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L'universalità del sentimento

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Academic year: 2022

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Grazie in anticipo e buon cammino per il 2021.

La Redazione!

Fondata a Pola il 29.07.1945 – Mensile di attualità, storia e cultura giuliano-dalmata – Organo dell’Associazione Italiani di Pola e Istria - Libero Comune di Pola in Esilio Direttore responsabile: Viviana Facchinetti – Redazione: Via Malaspina 1, 34147 Trieste – Cell. (0039) 388 8580593 – redazione.arena@yahoo.it - www.arenadipola.it Quote associative annuali: Italia ed Europa € 35,00, Americhe € 40,00, Australia € 40,00, da versare sul conto corrente postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola, Via Malaspina 1, 34147 Trieste, o tramite bonifico bancario intestato a Libero Comune di Pola in Esilio, Via Malaspina 1, 34147 Trieste; IBAN dell’UniCredit Agenzia Milano P.le Loreto

IT 51 I 02008 01622 000010056393; codice BIC UNCRITM1222 – Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste per la restituzione al mittente previo pagamento resi L’ARENA DI POLA – Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1.061 del 21.12.2002 Anno LXXVII 3.449 – Mensile n. 1 del 30 GENNAIO 2021

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Iniziativa realizzata

con il contributo del Governo italiano ai sensi della Legge 72/2001 e successive proroghe POSTE ITALIANE SPA

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n° 46), art. 1, comma 2, DCB Trieste

Luci e ombre dell'attesa

Buon Anno

N

on si sono quasi ancora sopiti i sospiri di augu- rale speranza per un nuovo anno, capace di far dimenticare la pesantezza sopportata nei 12 mesi appena trascorsi. Eppure, non sembra che molto sia cambiato. Non esistendo fra un calendario vecchio ed uno nuovo un divisorio a prova di intrusione, non ci rimane che rimanere in fiduciosa attesa di veder sfumare quanto di spiacevole è sconfinato dal famigera- to 2020. Un lungo periodo di incertezza, e talora di pau- ra, ci ha universalmente accomunati. Lo stiamo ancora vivendo, in un'alternanza di luci ed ombre, di speranze e delusioni, conseguenti alla pandemia, che nel suo anda- mento ondulatorio sussultorio, purtroppo ha ormai già superato l'anno di vita. Le prove un po' in tutto il mondo non sono mancate. Dallo scorso marzo è tutto un aggiu- stamento ed un rinvio. La soluzione è ancora un pio de- siderio, anche se forse un po' di maggior attenzione e minor supponenza da parte di tutti

potrebbe aiutare. Il ritornello del tutto andrà bene è ormai scaduto e l'agen- da di programmi e progetti è rimasta con molte pagine bianche, nonostan- te dobbiamo prender atto che, per fortuna, sono volate le cicogne e qualche altra piccola grande soddi- sfazione è riuscita a varcare delle so- glie.

Per noi dell'Arena era questo il tempo in cui ci si aggior- nava sugli eventi in programma per l'imminente Giorno del Ricordo; erano i giorni in cui cominciava il tempo a scalare per l'atteso ritrovarsi a Pola; si guardava alle ini- ziative della Mailing List Histria; agli appuntamenti cultu- rali, alla realizzazione di vari concorsi e premiazioni...

Ricordiamo che assistere ad uno spettacolo a teatro, vedere un film al cinema, ascoltare la musica preferita dal vivo, non è solo nostro gradimento personale, ma significa cominciare ad avviare a soluzione problemi economici e sociali diretti ed indiretti. È successo però che non sempre la lista delle intenzioni incombuste si è arresa del tutto al micidiale Covid 19 e, nonostante le li- mitazioni, la tecnologia ha dato prova di poter essere un po' d'aiuto. Anche di quei tanti che, cocciutamente rifiu- tavano per principio il benché minimo tentativo di ap- proccio ai dispositivi informatici. Un click non può certo sostituire una stretta di mano, il calore di un abbraccio o la conversazione in presenza. Eppure, appuntamenti burocratici a parte, quel click per le riunioni online si è dimostrato sempre più frequentemente valido supporto per conferenze, presentazioni di libri, convegni, lezioni, unendo virtualmente persone interessate all'evento; ri- solvendo talora il problema della difficoltà negli sposta- menti. La moltiplicazione delle visualizzazioni lo confer- ma. Ancora un clik ha consentito recentemente una vir- tuale ma sentita partecipazione alle iniziative per la Giornata della Memoria. Si stanno preparando quelle per il Giorno del Ricordo.

Una finestra sulla speranza sembra potrà aprirsi con l'arrivo delle vaccinazioni. Forse la carrellata di pro- grammi sfumati potrà rientrare. E invece di aspettarci il canto del cigno, potremo tornare a sentire il melodioso canto degli usignoli. VF

... in questo numero

Il 7 gennaio ricorreva il 224° anniver- sario della Giornata nazionale della Bandiera, un simbolo codificato nell'ar- ticolo 12 della Costituzione italiana che ne definisce la foggia: "verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni". Nel messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la ricorrenza, il richiamo ai valori di unità, libertà, democrazia,

solidarietà. «Il Tricolore» si legge nella dichiarazione pub- blicata sul sito del Quirinale, «come forse mai accaduto di recente in maniera così intensa, ha saputo rappresentare la nostra identità, il sentimento di coesione di un popolo che vuole guardare avanti, senza dimenticare le sofferen- ze provocate dalla pandemia, ma con la volontà di riparti- re». La bandiera della Repubblica italiana nasce a Reg-

gio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispada- na, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, decreta "che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori verde, bianco e rosso, e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti". Dall'epo- ca napoleonica, al Risorgimento, all'U- nità d'Italia fino ad arrivare alla nascita della Repubblica. I tre colori sono stati un emblema di libertà giunto ai nostri giorni con il riconoscimento ufficiale nel decreto legislati- vo presidenziale del 19 giugno 1946 che stabilì la foggia provvisoria della nuova bandiera, confermata dall'As- semblea Costituente nella seduta del 24 marzo 1947 e inserita all'articolo 12 della nostra Carta Costituzionale.

Paolo Valerio e la nostra storia

PAGINA 2

Una giovane redazione attiva

PAGINA 3

Pola, il primo bombardamento

PAGINA 8

La capitale europea della cultura 2025

PAGINA 12

L'universalità del sentimento

dal sito del Ministero dell'Interno

Festa del Tricolore, 224° anniversario

Nella Bandiera l'unità nazionale, la forza di un popolo sempre pronto ad affrontare le sfide dei tempi

Rinnovi e quote

Ancora una volta il nostro grazie va alla brillante creatività di Riccardo Lenski, subito disponibile a realizzare l’illustra-

zione per la prima pagina dell’anno della nostra Arena

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2

L’ARENA DI POLA n. 1 del 30 GENNAIO 2021

È Paolo Valerio il nuovo direttore

del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia

Subito al lavoro con un progetto attento alla nostra storia

A

vevamo avuto modo di apprezzare Paolo Vale- rio nel corso della teleconferenza su d'Annunzio e Fiume (di cui riferiamo in altro articolo di que- sta pagina, n.d.r.), di poco antecedente alla nomina dell'attore regista a direttore del Teatro stabile del Friu- li Venezia Giulia. Pochi giorni dopo, con disponibile cordialità, ha accettato di avere con noi un incontro te- lefonico. Immediate le sue parole di soddisfazione per l'avvio, quasi a sorpresa, del “nuovo progetto di vita”

che da Verona l'ha portato in veste di direttore al Poli- teama Rossetti di Trieste. “E' una città che amo molto e ringrazio per il prestigioso incarico” - l'esordio della conversazione, in cui ricorda il suo legame di lunga data con Trieste e con il Rossetti, teatro in cui anni ad- dietro ha portato lo spettacolo “Il deserto dei Tartari”. Si trattava dell'adattamento teatrale del capolavoro di Di- no Buzzati, ispirato alla rilettura del testo contenuto nel libro “Un romanzo a lieto fine” (Ancora ed.) a firma Lu- cia Bellaspiga. “Una grande e carissima amica, che in quel contesto fu per me musa ispiratrice” - sottolinea, ricordando oltre alla loro comune passione per il ver- satile autore bellunese, anche i significativi ruoli rive- stiti nell'opera dal tempo e da una meta a cui tendere.

“Nella vita avere un sogno è già una grande gratifica- zione, che dà un senso all'esistenza; non averne, per l'uomo significa mancanza di grandi stimoli” - ribadisce, riferendosi al pensiero di Fernando Pessoa. È una pas- sione quella di Paolo Valerio per la regia teatrale e per

“l'infinito Buzzati”, da lui tradotta negli anni in copioni di livello, quali 7 piani o Poema a fumetti. Nell'avvincente carrellata dei lavori portati in scena con la sua regia, c'è anche la trasposizione di Jezabel, dal romanzo di Iréne Nèmirovsky, la scrittrice russo ebrea morta ad Auschwitz.

Il riferimento a quella tragedia del 900 ci porta a rivolger- ci alla sensibilità drammaturgica del regista di fronte ai

L'ATTUALITÀ

C

ome informa Mauro Manca diret- tore dell'ecomuseo EGEA, è sta- to approvato, in concerto con la Soprintendenza, il progetto definitivo per l'omonimo contenitore espositivo di Fertilia, nuovo tassello dell'Ecomuseo

del Parco Naturale Regionale di Porto Conte, ospitato nei terreni delle ex officine Egas di Fertilia. A breve co- minceranno dunque i lavori del primo museo in Italia dedicato interamente all’Esodo Giuliano Dalmata: un luogo di narrazione ambientale e storica dedicata agli esuli e alle ricchezze natu-

ralistiche del territorio che li ha accolti nel secondo dopoguerra. Il Museo sarà un percorso strutturato ad anello, con una parte espositiva en plen-air e una allestita all’interno dell’unico fabbricato pre- sente. Protagoniste indi- scusse dell’esposizione, saranno le testimonianze di tante persone comuni, approdate a Fertilia con solo una valigia e pochi beni essenziali: attraverso i loro racconti sarà possibi- le conoscere meglio una pagina sofferta della sto- ria, a tutti gli effetti storia della città. Fili che si intrec- ciano in una rete casuale,

così come casuali erano le destinazioni a cui venivano assegnati gli esuli. E proprio l’intreccio di fili sarà il moti- vo dominante dell’ecomuseo EGEA, a simboleggiare da una parte la separazione violenta dalle proprie radi- ci, dall’altra l’incertezza del futuro. Solo alla fine del percorso, caratterizzato dai racconti degli esuli e dal

forte desiderio di riscatto, si giungerà al superamento ideale delle difficoltà che hanno caratterizzato l’arrivo delle fami- glie giuliane, fiumane e dalmate a Ferti- lia. Dopo essersi inoltrati all’interno dell’unico edificio presente, completa- mente immerso nel buio, una finestra si aprirà sulla cal- ma della laguna, regalando una vista privilegiata sui due ponti simbolo del vecchio e del nuovo, di una ritro- vata armonia e un rinnovato senso della comunità.

Dedicato al Parco Naturale Regionale di Porto Conte, a Mouse ADV, a Uno Srl, a ConsulMedia srl, a ALLDI- GITAL e a tutti gli Enti e professionisti coinvolti nel Progetto EGEA, firmano il loro grazie: gli ideatori e promotori:Cooperativa So- lomare, Mauro Manca, Fe- derico Marongiu, Elena Fustini; i progettisti: archi- tetti Stefano Govoni, Diego Masala, Diego Polese; per il progettto museologico Mauro Rossetto; il comita- to scientifico: Mauro Ros- setto, Stefano Govoni, Ma- riano Mariani, Rossella Calabrese, Luisa Morettin, Stefano Tedde, Marisa Brugna, Michele Rosa, Giovanni Tomazzoni.

Fertilia ed il museo Egea

Un progetto in crescita

periodi di oscurantismo del secolo scorso. “Un anno fa, al teatro Nicolini di Firenze” – ci spiega - ho messo in scena uno spettacolo molto intenso, dal titolo Molecole:

era la riscrittura da parte di Luigi Dei - Magnifico Rettore dell'Università fiorentina, chimico – del testo di Cerio, brano in cui Primo Levi racconta di essersi salvato dal campo di concentramento grazie alla chimica”. Chiedia- mo a Valerio di parlarci anche della pièce da lui scritta sul dramma sopportato dalle genti istro-dalmate-quarne- rine. “Era appena stato istituito il Giorno del Ricordo. Di quella tragedia, fino ad allora, poco si conosceva e poco

O

rganizzata dalla Federa- zione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiu- mani e dalmati insieme ad altre associazioni culturali ed istitu-

zioni di ricerca, lo scorso dicembre ha avuto luogo la teleconferenza "d'Annunzio e Fiume a 100 anni dall'impresa: un labo- ratorio di idee ed utopie". Anche se condi- zionato dalle limitazioni conseguenti alla pandemia in corso, grazie al supporto tec- nologico lo svolgimento dell'incontro, può essere rivisto, anche attualmente, colle- gandosi con i sotto indicati link

https://www.facebook.com/limesclubvero- na/http://bit.ly/3pxEtiZ

Moderatore al virtuale tavolo dei relatori l'avvocato Mattia Magrassi (Presidente del LimesClub Verona), un messaggio di saluto è stato portato da Massimo Mariotti - presidente di SerIT (ente patrocinatore e sostenitore dell’iniziativa). Paolo Valerio, neo nominato direttore del Teatro Stabile

del Friuli Venezia Giulia e al tempo direttore del Teatro Sta- bile di Verona, è intervenuto con alcune letture, tra cui un brano di Tommaso Marinetti sui momenti antecedenti l’impresa di Fiume e vari passi dai discorsi di d'Annunzio. Il se- minario è stato anche occasione per pre- sentare tre volumi di recente pubblicazio- ne, imperniati sul tema dell'incontro: “La Costituzione secondo d'Annunzio” di Giu- seppe de Vergottini (Luni), “La città di vita cento anni dopo” a cura di Davide Rossi (Cedam),”La sola ragione di vivere” a cu- ra di Emanuele Merlino (Passaggio al Bo- sco). A trattare le tematiche in program- ma, oltre ai curatori dei volumi e ad alcuni autori dei contributi raccolti, sono interve- nuti il prof. Stefano Bruno Galli (Assesso- re all'Autonomia e alla Cultura della Re- gione Lombardia), il prof. Giordano Bruno Guerri (Presidente della Fondazione Il Vittoriale degli italiani) ed il prof. Giuseppe Parlato (Presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice).

Teleconferenza su D'Annunzio e Fiume

Un laboratorio di idee ed utopie

si era parlato. C'era un amico - purtroppo è mancato - che quando ero ragazzino mi raccontava della sua fu- ga da Fiume. Era un medico molto conosciuto a Vero- na, Renato Campacci, nato nel 1932. Il suo era un racconto sofferto, me ne parlava quasi vergognando- sene. Emotivamente coinvolto, mi appassionai alla sua storia e ne uscì un testo, articolato in più quadri:

dagli spensierati ricordi infantili in un angolo di terra bagnato dal mare, alla tragedia che sconvolse la vita di un'intera popolazione, le foibe, gli scomparsi, l'esodo, i campi profughi, le testimonianze. Nel 2005 misi in sce- na Per non dimenticare, testo che scrissi con un amico drammaturgo – diventato anche un libro - e che defi- nimmo testimonianza teatrale: lo spettacolo infatti si dipanava fra alcune parti teatrali e quella importantissi- ma delle testimonianze, raccontate dagli esuli incon- trati nelle varie città”. Collegato alle due sofferte ricor- renze del 27 gennaio e del 10 febbraio, rispettivamen- te dedicate alle vittime della Shoah e delle Foibe, è nato il primo progetto triestino di Paolo Valerio, Dalla memoria al ricordo, mirato al mondo degli studenti in particolare e al pubblico in generale, penalizzati dai condizionamenti dell'emergenza sanitaria. La prima parte del progetto è partita il 27 gennaio proponendo online Trieste e la Memoria - Un viaggio nella città, vide- odoc di alta qualità, molto agile e nel contempo emozio- nante, dalla sapiente alternanza di inquadrature in cui si avvicendano immagini, testimonianze, storia e notizie.

Fino al 4 febbraio si può vedere, collegandosi al link https://www.ilrossetti.it/it/spettacoli/trieste-e-la-memoria- un-viaggio-nella-citta-2939#recite. Lavori in corso per la seconda parte del progetto, dedicata al Giorno del Ricor- do.

Viviana Facchinetti

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L’ARENA DI POLA n. 1 del 30 GENNAIO 2021

L'ATTUALITÀ 3

È

un grazie gridato dagli studenti che compongono la re- dazione del loro giornali- no “L'Angolino” dell'Istitu- to Onnicomprensivo Città Sant'Angelo, vicino a Pe- scara. Perché questo grazie così pieno di calo- re? La professoressa Ro- berta Franchi di quell'Isti- tuto ha chiesto alla Reda- zione dell'Arena di poter contattare una o un esule per una testimonianza.

Tutto si è svolto con una velocità sorprendente, perchè la redazione de “l'Angolino” è in fermento. Devono far pre- sto, anzi prestissimo: si sta preparando un'edizione spe- ciale del giornale per partecipare al Concorso Nazionale

“10 Febbraio” istituito dal Ministero dell'Istruzione MIUR per il GdR. Sono stata chiamata dal nostro presidente Si- dari che mi ha informato sulla necessità di una risposta affermativa da dare a quei ragazzi quanto prima. Al mio sì, mi ha dato il nome dell'insegnante da contattare; l'ho cer- cata e abbiamo fissato l'incontro con la redazione per la mattina successiva, sabato 9 gennaio. Poche volte, e so- no oramai innumerevoli gli incontri con le scuole, ho trova- to tanto entusiasmo. Entusiasmo per il lavoro che stanno svolgendo, tanto interesse per l'argomento da trattare - la nostra Storia e le nostre vicende - le ricerche che stanno facendo, sicuramente stimolati dalle conoscenze dei loro

Dagli auguri del Papa alla Civica Benemerenza

Anniversario e riconoscimento per Monsignor Malnati

insegnanti. Ho captato un'attenzione viva, quasi puntiglio- sa, fin dalla capacità e velocità con cui sono stati capaci di trovare i necrologi, fatti per l'uccisione nella Strage di Ver- garolla di mia cugina Anita Quarantotto, della quale ave- vo loro parlato. Già conoscevano la vergogna del treno degli Esuli, ai quali a Bologna si negò un tozzo di pane e qualche sorso di latte. Da subito ho immediatamente per- cepito empatia da parte di tutti, insegnanti e studenti, dal loro immedesimarsi nel mio racconto, un fiume in piena.

Mi sono commossa e si sono commossi questi ragazzi, il nostro bel futuro. Sono questi studenti che mi convincono che confrontarsi con loro dà e darà molti frutti. Il loro “fru- gare” nella Storia e nelle storie è, per noi, una garanzia.

Hanno gridato “Grazie, Arena di Pola!” Piena di gratitudi- ne li ho ringraziati ed ancora li ringrazio. In mezzo a que- sta confusione causata dalla pandemia, tra le difficoltà dovute alla DAD in cui si dibattono, sentono il dovere di

impegnarsi in un lavoro non facile e per nulla semplice.

Grazie a tutta la redazione del “l'Angolino” e non dimenti- cate, come noi “No dimentichemo”.

La nostra riconoscenza va al Comitato di Redazione formato da: Studenti Redattori a.s. 2020/2021: Francesco Ansovini (3E Scuola Secondaria I grado), Alice Ciavattella (3G Scuola Se- condaria I grado), Loris Contini (5F Liceo), Alessia Damiani (5 F Liceo), Aurora De Leonibus (5E Liceo), Giulia Perseide Delli Rocioli (1 I Liceo), Anna De Massis (1H Liceo), Mariateresa De Sanctis (2H Liceo), Martina Di Giandomenico (4 A Liceo), Giu- lia Mirella Di Silvestre (1D Liceo), Arianna Fornarola (4H Li- ceo), Greta Fratelli (4 A Liceo), Noemi Giovannoli (1 I Liceo), Lidia Jerkovic (2I Liceo), Lorenzo Imperio (3 B Liceo), Arianna Lupi (3F Scuola Secondaria I grado), Francesco Marraffa (1 E Liceo), Aurora Nazari (4 A Liceo), Gaia Reggimenti (3 A Scuola Secondaria I grado), Giulia Schillaci (1I Liceo), Vlera Selimi (4 A Liceo), Giulia Troiani (3 A Scuola Secondaria I grado), Linda Vervenna (4 A Liceo), Alessio Verzella (4H Liceo), Valeria Fra- tini (5F Liceo).

Dirigente Scolastico Istituto Omnicomprensivo di Città Sant’An- gelo: prof.ssa Lorella Romano

Direttore: prof.ssa Roberta Franchi

Concludo con una bellissima poesia, scritta in occasione del GdR 2020 e apparsa sul loro giornale, edizione spe- ciale, per il 10 febbraio 2020. Sono le ultime due righe che dobbiamo ricordare.

Anna Maria Crasti

Grazie Arena di Pola

A

distanza di pochi giorni dalla partecipata ricorrenza dei suoi 50 anni di sacerdozio per cui, fra i tantissimi auguri, monsignor Et- tore Malnati ha ricevuto anche quelli firmati da Papa Bergoglio, si è ag- giunto anche il conferimento della Ci- vica Benemerenza della Città di Trie- ste. “Per il contributo dato al dialogo e alla conoscenza reciproca tra le di- verse confessioni religiose, quali fat- tori necessari per una pacifica e co- struttiva convivenza in una città come Trieste, da sempre crocevia di popoli, culture e religioni, rendendola un punto di riferimento per la tolleranza e il rispetto reciproco fra gruppi di persone appartenenti a differenti tra- dizioni religiose, anche facendo fron- te agli echi delle complesse vicende in campo internazionale”. Questa la motivazione scritta su pergamena che, assieme alla medaglia ufficiale del Comune di Trieste con la riprodu- zione di un disegno di Carlo Wostry, è stata consegnata al sacerdote dal sindaco Roberto Dipiazza al termine della Santa Messa, svoltasi il 10 gen- naio nella Chiesa di Nostra Signora della Provvidenza e di Sion.

Nel rispetto delle norme e delle di- sposizioni anti Covid sono intervenuti tra gli altri anche il prefetto Valerio Valenti, il presidente della giunta re- gionale Massimiliano Fedriga, gli as- sessori comunali Michele Lobianco, Giorgio Rossi, Carlo Grilli, Angela Brandi, Francesca De Santis e rap- presentanti delle diverse confessioni

religiose. Presente anche il gonfalo- ne della città. “Da giovane sacerdote - ha ricordato nel suo intervento il sindaco Roberto Dipiazza - sei stato il segretario particolare del compian- to arcivescovo mons. Antonio Santin e seguendo il suo esempio hai impa- rato ad essere prete fino in fondo, fe- dele alla chiesa e al suo magistero.

Forte nella fede, conoscitore inserito nella storia, in particolare quella così complessa della nostra città, in cin- quant’anni di sacerdozio hai saputo essere una chiara e intelligente guida spirituale ma anche un esempio con- creto di profonda e vera umanità nel servizio al prossimo e all’intera co- munità cittadina, sempre attento e sensibile alla crescita e alla formazio- ne di quelle nuove generazioni che sono il nostro futuro”. Ringraziando il sindaco, le autorità presenti e tutta la comunità, monsignor Malnati ha chie- sto a tutti una preghiera “per essere sempre un buon cittadino e un buon prete”. Significativo anche il messag- gio da lui scritto sul libro d’oro del Comune: “Perché Trieste possa con- tinuare ad essere la Città del dialogo e della solidarietà quale valore ne- cessario per edificare la Civiltà dell’A- more che ha le sue radici nel Vangelo di Cristo Gesù”. 75 anni, nativo di Va- rese e seminarista a Trieste, divenne presbitero nel gennaio del1971. Do- cente universitario, iscritto all'Ordine dei Giornalisti, autore di numerose pubblicazioni, dal 2006 è cappellano di Sua Santità.

L’

arrivo di migliaia di pro-

fughi istriani

dopo la Seconda Guerra Mondiale ed il carisma del Vescovo rovignese Antonio Santin, vero e proprio defensor civitatis nella fase finale del conflitto, hanno contribuito a trasformare la laica Trieste in una città maggiormente sensibile nei confronti della Chiesa. Nelle incertezze diplo- matiche che caratterizzarono la Guerra Fredda nella Venezia Giulia, a partire dal mai costituito Territorio Libero di Trieste per giungere al Tratta- to di Osimo passando per le sanguinose giorna- te del novembre 1953, la Diocesi ha rappresen- tato uno dei pochi punti di riferimento stabili, du- raturi e sensibili nei confronti della cittadinanza.

Di questa temperie storica ha risentito pure la formazione di Don Ettore Malnati, originario di Varese, ma a lungo segretario particolare di Monsignor Santin, dal quale ha acquisito non solo insegnamenti dottrinari, ma anche il mede- simo significativo approccio alle complesse vi- cende del confine orientale italiano. Come ha

avuto modo di dichiarare in un’intervista ri- l a s c i a t a a l quotidiano cittadino in occasione dei 50 anni del suo sacerdozio, Malnati ha appreso da Santin la capacità di essere con discrezione e determina- zione «conoscitore e inserito nella storia, in par- ticolare nella storia così complessa di questa città». Ed in questa attenzione per le vicende della nostra terra, Don Ettore ha sempre dimo- strato vicinanza alla comunità dell’esodo giulia- no-dalmata ed anche nella sua produzione let- teraria, dedicata con particolare cura alla figura di Santin, si percepisce una compartecipazione che va ben oltre alle caratteristiche caritatevoli proprie di un sacerdote. La crescita culturale e spirituale di Don Ettore a Trieste ha fatto di lui un amico ed una presenza importante per gli esuli istriani, fiumani e dalmati, i quali gli formulano perciò auguri particolarmente fervidi per questo suo mezzo secolo di meraviglioso lavoro sacer- dotale.

Renzo Codarin Presidente ANVGD

Don Ettore, un sacerdote vicino alla comunità dell'Esodo

G

razie all’incontro con Anna Maria Crasti ho capito che la “Storia” non è rappresentata soltanto dalla solita lezione

scolastica, considerata da molti studenti pesante e astrat- ta, ma soprattutto dalle testimonianze di coloro che hanno vissuto sulla propria pelle esperienze ed emozioni. Perché la “Storia” non si può racchiudere in un insieme di frasi ri- portate in un libro, ma consiste in una raccolta di fatti, vis- suti, sentimenti e punti di vista. Se tutto questo venisse perso, perderemmo la Storia dell’Italia che, direttamente o indirettamente, appartiene a tutti noi.

Vorrei inoltre ringraziare la mia Scuola, che ha organizzato questo incontro e L’Arena di Pola, che ci ha messi in con- tatto con una persona che ha saputo raccontare in modo personale eppure così universale un evento storico impor- tante che mi era ancora poco noto. Ma ringrazio in partico- lar modo la signora Anna Maria Crasti, che ha deciso di condividere con noi il proprio vissuto facendoci capire l’im- portanza del ricordo, perché, come lei ci ha spiegato, di- menticare significa negare il proprio passato, quel che si è e quel che si è stati: dimenticare significa rinnegare se stessi.

Arianna Lupi, classe 3F Scuola Secondaria I grado redattrice de L’Angolino

Conoscere l’esule Anna Maria Crasti ci permette di vivere un’ora densa di emozione, sto- ria, memoria, ricordi, richiami letterari, poetici. Mentre le sue parole rimbalzano nella rete, siamo consapevoli dell’oppor- tunità avuta di ascoltare una testimone autentica ed empa- tica che ci offre punti di vista nuovi, riflessioni inattese. (…) Anna Maria Crasti, nell’incontro con la redazione de l’An- golino, è commossa, ma lucida e puntuale nel suo raccon- tare, argomentare, descrivere, attenta sempre al richiamo della documentazione in suo possesso, delle ricerche det- tagliate da lei compiute. Ci coinvolge in una cavalcata stori- ca che pone in evidenza ancora molte ombre, nebbie ma anche tanta necessità di raccontare, testimoniare, confron- tarsi con i giovani e con chi, in questi anni, non ha cercato di comprendere gli italiani che abbandonavano in massa le loro terre d'Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla ditta- tura slavocomunista. Chi aveva fatto questa scelta veniva etichettato come fascista. (…)

La Storia procede, ma il dolore degli esuli come Anna Ma- ria è ancora forte, è una forza che le dà energia, la rende sempre più resiliente e le fa raggiungere anche noi studen- ti della redazione del giornale del Liceo Bertrando Spaven- ta di Città Sant’Angelo (Pe). Nonostante l’esilio, l’essersi sentita apostrofata come profuga, estranea dai suoi com- pagni di scuola a Trieste, è felice, soddisfatta e grata alla sua storia, alle sue radici, alla sua identità di esule. Anche in occasioni informali, quali un incontro in metropolitana, si presenta come esule e condivide la sua storia con chi per un tratto l’accompagna. A conclusione dell’incontro, mentre diamo vita alle nostre idee per gli articoli da proporre per il 10 febbraio, siamo consapevoli che il nostro impegno, per il giornale e per la riscrittura di eventi sommersi della Storia del Novecento, ci permettono di stabilire nuove relazioni, nonostante la pandemia e la Didattica a Distanza. Siamo grati alla signora Anna Maria Crasti e all’Arena di Pola per il dono inaspettato.

Lorella Romano Dirigente Scolastica

Il commento di una studentessa

Dalle riflessioni condivise dopo

l'incontro

Vitae Triumphus

di Mariateresa De Sanctis - I H Liceo Scienze Umane Ti ho visto nelle lacrime che imprimevano i volti,

quei visi smunti, sfioriti, sbattuti, dagli sguardi sepolcrali, negli occhi smarriti, nei grembi freddi, cerei

tranciati dal dolore, nel sangue sulle mani e sui capelli.

Ma poi ho scorso un bambino sbocciare come una rosa in primavera.

La gente incominciava a danzare come le Muse di Apollo.

Si stringeva scambiando sorrisi, contemplando l'amore e la speranza.

Alla fine hai perso morte ho trionfato insieme alla vita.

foto Luca tedeschi

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4

L’ARENA DI POLA n. 1 del 30 GENNAIO 2021

P

olemiche, conte-

stazioni, silenzi, disinteresse e reticen- ze: il Trattato di Osimo, stipulato nella cittadina marchigiana il 10 novembre 1975, ha segnato una pagina controversa nella storia del confine orientale italiano. Di fronte a storici, osservatori e politici che lo hanno giudicato un capolavoro nella realizzazione di una Ostpoli- tik italiana nel bel mezzo della Guerra Fredda finalizzata a perfezionare i già buoni rapporti con la Jugoslavia comunista, il Trattato di Osi- mo è stato da subito avversato dagli esuli istriani, fiumani e dalmati, laddove in Parla- mento l’unica vana opposizione provenne dal Movimento Sociale Italiano. Se all’epoca l’ac- cordo bilaterale italo-jugoslavo definiva ufficial- mente le rispettive sovranità sulle ex Zona A e B del mai costituito Territorio Libero di Trieste ed il progetto della Zona Franca Industriale transfrontaliera naufragava immediatamente, restava aperta la questione dell’indennizzo da parte della Jugoslavia per i beni abbandonati, nazionalizzati ovvero confiscati agli esuli dei

distretti di Capodistria e di Buie. D’altro canto l’implosione della Jugoslavia nei primi anni Novanta avrebbe aperto spiragli per ridiscutere il confine o quanto meno gli indennizzi.

Di questo e altro si è discusso in un convegno di alto profilo scientifico organizzato nella primavera 2019 da Coordinamento Adriatico APS proprio a Osimo, in provincia di Anco- na, e da quella mattinata di studio sono stati tratti i contributi raccolti nell’agile volumetto (72 pagine) a cura di Giuseppe de Vergottini “Osimo, un trattato che fa ancora discutere”

(Wolters Kluwer – Cedam, Padova 2020).

L’attuale Presidente di FederEsuli apre la rassegna di saggi con un’acuta disamina sto- rica e giuridica dalla quale si evince amaramente il crescente disinteresse della classe dirigente italiana per la questione di Trieste, per cui si giunse dalle appassionate giorna- te patriottiche del 26 ottobre e 4 novembre 1954 alla stipula del famigerato Trattato in sordina e addirittura estromettendo la Farnesina. La Prof.ssa Ida Caracciolo si è soffer-

mata sulla questione dei beni abbandonati, passando in rassegna la giurisprudenza del diritto internazionale che presenta una serie di precedenti e di casi ana- loghi di cui l’Italia avrebbe potuto avvalersi per ribadire le proprie ragioni, ma nessun ministro o diplomatico vi ha fatto ricorso. Significativo l’intervento del Prof. Igor Pellicciari, il quale si sofferma sull’impatto del Trattato di Osimo nei rapporti tra Italia, Slovenia e Croazia, nei cui confronti i Governi nulla hanno fatto per ridi- scutere la questione, sia perché nella cosid- detta Seconda Repubblica l’interesse per la politica estera andava via via riducendosi, sia perché la dichiarazione d’indipendenza di Lu- biana e Zagabria fu contemporanea rispetto a Tangentopoli, che azzerò una classe dirigente che sarebbe stata capace di far sentire la pro- pria voce, a partire dall’allora Ministro degli Esteri De Michelis. Giuseppe Severini, Presi- dente di Sezione del Consiglio di Stato, riferi- sce nel suo contributo in merito all’esperienza vissuta negli anni Novanta in cui fece parte di gruppi di lavoro che dovevano impostare le relazioni tra Roma la Croazia da poco indi-

pendente: lavorò a stretto contatto con il compianto Lucio Toth, ottenne condizioni vantaggiose a beneficio della mino- ranza italiana in Croazia (sulla carta, essendo ancora da at- tuare del tutto da parte di Zagabria), ma nulla poté in merito alla ridiscussione dei confini; l’insigne giurista fa rilevare che determinante risultò la presa di posizione della Germania da poco riunificata, la quale aveva appena ridefinito ufficialmente il proprio confine orientale con la Polonia e non intendeva ria- prire vertenze confinarie in Europa. Completa questa preziosa raccolta di saggi di alto livello lo scritto del Prof. Davide Rossi che passa sinteticamente ma efficacemente in rassegna oltre mezzo secolo di storia dell’Adriatico orientale fra trattati, con- trapposizioni bipolari e strategie jugoslave ben più efficaci e assertive di quelle italiane.

Lorenzo Salimbeni

Il trattato di Osimo fa ancora discutere

Un agile volumetto curato dal presidente di FederEsuli

F

resco di stam- pa è uscito il volume “La cit-

tà di vita cento anni dopo.

Fiume, d’Annunzio e il lungo Novecento adriatico” (Wol- ters Kluwer – Cedam, Pado- va 2020). Curato da Davide Rossi, il volume condensa le relazioni di un convegno or- ganizzato da Coordinamento Adriatico APS grazie ad un contributo della L. 72/2001, inizialmente pensato a Fiu- me, quindi realizzato a Gori- zia, il 27 e 28 giugno 2019, intitolato Il lungo Novecento.

La questione adriatica a Fiu-

me tra le due conferenze di Pace di Pari- gi 1919 – 1947, in cui è emersa la centra- lità della città quarnerina nel XX secolo, quale ponte tra oriente ed occidente, anelito del nazionalismo italiano, cui fa- ceva sponda un forte spirito autonomisti- co locale, che vanta radici assai profon- de. In tale contesto l’Impresa dannunzia- na rappresenta un unicum che si è pre- sto trasformato in un’esperienza dai ca- ratteri epici ed eroici, al cui centro tro- neggia la simbolica Carta del Carnaro. Il

volume rappresenta quindi il tentativo e l’ambizione di pub- blicare una raccolta di saggi che fosse in grado, benefi- ciando delle diverse sensibi- lità e competenze degli Au- tori coinvolti, di indagare le differenti sfaccettature, ana- lizzando sia gli antecedenti storici quanto le motivazioni politiche che hanno condotto alle vicende successive, senza dimenticare i riflessi futuri, capaci di propagarsi e mantenersi quanto mai vivi a distanza di decenni, e nono- stante i continui cambiamen- ti istituzionali e di sovranità. Ne è conse- guita un’analisi necessariamente multidi- sciplinare volta a scandagliare, oltre ai naturali, imprescindibili, profili storici, culturali, economici e giuridici delle rela- zioni tra Stati e popoli, ulteriori dimensio- ni sovente dimenticate, ma altrettanto centrali, nel non celato auspicio che l’av- venire possa regalare a queste terre così tristemente sporcate di sangue un nuovo Millennio fatto di incontro e di vivacità culturale e sociale.

La città di vita

Ciampi, Presidente con a cuore la storia dell’italianità adriatica

R

icorreva il 9 dicembre scorso il cen- tenario della nascita di Carlo Aze- glio Ciampi (1920-2016), Presiden- te della Repubblica italiana dal 1999 al 2006 che dimostrò particolare sensibilità nei confronti della storia del confine orien- tale italiano. D’altro canto, dopo la laurea in Filologia classica, lo statista livornese ne conseguì una seconda in Giurispru- denza, grazie alla quale poté iniziare la sua carriera nella Banca d’Italia, avendo come relatore l’ex legionario fiumano Gio- vanni de Vergottini, originario di Parenzo d’Istria.

Nel 2001 appose la firma alle leggi 72 e 73 che finanziavano rispettivamente l’as- sociazionismo degli esuli istriani, fiumani e dalmati e le istituzioni della comunità italiana nella ex Jugoslavia, con l’intento di salvaguardare, conservare e divulgare la storia e la cultura dell’italianità nell’A- driatico orientale. Avrebbe poi promulgato la Legge 92 del 30 marzo 2004, la quale andava ad istituire il Giorno del Ricordo, e l’anno successivo avrebbe assegnato le prime Medaglie d’Oro al Valor Civile alle vittime delle stragi compiute dai partigiani comunisti di Tito nella fase finale della Seconda Guerra Mondiale. Una delle pri- me ad essere riconosciuta meritevole di tale riconoscimento è stata Norma Cos- setto, una studentessa sua coetanea che veniva violentata ed infoibata ancora viva dai “titini” in quelle stesse giornate in cui il Sottotenente del Regio Esercito Ciampi si univa ai partigiani sulla Maiella. Figlia di un piccolo gerarca lei, vicino al Partito

d’Azione lui, si trattava di due ventitreenni travolti dal collasso politico, militare ed istituzionale che fu l’8 settembre 1943.

Conferendo la medaglia a Licia Cossetto, l’affezionatissima sorella di Norma, Ciam- pi ha contribuito a ricucire la lacerazione che aveva portato l’Italia in una guerra ci- vile e a perdere gran parte di quelle terre annesse a costo di enormi sacrifici alla fi- ne della Prima Guerra Mondiale. Presen- te nel 2004 alle cerimonie per i 50 anni del ritorno dell’Italia a Trieste, Ciampi avrebbe contestualmente conferito la Me- daglia d’Oro al Valor Civile alla memoria dei sei triestini uccisi dalla polizia del Go- verno Militare Alleato nelle manifestazioni di piazza del novembre 1953 per l’italiani- tà del capoluogo giuliano.

Ricordare la figura istituzionale di Ciampi significa riconoscere il suo ruolo nel rein- serimento della storia delle terre adriati- che nella coscienza nazionale di una Re- pubblica nata in un referendum cui triesti- ni, goriziani, istriani, fiumani e zaratini non poterono prendere parte benché ne aves- sero diritto e fosse stato inizialmente pre- visto. Dopo il bacio di Pertini alla bara di Tito, le visite di Cossiga e di Scalfaro alla Foiba di Basovizza (riconosciuta come Monumento Nazionale) avevano avviato la riscoperta di queste pagine di storia patria, che Ciampi ebbe il merito di conte- stualizzare nella riscoperta del patriotti- smo da lui propugnata.

Giuseppe de Vergottini Presidente FederEsuli

D

al 14 gennaio è

uscito online e in tut- te le librerie il libro, curato dal Comitato 10 Febbraio ed edito da Eclet- tica Edizioni, dedicato alla giovane martire istriana, violentata e infoibata dai partigiani titini, Medaglia d’Oro al Merito Civile. “Nor- ma Cossetto. Rosa d’Italia”

è un libro che contribuisce ad accendere una luce sul- la terribile vicenda delle foi- be e dell’esodo istriano, fiumano e dalmata attra- verso il racconto della vita

e del brutale omicidio di chi suo malgrado ne è diventata il simbolo. “Norma Cosset- to aveva appena ventitré anni quando fu violentata e infoibata e, sebbene andata incontro al martirio pur di non rinnegare la propria italianità, la Nazione che lei tanto amava ancora oggi non le riconosce piena cittadinanza” – sottolinea il presidente del Comitato 10 febbraio. “Troppo spesso il suo nome viene associato a tristi polemi- che politiche e ad inaccettabili episodi di negazionismo. Soprattutto in un momento

in cui al contrario, grazie al nostro impegno e a quello di tante amministrazioni comunali, si inaugurano a suo nome parchi, vie, piaz- ze e monumenti. Il libro, scritto a molte mani, spazia dalla Storia all’emozione, dalle testimonianze inedite alle fotografie rimaste per più di mezzo secolo in un cassetto”. L’opera contiene i contributi della Federesuli (Federazione degli Esuli istriani, fiumani e dalmati), dell’Anvgd (Associazione Nazionale Venezia-Giulia e Dalmazia), della Lega nazionale, dell’As- sociazione Nazionale Dalmata, del Comi- tato Familiari delle Vittime giuliane, istria- ne, fiumane e dalmate, e del Comitato 10 Febbraio che lo ha ideato, curandone la pubblicazione. “Siamo particolarmente or- gogliosi di aver realizzato questo libro” - dichiara Emanuele Merlino, presidente del Comitato 10 febbraio, rivolgendo il suo grazie ai vari autori - “per aver aderito a un progetto a favore della verità storica e del rispetto per chi ha così tanto sofferto”.

Norma Cossetto Rosa d'Italia

(5)

L’ARENA DI POLA n. 1 del 30 GENNAIO 2021

5

S

oto Nadal, andavo in giro con mia moglie a crompar regali, che no se finissi mai…. e per i fioi, e per i nipoti, e per i amici e per i visini de casa e per el diavolo e su mare, che

tuti i ani xe de diventar mati e spender un ca- sin de soldi... Indiferente, a un certo punto se- mo capitai davanti a la botega de un armaiolo e, butando l’ocio in vetrina, cossa te vedo in meso ai s’ciopi, ale pistole in bela mostra?

Una fionda! Una belissima fionda! No come quele che fassevimo noi de muli, col corneto de legno e i lastici de budel de bicicleta, ma una roba professionale, col corno de fero pi- turà de nero, manigo de osso, lastici speciali, un ogeto veramente notevole. Me xe vignù un colpo al cuor e go sentì subito forte el deside- rio de gaver una roba compagna. Cussì ghe go dito a mia moglie: “per Natale regalami quella fionda”. La me ga vardà squasi con co- miserassion e po’ la me ga risposto: “ma sei diventato matto! Cosa te ne fai di una cosa così, che poi è un’arma!!! é pericolosa!!! che esempio vuoi dare ai bambini!!! Son sta’ sito e la xe finida cussì. Ma, dopo un per de giorni, mi, bel pulito, son passà in negosio e me son crompà la fionda. El armaiolo me ga fato un bel pacheto e mi lo go sconto in machina.

Xe passà Nadal e mi spetavo con impasiensa che anderemo al lago, dove che go una casa, che xe tanti boschi e poderò far un per de tiri con la mia nova fionda. E finalmente semo andai e, con la scusa de far una passegiada per smaltir tuto el magnar e bever che gavevo fato durante le feste, son rivà a scampar in bosco con sta fionda. Me pareva de esser tornà muleto quando, de scondon de mia ma-

ma, andavo a cacia de selegati e de merli e qualche volta anche de gati, che la siora Bepi- na che la stava visin de noi sempre la me siga- va dela finestra: “Fiol de un can de mulo, te go visto mi che ti ghe tiravi con la fionda al mio gato, povera bestia, che xe una creatura del bon Dio anche lu. Ghe contarò mi a tua mama, che la stia atenta, che ti xe su una bruta stra- da, che se ti continui cussì ti finirà mal!!!” Po- vera siora Bepina, el gato, dopo, ghe lo ga in- velenà sior Fortunato, perché el ghe andava sempre in tel suo orto a far i sui bisogni e a pissarghe su le verze. Ricordi di un tempo che fu...

Ma tornemo a la nova fionda. Go ingrumà un pochi de sassi, de quei bei tondi e via mi in bosco. Go verto el pacheto e go tirà fora la fionda. Iera veramente una roba professionale e gnanca tanto facile de usar. Ne la scatola ghe iera le istrussioni scrite per inglese e anca i disegni per come che se la tien, come che se tira i lastici, come che se ciol la mira. Go studià un poco e dopo go provà a tirar. Go mirà a una piera bianca che vigniva fora de l’erba distante un venti metri, go tirà i lastici e via… el sasso xe andà a finir chissà dove, gnanca visin de la piera che gavevo mirà. “Come xe sta roba” me son dito tra de mi “una volta con una fionda fata in qualche modo col budel de la bicicleta, ciapavo un selegato a cinquanta metri e ades- so con una fionda professionale da tiro a se- gno no ciapo una piera assai più grande a gnanca venti metri?” “Cossa xe? l’ocio o la man che xe cambiadi o xe la fionda che no val?” “Xe la fionda” go concluso tra de mi, sa- vendo de contarme una grossa bala de solo. E go ripensà a come che fassevimo le fionde noi de muli.

Prima de tuto bisognava far el corneto (el ma- nigo per i profani). El corneto doveva esser “a calice”, cioè el doveva gaver la forma de un

calice, per poder mirar meo. Se anda- va in giro per el bosco fina che no se trovava la rama de l'albero giusta, se la taiava e dopo ghe se dava la forma, ligando in cima i due corni e passan- doli sora el fogo per indurir el legno in posision. Po’ bisognava trovar i lastici, che ie- ra la roba più importante. Quei fati de budel de bicicleta iera facile de trovar ma no i valeva gnente, i iera deboli e i andava ben solo per i muleti pici. Dopo ghe iera quei neri de budel de camion, ma anche quei valeva poco, per- ché no i iera tanto elastici, e el tiro iera fiapo. I più boni iera quei rossi, de budel de motocicle- ta o, ancora de più, quei verdi, che noi disevi- mo che iera de budel de roda de roplan, ma mi no so se iera vero. Ma questi iera più dificile de trovar. Trovadi i lastici, se fasseva la cora- mela, che xe dove che se meti el sasso. Come che disi la parola, la coramela xe fata de cora- me e se la fa ritaiandola fora de qualche scar- pa vecia, ripeto vecia, e no de scarpe nove, come che go fato mi una volta, taiando via la ligueta, che intanto no la servi a gnente e, do- po, le go ciapade de mia mama. Fata la cora- mela, se liga tuto, preferibilmente no con spa- ghin, che no tien gnente, ma con quei lastichi- ni fini... e la fionda la xe fata. Ah no, dimentica- vo i sassi, che devi esser bei tondi, per andar drito, ma va ben anche balini de baliniere e piombini. Fata la fionda, poveri selegati, pove- ri merli, colombi anche e poveri gati!

Adesso però i tempi xe cambiai, la cacia xe diventada una roba de no far, semo tuti più boni e se devi gaver rispeto per le bestie. Ma mi istesso, qualche volta, quando i gati i va in amor e i vien far casin soto la mia finestra, ghe tiro con la fionda. Ma no ghe fasso mal, per- ché no li ciapo. Chissà perché? De sicuro no xe l’ocio o el brasso, xe la fionda che no val!

L’ARENA DI POLA

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EL CANTONZIN DEL NOSTRO DIALETO

Fionda

R obeRto S tanich

Sfogliando l'antologia di lontani ricordi infantili lasciataci da Roberto Stanich

Quando?

Arente de la porta de fresco piturada che dava su la corte,

un scagno vecio brusà de sol e piova.

Là nona guciava vardandone zogar.

Corte serada tra basse case, giardin de bona gente

che strussiava per darghe ai fioi

una vita meo.

Gerani rossi e bianchi in larghi vasi de lata,

in mezo un figher cressù no se sa come.

La lissia, puntada su la corda fra una finestra e l’altra,

sventolava marende de pan col buro e zucaro,

De bever, limonada…

Ma iera mio quel logo o me lo go insognado?

Sarà solo sol

Svola la barca nel suo mar sburtada del vento.

La prua taia onda drio onda verso l’orizonte

e oltre.

Verso quel misterioso porto

che spaventa.

Sarà sol che no tramonta

o solo scuro?

Graziella Semacchi Gliubich

Zita vecia

Case zale e rosa, in Rena, qualcheduna verdolina,

refade del restailing vestide de festa le par

Mule col pircing sul bunigolo

fuma e scolta un, tuto tatuà, che sona

sentà per tera su le sbiancade piere

de Cavana.

Su e zo va per le sue gente indiferente,

fioi che intriga sbrissando sul skeibord.

Veci co l’aria persa se remena no i trova più in sta nova zitavecia

quela che iera sua, trascurada, co le stradete sconte

piene de casoti.

E i pensa che sto casin de mondo

no xe più per lori.

(6)

LL’’A Arreennaa ddii PPoollaa::”Come eravamo” - Cultura, Arte, Fatti e Tradizioni

a cura di Piero Tarticchio

di PIERO TARTICCHIO

S

ul pianeta Terra l’acqua copre il 71% della superficie totale.

In natura è tra i principali costituenti degli ecosistemi l’acqua è alla base di tutte le forme di vita conosciute, compreso l’essere umano. Ad essa è dovuta anche la stessa origine della vita ed è inol- tre indispensabile anche nell’uso civile, agricolo e industriale.

L’uomo ha riconosciuto, sin da tempi antichissimi, la sua impor- tanza identificandola come uno dei principali elementi costitutivi dell’universo e attribuendole un profondo valore simbolico, riscon- trabile anche nelle principali reli- gioni. L’acqua ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle prime civiltà, situate lungo i gran- di fiumi dell’Oriente: il Nilo per la civiltà egizia, il Tigri e l’Eufrate per le civiltà mesopotamiche (Sumeri, Babilonesi e Assiri), lo Huang He (Fiume Giallo) per la Cina, l’Indo e il Gange per l’India.

I grandi bacini fluviali costituiva- no un’opportunità per la maggior fertilità del suolo e per la facilità dei trasporti, ma determinavano un’organizzazione sociale più complessa necessaria per gestire i conflitti per le risorse e per affron- tare la costruzione e manutenzio- ne di imponenti sistemi di irriga- zione e di protezione dalle allu- vioni.

Minore, ma tutt’altro che trascura- bile, fu anche l’importanza dei mari interni, soprattutto il mar Mediterraneo, che facilitavano i commerci e i contatti culturali fra popoli lontani, con la formazione di civiltà prevalentemente dedica- te al commercio (ad esempio i Fenici). L’importanza dell’acqua è riconosciuta nelle religioni e nei sistemi filosofici sin dai tempi antichi. Molte religioni venerano i luoghi legati all’acqua o i corsi d’acqua stessi (ad esempio, il Gange è una dea per l’induismo).

Semidivinità particolari, chiamate Ninfe erano poste, nella mitologia greca, a guardia delle fonti.

L’acqua, fu considerata un ele- mento primigenio presso molti popoli, anche molto lontani fra loro; ad esempio in Cina venne identificata con il caos, da cui ha avuto origine l’universo, mentre

nella Genesi compare già nel secondo versetto, prima della luce e delle terre emerse. In Polinesia l’acqua venne considerata la mate- ria prima fondamentale.

Il filosofo greco Talete di Mileto sosteneva che l’acqua è il principio di tutto e, a pensarci bene, non aveva tutti i torti.

Senza acqua non c’è vita.

Nella parte meridionale dell’Istria di un tempo l’approvvigionamen- to idrico era molto difficile: ci si doveva arrangiare con l’acqua dei laghi campestri detti lachi, depres- sioni del terreno dal fondo argillo- so dove si accumulavano le acque piovane e dove al tramonto anda- vano ad abbeverarsi gli animali al pascolo. Solo poche famiglie pos- sedevano vere e proprie cisterne riceventi l’acqua piovana.

Purtroppo, perdurando la siccità, lachi e cisterne si prosciugavano ed allora non rimaneva altro che pregare il buon Dio di mandare la pioggia. L’acqua, divenuta oggi oro blu, è stata sempre un bene prezio- so per l’umanità se la parola acqui- stare deriva proprio da acqua.

Pindaro asseriva che la cosa migliore del Creato è l’acqua.

Quando si sedeva a tavola Noè ammoniva sua moglie: - Non

m’importa dove va l’acqua, purché non vada nel vino (n.d.r. frase di G.K. Chesterton).

Nel 1935 venne inaugurato il grande acquedotto istriano e le nostre brave massaie non doveva- no più percorrere lunghi ed este- nuanti tratti di strada per attinge- re l’acqua per i bisogni domestici quotidiani, bastava andare alla vicina spina pubblica per servirsi ad libitum.

Spine e lachi erano, per i monelli di strada, occasioni di spasso: con l’acqua delle spine si dilettavamo ad innaffiare le bambine che pas- savano accanto. Infine sul ghiac- cio, formatosi sui lachi d’inverno, la mularia si divertiva a sbrisàr.

L’acqua dei lachi e delle cisterne, oltre che fonte di vita, è stata nel passato anche veicolo di morte:

per le infezioni di malattie letali come tifo e colera.

Per trasportare l’acqua dai lachi i contadini usavano l’asino, un ani- male in grado di portare sulla groppa: orci di coccio, damigiane o altri recipienti in gergo chiamati rufiane.

Barba Felice, un mio zio mattac- chione, mi raccontò la storiella di un contadino talmente povero da possedere sola la metà di un asino

mentre l’altra metà la condivideva con un vicino di casa.

Un giorno l’uomo si recò nella stalla a prendere l’animale per recarsi al laco, ma sulla porta trovò il comproprietario del soma- ro, il quale gli disse:

«Compare Toni, ve dispiase tornar fra mesora, perché poco fa go inprestà el muss a mio cognà».

«Va ben compare – rispose l’amico – vado in osteria a bever un bicer e passo più tardi».

Trascorso il tempo il contadino fece ritorno alla stalla ma il suo vicino gli fece cenno di fermarsi dicendogli: «Me dispiase tanto ma mio cognà no xe ancora tornà».

«Alora vado a farme un altro bicer e passo dopo».

Nello stesso istante, con grande sorpresa, il contadino udì l’asino ragliare all’interno della stalla.

“Me ciolé pel fioco, compare – aveva sbottato Toni con l’aria risentita – me gavé dito de gaver inprestà el muss a vosto cognà e invese la bestia xe in stala che la raia».

«Conpare Toni – aveva risposto l’in- terrogato con fare serio – ma voi a chi ghe credé de più: a mi o al muss?».

Acqua:

un bene prezioso

Nei secoli passati la bassa istriana, ha sempre sofferto la sete, non solo per la scarsità di precipitazioni ma anche per la natura geologica del terreno che non trattiene l’acqua in

superficie ma la assorbe convogliandola in percorsi sotterranei.

AA uugg uurr ii!!

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a cura di Piero Tarticchio

LL’’A Arreennaa ddii PPoollaa::”Come eravamo” - Cultura, Arte, Fatti e Tradizioni

S

ono passati tanti anni, ma il ricordo è ancora nitido. Il Primo gennaio di ogni anno, ai parenti di ogni grado veniva sussurrato, dalla

“mularia”, questo augurio, decisamente sfacciato:

“Bongiorno, bon principio, pagheme la bonaman”. E qualcuno, più coraggioso di altri, sapeva proferirlo davvero bene. Io no, io mi vergognavo!

L’augurio sembrava un

“abracadabra” poiché aveva il potere di allentare i cordoni della borsa dei congiunti e farne uscire un

soldo oppure un soldino, o magari una manciata di

mandorle... qualcosa, di certo, si rimediava. Il trascorrere di oltre di settant’anni è molto, un lungo tempo se rapportato ai nostri giorni caratterizzati da un consumismo sfrenato fatto di tutto e di più. Nemmeno settant’anni sono bastati per cancellare in me il ricordo di quel tempo favoloso.

Nella notte di san Silvestro le famiglie rispolveravano la tombola per dare un tocco di mondanità al veglione di fine anno. (77) le gambe delle donnette; (1) il pericolo pubblico che faceva il paio con (90) la paura, il più classico dei terni.

L’ambo poteva fruttare anche cinque centesimi; il terno dieci, la quaterna quindici, la cinquina venti e la tombola ben cinquanta. Niente panettoni, pandoro o caviale, niente cenoni con zampone e lenticchie, niente spumante di sciampagna. Ci si accontentava di qualche “piadina de fritole”, per i più piccoli una carruba, un mandarino, dei

“pistaci” e qualche

“stolver”. Allo scoccare della mezzanotte il brindisi con un bicchiere di

“passereta” per i bambini più fortunati; per gli adulti una bottiglia di “vin dolce tipo moscato” conservato gelosamente per le grandi occasioni.

Niente scoppi di mortaretti, petardi o fuochi di artificio.

Solo qualche bacio e abbraccio, effusioni, tanta simpatia ed ancora simpatia. La commedia umana era recitata ogni giorno sul palcoscenico della vita, ma a capodanno aveva un significato particolare. Sì, perché quello era il giorno in cui l’esistenza si svelava come una sorta di teatro, con tantissime promesse, diverse parti assegnate ad ognuno o che ognuno assegnava a sé stesso. Il capodanno offriva sempre un significato di tradizione, manifestata da un vincolo affettivo come quello di amici lontani che scrivevano qualche rara cartolina o qualche bigliettino augurale.

Oggi viviamo in un mondo immerso in un caotico bailamme fatto di computer, di telefonini, di tablet, di giocattoli

sofisticati, di sistemi informatici per regolare ogni movimento della nostra frenetica vita. Tuttavia per me è bello ricordare quel mondo arcaico fatto di pallottolieri, di soldatini di cartapesta, di giocattoli di legno, di canzoni cantate in coro, di spazi infiniti creati con la fantasia, di saggezza popolare, di fede genuina, di gioia immensa.

Un mondo che viveva in un’atmosfera incantata.

LA BONAMAN

di AGGEO BIASI

U

n famoso detto popolare, assai noto in Istria, cita Anno bisesto anno funesto. Si dice che questo motto sia più an- tico dell’Arena.

Il 2020 sembra, purtroppo, confermare di essere portatore di sventure e di avvenimenti particolarmente drammatici. Tutta- via chi ha vissuto la guerra racconta di fatti ben peggiori. Ogni generazione porta con sé le stimmate di momenti difficili.

Spesso le situazioni critiche, o addiritura tragiche, si accavalla- no, si sommano, rendendo l’esistenza degli uomini ancora più drammatica. Come fulmine a ciel sereno nel 2020 è arrivato il Covid 19. Parlarne troppo può essere deleterio per la salute mentale perche può indurre alla depressione, ma parlarne po- co sarebbe come mettere il capo sotto la sabbia. Dunque occor- re parlarne in modo equilibrato e soprattutto avere notizie cer- te e non discordanti. Quotidianamente siamo costretti ad ascoltare – dai soloni che ci circondano – il catastrofismo più corrosivo. Riguardo il Covid 19 i mezzi d’informazione e la TV riportano tutto e il contrario di tutto. Il peggio che possa capi- tare a un essere umano è l’incertezza del futuro, di quello che potrebbe accadere domani. Tuttavia sappiamo perfettamente che la psiche dell’uomo è bene organizzata al punto di supera- re le difficoltà di qualsiasi evento.

Navigando in Internet ho scoperto le riflessioni della giornali- sta Carla Ceretelli la quale affronta il problema legato a questo Annus horribilis con un commento di cui riporto solo l’essenza:

“Mentre penso al momento di ansia che si insinua subdola- mente in ciascuno di noi, mi imbatto in un libro che non cono- scevo. Annus Mirabilis di Geraldine Brook, uno tra i romanzi che

meglio descrivono la situazione sconcertante in cui l’uomo si trova a convivere con epidemie e pandemie. Una rivelazione sulla natura umana e cioè il racconto di come nell’emergenza, nella sospensione della normalità, fuoriescono i lati peggiori, ma anche quelli migliori, delle persone. Annus Mirabilis è dun- que, il racconto di un’epoca assai simile alla nostra. Tratto da una storia vera è oggi più attuale che mai. L’autrice Geraldine Brooks racconta di un piccolo villaggio inglese colpito dalla peste, i cui abitanti prendono l’eroica decisione di isolarsi per non propagare il contagio. L’Annus Horribilis della peste, però, è destinato a trasformarsi in un Annus Mirabilis. Un particolare dettaglio che svela il coraggio umano in cui, dolore e gioia, perdita e resurrezione si alternano mirabilmente. La Brooks, scrittrice e giornalista australiana, tra l’altro vincitrice del Pre- mio Pulitzer nel 2006, descrive in modo impeccabile, l’animo umano e la sua natura. Nel suo insieme il libro sembra assai vi- cino alla realtà di quanto stia vivendo l’intera umanità in que- st’anno 2020”.

Purtroppo il nostro Governo non è stato impeccabile nell’af- frontare la pandemia, soprattutto per l’incertezze dei suoi dpcm. (Decreto Presidenza Consiglio dei Ministri), spesso giu- dicati ondivaghi, fumosi e contradditori. Per risvegliare le co- scienze degli italiani viene da chiedersi che cosa si può fare e come reagire. Chi può, stia a casa il più possibile, senza coerci- zioni, e non dimenticando che anche in casa occorre prudenza.

Ormai conosciamo tutti le regole. Applichiamole. Non sarà fa- cile ma neppure impossibile. Quindi possiamo farcela.

Piero T.

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