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Intervento chirurgico o esame diagnostico: il consenso informato

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Intervento chirurgico o esame diagnostico: il consenso informato

written by Maura Corrado | 23/12/2016

Prima di un intervento chirurgico o di un esame diagnostico, il paziente deve essere informato su caratteristiche, rischi e finalità dell’operazione. Si tratta del consenso informato.

Consenso informato: cos’è?

A molti di noi sarà sicuramente capitato, prima di sottoporci a un intervento chirurgico o a un esame particolare, di firmare un foglio con una serie di dati. Ma cosa stiamo firmando esattamente? Si tratta del cosiddetto consenso informato, presupposto per la legittimità dell’attività medica: nessuno, infatti, può essere sottoposto a trattamenti medici o terapie, più o meno invasive, contro la sua volontà [1]. Naturalmente, ciò non esonera il medico e la struttura dalle proprie responsabilità disciplinari, civili e penali, in caso di eventuale errore o negligenza

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professionale.

Tale consenso deve essere:

consapevole: significa che chi è chiamato a prestarlo deve prima essere adeguatamente informato sulle caratteristiche, sui rischi e sulle finalità dell’intervento, tenendo conto del suo livello culturale e delle capacità di discernimento;

esente da vizi della volontà (errore, violenza, dolo);

libero, o meglio manifestato esplicitamente con un libero atto di volontà.

Ciò significa che, per essere libera, la volontà del paziente deve potersi manifestare con congruo anticipo rispetto all’intervento. Ad esempio, una firma raccolta al momento della preanestesia su un modulo che il paziente non ha neppure il tempo di leggere, non costituisce valido consenso;

revocabile: una volta concesso, il paziente deve essere libero di ritirarlo in qualsiasi momento.

Nel caso in cui il soggetto interessato non sia nelle condizioni di esprimere validamente il consenso, questo dovrà essere prestato da chi sia stato delegato in tal senso; nel caso di minorenni il consenso va espresso dal soggetto che esercita la responsabilità dei genitori.

Consenso informato: cosa deve sapere il paziente?

Per quanto riguarda le informazioni che devono essere fornite al paziente, comprendono:

diagnosi, prognosi, prospettive terapeutiche e possibili conseguenze;

modalità e rischi dell’intervento;

esperienze e casistica dell’unità operativa;

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rischi e benefici insiti nella terapia proposta;

opinioni sulla modalità terapeutica proposta, in relazione a casi analoghi già verificatisi;

tecniche e/o terapie alternative.

Allo stesso modo, si dovrà comunicare al soggetto interessato che il consenso prestato può essere revocato in ogni momento e che, nel caso in cui abbia dubbi ulteriori, potrà sempre chiedere ed ottenere qualsiasi ulteriore informazione, in modo da renderlo consapevole di ogni aspetto del trattamento al quale verrà sottoposto.

Consenso informato: vale anche per i farmaci?

Quanto appena detto sul consenso informato in caso di trattamenti diagnostici, terapeutici e chirurgici, vale, in linea di principio, anche per quanto riguarda la scelta dei farmaci. Se è vero, infatti, che la scelta del medicinale da somministrare spetta al medico, è vero anche che assumere un farmaco piuttosto che un altro non è indifferente per il paziente: si pensi ai farmaci bio-equivalenti (quelli, cioè, che hanno uguale principio attivo, dosaggio, somministrazione, ecc…), il cui costo può essere diverso. Con la prescrizione del medico, il cittadino si può recare in farmacia a ritirare il farmaco: il farmacista è tenuto a suggerire il farmaco equivalente (per approfondimenti sul tema Aste per i farmaci equivalenti: 1500 farmaci a rischio di rimborso) al prezzo più basso. A questo punto, è il cittadino a dover scegliere: se accetta il suggerimento del farmacista, non paga nulla (salvo l’eventuale ticket regionale); se, invece, vuole il farmaco più costoso prescritto dal medico, deve pagare la differenza fra i prezzi dei due prodotti.

Quando, dunque, si dice che il consenso informato vale anche per i farmaci,

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significa che occorre stimolare un atteggiamento critico e attivo da parte del cittadino, che deve essere reso consapevole della possibilità di scegliere tra farmaci bio-equivalenti ma di differente prezzo. E qui è fondamentale il ruolo del medico di base che deve illustrare al paziente le caratteristiche del farmaco che prescrive e le ragioni della sua sostituibilità o meno con altro farmaco generico. In tal modo, il cittadino ha la possibilità di valutare consapevolmente la terapia e di prestare un consenso informato in ordine alla scelta del farmaco.

Consenso informato: come prestarlo?

Il consenso informato deve essere sempre espresso in forma scritta, sottoscrivendo un modulo prestampato che contiene le avvertenze principali riguardo al trattamento che verrà praticato: si comprende che si tratta si una cautela necessaria soprattutto nell’ipotesi in cui venga messa in discussione l’esistenza del consenso medesimo e occorre fornire la prova che il paziente si sia sottoposto volontariamente al trattamento.

Consenso informato: che fare nei casi d’urgenza?

Non sempre è facile conciliare la regola del consenso informato con la realtà quotidiana che il medico deve affrontare: e questo, in particolar modo, in caso di urgenza, cioè in tutte quelle situazioni in cui si è in presenza di un soggetto che non è in grado di formulare l’assenso e la cui salute è in pericolo. Come deve comportarsi il medico in situazioni simili? Deve aspettare col rischio di compromettere il buon esito della sua attività e la salute del soggetto? La regola è che egli è tenuto ad intervenire e la sua attività è pienamente legittima: sia il codice civile, sia il codice penale, infatti, garantiscono i sanitari che intervengono in caso di necessità e urgenza, cioè per salvare una persona da un rischio grave e

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imminente per la sua salute [2].

Consenso informato: che succede se manca?

Nel momento in cui il paziente presta il suo consenso, si dà per certo che egli abbia compreso e accettato tutte le complicanze ipotetiche del trattamento a cui si sottopone. Ovviamente, se il trattamento non è eseguito correttamente si apre la possibilità di richiedere il risarcimento del danno.

Se, invece, il trattamento è eseguito correttamente, il verificarsi di una complicanza non comporta per il medico e per la struttura una responsabilità per danni.

Discorso ancora diverso se l’informativa non è stata completa, cioè quando al paziente non è stato comunicato che da quel determinato intervento/trattamento può derivare una complicanza che poi effettivamente si verifica. In questa ipotesi, per il medico e per la struttura si determina una responsabilità per danni con riferimento a quelle conseguenze tipiche dell’intervento che si verificano e rispetto alle quali il paziente non è stato correttamente informato.

Da un punto di vista penale, infine, qualunque intervento diagnostico, terapeutico o chirurgico, eseguito senza il consenso dell’interessato configura, determina conseguenze rilevanti a livello penale: a seconda dei casi, potrà configurarsi il reato di lesioni personali [3] o quello di violenza privata [4].

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