Alberto Bellini, Ravenna, 6.2. 2016 “Trivellazioni. Economia-Lavoro-Ambiente”
Professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi” di Bologna
Faccio una doverosa premessa: sono un professore della facoltà di ingegneria e condivido quello che è stato detto dalle persone che mi hanno preceduto, ma con alcune
precisazioni che farò. Sono orgoglioso di quello che abbiamo sentito che è la storia industriale del nostro paese e credo che dobbiamo essere riconoscenti per quello che è stato fatto, da tutti i punti di vista. Non c’è nessun’altra valutazione che mi sento di dare sulle cose che abbiamo sentito e che riguardano il passato. Lo dico con chiarezza non per piaggeria con chi mi sta di fianco, ma perché lo condivido. Anch’io sono orgoglioso se le aziende italiane sono in grado di esportare tecnologia nel mondo. Però – e questo è ciò che cercherò di raccontarvi – io faccio il ricercatore e sono abituato a sviluppare progetti per il futuro. Quello che abbiamo visto è una cosa che va bene, che è importante ma che può e deve essere cambiata in una direzione che proverò a disegnare. Partendo da cosa?
Partendo da una considerazione. Non sono il WWF o Legambiente che ci dicono che questo sistema economico non è più sostenibile, è il Fondo Monetario Internazionale, è Christine Lagarde, in un rapporto pubblicato nel luglio 2014.
L’FMI dice che le cosiddette esternalità sul nostro sistema, cioè i costi su ambiente e salute dovute ad attività industriali, in particolare quelle energetiche che sono quelle con il maggiore impatto sull’ambiente e sulla salute, sono superiori ai margini di profitto. Ce lo dice il FMI e ci invita a cambiare rotta. Questo è il punto di partenza; non vuol dire buttiamo via quello che abbiamo e che abbiamo fatto. Ma che dobbiamo impegnarci per una direzione diversa e per ragioni economiche; poi naturalmente anche per le ragioni ambientali e di salute che sono collegate. Fatta questa premessa vi dico chi siamo noi.
Siamo 22 docenti e costituiamo un gruppo interdisciplinare: io sono ingegnere, il prof.
Balzani è un chimico, abbiamo poi degli economisti come il prof. Zamagni, abbiamo
scienziati della Sociologia e cosi via. Perché? Perché crediamo che per disegnare il futuro serva l’interdisciplinarietà. Parto da molto lontano: io non credo di dovermi occupare dei problemi della vostra città, lo faranno i vostri amministratori. Io cercherò di darvi una
rappresentazione di quella che deve essere la rotta futura trattando tre temi.
Il primo è quali scenari si presenteranno dopo che avremo preso coscienza, in base alle cose che vi ho detto prima del fatto che, come dive il prof. Balzani: “siamo tutti su
un’astronave che sta per andare a sbattere contro un muro”. Quindi dobbiamo prima di tutto preoccuparci di evitare il muro. Secondo tema, che richiederà più tempo: le energie rinnovabili sono una chimera o sono una realtà? Come ultimo punto vi farò vedere un esempio concreto perché credo che, anche se faccio l’accademico, ritengo sia importante,
come ha fatto chi mi ha preceduto, dare concretezza alle azioni.
Energia alternativa: una premessa di natura tecnica: l’energia è un elemento fondamentale della nostra società, addirittura può essere considerata la moneta di scambio del nostro tempo: è molto più importante avere energia che avere dollari. E ci sono esempi concreti che mostrano che l’energia è ormai necessaria in ogni ambito della nostra società, anche quelli meno conosciuti. Per esempio non so quanti di voi sanno che per produrre un chilo
di carne ci vogliono, per tutta la filiera organizzativa ad esso legata, 7 litri di petrolio.
Siamo in una situazione difficile come vediamo da questo grafico che parte da 800.000 anni fa (lo si ricava dai carotaggi in Antartide con cui si misura, in modo reale, la
concentrazione di anidride carbonica e la temperatura da 800.000 anni fa ad oggi). Siamo in una situazione drammatica perché oggi la concentrazione di anidride carbonica è a un livello mai raggiunto prima e questo costituisce un elemento di grande criticità. Molti si chiedono se questo è causato dall’uomo oppure da fenomeni naturali (oscillazione del sole, fenomeni spaziali e/o di vario genere). La risposta è no, è causato dall’uomo. Questo è un dato di fatto che la comunità scientifica ha condiviso: se si osservano i modelli
naturali, che ci dicono quale sarebbe stato il possibile aumento di temperatura negli ultimi 100 anni legato ai soli fenomeni naturali, questi non avrebbero giustificato l’aumento di temperatura effettivo che è nell’ordine di 1 grado centigrado. Quindi togliamoci gli alibi: è colpa nostra, cioè siamo noi i responsabili di questo aumento di temperatura. Ci sono naturalmente anche quelli che la pensano diversamente. Sono il 3% della cosiddetta comunità scientifica, ma questo non dovrebbe alimentare dubbi. Faccio una provocazione:
se il 97% degli ingegneri vi dicesse che questo ponte non è da attraversare voi
l’attraversereste oppure no?
Voi mi chiederete, ma stiamo parlando di energia? Certo, ma c’è un legame diretto tra le risorse naturali e il clima e l’ambiente: l’energia si può spiegare attraverso tre fasi:
produzione, distribuzione e usi finali. Sappiamo che nella realtà nulla si crea e nulla si distrugge; noi oggi stiamo semplicemente convertendo il sole, che è stato stoccato
sottoterra per milioni di anni sotto forma di combustibili fossili, e lo utilizziamo per produrre energia. Tenete presente che oggi noi utilizziamo – è il bilancio mondiale del 2012 – il corrispettivo di 18.609 milioni di tonnellate di petrolio di cui circa l’80% viene da
combustibili fossili. In termini d’uso un terzo dell’energia va in residenza e servizi, un terzo in trasporti e un terzo per le attività industriali. Questa è la suddivisione dell’energia
utilizzata nel mondo. In Italia le cose sono, se possibile, ancora peggiori, perché noi - dati del 2012 - facciamo un uso ancora maggiore di combustibili fossili, e per quanto riguarda i consumi, abbiamo un consumo più basso nell’industria e un pò più alto per casa e servizi.
Faccio notare questo perché molte volte noi tendiamo a dire che di queste cose si devono occupare gli amministratori, si debbono occupare altri. No, sono problemi che riguardano noi perché la somma dei consumi nelle e per le nostre case, è la quota predominante di energia usata. Vi faccio notare un altro dato molto importante: ciascuno di noi usa
mediamente in un anno l’equivalente di due tonnellate di petrolio. A livello mondiale siamo spreconi, siamo un paese ricco e consumiamo quasi il doppio della media mondiale. E quello che preoccupa di più sono le emissioni climalteranti, cioè quelle che hanno impatto sul clima; tra queste la quota maggiore è costituita dall’energia. Per questo è un tema a cui dobbiamo dedicare grande attenzione.
Come lo affrontiamo? Dal 1997 alcuni ricercatori hanno proposto uno strumento di
valutazione quantitativa, la cosiddetta ‘impronta ecologica’ che misura la quantità di spazio che occupiamo (utilizziamo) come singole persone; cioè quanto viene usato per la
produzione di cibo, quanto per la mobilità, quanto per le attività economiche che sono legate alla nostra vita personale. L’uso delle risorse che ciascuno di noi fa richiede uno spazio fisico. La cosa più preoccupante, di cui non so quanti siano consapevoli, è che lo
spazio che occupiamo è superiore a quello che abbiamo a disposizione. In particolare – questi sono i dati dell’Italia - noi abbiamo a disposizione come media un ettaro e ne utilizziamo circa quattro, cioè ciascuno di noi usa 4 ettari mentre ne ha uno solo. Com’è possibile? Intanto perché, come vedete, in paesi come il Congo etc. succede il contrario:
loro usano uno spazio di circa ½ ettaro a persona ma ne hanno a disposizione 10. Vi faccio notare che nel 1961 di ettari ne avevano 45. Perché adesso sono rimasti solo con 10? Perché in questi 50 anni non loro ma noi abbiamo utilizzato le risorse naturali in eccesso che hanno portato a questo risultato. Io faccio vedere spesso questo grafico anche agli studenti per far capire loro una cosa molto semplice: poi non stupiamoci se gli abitanti del Congo vogliono venire a vivere a Ravenna o in Italia, dove si ha un ettaro a disposizione e se ne usano quattro, mentre loro che ne hanno 10 o 20, ne utilizzano solo mezzo. Voglio dire che noi ne possiamo usare 4 ettari un po’ perché usiamo quelli di altri paesi, un po’ perché usiamo gli ettari del passato, cioè andiamo a prendere le risorse costituite dai combustibili fossili che hanno accumulato il sole per milioni di anni. Perché questi combustibili si chiamano non rinnovabili? Perché non si rinnovano nell’arco di una vita umana, quindi i miei figli e i figli dei miei figli non avranno quelle risorse a disposizione.
Bisogna quindi prendere atto della responsabilità, della necessità, di andare verso le risorse rinnovabili. E’ stato detto che siamo all’inizio delle rinnovabili; questo è l’unica affermazione alla quale mi permetto di fare obiezione. Non è vero che siamo gli inizi, intanto dal punto di vista storico: Becquerel è arrivato prima di Drake. Drake è il primo imprenditore che ha fatto le estrazioni di Petrolio in Pennsylvania; Becquerel, che ha inventato la tecnica del fotovoltaico, è arrivato 20 anni prima. Ma soprattutto la ricerca ci dice che ci sono oggi tecnologie in grado di arrivare al 100% di rinnovabili. E’ un lavoro scientifico di due delle università più autorevoli del mondo - Stanford e Berkeley, con un contributo dell’Università di Berlino per i paesi europei – che ci dice che solo con vento, acqua e sole (non biomasse) si può arrivare al 100%, coprendo anche i consumi termici oltre a quelli elettrici. Naturalmente questo può avvenire solo in una fase detta di
transizione da pianificare in una trentina d’anni, con una riduzione dei combustibili fossili a favore delle altre fonti energetiche che già ci sono e non devono essere scoperte. Questa transizione è la rivoluzione sociale di cui dobbiamo occuparci oggi, non di altri temi, perché
dal punto di vista tecnico le soluzioni per farlo esistono.
Quali sono i vantaggi di questa trasformazione dal punto di vista economico? Le emissioni di anidride carbonica sono arrivate a quota 400, con uno scenario che si basa sulle
rinnovabili scenderebbero a 300. Se invece continuiamo con lo stile di vita e di consumi che stiamo adottando arriveremo a 600, 700, 800, ovvero creeremo una patologia
irrisolvibile per l’ambiente. Vi faccio vedere un’immagine e un video che mostra tre numeri che possono farvi capire che sulle estrazioni di idrocarburi per il futuro bisogna andare molto cauti. Il Guardian, il più importante quotidiano inglese, ha promosso una campagna di sensibilizzazione con lo slogan keep it in the ground, cioè lasciali nel sottosuolo,
riferendosi ai combustibili fossili, gas, petrolio, idrocarburi. Perché? Per una ragione che si può sintetizzare in tre numeri. Il primo numero sono 2 gradi: gli scienziati ci dicono che 2 gradi di aumento della temperatura media è il limite massimo che il pianeta può
permettersi; oltre i due gradi la vita come noi la conosciamo non ci sarà più. Questo è il primo dato è la soglia da non superare. Il secondo numero è lo spazio che abbiamo in
termini di impronta ecologica per non superare i due gradi: sono 565 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, cioè possiamo rilasciare in atmosfera 565 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Se quantifichiamo tutte le riserve di idrocarburi ancora nel sottosuolo, solo quelle certe, e le utilizzassimo tutte, emetterebbero 2.765 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Questa è la ragione che sta alla base del keep it in the ground. Non è un problema tecnico, non è un problema economico, è un problema di ambiente, di clima.
E come se noi dicessimo che in questa stanza vogliamo metterci altre 700 persone; non si può perché questa stanza ha un limite fisico. Anche la nostra terra ha un limite fisico: 565 miliardi di tonnellate di anidride carbonica mentre noi, estraendo tutti i combustibili fossili, ne rilasceremmo 2.795, quindi non si può. Dobbiamo darci delle regole, anche sociali ed
economiche per limitare questo aumento entro i limiti consentiti dal nostro pianeta.
Passo ora alla parte economica. Non c’è il prof Zamagni e devo farlo io; mi perdonerete perché io sono un ingegnere non sono un economista. Cercherò comunque di farvi capire che lo scenario del 100% rinnovabile sarebbe vantaggioso anche dal punto di vista
economico, come ci dice il Fondo Monetario Internazionale. I dati della ricerca mostrano che il 100% rinnovabile porterebbe ad un costo dell’energia inferiore rispetto al costo di quella derivata dai combustibili fossili. Perché? Perché le esternalità, cioè gli impatti su
ambiente e salute avrebbero un carico [inferiore] molto significativo.
Un aspetto che solleva molto interesse è quello dei posti di lavoro, un tema molto delicato sul quale immagino ci sarà discussione. Io faccio il ricercatore e vi do dei numeri, poi le organizzazioni sindacali diranno la loro. Ho avuto l’opportunità di incontrare recentemente Susanna Camusso che ha mostrato perplessità su queste previsioni; ho molto rispetto per chi fa il lavoro sindacale e che merita tutta la mia attenzione. I numeri ci dicono che se noi passassimo allo scenario 100% rinnovabile perderemmo, a livello mondiale, 133.000 posti di lavoro e avremmo un vantaggio di 500.000 posti di lavoro. I numeri della ricerca ci dicono questo. Il problema allora può essere espresso così: è possibile pensare di
convertire 130.000 maestranze e professionalità verso 500.000 potenziali posti di lavoro?
In trent’anni io credo di si. Non in giorno ma sapendo oggi che la prossima generazione deve occuparsi di questo dobbiamo trasformare le maestranze, ma soprattutto agire sulla formazione in quella direzione. Un altro dato: cinque giorni fa negli USA sono usciti i report sul lavoro dai quali risulta che il settore oil and gas ha, per la prima volta nella storia, meno occupati di quello delle rinnovabili. Negli Stati Uniti da dicembre gli occupati nelle
rinnovabili sono 200.000, gli occupati nell’oil and gas sono 179.000. Un altro dato è ancora più importante: gli occupati dell’oil and gas sono diminuiti di 13.500 unità, quelli delle rinnovabili sono cresciuti del 20%. Questi sono gli elementi anche economici che dobbiamo tenere presenti. Andando verso questo scenario i vantaggi sono enormi. Perché ci sarebbe un risparmio potenziale di miliardi di dollari per ogni anno, pari all’8 % del Pil, grazie al fatto che si riducono le emissioni in atmosfera, si riducono le morti premature per effetto delle esternalità e non si deve fare nessun passo indietro, nessuna decrescita. Cioè questo scenario non vi dice, com’è stato brillantemente detto prima di me: “tornate a
lavare il bucato con le mani”. No, è uno scenario che ci dice: “continuiamo ad utilizzare la
tecnologia, ma con una diversa attenzione verso l’ambiente e verso il futuro”.
Vi avevo promesso - e concludo con questo - di mostrarvi un altro esempio perché le cose che si dicono bisogna farle. Io, come molti di voi sanno, ho avuto il privilegio di fare
l’amministratore e credo che chi fa l’amministratore se ha delle idee e non le realizza non deve più presentarsi in pubblico: non ha senso aver l’opportunità di fare delle cose al servizio degli altri e non farle; toglie la possibilità di parlare. Dopo aver visto quello che abbiamo fatto come amministratori mi direte voi se sono stato coerente o meno con le cose che vi ho appena raccontato. In questo video vediamo un campo solare termico, sostanzialmente uno strumento per sostituire energie fossili con energie rinnovabili. Sono specchi ustori del tipo di quelli usati da Archimede nel 300 a.C. contro gli eserciti nemici:
concentrano la luce del sole su un fuoco dove si accumula l’energia termica; questa viene utilizzata dall’industria come calore di processo al posto di quello prodotto col gas. Volevo soltanto farvi capire che queste cose esistono - questo è un impianto realizzato e
funzionante - sono tecnologie mature e che si possono applicare, naturalmente col tempo necessario, il periodo transizione, a realizzarli. Questo impianto non ha emissioni;
soprattutto non ha costi perché una volta ammortizzato il sole non costa nulla. E’ a disposizione per le attività produttive delle aziende. Molti mi chiedono perché serve il calore d’estate? Le attività economiche hanno processi che richiedono calore anche nei mesi estivi; per esempio questo campo è collegato ad un’azienda che produce
l’anodizzazione dell’alluminio e che ha bisogno di calore anche durante i mesi estivi. Non viene utilizzato per produrre energia perché non siamo nella parte giusta del mondo: per avere una differenza di temperatura tale da produrre energia elettrica bisogna andare nel deserto. Questo produce soltanto energia termica.
(trascritto a cura di Francesco Pertegato, senza revisione da parte dell’interessato)