentrazione ottimale, necessario a portare a termine il processo, è di 1.000-10.000 unità per ml (stima effettuata con il metodo del “Most Probable Number”) (Strom et al., 1976). Questo permette di scegliere la concentrazione della biomassa più opportuna secondo le necessità.

Poiché i batteri autotrofi crescono più lentamente rispetto agli eterotrofi, si deve ricircolare il fango in modo da raggiungere la concentrazione adatta per lo svolgimento del processo.

I sistemi a nitrificazione si distinguono in: sistemi a nitrificazione simultanea con la rimozione del BOD5 (fanghi attivi, letti percolatori, biodischi a basso carico) e sistemi a nitrificazione separata, realizzati cioè come stadio singolo di nitrificazione e posti perciò come secondo stadio a valle dello stadio di rimozione del BOD5. Fra i primi occorre annoverare la nitrificazione combinata con colture sospese e la nitrificazione combinata con colture fissate in letti percolatori; per i secondi, la nitrificazione separata con colture sospese, la nitrificazione separata con colture fissate in letti percolatori e la nitrificazione con colture fissate a dischi biologici.

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4.3 Denitrificazione

Il processo di denitrificazione è finalizzato a rimuovere l’azoto nitrico formatosi nella nitrificazione trasformandolo in azoto gassoso molecolare. Questa trasformazione avviene ad opera di batteri eterotrofi facoltativi del genere Pseudomonas, Micrococcus, Bacillus, Spirillum, e avviene in ambiente anossico (con carenza di ossigeno disciolto), per cui si devono evitare tutte le possibili cause di trasferimento di ossigeno all’effluente. Questi batteri utilizzano i nitrati come accettori finali di elettroni, ceduti dai composti organici, per attuare il completamento della catena enzimatica-catabolica che fornisce l’energia ai batteri, con conseguente produzione di acqua, anidride carbonica e azoto molecolare. Le reazioni su cui si basa la denitrificazione sono [5]:

Denitrificazione dissimilatoria:

NO3- + 5H+ + 5e- → 0,5N2 ↑ + 2H2O + OH- {86 kcal}

Sintesi:

CxHyOz + H2O → CO2↑ + 5H+ + 5e

-Queste reazioni aumentano l’alcalinità dell’effluente di circa 3,14 g di alcalinità (CaCO3) per g di N-NO3 ridotto.

La cinetica di denitrificazione può essere assimilata a una cinetica di Monod in cui due substrati (nitrato o nitrito, espressi come azoto, e carbonio organico) svolgono un ruolo limitante la crescita della biomassa. Indicando con μ il tasso di crescita batterica (quantità di nuove cellule sintetizzate per unità di biomassa presente nell‘unità di tempo), si può scrivere:

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39 In questa formula:

μDN,max è il massimo tasso di crescita batterica (d-1)

N è la concentrazione di nitrito/nitrato espressi come azoto (mg/l) KN è la costante di semisaturazione relativa all’azoto (mg/l) S è la concentrazione del substrato organico (mg/l)

KS è la costante di semisaturazione relativa al substrato (mg/l) kd è il tasso di scomparsa batterica

f(pH) è la funzione di dipendenza dal pH

f(T) è la funzione di dipendenza dalla temperatura

Il termine di scomparsa batterica assume valori modesti, per cui può essere trascurato.

La velocità di denitrificazione vDN , intesa come quantità di nitrato ridotto per

unità di biomassa presente, nell‘unità di tempo e per sistemi a biomassa sospesa, può essere espressa come:

e dimensionata come g N-NO3/(gSSV*d).

L‘ordine di cinetica di denitrificazione, rispetto al substrato organico, dipende, invece, dalla concentrazione di quest‘ultimo in rapporto al valore della costante di semisaturazione. Se la concentrazione S è molto maggiore di KS, come per i nitrati, è possibile trascurare il termine frazionario e considerare la cinetica di ordine zero anche rispetto al substrato. Questo significa che la velocità del processo è indipendente sia dalla concentrazione del nitrato, sia da quella del substrato, potendo quindi porre:

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Quindi, quando il carbonio è presente in eccesso rispetto alla richiesta teorica per la rimozione del nitrato, il processo è indipendente sia dalla concentrazione di substrato che da quella del nitrato/nitrito. Al diminuire della concentrazione del substrato, quanto detto non può più essere considerato vero: l‘azione limitante esercitata dal substrato corrisponde, automaticamente, a una drastica diminuzione della velocità di rimozione del nitrato.

Interessante è sottolineare come all‘aumentare del rapporto COD/N-NOx , aumenti la quantità di azoto ridotto fino a raggiungere un valore di saturazione oltre il quale qualsiasi aumento del carico organico, rispetto a quello dei nitrati, non provoca miglioramenti.

La velocità di denitrificazione non dipende solamente dalla concentrazione del substrato organico in rapporto al valore della costante di semisaturazione KS, ma anche dal tipo di carbonio, se facilmente biodegradabile oppure no. Infatti si possono individuare tre fasi in funzione della facilità di assimilazione del substrato da parte della biomassa. Nella prima, la riduzione dei nitrati procede rapidamente utilizzando solo la frazione di COD del liquame più biodegradabile; nella seconda, si osserva un rallentamento dovuto ai processi di idrolisi delle molecole organiche complesse e infine, nella terza, si ha una ripresa della denitrificazione con consumo delle molecole semplici, derivate dall‘idrolisi, fino al loro esaurimento.

L‘importanza dell‘idrolisi risiede nel fatto che la denitrificazione richiede grandi quantità di substrato organico in forma solubile e non può operare sul substrato particolato perciò, in caso di esaurimento del substrato solubile, l‘idrolisi diviene il fattore limitante della denitrificazione in quanto modula la produzione di substrato solubile.

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4.3.1

Influenza dei fattori ambientali

 Temperatura

La notevole dipendenza della denitrificazione dalla temperatura è messa in evidenza in Figura 4.2, dove la velocità è riferita alla velocità riscontrata a 20°C (a: Murphy e Dawson, 1972, b: Murphy e Sutton, 1974, c:Stensel ed al., 1973).

Figura 4.2 - Dipendenza della velocità di denitrificazione

dalla temperatura, riferita alla velocità riscontrata a 20°C

Spesso nella pratica, dato che il campo di variazione di temperatura preso in esame è limitato, si utilizza una formula semplificata della legge di Arrhenius:

In questa formula:

vDN,20°C è la velocità di denitrificazione a 20°C e vale 0,07 kgN/kgSSVd per la

prede nitrificazione e 0,02 kgN/kgSSVd per la post-denitrificazione T è la temperatura

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42  pH

L‘influenza del pH riguarda sia l‘attività dei batteri denitrificanti che i prodotti finali di reazione. Una definizione univoca del campo ottimale di pH risulta piuttosto ardua poiché dipende dalla tipologia dei microrganismi presenti. In generale si può assumere compreso tra pH 6 e 8.

Comunque, la velocità di denitrificazione, misurata come mg N-NO3- eq / (g SSV*h), aumenta all‘aumentare del pH nell‘intervallo 5-8 (Clayfield & Phil, 1974) e raggiunge il suo massimo nell‘intervallo di pH 7-7,5. Un incremento del pH ha effetti anche sulla velocità di crescita cellulare e sul rapporto C/N; entrambi infatti diminuiscono spostandosi verso pH alcalini. Inoltre, a parità di azoto (nitrito o nitrato) consumato, un aumento del pH porta a una maggiore produzione di ioni ossidrili (OH-). Se il pH è inferiore a 7-7,5, come prodotti finali della riduzione dell‘azoto nitrico possono formarsi ossidi d‘azoto.

 Ossigeno disciolto

I nitrati sostituiscono l‘ossigeno nei processi respiratori degli organismi capaci di denitrificare sotto condizioni anossiche e la presenza di ossigeno disciolto (OD) può avere un effetto di inibizione sulle cinetiche del processo di riduzione dei nitrati, dal momento che reprime l‘enzima che catalizza tale reazione. In letteratura si riportano valori di concentrazione di ossigeno disciolto dell‘ordine di 0.2 mg/l o anche superiori, in corrispondenza dei quali è stata riscontrata l‘inibizione dei batteri denitrificanti appartenenti a colture di Pseudomonas (Skerman e Macrae, 1957; Terai e Mori, 1975) e anche di fanghi attivi alimentati con reflui civili (Dawson e Murphy, 1972).

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Le configurazioni impiantistiche per il processo di denitrificazione sono:

1. Predenitrificazione: questo sistema prevede la vasca di denitrificazione a monte di quella di ossidazione - nitrificazione. In tal modo nella vasca di denitrificazione giunge parte del ricircolo contenente nitrati e il liquame grezzo che contiene elevate concentrazioni di sostanze carboniose utili al processo.

2. Postdenitrificazione: questa configurazione prevede la denitrificazione a valle della ossidazione - nitrificazione. Qui la vasca anossica riceve una torbida contenente nitrati ma gran parte delle sostanze carboniose sono state abbattute e la velocità del processo è molto minore rispetto al caso precedente.

3. Denitrificazione ad intermittenza: in questo caso si procede nella stessa vasca sia alla nitrificazione che alla denitrificazione, alternando condizioni ambientali aerobiche e condizioni anossiche, attivando ad intermittenza i compressori che insufflano aria.

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4.4 I processi a biomassa adesa

I reattori a biomassa adesa sono caratterizzati dal fatto che il biofilm aderisce a supporti in diverso materiale (riempimento) (Figura 4.2).

Figura 4.3 – Tipici supporti per processi a biomassa adesa

Rispetto ai processi a biomassa sospesa, tali impianti permettono di realizzare reattori di dimensioni minori vista l’elevata attività specifica della biomassa [7].

Nei processi a biomassa adesa colonie eterogenee di microrganismi aderiscono al riempimento del reattore formando una pellicola (biofilm) di spessore variabile. In un reattore a biomassa adesa si instaurano una serie di fenomeni in serie (Figura 4.4):

 i substrati dispersi nella massa del liquame (bulk) vengono in parte idrolizzati dagli enzimi prodotti dai microrganismi e in parte adsorbiti sulla superficie del biofilm.

 le componenti sub colloidali e solubili dopo essere venute a contatto con la superficie del biofilm diffondono penetrando in esso e dando luogo alle reazioni biologiche;

 i metaboliti prodotti dalle reazioni biologiche retrodiffondono attraverso il biofilm verso l’interfaccia, disperdendosi nel bulk.

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Figura 4.4 – Schema dei processi che avvengono in un biofilm

4.4.1 Il processo a letto mobile

Nei processi a letto mobile la biomassa aderisce ai corpi di riempimento mantenuti in movimento nel liquame all’interno delle vasche (Figura 4.5).

Figura 4.5 – Reattore a letto mobile per la rimozione della sostanza organica

Tale movimentazione può avvenire per mezzo di insufflazione di aria nei reattori aerobici e con mezzi meccanici nei reattori anossici e anaerobici (Figura 4.6). I processi a letto mobile sono classificati in due categorie [7]:

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 processi a biomassa adesa pura: i batteri aderiscono unicamente ai corpi di riempimento, non vi è né fango sospeso nel reattore (eccetto le pellicole di spoglio) né ricircolo del fango;

 processi ibridi in cui nel reattore è presente sia fango attivo sospeso che biomassa adesa ai supporti; il fango addensato è ricircolato al reattore.

Figura 4.6 – Reattori a letto mobile: reattore anossico per la denitrificazione e aerobico

per l’ossidazione e nitrificazione, sedimentatore

I processi a letto mobile permettono di conseguire una serie di vantaggi rispetto ai classici trattamenti a fanghi attivi e ai processi a biomassa adesa con letto fisso (letti percolatori, biofiltri):

lo svincolo del tempo di ritenzione cellulare (età del fango) dal tempo di ritenzione idraulico favorisce lo sviluppo di batteri a lenta crescita come i nitrificanti in reattori di dimensioni ridotte

• è possibile realizzare impianti multistadio a biomassa adesa pura, favorendo cosi lo sviluppo di biomasse specializzate nei diversi reattori;

il rischio di intasamenti e molto ridotto rispetto ai filtri percolatori fissi, non sono necessari controlavaggi per allontanare la biomassa in eccesso;

le perdite di carico sono limitate e la mobilita dei riempimenti ostacola la formazione di cammini preferenziali per il liquame;

in fase di gestione si ha notevole flessibilità: nei processi a biomassa adesa pura e possibile aumentare progressivamente il tasso di riempimento fino al

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grado massimo secondo le esigenze depurative, nei processi ibridi si può anche variare la portata di ricircolo del fango

Con l'utilizzo di più reattori a letto mobile puri e/o ibridi è possibile eseguire tutti i trattamenti biologici di un liquame civile o industriale biodegradabile. La tecnologia è molto versatile e l'applicazione più adatta deve essere studiata con un approccio specifico caso per caso, anche ricorrendo, se necessario, a prove su scala pilota.

Per quanto riguarda i processi a biomassa adesa pura, le principali applicazioni riguardano l'ossidazione della sostanza organica, la nitrificazione e la rimozione dell'azoto totale (nitrificazione e denitrificazione).

In particolare, la rimozione della sostanza organica (indipendentemente dall'abbattimento dell'azoto) può essere eseguita in più modi:

• con uno o più reattori a letto mobile in serie seguiti da sedimentazione; • con uno o più reattori a letto mobile in serie seguiti da chiariflocculazione; • come trattamento di sgrossatura di reflui concentrati a monte di un comparto a fanghi attivi con relativo sedimentatore e ricircolo della biomassa.

Anche la nitrificazione può essere eseguita con più soluzioni impiantistiche: • con uno o più reattori a letto mobile a valle di un pretrattamento di chiariflocculazione (che abbatte buona parte della sostanza organica del refluo), nei caso di reflui poveri in sostanza organica e ricchi in azoto;

• con più reattori a letto mobile in serie a valle degli usuali trattamenti primari; in questo caso lungo la filiera biologica si avrà una variazione di saprobicità della biomassa: nei primi reattori l'abbondanza di sostanza organica fa prevalere i batteri eterotrofi, mentre negli ultimi reattori prevalgono i batteri nitrificanti (il carbonio organico e già stato ossi-dato nelle vasche precedenti);

• come trattamento di affinazione (nitrificazione terziaria) a valle di un impianto a fanghi attivi, anche recuperando vasche non utilizzate: in questo caso gran parte della sostanza organica e stata rimossa nell'impianto a biomassa sospesa e i batteri

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nitrificanti del reattore a letto mobile producono una quantità molto ridotta di pellicole di spoglio; può non essere necessario un ulteriore decantatore.

La denitrificazione può essere eseguita con le seguenti soluzioni:

• pre-denitrificazione con ricircolo del liquame nitrificato: questa filiera di reattori a letto mobile ha il vantaggio di utilizzare il carbonio organico del liquame grezzo, ma ha lo svantaggio di introdurre ossigeno nello stadio anossico (tramite il ricircolo dei nitrati). Inoltre il rendimento della denitrificazione e molto influenzato dal rapporto C/N in ingresso e dalla biodegradabilità della sostanza organica contenuta nel refluo. Ogni fase può essere eseguita in uno o più reattori in serie;

• post-denitrificazione con carbonio organico esterno (abbinata a pretrattamento di chiariflocculazione): l'utilizzo del carbonio organico esterno ha un rilevante costo di esercizio, ma la denitrificazione procede con velocità maggiore ed e più facilmente controllabile. Il pretrattamento chimico serve ad abbattere gran parte della sostanza organica e ciò facilita la nitrificazione nelle vasche aerobiche; • post-denitrificazione come trattamento di affinazione a valle di un impianto a fanghi attivi: questa soluzione si adotta quando l'impianto a fanghi attivi nitrifica ma non abbatte a sufficienza l'azoto. Il reattore di denitrificazione a letto mobile richiede carbonio organico esterno; la quantità di biomassa di spoglio prodotta è superiore a quella della nitrificazione terziaria vista prima, e ciò rende necessario un sedimentatore o un flottatore per chiarificare l'effluente;

• pre- e post-denitrificazione: questa soluzione è compatta, ha notevole flessibilità operativa e permette di risparmiare carbonio organico esterno; si utilizza quando il limite all'azoto totale e particolarmente restrittivo.

I processi ibridi possono riprodurre qualsiasi filiera depurativa a fanghi attivi per la rimozione del carbonio organico, per la nitrificazione, per la pre- e post-denitrificazione ed anche per la rimozione biologica del fosforo; quest'ultima non può essere eseguita con i reattori continui a biomassa adesa pura, in quanto i batteri devono passare da un ambiente anaerobico ad uno aerobico; è possibile con reattori a sequenza di fasi (o sequencing batch reactors, SBR). I processi ibridi

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permettono di accoppiare i vantaggi tipici dei processi a fanghi attivi (bio-flocculazione e adsorbimento delle sostanze organiche particolate e colloidali, flessibilità operativa) con quelli (già ricordati) dei processi a biomassa adesa pura. In fase di gestione, in un processo a letto mobile ibrido si possono variare il tasso di riempimento dei reattori e la portata di ricircolo del fango.

Con i processi a letto mobile ibrido è possibile aumentare la concentrazione di biomassa in una o più fasi di un processo a fanghi attivi; nel primo caso l'impianto preesistente viene compartimentato e i corpi di riempimento vengono introdotti in un solo reattore (ad esempio, per migliorare la nitrificazione); nel secondo caso i supporti sono distribuiti in tutte le vasche. Questi processi a letto mobile, quindi, si prestano particolarmente all’upgrading di impianti sovraccaricati, sia per aumentare la concentrazione complessiva di biomassa presente nel sistema senza agire sul ricircolo del fango (ossia, senza sovraccaricare il sedimentatore finale), sia per aumentare l'età del fango (favorendo cosi lo sviluppo dei batteri nitrificanti in una parte dell'impianto) [7].

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4.4.2 I contattori biologici rotanti

Un sistema a contattori biologici rotanti (o biodischi) è costituito da una vasca semicilindrica orizzontale all’interno della quale un albero centrale sostiene una serie di dischi sui quali si sviluppa il film biologico (Figura 4.7).

Figura 4.7 – Contattore biologico rotante

I dischi sono ricavati da lastre sandwich di polipropilene isotattico, stabilizzato contro l’azione dei raggi ultravioletti. Le lastre sandwich sono a canali aperti e paralleli di dimensioni tali da aumentare notevolmente la superficie specifica e contemporaneamente migliorare la somministrazione di ossigeno al liquame da trattare [8].

L’albero viene posto in lenta rotazione cosicché i dischi vengono ad avere le superfici alternativamente immerse nel liquame che riempie la vasca ed esposte all’atmosfera. Il trattamento prevede normalmente una compartimentazione dei biodischi in modo da realizzare più stadi in serie, costituiti da singoli gruppi di dischi disposti in una porzione di vasca separata, ciascuno di essi operante con un carico organico in arrivo inferiore a quello del precedente. Si realizza praticamente uno schema di più reattori a miscelazione completa disposti in serie, con un grado di depurazione tanto più elevato quanto più è alto il numero di stadi. In alcuni casi i biodischi vengono alloggiati in ambienti chiusi, per motivi di tipo estetico e ambientale, per proteggere il materiale plastico dai raggi solari, che tra

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l’altro favorirebbero anche lo sviluppo di alghe, e per cautelarsi nei confronti delle basse temperature.

Il campo di applicazione preferenziale di questo tipo di sistema sono le piccole-medie comunità, fino a 10 - 15.000 A.E., anche se vi sono casi di applicazioni anche per potenzialità maggiori. Il dimensionamento dei rotori biologici deve avvenire con riferimento a valori di carico organico specifico generalmente compresi nell’intervallo di 40 - 60 gBOD5,totale/m2d oppure di 20 - 30 gBOD5,solubile/m2d. Fattori di carico considerevolmente più bassi vanno previsti nel caso di climi caldi, a causa della possibile limitazione nel trasferimento dell’ossigeno e qualora si voglia consentire anche la nitrificazione del refluo che, come nel caso dei letti percolatori, si innesca solo dopo che gran parte del substrato carbonioso è stato rimosso. I moduli hanno dimensioni standard a cui corrispondono modalità di funzionamento ed efficienza predefinite. Per il dimensionamento del volume del bacino d’immersione si deve fare riferimento a valori di circa 5x10-3 m3 di vasca/m2 di superficie disponibile, a cui corrisponde un tempo di ritenzione di circa 1,5 h; il grado di immersione dei biodischi è di circa il 40%. La velocità periferica di rotazione è normalmente di circa 30 cm /s (1 - 2 rpm per dischi di grande diametro e 3 - 4 rpm per dischi di diametro minore). In generale, per ottenere rendimenti di abbattimento del BOD5 dell’85% occorre adottare almeno due stadi; per pervenire ad una rimozione del 90 - 95% occorre che l’impianto operi con 3 - 4 stadi. I consumi di energia (per azionare il moto di rotazione del tamburo) sono pari a circa 10 - 20 Wh/ab*d (dello stesso ordine di grandezza dei letti percolatori ad alto carico e nettamente inferiori a quelli degli impianti a fanghi attivi) [9].

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