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Il consulente tecnico d’ufficio (CTU) nel caso di responsabilità professionale per un intervento di chirurgia plastica

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Academic year: 2022

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Il consulente tecnico d’ufficio (CTU) nel caso di responsabilità professionale per un

intervento di chirurgia plastica

Prof. Alessandro Chini*

Il Magistrato mi ha posto, modificandoli ed adattandoli allo specifico caso in discussione, i seguenti quesiti:

"Esaminata la documentazione disponibile:

a) descriva la tipologia di intervento alla quale è stato sottoposto l'attore; quale stato patologico l'intervento mirava ad eliminare; se esistevano valide soluzioni alternative; se l'intervento ai fini della guarigione o del miglioramento era indispensabile, utile o superfluo;

b) dica se, dopo l'intervento, vi sia stato un peggioramento delle generali condizioni di salute dell'attore;

c) ove i fatti lesivi abbiano cagionato un peggioramento delle generali condizioni del soggetto rispetto a quelle preesistenti, indichi il grado percentuale di invalidità permanente determinato in base al baréme edito dalla S.I.M.L.A.;

d) dica se i postumi:

• impediscano del tutto l'attività lavorativa svolta all'epoca del sinistro;

• ovvero in quale modo la pregiudichino, omettendo di quantificare il pregiudizio in termini percentuali".

Esame della documentazione

Premesso che si tratta di una signora nata nel 1937, casalinga ma che collabora con il marito nella gestione di un bar latteria, dall'esame della copia della cartella clinica di ricovero, la paziente risulta essere stata ricoverata per una diastasi dei muscoli retti dell'addome (risulta dall'anamnesi che accusava senso di pesantezza alla deambulazione prolungata e dall'esame obiettivo una notevole diastasi dei muscoli retti dell'addome lungo tutta la loro lunghezza con cute rilassata ed anelastica) e sottoposta, non è chiaro se vi sia stata la effettiva sottoscrizione del formulario prestampato relativo al consenso " ... dichiaro di essere stato informato sia della necessità e/o opportunità di essere sottoposto ad intervento chirurgico, sia delle modalità dell'intervento stesso e degli eventuali rischi. Il sottoscritto accetta liberamente l'intervento indicato e solleva l'operatore da ogni responsabilità che non sia dovuta ad imperizia o negligenza...", ad intervento di plastica degli stessi.

Dall'esame di quanto dichiarato dal chirurgo operatore risulta che la predetta diastasi era causa della maggior parte dei disturbi accusati dalla paziente e che, lasciata a se stessa, sarebbe sfociata in un laparocele di notevole entità. Sempre secondo il chirurgo la situazione era pertanto chiaramente da correggere; le possibilità erano due: aprire l'addome con una incisione verticale e limitarsi alla plastica muscolo aponeuritica il che avrebbe dato una cicatrice non occultabile se non con un costume da bagno intero, lasciando inoltre il sovrappiù di pelle che la paziente lamentava e desiderava eliminare od intervenire con una addomino plastica completa che avrebbe comportato una cicatrice anche più lunga ma occultabile entro uno slip di media dimensione consentendo l'uso di un costume a due pezzi nonchè l'asportazione della cute

* Professore Titolare VI Cattedra Medicina Legale, Roma

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eccedente.

Il chirurgo ha infine riferito che la mattina dell'intervento, dopo le foto di rito e dopo aver illustrato alla paziente il tipo di operazione che intendeva effettuare mostrandole il disegno che ha riportato nella sua memoria difensiva (Fig. n. 1) ed averla informata dei rischi e delle possibili complicanze dello stesso, ha optato per l'intervento di addomino-plastica totale.

Esistono, tra la documentazione, anche dei pareri di Parte attrice: uno di un altro chirurgo plastico, uno di un neuropsichiatra ed uno di un medico-legale.

Secondo il primo la paziente gli avrebbe riferito di essersi rivolta al chirurgo plastico che l'ha successivamente operata per ottenere la correzione della globosità del proprio addome;

globosità che, dopo l'intervento, era ricomparsa, anche se in misura limitata, unicamente al manifestarsi di zone cicatriziali ipertrofiche e discromiche e, pertanto, confermando obiettivamente quanto riferito dalla paziente concludeva che, quanto meno dal punto di vista estetico, l'intervento non aveva certamente portato ai risultati previsti.

Secondo il neuropsichiatra, che ha visitato la perizianda nel gennaio 1997, la stessa è sofferente per sopraggiunte turbe psichiche (blocco psicologico e disturbo dell'adattamento con umore depresso nonchè paralisi del rapporto, anche sessuale, di coppia) secondarie ai cattivi risultati estetici del trattamento chirurgico ed infine lo specialista in medicina-legale che sostenendo l'esistenza di una responsabilità professionale del chirurgo operatore, sia per l'inadeguatezza del trattamento chirurgico effettuato, sia in riferimento alla parte estetica del trattamento stesso, sia per il mancato raggiungimento del risultato estetico concordato, valutava il conseguente danno biologico permanente (funzionale, estetico e psichico) in una percentuale pari al 19-20%.

Indagini Peritali

La scarsa documentazione a disposizione non consente di meglio definire il caso e la mancanza di un recente esame clinico limita la attuale obiettività a quello che emerge dalla visione della documentazione fotografica anch'essa, peraltro, tutt'altro che esauriente (N.3 fotografie).

La stessa consente di mettere in evidenza l'esistenza, oltre che dei bracci obliqui cicatriziali non localizzati nella plica inguinale ma sopra la stessa, di una cicatrice asimmetrica e di aree cicatriziali ipercromiche ed ipertrofiche nonchè di una modesta globosità della cute del segmento inferiore dell'addome maggiormente evidente nei suoi settori laterali.

Considerazioni medico-legali

Prima di arrivare alle conclusioni medico-legali è d'obbligo postulare le relative considerazioni e ripercorrere tutto l'iter logico attraverso il quale a quelle conclusioni si è giunti onde consentire al Magistrato di verificare oggettivamente la bontà o meno delle stesse.

Occorre innanzitutto precisare che, indipendentemente da quanto risulta dall'esame della copia della cartella clinica di ricovero, l'operatore, così come peraltro anche dallo stesso dichiarato e come si evince dal già citato disegno che lo stesso ha inserito nella sua memoria, non ha optato per un intervento di chirurgia plastica ricostruttiva finalizzato soltanto alla correzione di un difetto funzionale (diastasi dei retti addominali) ma per uno, a carattere estetico, che eliminasse anche e soprattutto la globosità addominale e la eccedenza cutanea distrettuale delle quali la paziente era portatrice e che la stessa desiderava rimuovere.

Non è infatti intervenuto operando una plastica muscolo-aponeurotica con duplicatio dei retti con o senza supporto protesico di rete o altro, secondo la tecnica di Fisch o simile (Fig. n. 2) ma intervenendo sul soggetto eseguendo un'addominoplastica totale per, come già detto, consentire anche e soprattutto la correzione dei difetti estetici, oltre che funzionali, dell'addome.

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In riferimento alla tecnica dallo stesso eseguita sembrerebbe essere stata praticata quella proposta da Regnault.

Infatti le linee di incisione e le relative cicatrici residue delle zone da scollare e delle parti da asportare, che sono spesso indicative della metodica scelta per alcune peculiarità che, non di rado, sono proprie di alcune tecniche, orientano, nella specie, appunto per il tipo di tecnica riferito (fig. 3 e 4) e, oltre tutto, sono praticamente sovrapponibili a quelle programmate dal chirurgo operatore (già citata fig. 1).

Il tracciato finale delle cicatrici è comune anche ad altre metodiche (in particolare a quelle di Vilain e Baroudi) ma, comunque, tutte queste variazioni sul tema, prevedono incisioni basse (che permettono di pervenire al piano fascio muscolare consentendo un'adeguata e giusta trazione) e con i bracci obliqui laterali nella plica inguinale e non, come nella specie, sopra la stessa.

Tenuto poi conto di quanto riferito dal Professionista in discussione ma soprattutto della obiettività registrata nella copia della cartella clinica di ricovero, l'intervento era indubbiamente utile e forse, se non indispensabile, certamente necessario, e, almeno per quanto attiene la correzione della diastasi dei retti, aveva finalità terapeutica, delineandosi così, civilmente, soltanto una obbligazione di mezzi che nella specie è stata soddisfatta ma, nello specifico, sussisteva anche un'obbligazione di risultato, quanto meno per la quota parte dell'intervento relativo alla eliminazione della globosità e della eccedenza eutanea addominali che la paziente desiderava eliminare, obbligazione di risultato che, sempre nella specie, non è stata invece soddisfatta.

A proposito di queste obbligazioni è noto come le attività della chirurgica plastica ricostruttiva e quelle della chirurgia estetica siano disciplinate da norme di diritto che hanno aspetti applicativi diversi nel campo della responsabilità professionale (obbligatorietà dei mezzi, per responsabilità extracontrattuale, nel primo caso e del risultato, per responsabilità contrattuale, nel secondo) essendo riconosciuta alla prima la finalità terapeutica che è negata alla seconda.

E' però altrettanto noto come la Dottrina medico-legale ritenga debba essere riconosciuta la finalità terapeutica, sia pure indiretta, anche alla chirurgia estetica quanto meno quando il dismorfismo da eliminare e/o migliorare è responsabile di stati psico-reattivi ad impronta patologica assimilando pertanto, in questi casi, la chirurgia estetica a quella plastica ricostruttiva anche se tale orientamento non ha trovato pieno e specifico riscontro nella Dottrina giuridica e nella Giurisprudenza.

Il carattere terapeutico della finalità è comunque subordinato, ovviamente, al concetto di malattia ed a questo proposito non si può non ricordare che sull'alterazione dello stato di salute sta gradualmente affermandosi, anche in campo medico legale, la definizione adottata dall'OMS, che privilegia il benessere psicofisico e sociale rispetto all'assenza dello stato di malattia.

Pertanto, anche gli interventi a finalità estetica, andando incontro ad esigenze consensuali a questa peculiare condizione "bio-sociale" che pur è di natura largamente e imprescrutabilmente soggettiva rientrerebbero in questa amplissima dimensione dell'area sanitaria promossa dall'OMS.

Nondimeno, non è sostenibile che ogni e qualsivoglia carenza soggettiva di benessere corrisponda invariabilmente ed effettivamente a disturbi francamente patologici e che il

"disagio" che si vuole vedere esplicitamente o implicitamente sotteso alla richiesta di una correzione chirurgica delle proprie fattezze assuma sempre un reale risalto clinico e nosologico.

Andrebbe pertanto sistematicamente imposto o quanto meno consigliato, come già riferito, un appropriato approccio diagnostico e terapeutico sul versante psicologico.

Nel caso specifico però, comunque, non sembra sia stata effettuata alcuna indagine nè clinica nè strumentale che possa far rientrare il caso in discussione in questo tipo di pazienti.

Suscitano comunque, dal punto di vista medico-legale, qualche perplessità i postumi

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evidenziati a livello della cicatrice addominale ed in riferimento alla modesta globosità distrettuale ricollegabili ad una condotta professionale per alcuni aspetti non corretta indipendentemente dalla prospettabile obbligatorietà o meno del risultato.

I bracci obliqui laterali sono visibili al di sopra di quella plica inguinale dove, invece, dovevano essere posizionati e questa dislocazione può trovare la sua giustificazione, così come la asimmetria della cicatrice e le aree di ipertrofia ed ipercromia e cos come sostenuto dal chirurgo operatore, in una eccessiva trazione cutanea con conseguente anomala sottigliezza della cute e sofferenza del microcircolo periferico. Eccessiva trazione cutanea che potrebbe essersi verificata in quanto nell'incisione tegumentaria non è stato verosimilmente interessato anche il piano fascio-muscolare cosa che avrebbe consentito il verificarsi di una adeguata e corretta trazione; la stessa patogenesi può essere poi invocata per giustificare le aree cicatriziali ipercromiche ed ipertrofiche.

Se si fosse certi dell'assunto bisognerebbe riconoscere che la eccessiva trazione, come giusta causa del quadro oggi obiettivato, non sarebbe certamente valida in quanto conseguenza di un tecnicismo non corretto (è noto, oltre tutto, come qualsiasi sutura è controindicata in presenza di tessuti sotto trazione) e, pertanto, si dovrebbe parlare di danno iatrogeno ma non si può non pensare anche alla possibilità di trovarsi di fronte non ad un danno iatrogeno ma ad un pregiudizio legato al substrato biologico e ad una reattività individuale caratteristici della perizianda.

La causa della modesta globosità della cute del segmento inferiore dell'addome maggiormente evidente nei suoi settori laterali, anche in mancanza del dato palpatorio, non è individuabile con certezza pur essendo ipotizzabile, ma soltanto ipotizzabile, che si possa essere verificata una steatonecrosi con esito in fibrosi cicatriziale.

Dato che, comunque, i postumi in discussione sono legati ad un intervento soprattutto a finalità estetiche, a prescindere dalla certezza o meno dell'esistenza di presupposti che potrebbero far configurare la condotta professionale non corretta per imperizia e imprudenza, la responsabilità professionale (contrattuale) potrebbe derivare, come già detto e come giurisprudenza prevalente se non costante indica, dal non essersi verificato il risultato che ci si era proposti di raggiungere.

A questo proposito ricordo come in quasi tutte le documentazioni, a cominciare dalla memoria difensiva, si fa riferimento, in forma variamente manifesta, al risvolto estetico dell'intervento. Lo stesso chirurgo, fa chiaramente capire quali motivi l'abbiano indotto a scegliere, fra le tante esistenti, una tecnica trasversale con incisione bassa. Non si vedrebbe altrimenti la ragione di rinunziare ad una incisione xifo-pubica e con essa, alla possibilità di arrivare direttamente ed agevolmente sulla descritta diastasi dei retti, sulla quale eseguire una facile e sicura sintesi chirurgica, senza scollamento del tegumento addominale e conseguente ipotesi di eventuale ematomi, sieromi... La scelta della metodica trasversale con scollamento e trazione del tegumento addominale, eliminando l'inesteticità addominale potrebbe rappresentare un gesto di maggior disponibilità del chirurgo a cogliere un aspetto dell'intervento gratificante per la paziente, inteso però come possibilità accessoria. Appare però più credibile che la effettiva richiesta della paziente fosse quella di correggere l'inesteticità addominale, e che la correzione muscolare sia stata eseguita in quanto irrinunciabile integrazione della correzione tegumentaria. Si potrebbe così spiegare anche la riferita ma non documentata componente psico-patologica a sfondo depressivo scaturita dalla constatazione dell'insuccesso chirurgico;

reazione particolarmente immediata e viscerale in quanto legata ad un danno estetico e ad un sempre riferito impoverimento della valenza sessuale nel rapporto di coppia.

Il tutto a parte la considerazione che non appare chiaro se sia stato fornito il necessario ed indispensabile consenso che, nella specie, oltre tutto, doveva essere, secondo il prevalente orientamento in materia, particolarmente informato.

Premesso che, comunque, la problematica è soltanto in parte di interesse medico-legale in

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quanto la stessa rientra in una sfera di competenza squisitamente giuridica per cui se ne lascia il giudizio al Magistrato giudicante, lo scrivente ritiene di dover fare alcune precisazioni sull'argomento.

A prescindere che non è chiaro, come già detto, se il formulario prestampato relativo al consenso allegato alla documentazione esaminata sia stato o meno regolarmente controfirmato, lo scrivente sull'argomento è del parere, contrariamente a quella che è l'attuale tendenza della maggior parte degli studiosi, giuristi e medici, che si occupano dell'argomento, che l'informativa debba avere carattere generale definendo però, con precisione, non tanto la entità della gravità del rischio quanto il rapporto rischio operatorio beneficio e non entrare nel merito di tutti gli aspetti relativi all'intervento del quale si chiede il consenso quali gli aspetti propri, dell'operazione della quale lo si richiede, gli effetti collaterali sicuri, probabili e possibili, l'entità del dolore e le conseguenze ragionevolmente prevedibili per il genere e/o categoria di intervento e/o per le eventuali singolarità patologiche del singolo paziente.

Il tutto anche perché è estremamente difficile, se non impossibile, che possano essere soddisfatte tutte le modalità che la richiesta di un tal tipo di informazione comporta cioè un linguaggio da parte del Sanitario richiedente, chiaro, facilmente intelligibile da chiunque, scevro da espressioni tecniche, rapportato alla cultura, preparazione psichica, qualità umane ed intellettuali del paziente e comparato alla vita professionale e di relazione del singolo.

Tutto questo comporterebbe, in particolare per gli interventi di chirurgia estetica, un non facile e complesso e non so neanche quanto giuridicamente consentito studio del profilo fenomenologico del paziente, studio che, peraltro, nella complessiva valutazione delle fattibilità dell'intervento, assume particolare importanza in quanto si va ad incidere su di un terreno particolarmente insidioso non solo per le ordinarie insufficienze organiche, sistemiche e distrettuali in genere ricorrenti ma anche per i più che probabili velleitarismi psico- comportamentali innescati da un difettosa percezione della realtà personale e interpersonale.

E per tornare al caso specifico il tutto, ammessa e non concessa la sua fattibilità, anche nel sospetto di non aver ottenuta la piena garanzia di un consenso valido, avrebbe potuto e forse dovuto orientare il chirurgo a declinare la propria disponibilità all'intervento quanto meno per quanto si riferiva alla parte estetica dello stesso posto che la paziente, verosimilmente, ambiva a risultati forse non alla portata delle risorse tecniche attualmente conosciute ed accettate dalla Dottrina specialistica.

Ritornando all'eventuale danno medicolegalmente rilevante in rapporto causale con l'intervento in discussione occorre precisare che, purtroppo, non essendo a conoscenza di quale effettivamente fosse lo stato di salute anteriore della perizianda, è impossibile rispondere, motivatamente, se nella specie vi sia stato o meno un peggioramento dello stesso.

Non vi è dubbio però che, tenuto anche conto della poca documentazione a disposizione, dovrebbe essere negato un tale peggioramento quanto meno in riferimento alla diastasi dei retti che l'intervento avrebbe totalmente corretto come dimostrato da una ecotomografia dell'addome, successivamente, praticata e che ha messo in evidenza l'assenza di soluzioni di continuo dei muscoli della parete addominale.

Il peggioramento, oltre al non conseguito miglioramento estetico, potrebbe invece essere invocato soltanto per le anomalie evidenziate a livello cicatriziale in quanto la globosità attuale è invero modesta e, con ogni verosimiglianza, di entità minore di quella lamentata dall'attrice prima dell'intervento chirurgico e che ne aveva determinata l'attuazione.

Venendo ora alla valutazione del danno estetico occorre ricordare come la sussistenza di un tal tipo di pregiudizio, per essere considerato risarcibile, richieda il superamento di una soglia di apprezzabilità: l'esito, cioè, deve segnare in maniera negativa la fisionomia del soggetto ad una osservazione generica e non mirata.

Per la sua valutazione si dovrà pertanto considerare indubbiamente la sede ma anche la sua emendabilità, l'eventuale ripercussione funzionale ed i possibili risentimenti di ordine psichico.

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Su questi tre parametri non si può esprimere un giudizio motivatamente corretto essendo a disposizione dello scrivente soltanto documentazione cartacea peraltro scarsa ma, da quel poco che dall’esame della stessa è possibile estrapolare, nessuno dei tre sembrerebbe nella specie sussistere.

Non è emendabile sembrando controindicato un ulteriore intervento su zone già sede di anomalie e nel sospetto di una particolare reattività biologica della paziente; non ha ripercussioni disfunzionali ed anche il danno psichico (disturbo dell’adattamento con umore depresso), pur se certificato da un neuropsichiatra che ha visitato la perizianda poco dopo l'intervento, non può essere acriticamente accettato per una serie di motivi.

In primo luogo perché è poco verosimile che sia possibile enunciare una diagnosi psichiatrica in una sola visita per quanto approfondita sia e pur se effettuata da Specialista di grande professionalità.

In secondo luogo perché la predetta visita è stata praticata poco tempo dopo un evento verosimilmente stressante per cui l'eventuale relativo disturbo necessita, per essere classificato come danno permanente, di una sua persistenza nel tempo per non confondere una normale e giustificata ma comunque transitoria reazione di sconforto con un vero pregiudizio psichico irreversibile. Infine, perché nei soggetti che si sottopongono ad intervento di chirurgia estetica non raramente sono ravvisabili quanto meno condizioni predisponenti a particolari reazioni psichiche e nella specie non sembra sia stato attuato quell'approccio psicologico preoperatorio che lo scrivente ha sempre consigliato e consiglia a tutti gli operatori del settore e che dovrebbe, anch'esso, motivatamente condizionare l'accettazione o meno del Professionista alla disponibilità all'intervento salvo, ovviamente, quei casi limite ai quali già in precedenza si è fatto riferimento di conclamate malformazioni somatiche o di grossolane lesioni deturpanti.

Ritornando quindi alla valutazione del danno estetico e tenuto conto, come da quesito, delle tabelle proposte dalla S.I.M.L.A. nel 1996, occorre ricordare che nelle stesse il danno estetico, espressione non soltanto dei tratti del volto e della mimica facciale ma anche dell'insieme degli attributi esteriori della persona di ordine morfologico e funzionale, che concorrono a caratterizzarla, è stato ripartito in fasce caratterizzate rispettivamente dalle aggettivazioni "da pressoché nullo a molto lieve", "da lieve a moderato", "da moderato a importante" e "da importante a molto importante" anche sulla base della componente oggettiva e della sua rilevabilità per le quali vengono ovviamente privilegiate il volto, successivamente il collo e le zone di attrazione sessuale e, infine gli arti ed il tronco.

La sua massima valutazione è stata stabilita in una percentuale del 35% in quanto le alterazioni anatomiche alla base di menomazioni tanto gravi da superare tale soglia indicativa, è difficile non si accompagnino a marcati perturbamenti funzionari per cui la stima diventa globale.

Naturalmente il processo valutativo dovrà anche tener conto di correttivi da applicare in funzione soprattutto del sesso e dell'età e, comunque, di quanto altro conduca ad una valutazione personalizzata: questi correttivi, peraltro, consentiranno oscillazioni in eccesso od in difetto non superiori al 30% delle indicazioni di fascia.

Nelle stesse, infine, il danno estetico al tronco, è stato considerato soltanto nelle prime due (classe I: uguale o inferiore al 5%; classe Il: 6-10%) a seconda della presenza, rispettivamente, di "cicatrici lineari di grandi dimensioni al tronco" o di "estese aree cicatriziali al tronco" ma contemporaneamente, per quanto attiene la componente oggettiva (sede e rilevabilità) l'interessamento delle zone di attrazione sessuale viene inserita subito a ridosso del volto e prima di tronco ed arti.

Tutto ciò premesso appare evidente come, nella specie, il danno estetico debba essere definito con una percentuale, tenuto anche conto dei correttivi relativi al sesso ed all'età della perizianda, oscillante intorno al 10%.

Ricordato che la perizianda è una casalinga che collabora con il marito nella gestione di un

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bar-latteria, non è postulabile alcun pregiudizio di tale attività a motivo della presenza del danno estetico obiettivato e valutato in quanto lo stesso non ha carattere disfunzionale e non è apprezzabile "ictus oculi".

Conclusioni

Concludendo, presa visione della documentazione disponibile, posso, anche sulla base delle considerazioni medico-legali postulate, così rispondere ai quesiti posti dal Magistrato:

a) la perizianda è stata sottoposta ad intervento di addomino-plastica totale secondo la tecnica di Regnault allo scopo di eliminare un pregiudizio disfunzionale da diastasi dei muscoli retti dell'addome ma soprattutto un disestetismo da globosità addominale con eccedenza cutanea distrettuale. In alternativa poteva essere praticata, secondo tecnica di Fisch, una plastica muscolo aponeurotica che avrebbe però sanato soltanto la parte disfunzionale (diastasi) ma, comunque, ai fini della guarigione e/o del miglioramento del quadro disfunzionale, l'intervento può essere considerato utile;

b) dopo l'intervento non vi è stato un peggioramento delle generali condizioni di salute dell'attrice, essendo stata la diastasi dei muscoli retti eliminata, ma soltanto un pregiudizio del suo patrimonio fisiognomico;

e) tale ultimo pregiudizio comporta una riduzione dello stato di salute dell'istante percentualizzabile in misura oscillante intorno al 10%;

d) detti postumi non pregiudicano in alcun modo l’attività lavorativa svolta dalla perizianda all'epoca del sinistro.

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