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S Perché “troppo sale fa male”

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c o n g r e s s i

M.D. Medicinae Doctor - Anno XXV numero 3 - aprile 2018 35

S

ebbene risulti chiaro il ruolo dell’abuso di sale nello svi- luppo di danno vascolare attraverso l’aumento della pressio- ne arteriosa, vi sono dimostrazioni crescenti degli effetti nocivi dell’a- buso di sale sul rischio di eventi cardiovascolari, che appaiono indi- pendenti e additivi rispetto a quelli esercitati attraverso il solo incre- mento pressorio.

Uno studio condotto su ratti sodio- resistenti ha evidenziato che i ratti mantenuti ad elevato consumo di sale erano andati incontro ad infar- to cerebrale, senza una sostanziale variazione dei valori pressori.

In altri modelli sperimentali è risul- tato che un elevato consumo di sale promuove la produzione di ra- dicali liberi dell’ossigeno e lo stress ossidativo insieme all’aumento dell’aggregabilità piastrinica.

Questi risultati sono avvalorati an- che da studi clinici che hanno mo- strato gli effetti dannosi dell’elevato consumo di sale in particolare sulla massa cardiaca, sulla parete arterio- sa e a livello renale, conseguenze almeno in parte non spiegate dall’ef- fetto sulla pressione arteriosa.

Studi di tipo osservazionale hanno mostrato una relazione sfavorevole tra l’assunzione abituale di sale e la massa ventricolare sinistra, anche

indipendentemente dalla pressio- ne arteriosa. In aggiunta, uno stu- dio di intervento ha dimostrato la possibilità di una riduzione della massa ventricolare sinistra in iper- tesi attraverso la riduzione dell’ap- porto dietetico di sale, in parte indi- pendentemente dalla riduzione della PA. Allo stesso modo, anche lo spessore medio-intimale delle grandi arterie risulta specificamen- te sensibile alle variazioni dell’ap- porto di sale attraverso meccani- smi indipendenti dalla PA. Infatti, un elevato consumo di sale appare associato a modificazioni rilevanti dell’endotelio e della matrice extra- cellulare con incremento della rigi- dità di parete a livello aortico.

Uno studio longitudinale, condotto su pazienti con ipertensione lieve- moderata, valutando le variazioni del diametro e della rigidità arterio- sa sodio-indotte, ha mostrato che una dieta a ridotto contenuto di so- dio portava a riduzione dei valori pressori e ad un incremento di dia- metro dell’arteria brachiale.

È stato anche suggerito che una moderata riduzione del consumo di sale contribuisca alla riduzione della pressione centrale aortica e migliori l’elasticità delle grandi arterie ridu- cendo, quindi, la rigidità arteriosa.

Inoltre, studi di popolazione hanno

fornito una chiara evidenza dell’as- sociazione tra consumo abituale di sale ed escrezione urinaria di albu- mina (espressione di danno vasco- lare a livello renale), a sua volta predittore di insufficienza renale.

Infine, i risultati di studi prospetti- ci, hanno confermato l’effetto fa- vorevole della restrizione sodica in parte indipendente dalla pressione arteriosa: una differenza di circa 5 grammi di sale al giorno è risultata associata ad una differenza rispet- tivamente del 23% e del 17% nel rischio di ictus e malattie cardiova- scolari totali.

L’insieme di questi dati mette in lu- ce il ruolo causale dell’eccessivo apporto di sodio nel promuovere lo sviluppo di ipertensione arteriosa e nell’aumentare la prevalenza e l’in- cidenza delle malattie cardiovasco- lari, evidenziando quindi la necessi- tà di strategie nazionali per la ridu- zione dell’introito di sale allo scopo di prevenire tali patologie.

La relazione tra consumo di sale e danno cardiovascolare e metabolico è oggetto di confronto, anche alla luce di dimostrazioni crescenti degli effetti nocivi dell’eccessivo apporto di sodio.

Il tema è stato dibattuto anche a Nutrimi, XII Forum di Nutrizione Pratica di Milano

Ferruccio Galletti

Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università di Napoli Federico II Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa

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