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Suggerimenti per un Codice Deontologico del Perito

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Academic year: 2022

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Prof. Nicola Iannicelli Medico legale, Napoli

Suggerimenti per un Codice Deontologico del Perito

Il progetto di un Codice Deontologico del perito era uno dei temi di discussione del Congresso di Montecatini 1996. Infatti se si è avvertita la necessità di discutere le tabelle di valutazione medico legale finora a disposizione, cioè i confini entro i quali si circoscrive l’azione valutativa dei Consulenti Tecnici, siano di parte o d’ufficio, ciò è avvenuto anche perché si è avvertito pure che c’è qualcosa da correggere nel loro modo stesso di operare.

In effetti nessuna tabella di valutazione può rispecchiare tutti i multiformi aspetti della realtà clinica, sociale e giuridica; il che porta pur sempre in primo piano la figura dell’operatore che in definitiva viene chiamato ad un processo di adattamento dell’indicazione tabellare al caso singolo.

Processo questo che coinvolge da un lato la sua noopsiche e cioè le sue conoscenze scientifiche, ma anche la sua timopsiche.

E tale richiamo alla timopsiche non sta a significare solo la integrità morale del Consulente Tecnico ma essenzialmente, ed è il caso che certamente più ricorre la sua capacità di avere lo stesso atteggiamento valutativo quando viene ad assumere alternativamente uno dei tre ruoli del sistema, cioè quello di Consulente di parte attrice, o di parte convenuta o di Consulente Tecnico d’Ufficio.

Per quanto riguarda le conoscenze scientifiche è chiaro che l’evoluzione che è stata raggiunta in ogni settore della medicina è tale che è impossibile che in uno solo possano convergere tutti i progressi di acquisizione e di tecniche, e quindi sono innumerevoli i casi nei quali per il Consulente prescelto non si può dire affatto che sia l’uomo giusto al posto giusto.

Nella pratica extragiudiziaria il problema è meno sentito in quanto il timore della responsabilità professionale pone un freno all’assunzione indiscriminata di casi che travalicano la propria specifica competenza. Il problema è invece grave nell’ambito della Consulenza Tecnica d’Ufficio, dove, a meno che non ci sia la preveggenza in proposito del Magistrato, ma non è cosa costante né abituale, si accetta di tutto con la riserva di servirsi dell’opera di specialisti i quali in ultima analisi spesso sono proprio loro a fare la consulenza pur non essendo legati al vincolo del giuramento.

Pertanto nel Codice Deontologico del Perito si dovrebbe addivenire a un meccanismo che obbliga il CTU che si accorga dall’esame preliminare della materia in discussione che questa presuppone conoscenze specifiche che egli non può avere, di farlo presente al Magistrato, o per essere sostituito, o perché gli affianchi uno specialista, o che almeno ratifichi il nominativo dello specialista che è indispensabile.

E più in linea generale, dato che l’Albo dei Consulenti Tecnici d’Ufficio non prevede il titolo accademico di medico legale, accade di continuo di incontrare CTU che non sanno impostare correttamente un giudizio sul nesso causale, o che non conoscono a fondo tutta la problematica e le implicazioni giuridiche del danno biologico.

Per ovviare a tale stato di cose, se non è possibile richiedere che siano iscritti nell’Albo dei Consulenti Tecnici d’Ufficio soltanto gli specialisti in medicina legale si istituiscano però, presso le scuole di specializzazione in medicina legale almeno dei corsi di formazione ad hoc, per l’acquisizione di un titolo universitario che anche di minore livello, dia comunque la garanzia di una certa idoneità all’iscrizione in quell’Albo.

Ma il problema ancora più spinoso è quello della commistione alternativa di ruoli nella stessa persona, che a volte è consulente di parte attrice, a volte di parte convenuta, e a volte CTU. Il fenomeno è più frequente di quanto si possa immaginare e certo non è piacevole ritrovarsi come CTU un collega con il quale si siano avuti contrasti di opinioni in un arbitrato o in una Collegiale extragiudiziaria. Certo non si può vietare ad un medico legale che sia iscritto all’Albo dei CTU, di svolgere attività medico legale anche in altri campi, ma si eviti almeno che un consulente di

Tagete n. 5-1996 Ed. Acomep

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compagnia di assicurazione possa essere CTU anche nelle quali la parte convenuta è una compagnia diversa dalla propria (per la propria è ovvio che interviene la legittima suspicio per una ricusazione). E i motivi dell’opportunità di tale limitazione non stanno principalmente in quei contrasti di opinione ai quali precedentemente si è fatto cenno, che egli possa aver avuto in altra occasione con i consulenti tecnici di parte (per lo più con il consulente di parte attrice, perché quello di parte convenuta è di solito un affine, cioè un altro consulente di assicurazione). Infatti contro eventuali collusioni, favoritismi, propensioni c’è comunque la probità personale sulla quale fare affidamento. Sta di fatto che i consulenti di assicurazione, più addentrati nelle necessità attuariali dell’impresa assicurativa e per direttive dall’alto non possono non acquisire un orientamento diffidente e restrittivo nella valutazione dei danni, che inconsciamente si trascinano poi anche contro la loro volontà quando si trovano a svolgere il ruolo di CTU. E viene a mancare comunque quella serenità di giudizio che invece è legittimo richiedere. Pertanto la proposta di contenerli nel ruolo che hanno prescelto e che hanno conseguito non è affatto peregrina. Darebbero forse alla CTU un contributo di esperienza, ma a scapito però di quell’equilibrio valutativo e di quella serenità di giudizio che sono ancora maggiormente irrinunciabili.

Tagete n. 5-1996 Ed. Acomep

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