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Registro delle lezioni di Analisi Matematica 1 (II parte) - a.a. 2005/06 Corso di Laurea in Ingegneria Informatica

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(1)

Registro delle lezioni di Analisi Matematica 1 (II parte) - a.a. 2005/06 Corso di Laurea in Ingegneria Informatica

Aggiornamento degli appunti: 17.1.06

Chiunque trovi errori in questi appunti e’ pregato di segnalarmelo; fa un favore a me e soprattutto ai suoi compagni.

Mercoledi 2 novembre 2005 - due ore

Introduciamo ora lo studio dei massimi e dei minimi assoluti e relativi di una funzione e vediamo come si collegano con il concetto di derivata. Vediamo la seguente definizione.

Definizione 54 Sia A un qualsiasi insieme di R e f : A → R una funzione.

a) Il massimo assoluto di f e’ il massimo (se esiste) dell’insieme immagine di f , cioe’ il massimo valore assunto da f (x) al variare di x nel dominio. Il minimo assoluto di f e’ il minimo (se esiste) dell’insieme immagine di f , cioe’ il minimo valore assunto da f (x) al variare di x nel dominio.

b) Un punto x0∈ A e’ detto punto di massimo assoluto se f (x0) e’ il massimo di f . Un punto x0∈ A e’ detto punto di minimo assoluto se f (x0) e’ il minimo di f .

c) Un punto x0 ∈ A e’ detto punto di massimo relativo se esiste un intorno di x0, (x0− δ, x0+ δ), tale che f (x) ≤ f (x0), per ogni x ∈ A ∩ (x0− δ, x0+ δ). Un punto x0∈ A e’ detto punto di minimo relativo se esiste un intorno di x0, (x0− δ, x0+ δ), tale che f (x) ≥ f (x0), per ogni x ∈ A ∩ (x0− δ, x0+ δ).

In relazione alla definizione precedente osserviamo alcune cose: abbiamo gia’ incontrato il massimo e minimo di una funzione nel teorema di Weierstrass e abbiamo visto che non e’ detto che una funzione li abbia. Se il massimo e minimo (o anche uno solo dei due) esistono, sono ovviamente unici. I punti di massimo e di minimo assoluti non e’ detto che lo siano. Pensiamo per esempio a sen x. Il massimo e il minimo sono rispettivamente 1 e −1 ma i punti di massimo e di minimo assoluti sono infiniti.

La vera novita’ della definizione precedente sta nell’introduzione del concetto di punto di massimo e di minimo relativo che studia il confronto fra il valore della funzione in un dato punto e nei ”punti vicini”. L’immagine di un punto di massimo relativo non e’ detto che sia il massimo della funzione.

Le definizioni precedenti riguardano funzioni qualsiasi, che non vanno pensate, in linea di principio, ne’ derivabili, ne’ persino continue. Se pero’ la funzione in questione e’ derivabile, lo studio della derivata puo’ dare un grosso aiuto per determinare i massimi e minimi (assoluti o relativi).

Proposizione 55 (Primo teorema di collegamento fra massimi, minimi e derivate.) Sia f : [a, b] → R derivabile in a. Se f0(a) > 0 allora a e’ punto di minimo relativo. Se f0(a) < 0 allora a e’ punto di massimo relativo.

Dimostrazione. Supponiamo che f0(a) > 0. Per il teorema della permanenza del segno, dato che lim

x→a+

f (x) − f (a)

x − a = f0(a) > 0,

allora in un opportuno intorno destro di a risulta f (x) > f (a), cioe’ a e’ punto di minimo relativo. La dimostrazione del caso in cui f0(a) < 0 e’ del tutto analoga e puo’ essere svolta senza difficolta’ per esercizio. CVD

Esercizio Enunciare e dimostrare l’analogo teorema che coinvolge il secondo estremo b.

Teorema 56 (di Fermat o 2 teorema di collegamento fra massimi, minimi e derivate.) Sia A ⊆ R e f : A → R una funzione data. Sia x0un punto interno di A e sia anche punto di massimo o di minimo relativo di f . Supponiamo che f sia derivabile in x0. Allora risulta f0(x0) = 0.

Dimostrazione. Ricordiamo che (definizione 33, prima parte degli appunti) x0 punto interno di A vuol dire che esiste un intorno (x0− δ, x0+ δ) contenuto in A. Allora si puo’ fare sia il limite destro che quello sinistro del rapporto incrementale. Supponiamo che x0 sia punto di minimo relativo (la dimostrazione del caso in cui x0 e’ di massimo relativo e’ del tutto analoga). Allora esiste un intorno di x0, (x0− δ1, x0+ δ1) tale che per ogni

(2)

x ∈ (x0− δ1, x0+ δ1) ∩ A risulta f (x) ≥ f (x0). Scegliamo δ1< δ in modo che (x0− δ1, x0+ δ1) ⊆ A. Allora nei punti di tale intervallo risulta

f (x) − f (x0)

x − x0 ≥ 0, se x > x0 f (x) − f (x0)

x − x0 ≤ 0, se x < x0. Da cui segue

limx→x+ 0

f (x) − f (x0) x − x0

≥ 0, limx→x

0

f (x) − f (x0) x − x0

≤ 0.

Dato che f e’ derivabile in x0 i due limiti precedenti devono essere entrambi uguali a f0(x0) che quindi risulta essere uguale a zero. CVD

Osserviamo che i due teoremi precedenti dicono cose diverse: il primo da’ una condizione sufficiente per l’esistenza di un punto di massimo o di minimo relativo, il secondo una necessaria. Basta pensare per esempio a f (x) = x3; in x = 0 la derivata si annulla, ma esso non e’ certo un punto di massimo o di minimo relativo.

La proposizione 55 invece aiuta in alcune situazioni in cui la derivata non si annulla. Purtroppo un errore tipico che a volte si commette e’ quello di cercare i punti di massimo e di minimo relativo di una funzione soltanto provando ad annullare la derivata. Per esempio se studio f (x) = x definita in R, so che non ci sono punti di massimo ne’ di minimo relativo. Tutti i punti del dominio sono interni, la f e’ derivabile in tutti i punti e, coerentemente con il teorema di Fermat, la derivata non si annulla mai. Se studio invece g(x) = x, definita in [0, 1], anche in questo caso la derivata non si annulla mai. Allora posso dire che non ci sono punti di massimo o di minimo relativo?

Certamente no! Si vede bene che x = 0 e x = 1 sono punti rispettivamente di minimo e massimo relativo (anche assoluto). Per trovare tali punti si studia la derivata, ma applicando la proposizione 55 e non cercando di annullare la derivata.

Riepilogando quanto detto, i punti di massimo e di minimo relativi di una funzione f : A → R vanno cercati tra:

i) i punti in cui la funzione non e’ derivabile,

ii) i punti che non sono interni al dominio (per esempio gli estremi se il dominio e’ un intervallo) iii) i punti interni al dominio in cui la funzione e’ derivabile e la derivata si annulla.

A questo punto, se riusciamo a determinare la presenza di punti interni al dominio in cui la funzione e’ derivabile e la derivata si annulla, come si fa a capire se tali punti sono di massimo, di minimo relativo o nessuna delle due cose? Per rispondere alla domanda dobbiamo prima enunciare un teorema che e’ uno dei piu’ importanti di tutta l’analisi matematica.

Teorema 57 (del valor medio o di Lagrange) Sia f : [a, b] → R una funzione continua nel suo dominio e derivabile in (a, b). Allora esiste un punto c ∈ (a, b) tale che

f (b) − f (a)

b − a = f0(c).

Dimostrazione. Consideriamo la funzione

r(x) = f (b) − f (a)

b − a (x − a) + f (a)

e la funzione, definita in [a, b], g(x) = f (x) − r(x). Si osservi che il grafico di r e’ la retta per i punti (a, f (a)), (b, f (b)). La g e’ continua e quindi per il teorema di Weierstrass ammette massimo e minimo assoluti. Inoltre si vede facilmente che g(a) = g(b) = 0. Quindi se il massimo e il minimo di g sono assunti negli estremi allora la funzione e’ costante e si ha g0(x) = 0 per ogni x. Dato che

g0(x) = f0(x) +f (b) − f (a) b − a , allora l’enunciato e’ vero nel senso che non solo esiste c tale che

f (b) − f (a)

b − a = f0(c),

(3)

ma addirittura per tutti gli x ∈ [a, b] vale

f (b) − f (a)

b − a = f0(x).

Se invece almeno uno tra il massimo e il minimo di f e’ assunto in un punto interno, chiamiamo c tale punto. La g e’ derivabile in c perche’ differenza di funzioni derivabili e quindi si puo’ applicare il teorema di Fermat e dire che g0(c) = 0. Quindi, per tale c si ha

f (b) − f (a)

b − a = f0(c) e la dimostrazione e’ completa. CVD

Dal teorema del valor medio seguono in particolare tre risultati che collegano la derivata di una funzione alla sua monotonia.

Proposizione 58 (Primo test di monotonia) Sia I un intervallo e f : I → R continua in I e derivabile in tutti i punti interni di I. Allora

i) f e’ crescente se e solo se f0(x) ≥ 0 per ogni x interno a I, ii) f e’ decrescente se e solo se f0(x) ≤ 0 per ogni x interno a I.

Dimostrazione. Dimostriamo solo la i). La ii) e’ del tutto analoga alla prima e puo’ essere svolta senza difficolta’ come utile esercizio.

1) Dimostriamo prima l’implicazione ⇒, cioe’ prendiamo per ipotesi che f e’ crescente. Fissiamo x0 interno a I. Si puo fare sia il limite destro che quello sinistro del rapporto incrementale. Se x > x0, si ha

f (x) − f (x0) x − x0 ≥ 0.

Passando al limite e grazie al teorema della permanenza del segno, otteniamo lim

x→x+0

f (x) − f (x0) x − x0

≥ 0.

Se facciamo il limite sinistro otteniamo la stessa cosa; ma in realta’ non c’e’ bisogno perche’, dal momento che gia’

sappiamo che f e’ derivabile in x0, il precedente limite mi da’ gia’ la derivata f0(x0) che risulta pertanto ≥ 0.

2) Dimostriamo ora il viceversa cioe’ l’implicazione ⇐. Dobbiamo dimostrare che, dati due qualsiasi punti x1 e x2 di I, con x1< x2, risulta f (x1) ≤ f (x2). La funzione f pensata nell’intervallo [x1, x2] e’ continua e derivabile in (x1, x2). Allora possiamo applicare il teorema del valor medio e affermare che esiste c ∈ (x1, x2) tale che

f (x2) − f (x1)

x2− x1 = f0(c).

Ma ora stiamo supponendo che f0(x) ≥ 0 in ogni punto interno x, quindi f0(c) ≥ 0 da cui segue che f (x2) − f (x1) x2− x1

≥ 0, cioe’ f (x2) − f (x1) ≥ 0 e la dimostrazione di i) e’ completa. CVD

Giovedi 3 novembre 2005 - un’ora

Si osservi che la proposizione precedente richiede esplicitamente che il dominio della funzione sia un intervallo, altrimenti il risultato e’ falso, in particolare non vale l’implicazione ⇐. Basta prendere ad esempio f (x) = 1/x, definita in R\{0}, la quale ha derivata negativa in ogni punto, ma non e’ decrescente.

Esercizio. Provate a studiare se invece l’implicazione ⇒ vale anche in insiemi piu’ generali. Per esempio dire (giustificando ovviamente la risposta) se e’ vero il seguente enunciato: se f e’ definita nell’unione di due intervalli, (a, b) ∪ (c, d), con b < c, derivabile in ogni punto e crescente, allora la derivata e’ ≥ 0 per ogni x. Secondo voi questo ipotetico teorema e’ vero?

Proposizione 59 (Secondo test di monotonia) Sia I un intervallo e f : I → R continua in I e derivabile in tutti i punti di I tranne al piu’ gli estremi (se appartengono a I). Allora

i) se f0(x) > 0 per ogni x interno a I, segue che f e’ strettamente crescente, ii) se f0(x) < 0 per ogni x interno a I, segue che f e’ strettamente decrescente.

(4)

Dimostrazione. Anche in questo caso dimostriamo solo la i), essendo la ii) analoga.

Analogamente all’implicazione ⇐ della proposizione precedente, dobbiamo dimostrare che, dati due qualsiasi punti x1e x2di I, con x1< x2, risulta f (x1) < f (x2). La funzione f e’ continua nell’intervallo [x1, x2] e derivabile in (x1, x2). Per il teorema del valor medio esiste c ∈ (x1, x2) tale che

f (x2) − f (x1) x2− x1

= f0(c).

Dato che f0(x) > 0 in ogni punto interno, si ha f0(c) > 0 da cui segue che f (xx2)−f (x1)

2−x1 > 0, cioe’ f (x2) − f (x1) > 0.

CVD

Con lo stesso esempio precedente si vede che la proposizione non vale se il dominio di f non e’ un intervallo.

Il viceversa della proposizione non vale: infatti un controesempio e’ dato da f (x) = x3 definita in R che e’

strettamente crescente ma vede annullarsi la derivata in zero.

Proposizione 60 (Terzo test di monotonia) Sia I un intervallo e f : I → R continua in I e derivabile in tutti i punti di I tranne al piu’ gli estremi (se appartengono a I). Allora f e’ costante se e solo se f0(x) = 0 per ogni x interno a I.

Dimostrazione. 1). Sappiamo gia’ che la ⇒ e’ vera. Abbiamo cioe’ gia’ visto che le funzioni costanti sono derivabili con derivata nulla in ogni punto del dominio.

2). Dimostriamo ora la ⇐. Prendiamo un punto x1∈ I scelto a caso. Facciamo vedere che per ogni punto x2

di I risulta f (x1) = f (x2). In tal modo si ottiene la costanza di f . Applichiamo il teorema del valor medio alla funzione f nell’intervallo [x1, x2] (oppure lo dobbiamo indicare come [x2, x1] a seconda di chi e’ il piu’ grande dei due), dove e’ continua e derivabile in (x1, x2). Quindi esiste c ∈ (x1, x2) tale che

f (x2) − f (x1) x2− x1

= f0(c).

Dato che f0(c) = 0 segue la tesi. CVD

In relazione alla proposizione precedente, un errore tipico e’ quello di dire che se una funzione g ha derivata nulla in ogni punto allora e’ costante. Se non ci si preoccupa di stabilire che il dominio e’ un intervallo si va incontro a errori grossolani. Per esempio potremmo avere g : R\{0} → R, g(x) = 1 se x > 0 e g(x) = −1 se x < 0 (cioe’

g(x) = x/|x|). Si vede subito che g0(x) = 0 per ogni x, ma la funzione non e’ certo costante!

Esercizio. Provate a fare alcuni esercizi del mio file in rete: per esempio da pagina 9 i numeri 2, 3, 4 (difficile), 5, 6 (difficile: bisogna conoscere la derivata in zero e saper sfruttare l’informazione), 19, 21 (simile al 6), 26, 27, 28, 29, 30, 31, 35, 36, 38, 44, 62, 65.

Martedi 8 novembre 2005 - tre ore

Vediamo ora un teorema che fornisce una tecnica per il calcolo dei limiti quando si presentano in forme inde- terminate del tipo 00 oppure ±∞±∞. Diamo il seguente teorema senza dimostrazione.

Teorema 61 (di de l’Hospital.) Sia I un intervallo, e sia x0 ∈ I oppure estremo di I (appartenente o meno all’insieme) oppure sia x0 = ±∞ (cosa che implica che I e’ illimitato). Siano date due funzioni f, g : I → R derivabili in I tranne al piu’ in x0, e siano g e g0 diverse da zero in I tranne al piu’ in x0. Supponiamo che limx→x0 f (x)

g(x) si presenti in una forma indeterminata del tipo 00 oppure ±∞±∞. Supponiamo anche che esita il limite

x→xlim0 f0(x)

g0(x) = l ∈ R. Allora risulta

x→xlim0 f (x) g(x) = l.

Esercizio. Provate a fare alcuni degli esercizi dal 53 al 64 a pag. 244 del libro.

Con il teorema precedente si puo’ finalmente verificare il limite notevole

x→+∞lim log x

x = 0. (1)

(5)

Vediamo se le ipotesi del teorema sono rispettate. Il limite si presenta nella forma indeterminata +∞/ + ∞.

Entrambe le funzioni sono derivabili, il denominatore e la sua derivata non si annullano in un intorno di +∞.

passando alle derivate si vede subito che

x→+∞lim 1/x

1 = 0.

Quindi possiamo concludere che il limite (1) e’ verificato.

Attenzione: se le ipotesi del teorema non sono tutte osservate con cura si va incontro a errori: per esempio e’

facile vedere che

x→0lim x x + 1 = 0.

Se applichiamo il teorema dell’Hospital e passiamo alle derivate risulta limx→01

1 = 1. L’errore e’ consistito nel non aver visto che il limite di partenza non e’ una forma indeterminata, il che impedisce l’uso del teorema.

Passiamo ora all’argomento che conclude il capitolo, cioe’ l’approssimazione di funzioni mediante polinomi. Per prima cosa introduciamo il concetto di derivate successive.

Definizione 62 (Derivata seconda) Sia f una funzione definita in un intorno di x0 e derivabile in tale intorno.

La derivata seconda di f in x0 e’ (se esiste) la derivata della derivata di f calcolata in x0, cioe’

f00(x0) = lim

x→x0

f0(x) − f0(x0) x − x0

,

oppure possiamo scrivere f00(x0) = (f0)0(x0). Chiameremo allora f0 derivata prima di f (finora c’era solo questa derivata e quindi non c’era bisogno di numerarle!!).

Si puo’ anche andare oltre con la derivazione, nel senso che se la derivata seconda f00(x) e’ definita per ogni x ci si puo’ chiedere se tale funzione e’ derivabile. In caso affermativo avremo la derivata terza di f e cosi’ via. Diremo allora che, per definizione, una funzione f : I → R e’ detta di classe Cn, per un dato n intero non negativo, se esiste la derivata n-esima, che si scrive f(n), e questa e’ anche continua. Diremo che e’ di classe C se ammette derivata di ogni ordine n o, come anche si puo’ dire, e’ derivabile infinite volte.

Molte delle funzioni che incontriamo (anche se in realta’ si tratta di una esigua minoranza delle funzioni esistenti!) sono Cnel loro dominio: tutti i polinomi, le esponenziali, i logaritmi, le trigonometriche.

Invece la funzione

g(x) =

( x2 x ≥ 0

−x2 x < 0 e’ C1, ma non C2.

Esercizio. Dimostrare quanto appena detto sulla funzione precedente. In particolare il punto piu’ difficile e’ la derivabilita’ in zero. Tale problema puo’ essere svolto solo tramite il passaggio al limite del rapporto incrementale.

Veniamo ora piu’ direttamente all’approssimazione di una funzione mediante polinomi. Siamo gia’ entrati in argomento nella lezione del 25 ottobre. Se f : I → R e’ derivabile in x0 ∈ I, allora la funzione r(x) = f (x0) + f0(x0)(x − x0) ha come grafico la retta tangente al grafico di f in (x0, f (x0)) e, se scriviamo

f (x) = f (x0) + f0(x0)(x − x0) + h(x), (2) si dimostra che limx→x0h(x)/(x − x0) = 0. Tale limite ci dice che r e’ la migliore approssimazione di f , in un intorno di x0, rispetto alle funzioni lineari (cioe’ quelle che hanno come grafico una retta) s(x) = f (x0) + m(x − x0), perche’ la differenza f (x) − s(x), se m 6= f0(x0), non verifica mai il limite analogo a quello della formula precedente.

Apriamo una parentesi e diamo la seguente definizione.

Definizione 63 Dato x0∈ R e date due funzioni f, g definite in un intorno di x0, si dice che f e’ un o piccolo di g, per x tendente a x0, quando vale il limite

x→xlim0

f (x) g(x) = 0.

In simboli si scrive f (x) = o(g(x)) per x → x0.

Inoltre la funzione f e’ detta infinitesima, per x tendente a x0, quando vale il limite lim

x→x0

f (x) = 0.

Se f e g tendono entrambe a zero per x tendente a x0 e f (x) = o(g(x)), allora si dice che f e’ un infinitesimo di ordine superiore rispetto a g

(6)

Un o piccolo non e’ un concetto particolarmente strano: non e’ una quantita’ piccola (cosa che non vuol dire molto...), non e’ una quantita’ trascurabile, ma semplicemente:

– per prima cosa un o piccolo e’ una funzione. Di questa non sappiamo quasi niente; conosciamo solo il suo comportamento al limite. Per esempio o(x − x0) e’ una delle infinite funzioni tali che limx→x0o(x − x0)/(x − x0) = 0.

A questo punto, alla luce della definizione appena introdotta, possiamo scrivere la formula (2) come f (x) − f (x0) − f0(x0)(x − x0) = o(x − x0),

dove l’addendo o(x − x0) si intende per x → x0.

Torniamo al tema dell’approssimazione. Data una funzione f : I → R e dato un punto x0 ∈ I, proviamo a cercare un’approssimazione non lineare, ma data da un polinomio di secondo grado. Graficamente proviamo ad approssimare il grafico di f vicino a (x0, f (x0)) con una parabola. A tal fine supponiamo che f sia derivabile due volte in x0 (e quindi, implicitamente, derivabile in un intorno di x0).

Sia g(x) = a0+ a1(x − x0) + a2(x − x0)2. La g e’ determinata se conosciamo i coefficienti a0, a1 e a2. Per prima cosa g e’ approssimante se f − g e’ infinitesima per x → x0, cioe’ limx→x0f (x) − g(x) = 0. Si vede subito che accade se e solo se a0= f (x0).

Tra tutte le funzioni g(x) = f (x0) + a1(x − x0) + a2(x − x0)2ce n’e’ una che da’ una migliore approssimazione?

Se la risposta e’ si’ come si fa a trovare? Infine che cosa vuol dire ”migliore approssimazione”? Cominciamo dall’ultima domanda. In analogia con il caso lineare, proviamo a vedere se esiste una g tale che

x→xlim0

f (x) − (f (x0) + a1(x − x0) + a2(x − x0)2)

(x − x0)2 = lim

x→x0

f (x) − g(x) (x − x0)2 = 0.

Si vede che il limite precedente si presenta in una forma indeterminata 0/0 e che il denominatore e la sua derivata non si annullano in un intorno di x0 (escluso x0). Proviamo a calcolare, se esiste, tale limite con il teorema di de l’Hospital. Passando alle derivate prime

f0(x) − a1− 2a2(x − x0))

2(x − x0) = f0(x) − a1

2(x − x0) − a2. Quindi si ha

x→xlim0

f0(x) − a1

2(x − x0) − a2= 0 se e soltanto se a1= f0(x0) e a2= 12f00(x0).

Qual e’ la conclusione di questo ragionamento? E’ che, se f e’ derivabile due volte in x0, allora esiste anche un’approssimazione di f , vicino a x0, migliore di quella data dalla funzione che ha come grafico la retta tangente.

Tale approssimazione e’ il polinomio di secondo grado f (x0) + f0(x0)(x − x0) +12f00(x0)(x − x0)2. L’approssimazione e’ migliore perche’

x→xlim0

f (x) − f (x0) − f0(x0)(x − x0) −12f00(x0)(x − x0)2

(x − x0)2 = 0,

cioe’ scrivendo

f (x) = f (x0) + f0(x0)(x − x0) +1

2f00(x0)(x − x0)2 + k(x), cioe’

f (x) = funzione approssimante di secondo grado + funzione resto,

Il resto k(x) e’ un infinitesimo di ordine superiore rispetto al resto h(x) della formula (2). Infatti k(x) = o((x−x0)2) e h(x) = o(x − x0) (sempre per x → x0).

Tra tutte le funzioni polinomiali di secondo grado, g(x) = f (x0) + f0(x0)(x − x0) +12f00(x0)(x − x0)2 e’ l’unica per cui f (x) − g(x) = o((x − x0)2) per x → x0.

Il procedimento che abbiamo studiato si puo’ estendere anche a polinomi di grado superiore al secondo se contemporaneamente la f ammette derivate di ordine superiore.

Si arriva alla fine al seguente teorema che diamo senza dimostrazione e che costituisce il fondamento della tecnica di approssimazione mediante polinomi.

(7)

Teorema 64 (Sviluppo di Taylor) Sia I un intervallo di R f : I → R derivabile n volte in un punto x0 ∈ I.

Consideriamo il polinomio

Tn(x, x0) = f (x0) + f0(x0)(x − x0) +f00(x0)

2 (x − x0)2+ ... + f(n)(x0)

n! (x − x0)n, (3) che, in notazione piu’ compatta, si scrive

Tn(x, x0) =

n

X

k=0

f(k)(x0)

k! (x − x0)k.

(la derivata di ordine zero si intende che coincide con la funzione stessa). Allora se chiamiamo r la funzione r(x) = f (x) − Tn(x, x0), risulta

x→xlim0 r(x)

(x − x0)n = 0, (4)

cioe’ si puo’ scrivere

f (x) = Tn(x, x0) + o((x − x0)n). (5)

Inoltre Tn e’ l’unico polinomio di grado n che rende vera la formula (4).

Diamo un po’ di nomi agli oggetti del teorema precedente. Tn(x, x0) si chiama polinomio di Taylor di grado n centrato in x0. La formula

f (x) = Tn(x, x0) + o((x − x0)n)

si chiama sviluppo o formula di Taylor di f di ordine n centrata in x0. La funzione r si chiama resto dello sviluppo nella forma di Peano.

Osservazione: cio’ di cui stiamo parlando non e’ un argomento facile. Proviamo a riordinare le idee. Il senso del teorema di Taylor e’ la formula (5) e la sua unicita’. Che vuol dire? Proviamo a rispondere.

Se f e’ derivabile n volte in x0allora il polinomio Tn(x, x0) =Pn k=0

f(k)(x0)

k! (x−x0)k e’ ben definito. Il problema e’ capire che relazione c’e’ tra Tne f . Di sicuro (tranne il caso particolarissimo in cui f e’ proprio un polinomio di grado n) f 6= Tn, cioe’ f (x) = Tn(x, x0) + r(x) dove r e’ il resto (possiamo chiamarlo anche errore). Il teorema ci dice come si comporta il resto cioe’: limx→x0

r(x) (x−x0)n = 0.

Inoltre, se prendo un qualsiasi altro polinomio di grado n, Pn, e scrivo f (x) = Pn(x) + s(x) dove s e’ il resto, non e’ piu’ vero che limx→x0 (x−xs(x)

0)n = 0, cioe’ il resto puo’ andare a zero piu’ lentamente di r(x) o addirittura neanche questo.

Abbiamo chiamato questo argomento ”approssimazione mediante polinomi”. L’approssimante e’ il polinomio;

potremmo scrivere f (x) ∼ Tn(x, x0)1. Attenzione che la formula di Taylor f (x) = Tn(x, x0) + o((x − x0)n) da’ un’uguaglianza vera per ogni x ∈ I e non un’approssimazione!!!

Martedi 15 novembre 2005 - tre ore

A pagina 265 del libro si trovano gli sviluppi, a un ordine generico n e centrati in zero, di alcune funzioni elementari:

ex= 1 + x +x2

2! + ... + xn

n! + o(xn), sen x = x − x3

3! +x5

5! + ... + (−1)n x2n+1

(2n + 1)! + o(x2n+1), cos x = 1 − x2

2! +x4

4! + ... + (−1)n x2n

(2n)!+ o(x2n), log(1 + x) = x −x2

2 +x3

3 + ... + (−1)n−1xn

n + o(xn), (1 + x)α= 1 + αx +α(α − 1)

2 x2+ ... +α(α − 1)...(α − n + 1)

n! xn+ o(xn).

1Anche se ∼ e’ un simbolo ambiguo, non chiaro.

(8)

Le prime tre funzioni sono Csu tutto R, mentre le altre due sono Cin (−1, +∞).

Esercizio Scrivete gli sviluppi di Taylor al terzo ordine e centrati in un punto diverso da zero (per esempio in x0= 1 o =2) di un paio delle funzioni precedenti.

Esercizio Scrivete gli sviluppi di Taylor al terzo ordine e centrati in zero di tg x e arctg x.

Ricordando la Proposizione 52 (prima parte degli appunti), la composizione di due funzioni derivabili e’ una funzione derivabile. Analogamente si puo’ procedere con le derivate successive e dimostrare (non lo faremo) che la composizione di due funzioni di classe Cn e’ ancora una funzione di classe Cn. Quindi per esempio esen x e’ una funzione Cin tutto il suo dominio R e quindi puo’ essere sviluppata secondo la formula di Taylor.

Determiniamo il suo sviluppo a un certo ordine e, per semplicita’ di calcolo, proviamo a centrarlo in zero.

Non e’ necessario calcolare le derivate e applicare la formula, ma si puo’ ottenere lo sviluppo nel modo seguente.

Ricordiamo che la formula

ex= 1 + x + x2 2! +x3

3! + o(x3), (6)

e’ una vera e propria uguaglianza, valida per ogni numero x ∈ R. Quindi, dato x ∈ R, ottengo esen x = 1 + sen x +( sen x)2

2! +( sen x)3

3! + o(( sen x)3).

La precedente scrittura, che e’ del tipo

esen x = funzione approssimante + funzione resto,

e’ uno sviluppo di Taylor di esen x? La risposta e’ no perche’ la funzione approssimante non e’ un polinomio.

Proviamo allora a considerare lo sviluppo di Taylor del seno. Prendiamolo al terzo ordine e centrato in zero.

sen x = x −x3

3! + o(x3).

Sostituendo nella formula (6), risulta

esen x= 1 + x −x3

3! + o(x3) +(x −x3!3 + o(x3))2

2! +(x − x3!3 + o(x3))3

3! + o((x −x3

3! + o(x3))3).

Facendo le dovute semplificazioni (vedere i dettagli negli appunti presi a lezione) si ricava esen x= 1 + x + x2

2! + o(x3) (manca il termine di grado 3). La precedente scrittura, che e’ del tipo

esen x = funzione approssimante polinomiale + funzione resto,

e’ uno sviluppo di Taylor di esen x? la risposta e’ si’ per tre motivi: 1) l’approssimante e’ un polinomio, 2) il resto e’ un o piccolo dell’ordine giusto, cioe’ maggiore o uguale al grado massimo del polinomio, 3) terzo e ultimo (ma fondamentale) motivo e’ che lo sviluppo di Taylor e’ unico; cioe’ se mi viene data una funzione f (x) e se riesco a scrivere, anche senza fare nessuna derivata,

f (x) = Pn(x) + r(x)

dove Pne’ un polinomio di grado n e r e’ continua in x0ed e’ anche un o((x − x0)n) (per x → x0) allora, siccome so che di sviluppi di Taylor (fissato l’ordine e il centro) ce n’e’ uno solo, posso concludere che il precedente e’ proprio lo sviluppo di Taylor di f (x) di ordine n e centro x0.

Tornando alla funzione esen x, posso consocere le derivate prima, seconda e terza, senza calcolarle direttamente.

Infatti, dalla scrittura esen x = 1 + x +x2!2 + o(x3) ricavo 1 = f0(0), 1 = f00(0), 0 = f000(0).

Esercizio Scrivete gli sviluppi di Taylor al quarto ordine e centrati in zero delle seguenti funzioni x2ex, cos(1 − ex), log(1 + x2) · sen x.

Ricavare dallo sviluppo le varie derivate in zero delle precedenti funzioni.

La formula di Taylor trova applicazione (non l’unica) nel calcolo dei limiti. Per esempio calcoliamo lim

x→0+

esen x− 1 x2

(9)

Utilizzando lo sviluppo precedentemente ricavato di esen x, si scrive esen x− 1

x2 = x + x2!2 + o(x3)

x2 .

A questo punto osserviamo che lim

x→0+

x

x2 = +∞, lim

x→0+

x2/2!

x2 = 1/2 lim

x→0+

o(x3) x2 = 0.

Quindi per l’algebra dei limiti si ottiene

lim

x→0+

esen x− 1

x2 = +∞.

Esercizio. Provate a svolgere gli esercizi dal 53 al 64 a pag. 244 del libro usando gli sviluppi di Taylor invece del teorema dell’Hospital.

Esercizio. Studiare i seguenti limiti:

x→0lim 1 −√

1 + x2

1 − cos x , lim

x→0

arctg x3

log(1 + x3), lim

x→0

x e1−cos x sen x2 . Proposizione 65 (Algebra degli o piccoli) Valgono le seguenti formule:

o(xm) + o(xm) = o(xm), o(xm) − o(xm) = o(xm), o(xm) · o(xn) = o(xm+n) o(xm) + o(xn) = o(xs), dove s = min{m, n} xno(xm) = o(xm+n).

La dimostrazione segue dalla definizione di o piccolo e puo’ essere svolta per esercizio.

Concludiamo l’argomento con un’ultimo risultato. Abbiamo chiamato questo argomento ”approssimazione di funzioni mediante polinomi”. Vediamo in che modo dare un senso alla parola approssimazione. Introduciamo il seguente teorema dato senza dimostrazione.

Teorema 66 (Formula di Taylor con resto nella forma di Lagrange) Data una funzione f : I → R, deriv- abile n + 1 volte in I e dato x0∈ I, per ogni x ∈ I esiste un punto c compreso tra x e x0 tale che

f (x) = Tn(x, x0) +f(n+1)(c)

(n + 1)! (x − x0)n+1.

L’espressione f(n+1)(n+1)!(c)(x − x0)n+1si chiama resto di ordine n + 1 nella forma di Lagrange.

Mentre il resto nella forma di Peano si rivela utile nel calcolo dei limiti, il resto nella precedente forma di Lagrange si applica piu’ facilmente nelle stime degli errori delle approssimazioni. Supponiamo per esempio di voler calcolare il numero e con un errore inferiore a 10−4. Scriviamo lo sviluppo di ex centrato in zero e scegliamo di fermarci all’ordine 4:

ex= 1 + x +x2 2! +x3

3! +x4

4! +f(5)(c) 5! x5. e = 1 + 1 +1

2 +1 6+ 1

24+ec 5!,

dove il c precedente e’ un numero compreso tra 0 e 1. Supponiamo di sapere almeno che e < 3. Dal momento che 0 ≤ c ≤ 1 la quantita’ 2 +12+16+241 approssima e con un errore inferiore a 3/5! che tuttavia e’ maggiore di 10−4. Se scriviamo lo sviluppo a un ordine maggiore si nota che 3/8! < 10−4. Quindi basta sviluppare fino al settimo ordine. La quantita’ 2 +12+16+241 +1201 +6!1 +7!1 dunque approssima e con un errore inferiore a 10−4.

Esercizio Approssimare log 2 e sen 1 con un errore inferiore a 10−3.

Parte sul libro corrispondente all’argomento appena svolto: capitolo 5, paragrafi 1, 2 (esclusi punti angolosi e cuspidi (pagg. 213/4)), 3, 4, 5 (esclusa la definizione di convessita’ con le rette tangenti), 6, 7 (escluso il sottoparagrafo 7.5). Aggiungere anche la definizione di asintoto, data dalla Prof.sa Bardelli e che trovate a pag. 158).

CALCOLO INTEGRALE

(10)

Dato un intervallo [a, b] definiamo partizione di [a, b] un insieme finito di punti di [a, b], P = {x0, x1, ..., xn} tale che

a = x0< x1< ... < xn= b.

Una scelta di punti della partizione e’ definita come un insieme finito di punti S = {c1, ..., cn} tale che ck∈ [xk−1, xk] per ogni k = 1, ..., n.

Date P e S relativa a P , la coppia α = (P, S) e’ detta partizione puntata di [a, b].

Consideriamo ora una funzione f : [a, b] → R. A ogni partizione puntata α si associa il numero Sf(α) =

n

X

k=1

f (ck)(xk− xk−1),

dove gli xk e i ck sono gli elementi rispettivamente della partizione P e della scelta S che compongono α.

Intuitivamente l’integrale di f e’ il limite degli Sf(α) quando gli intervalli si infittiscono e le loro ampiezze tendono a zero. Per rendere precisa questa idea definiamo il numero |α| detto parametro di finezza che definiamo come l’ampiezza massima tra tutti gli intervalli che compongono la partizione di α2.

Siamo ora in grado di dare la definizione di funzione integrabile e di integrale.

Definizione 67 (Integrale di una funzione) Diremo che f e’ integrabile secondo Cauchy-Riemann3 in [a, b] se esiste un numero reale I tale che

lim

|α|→0Sf(α) = I,

cioe’, ricordando la definizione di limite, se per ogni successione di partizioni puntate {αn} tali che |αn| → 0, per n tendente a ∞, risulta

n→∞lim Sfn) = I.

Il numero I e’ detto integrale di f in [a, b].

L’integrale di f in [a, b] si denota in genere con i simboli Z b

a

f oppure

Z b a

f (x)dx.

Martedi 22 novembre 2005 - tre ore

Quali sono le funzioni integrabili? In questo corso ne possiamo individuare con chiarezza solo una parte perche’

per una comprensione piu’ profonda avremmo bisogno di nozioni complesse di teoria della misura per gli insiemi degli spazi euclidei. Vediamo la seguente definizione che possiamo comprendere solo parzialmente.

Definizione 68 (Insiemi trascurabili) Un sottoinsieme A di R si dice trascurabile se per ogni ε > 0 esiste una famiglia (finita o infinita) di intervalli la cui unione contiene A e la cui misura complessiva e’ minore o uguale a ε (cioe’, se si considera una qualunque sottofamiglia finita di intervalli della precedente, la somma delle loro ampiezze non deve superare ε).

Sono trascurabili gli insiemi finiti e anche gli insiemi numerabili (cioe’ gli insiemi i cui punti possono essere messi in corrispondenza biunivoca con N). Da notare che anche Q e’ numerabile, quindi trascurabile e anche l’insieme dei numeri razionali contenuti in un qualsiasi intevallo [a, b] e’ trascurabile. Un insieme A = {x1, x2..., xn, ...}

numerabile e’ trascurabile perche’, dato ε > 0 possiamo costruire una successione di intervalli In ciascuno di ampiezza (variabile) ε/2n e ciascuno contenente il corrispondente xn.

L’ampiezza complessiva di una qualsiasi sottofamiglia finita di tali intervalli e’ minore della somma della serie geometrica

X

n=1

ε

2n = ε/2 1 − 1/2 = ε.

Esercizio. Provare che gli insiemi finiti sono trascurabili.

Esercizio. Data la serieP n=1

ε

2n, provare che la successione delle sue somme parziali tende effettivamente a ε (suggerimento: basta solo applicare quanto gia’ sapete sulle serie geometriche e fare un po’ di attenzione ai calcoli).

Sono trascurabili anche insiemi ben piu’ complicati, ma non possiamo approfondire il concetto in questo corso.

Lo utilizziamo per dare (senza dimostrazione) il seguente teorema che caratterizza le funzioni integrabili.

2Non e’ il valore assoluto di α che non avrebbe neanche senso dato che α non e’ un numero, ma una coppia di insiemi.

3Dal nome di due matematici che, in epoche diverse, hanno dato un grosso contributo alla costruzione della teoria. Nel seguito useremo piu’ semplicemente solo l’espressione ”integrabile” (senza il riferimento a Cauchy-Riemann).

(11)

Teorema 69 (Criterio generale di integrabilita’) Una funzione f : [a, b] → R e’ integrabile in [a, b] se e solo se e’ limitata e l’insieme dei suoi punti di discontinuita’ e’ trascurabile.

Questo teorema ci da’ la possibilta’ di individuare tutte le funzioni integrabili, ma nella pratica ci scontriamo sempre con il fatto che non e’ facile capire se un insieme e’ trascurabile. Allora si puo’ rivelare utile il seguente corollario (cioe’ una conseguenza diretta del teorema precedente) che ci da’ una classe importante (anche se non completa) di funzioni integrabili.

Corollario 70 (Criterio parziale di integrabilita’) Se una funzione f : [a, b] → R e’ limitata e continua in tutti i punti tranne al piu’ un numero finito, allora e’ integrabile in [a, b].

Il precedente corollario, come gia’ detto, e’ incompleto, ma da’ parecchie informazioni. Ci dice intanto che tutte le funzioni continue sono integrabili (si osservi che il dominio e’ [a, b] quindi si tratta, per il teorema di Weierstrass, di funzioni anche limitate). Ma anche le funzioni limitate con un numero finito di punti di discontinuita’ sono integrabili4.

Per esempio il gradino di Heaviside, H : R → R, definita come

H(x) =

( 1 x ≥ 0

0 x < 0 e’ integrabile in ogni intervallo [a, b].

Sono integrabili in ogni intervallo [a, b] le funzioni parte intera di x, in simboli [x], e parte frazionaria di x, in simboli {x}, definite rispettivamente come

[x] = il piu’ grande intero che non supera x, {x} = x − [x].

Sempre come conseguenza del corollario, se abbiamo una funzione f definita in [a, b] tranne un numero finito di punti e ivi limitata e continua, f si puo’ prolungare in tutto [a, b] (con continuita’ o meno) e ottenere una funzione ancora limitata e continua tranne al piu’ un numero finito di punti di discontinuita’ (nessuno se il prolungamento e’ continuo), quindi integrabile. Per esempio f (x) = sen x/x, x ∈ (0, 1] e’ continua e limitata, ma non e’ definibile in zero. Definiamo allora

g(x) =

( sen x/x 0 < x ≤ 1

1 x = 0

h(x) =

( sen x/x 0 < x ≤ 1

2 x = 0

La g e’ continua (e’ il prolungamento continuo di f ), mentre la h e’ discontinua in x = 0. Entrambe le due funzioni sono integrabili e si potrebbe dimostrare con la definizione cheR1

0 g(x)dx =R1

0 h(x)dx.

Esercizio. Piu’ avanti vedremo tecniche per calcolare, quando e’ possibile, l’integrale di una funzione. In altre parole la definizione 67 non fornisce uno strumento agile per il calcolo di un integrale. Tuttavia, per entrare meglio nell’argomento, provate a calcolare, utilizzando la definizione in modo rigoroso, gli integrali

Z 1 0

x dx,

Z 2 0

[x] dx,

Z 1

−1

−2 dx.

(Suggerimento: grazie al corollario 70 gia’ sappiamo che le tre funzioni sono integrabili. Allora per calcolare i tre integrali conviene prendere successioni di partizioni puntate {αn} che rendano i calcoli piu’ semplici. Allora prendete {αn} in modo che gli intervalli della partizione abbiano tutti la stessa ampiezza e che i punti scelti siano i punti medi di ciascun intervallo).

Esercizio (difficile e facoltativo). Consideriamo f : [0, 1] → R definita come

f (x) =

( 1/n se x = m/n, m e n interi positivi e primi tra loro (ovviamente m ≤ n) 0 se x e’ irrazionale

Provate che f e’ continua in tutti i punti di [0, 1] di ascissa irrazionale e discontinua in quelli di ascissa razionale.

Quindi l’insieme dei punti di discontinuita’ e’ trascurabile e la f e’ integrabile. Provate, con la definizione e con

4Si faccia attenzione al fatto che, mentre una funzione continua in [a, b] e’ automaticamente limitata, una funzione definita in [a, b], continua in tutti i punti tranne uno (o piu’ di uno) non e’ detto che sia limitata.

(12)

il suggerimento dell’esercizio precedente, cheR1

0 f (x) dx = 0. Si puo’ anche procedere con successioni di partizioni puntate che rendono il calcolo ancora piu’ rapido. Quali?

Esercizio. La funzione di Dirichlet f : [0, 1] → R, definita come

f (x) =

( 0 se x e’ razionale 1 se x e’ irrazionale,

non e’ integrabile. Provate a verificarlo. Quali sono i suoi punti di discontinuita’ ?

Esercizio. Una funzione illimitata in [a, b] non e’ integrabile. Fate vedere che per esempio

f (x) =

( 1/x x ∈ (0, 1]

0 x = 0

non e’ integrabile.

Teorema 71 (Proprieta’ dell’integrale) Siano f, g : [a, b] → R due funzioni integrabili e c un numero reale.

Allora risulta:

i) f + g e’ integrabile eRb

a(f + g)(x) dx =Rb

af (x) dx +Rb

ag(x) dx (additivita’), ii) cf e’ integrabile eRb

a(cf )(x) dx = cRb

a f (x) dx (prodotto per uno scalare), iii) se r ∈ [a, b]Rb

a f (x) dx =Rr

a f (x) dx +Rb

rf (x) dx (additivita’ rispetto al dominio), iv) se f ≤ g, Rb

af (x) dx ≤Rb

ag(x) dx (monotonia), v) se f ≥ 0,Rb

a f (x) dx ≥ 0 (monotonia, caso particolare del precedente), vi)

Rb

af (x) dx ≤Rb

a |f (x)| dx (monotonia, caso particolare del iv)).

Dimostrazione (facoltativa) della i). Gli altri enunciati hanno una dimostrazione analoga e possono essere svolti per esercizio. Solo il iii) e’ leggermente piu’ difficile da verificare.

Dobbiamo far vedere che esiste un numero I tale che, presa una qualsiasi successione di partizioni puntate {αn} tali che |αn| → 0, per n tendente a ∞, risulta

n→∞lim Sf +gn) = I.

Per come sono state definite le somme Sf +gn), risulta evidente che Sf +gn) = Sfn) + Sgn). Sappiamo che f e g sono integrabili per cui esistono I1 e I2 tali che

n→∞lim Sfn) = I1, lim

n→∞Sgn) = I2

e i due limiti valgono con I1 e I2 indipendenti dalla successione di partizioni puntate {αn} tali che |αn| → 0, per n tendente a ∞. Segue che, scelto I = I1+ I2, si ha

n→∞lim Sf +gn) = I, cioe’ Rb

a(f + g)(x) dx =Rb

a f (x) dx +Rb

ag(x) dx. CVD

Vediamo ora una convenzione che fara’ comodo usare. Abbiamo definito l’integrale e abbiamo usato il simbolo Rb

af (x) dx. E’ utile anche definire il simboloRa

b f (x) dx, cioe’ quando l’estremo d’integrazione in basso e’ maggiore di quello in alto. Precisamente si definisce

Z a b

f (x) dx = − Z b

a

f (x) dx.

Con tale formula si puo’ dimostrare, per esempio, che le proprieta’ i), ii) e iii) valgono ancora per integrali indipen- dentemente da come sono ordinati gli estremi di integrazione, mentre le iv) v) e vi) non valgono piu’ se si invertono gli estremi.

Esercizio. Dimostrare che la iii) vale anche per integrali indipendentemente da come sono ordinati gli estremi di integrazione. Per la precisione: utilizzando la iii) del teorema 71 come gia’ acquisita, dimostrare che, se f

(13)

e’ definita in un intervallo I e a, b, c sono tre qualsiasi punti di I, allora Rb

af (x) dx = Rc

a f (x) dx +Rb

c f (x) dx indipendentemente da come sono ordinati a, b, c.

Fino a ora abbiamo visto la definizione e alcune proprieta’ del concetto di integrazione. Abbiamo anche indi- viduato una classe ampia di funzioni integrabili (corollario 70), ma non abbiamo determinato un metodo pratico per calcolare l’integrale di una funzione. A questo obiettivo (e non solo) risponde il teorema fondamentale del calcolo integrale, che e’ uno dei teoremi piu’ importanti dell’analisi matematica. Prima di enunciarlo abbiamo bisogno del seguente teorema.

Teorema 72 (Teorema della media integrale) Data f : [a, b] → R continua, esiste c ∈ [a, b] tale che Rb

af (x) dx

b − a = f (c).

Osservazione: si noti che il teorema, cosi’ come il successivo teorema fondamentale del calcolo integrale, richiede che f sia continua e non solo integrabile.

Dimostrazione. Applicando il teorema di Weierstrass, siano rispettivamente M e m il massimo e il minimo di f . Se pensiamo M e m come due funzioni costanti, per la iv) del teorema 71, si ha

Z b a

m dx ≤ Z b

a

f (x) dx ≤ Z b

a

M dx.

Osserviamo che

Z b a

m dx = m(b − a),

Z b a

M dx = M (b − a), quindi

m ≤ Rb

a f (x) dx b − a ≤ M.

Per il teorema dei valori intermedi (teorema 46, prima parte degli appunti), essendo

Rb af (x) dx

b−a un valore compreso tra il minimo e il massimo di f risulta essere anche un elemento dell’immagine di f stessa, cioe’ esiste c ∈ [a, b] tale che

Rb

af (x) dx b − a = f (c) e la dimostrazione e’ conclusa. CVD

Diamo ora la seguente definizione.

Definizione 73 (Funzione integrale) Data f : [a, b] → R integrabile, per ogni x ∈ [a, b] la f e’ integrabile anche nell’intervallo [a, x], quindi risulta ben definita la seguente funzione integrale, F : [a, b] → R,

F (x) = Z x

a

f (t) dt

La definizione puo’ essere estesa anche a casi un po’ piu’ generali. Per esempio potremmo fissare c ∈ [a, b] e definire G(x) =Rx

c f (t) dt. Si osservi che G(c) = 0. Inoltre se per esempio supponiamo f ≥ 0 si ha che G(x) ≥ 0 se x > c, mentre G(x) ≤ 0 se x ≤ c. Se per esempio f > 0 e consideriamo F (x) =Rx

a f (t) dt osserviamo che F (a) = 0 e inoltre F e’ strettamente crescente. Infine possiamo anche considerare il caso in cui f e’ definita su tutto R e integrable in ogni intervallo limitato e chiuso (cosa che accade se f e’ per esempio continua). Se prendiamo un qualsiasi c ∈ R, e’ ben definita, per ogni x ∈ R, F (x) =Rx

c f (t) dt.

Martedi 29 novembre 2005 - tre ore

Possiamo ora enunciare il teorema fondamentale del calcolo integrale (si faccia attenzione che sul libro e’

presentato a pag 311).

Teorema 74 (Teorema fondamentale del calcolo integrale) Sia I un intervallo di R, sia f : I → R continua e c un punto fissato in I. Allora la funzione integrale F : I → R,

F (x) = Z x

c

f (t) dt, risulta derivabile in ogni punto di I e risulta

F0(x) = f (x), ∀x ∈ I.

(14)

Dimostrazione Osserviamo per prima cosa che F e’ effettivamente ben definita in tutto I. Non e’ specificato se I e’ limitato e chiuso oppure no. Quindi f , anche se continua nel dominio, potrebbe essere non limitata (si pensi per esempio al caso in cui I = R). Questo fatto tuttavia non crea alcun problema. Infatti non si chiede che la f sia integrabile in I. E’ invece vero che se consideriamo un qualsiasi x ∈ I e l’intervallo (limitato) chiuso di estremi c e x, allora la f e’ continua in tale intervallo e li’ anche limitata, dunque integrabile.

Veniamo alla dimostrazione vera e propria. Fissiamo x ∈ I, proviamo che F e’ derivabile in I e che F0(x) = f (x).

Scriviamo il rapporto incrementale al variare di un incremento h F (x + h) − F (x)

h =

Rx+h

c f (t) dt −Rx c f (t) dt

h =

Rx+h x f (t) dt

h ,

l’ultima uguaglianza segue dalla iii) del teorema 71, valida indipendentemente dall’ordine di c, x e x + h (si veda anche l’esercizio a pag. 12). Applichiamo ora il teorema della media integrale all’ultimo integrale e si ottiene

Rx+h x f (t) dt

h = f (d)

dove d e’ un punto opportuno compreso fra x e x + h. Facendo il limite del rapporto incrementale per h → 0, si vede che d, essendo compreso fra x e x + h, tende a x. Di conseguenza, dato che f e’ continua, f (d) → f (x), cioe’

h→0lim

F (x + h) − F (x)

h = lim

h→0f (d) = f (x).

Quindi F0(x) = f (x) e il teorema e’ dimostrato. CVD

Il precedente teorema e’ realmente un risultato notevolissimo. Esso lega strettamente due concetti molto diversi tra loro, quello di derivata e quello di integrale. Ci dice che, se partiamo da una funzione continua f e scriviamo una funzione integrale F (non e’ molto importante quale c si sceglie) la F e’ a sua volta derivabile e facendo la derivata si torna a f . In un certo senso il teorema ci dice che le operazioni di derivazione e integrazione sono inverse tra loro.

Definizione 75 (Primitiva di una funzione) Data f : I → R, una funzione G : I → R e’ detta primitiva di f se

G0(x) = f (x), ∀x ∈ I.

Il teorema fondamentale del calcolo integrale ci dice che

Proposizione 76 Se f : I → R e’ continua allora ammette almeno una primitiva.

Dimostrazione. Infatti ogni sua funzione integrale F (x) =

Z x c

f (t) dt, (per ogni scelta di c ∈ I) e’ una primitiva di f . CVD

Se una funzione f ammette una primitiva G allora ne ammette in realta’ infinite, perche’ tutte le funzioni H(x) = G(x) + k, dove k e’ una costante, sono primitive di f . Infatti, essendo G primitiva di f , si ha G0(x) = f (x) per ogni x. D’altra parte H0(x) = G0(x), quindi H0(x) = f (x), cioe’ H e’ una primitiva di f .

In altre parole se f ammette una primitiva G, tutte le funzioni ”G + costante” sono primitive di f . Non ci sono altre primitive. Infatti sia L una qualsiasi primitiva di f . Se prendiamo la funzione G − L, si vede subito che

(G − L)0(x) = f (x) − f (x) = 0, ∀x ∈ I.

Essendo I un intervallo, applichiamo il terzo test di monotonia (prima parte degli appunti) e concludiamo che G − L e’ costante. Riassumendo:

• se f : I → R ammette una primitiva G tutte le altre primitive sono della forma G + k, dove k e’ una costante.

Definizione 77 (Integrale indefinito) L’insieme di tutte le primitive di una funzione f (se esistono) si chiama integrale indefinito di f e si indica con il simbolo

Z

f (x) dx.

(15)

Osservazione. Si faccia attenzione a con confondere il precedente simbolo con Z b

a

f (x) dx.

Purtroppo la simbologia e i nomi non aiutano a fare chiarezza! Il primo, l’integrale indefinito e’ un insieme di funzioni, il secondo, l’integrale tra a e b e’ un numero. Si tratta cioe’ di due cose del tutto diverse.

Osservazione. Molti degli studenti che hanno gia’ incontrato alle scuole superiori il calcolo differenziale e inte- grale sono abituati a considerare l’integrazione come l’operazione inversa della derivazione. Per fare un’affermazione del genere ci vuole cautela.

Le due operazioni effettivamente inverse tra loro sono la derivazione e la ricerca delle primitive. Sono proprio una l’inversa dell’altra proprio per come sono definite. L’integrazione e’ un’altra cosa! E’ definita in modo radicalmente diverso, e’ legata al calcolo delle aree che, a una prima osservazione, non ha niente a che vedere con le rette tangenti.

Allora vale una considerazione opposta, cioe’ che la derivazione e l’integrazione non hanno alcun legame? La risposta e’ no. La derivazione e l’integrazione sono strettamente legate dal risultato che e’ chiamato teorema fondamentale del calcolo: se parto da f : I → R continua e fisso c in I, la funzione integrale F : I → R,

F (x) = Z x

c

f (t) dt,

che e’ legata all’area del sottografico di f (o sopragrafico se f e’ negativa), risulta derivabile in ogni punto di I e vale F0(x) = f (x), ∀x ∈ I, cioe’ F e’ una primitiva di f e questo e’ realmente un risultato notevolissimo!

Se abbiamo f : [a, b] → R integrabile, il teorema fondamentale del calcolo fornisce un metodo per calcolare Rb

af (x) dx, come ci dice la seguente proposizione (sul libro a pag. 287).

Proposizione 78 (Formula fondamentale del calcolo integrale) Se f : [a, b] → R e’ continua e G e’ una sua primitiva, allora

Z b a

f (x) dx = G(b) − G(a).

Dimostrazione. Dal teorema fondamentale del calcolo integrale sappiamo che la funzione integrale F (x) = Rx

a f (t) dt e’ una primitiva di f . Inoltre e’ immediato osservare che F (a) = 0, F (b) =

Z b a

f (t) dt, cioe’

Z b a

f (t) dt = F (b) − F (a).

Se prendiamo una qualsiasi altra primitiva G, sappiamo che G − F e’ costante. Quindi G(b) − F (b) = G(a) − F (a) = G(a), e infine

G(b) − G(a) = F (b) = Z b

a

f (t) dt, e la proposizione e’ dimostrata. CVD

Allora, in base alla proposizione, il calcolo dell’integrale tra a e b di f e’ legato alla ricerca delle sue primitive.

Come vedrete (principalmente nelle ore della Prof.sa Bardelli) esistono metodi per la determinazione delle primitive di un’ampia classe di funzioni continue.

Come abbiamo visto nel precedente capitolo, ci sono regole piuttosto agevoli per il calcolo delle derivate di somme, prodotti, rapporti e composizioni delle funzioni cosiddette elementari. Non e’ cosi’ per la ricerca delle primitive. Per molte funzioni continue la ricerca della primitiva e’ un esercizio molto difficile (che noi ci guardiamo bene dall’affrontare dati i limiti di tempo del corso). A questo problema si aggiunge un ulteriore difficolta’ e cioe’

che per alcune funzioni, tra queste ex2, non e’ possibile esprimere la primitiva in termini di funzioni elementari. In altre parole, la funzione

F (x) = Z x

1

et2dt

e’ ovviamente una primitiva di ex2 (ce lo dice il teorema fondamentale del calcolo). Il fatto e’ che non si puo’

scrivere F con un’espressione algebrica. Vorrei sottolineare che non e’ che non ci riesce; e’ stato dimostrato che non si puo’ !!!.

(16)

Esercizio. Dal capitolo sugli integrali del mio file di esercizi, presente in rete: fate alcuni tra i numeri 2, 3, 4, 9, 11, 13, 14, 18, 20, 23, 24 (questi due un po’ piu’ difficili), il numero 35 a pag. 21 del mio file di esercizi e gli esercizi dal 37 al 43 alle pagg. 22-23.

Esercizio. Sempre dal del mio file di esercizi in rete: provate a fare alcuni degli esercizi degli ultimi compiti e precisamente: 30.6.05 n. 1, 3, 20.4.05 n. 3, 25.1.05, n. 3.

Martedi 6 novembre 2005 - tre ore

Concludiamo il capitolo sugli integrali con i cosiddetti integrali impropri (o integrali generalizzati come vengono chiamati sul libro).

Partiamo da un caso particolare e prendiamo per esempio le due funzioni 1/x e 1/x2, dal grafico simile, ma ovviamente diverso. Consideriamo x ≥ 1. Il loro sottografico e’ illimitato e diventa piu’ piccolo quando x cresce.

Si puo’ sperare di assegnare loro una misura? Cioe’ si puo’ calcolare l’area anche se la figura, ripeto, e’ illimitata?

Tale area, inoltre, sara’ +∞ o sara’ un numero?

Proviamo a procedere nel seguente modo. Studiamo per esempio 1/x. Se fissiamo un valore c > 1, l’area del sottografico compreso fra 1 e c e’ data da Rc

1 1/x dx. Allora e’ ragionevole definire l’area del sottografico di 1/x, per x ∈ [1, +∞) come

c→+∞lim Z c

1

1 xdx.

Tale limite e’ facile da calcolare. Infatti

Z c 1

1

xdx = log c, quindi

c→+∞lim Z c

1

1

xdx = +∞.

Allora possiamo dire che la misura della figura geometrica che stiamo considerando e’ +∞.

Se invece studiamo sottografico di 1/x2, per x ∈ [1, +∞), osserviamo che e’ contenuto nel sottografico prece- dente. Se procediamo nello stesso modo di prima

Z c 1

1

x2dx = 1 −1 c, quindi

c→+∞lim Z c

1

1

x2dx = 1.

Diremo che il sottografico di 1/x2, per x ∈ [1, +∞), ha misura finita uguale a 1.

Il ragionamento appena fatto ci permette di risolvere il problema della convergenza delle serie armoniche, che avevamo lasciato in sospeso. Prendiamo la serie

+∞

X

n=1

1 n, e dimostriamo finalmente che e’ divergente. Definiamo la funzione

f : [1, ∞) → R, f (x) = 1

n, se x ∈ [n, n + 1).

E’ facile vedere che f (x) ≥ 1/x per ogni x. Quindi per ogni c > 1 si ha Z c

1

f (x) dx ≥ Z c

1

1 xdx, da cui segue che

c→+∞lim Z c

1

f (x) dx = +∞.

Inoltre osserviamo che, se n ∈ N,

Z n 1

f (x) dx =

n

X

k=1

1 k.

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