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TAGETE 1 – 1996 Ed. Acomep Associazione M. Gioia

Dr. Claudio Lorenzi

Medico Centrale “Cattolica” Assicurazioni

UNA ZAMPINA CONTRATTA

Chiarezza negli arbitrati sulle lesioni da sforzo

La brillante e spiritosa richiesta di chiarimenti del Dr. Ruggeri, pubblicata sul numero 4 di

“Tagete”, merita risposte adeguate ed altamente qualificate, che spero arrivino a valanga.

Da parte mia porgo solo “una modesta zampina” anche “contratta” dallo spazio per aiutare a togliere alcune delle molte castagne messe sul fuoco.

Lasciando da parte l’aspetto valutativo, che non interessa (e non condivido) e le proposte delle parti che sono da ritenersi ininfluenti, una volta dato corso all’arbitrato, emerge subito prepotente il problema della preesistenza in tema di lesioni muscolo tendinee, di cui dirò il mio pensiero più avanti.

Relativamente all’applicabilità del criterio analogico tra evento traumatico e sforzi o strappi, questo è un dato di fatto contrattuale che, essendo previsto prima dell’articolo successivo, soggiace al vincolo imposto dalla condizione della causa diretta ed esclusiva.

L’apparente contrasto emerge solo dal richiamato concetto, non sempre esatto (direi quasi errato), delle “presunte” preesistenze o delle “presunzioni” delle stesse.

Qui il mio parere il più preciso.

S’impone anche nell’arbitrato (l’esonero dalla procedura è solo per gli atti formali) l’acquisizione certa della prova provata, così come in un qualsiasi giudizio e la controparte che, eventualmente ne eccepisce, deve dare la prova contraria.

L’altro argomento su cui è opportuno disquisire è in ordine non alla richiesta di individuare cosa sia lo sforzo e lo strappo (la risposta del giudice di merito penso sarebbe scontata), ma se esiste la

“prova” che comunque si sia verificato uno sforzo ed uno strappo in condizioni tali (per tempo, età, attività, intensità, posizione ecc.) da essere equiparato ad un evento protetto in polizza.

E’ opportuno ricordare che fa parte del “contratto” anche l’età e quindi il principio del degrado fisiologico o, nella fattispecie, l’atleta professionista che come tale è stato assunto ed il cui rischio anche su “presunte” preesistenze, non di lesioni certe, ma di “usura” è a mio avviso implicito nell’assunzione del rischio contrattuale.

Concludendo, su questo argomento sarebbe auspicabile una volta per tutte includere nella polizza delle percentuali fisse per le lesioni muscolo tendinee, come già praticato da alcune società, ed escludere definitivamente le ernie addominali.

Sull’eccesso di mandato, quale emerge dalla eccezione di un arbitro, direi che l’osservazione “a stretto rigore” è esatta.

Nella fattispecie mi permetto di osservare che i cosiddetti compromessi arbitrali o “contratti arbitrali” sono spessissimo incompleti, lacunosi ed affatto idonei a risolvere correttamente una controversia e giuste e chiare poi appaiono almeno alcune delle riserve del 3° arbitro citato dal Dr.

Ruggeri, specie per quanto attiene alle “interpretazioni contrattuali della volontà delle parti”, che esulano totalmente dalla investitura del collegio arbitrale (arbitraggio non previsto in contratto).

Nessuna difficoltà a rispondere al quesito, anche parzialmente, senza includervi la valutazione del danno se il quesito non è previsto nel contratto arbitrale.

Tagete n. 1-1996 Ed. Acomep

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L’arbitrato perciò viene ad assumere la veste di una “perizia contrattuale” o di un “accertamento mero” e le parti, se concordano, riaprono l’arbitrato con inclusione di un ulteriore compromesso chiarificatore che prefiguri con esattezza l’oggetto della controversia.

Altra castagna più calda delle altre è l’importanza, nell’attività, del collegio arbitrale, di cui è bene ricordare che il 3° arbitro è solo una parte (decisiva) ed il rapporto che si instaura tra gli arbitri e le parti è riconducibile, ex. art. 1726 ad un mandato collettivo.

E’ intuitivo che questo deve uniformarsi a rigore giuridico, scientifico ed imparzialità, ma che può derogare ad alcuni di questi principi solo vi è facoltà “transattiva” e perciò emergono due condizioni, una che riguarda il singolo arbitro di parte che deve avere il più ampio mandato dal cliente nel redigere il “contratto arbitrale”, includendovi anche la potestà transattiva od altre condizioni che si potranno individuare.

L’altro, che vengano collegialmente definite dagli arbitri di parte tutte le condizioni atte a dirimere un contenzioso all’arbitraggio, sempre che agli arbitri ne venga dato mandato scritto (Procura ex 1392).

L’arbitrato improprio ha natura ed efficacia di carattere contrattuale che permane dal suo nascere al suo esaurirsi e soggiace solo alla normativa dei contratti (art. 1372) e nel corso di esso possono inserirsi tutti gli atti necessari, purché si “riapra” consensualmente con adeguata autorizzazione il contratto arbitrale.

Il conferimento del mandato al collegio arbitrale (art. 1708 C.d.p.c.) comprende non solo la potestà degli atti per i quali ha luogo l’arbitrato, ma anche quelli che sono necessari alla loro migliore esecuzione e compimento.

Il poco spazio limita le altre risposte e perciò, concludendo, a mio parere lo “spolverone” sulla causalità diretta ed esterna soggiace al vincolo della prova (e della documentazione) rigorosamente applicata.

Le “presunte” preesistenze perciò devono essere provate, salvo i casi di incertezza documentale su cui si potrà autorizzare la transazione.

E’ opportuno ricordare che il contratto arbitrale deve essere redatto in maniera da non dare adito a contestazioni sull’oggetto del contendere.

Tagete n. 1-1996 Ed. Acomep

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