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Loggia P2: una storia italiana

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Comunicazione d’Impresa e

Politica delle Risorse Umane

Tesi di Laurea

LOGGIA P2: UNA STORIA ITALIANA

RELATORE

Prof. Luca Michelini

CANDIDATO

Alessandra Farci

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Indice

Introduzione p.3

Capitolo 1 – L’Italia degli anni Settanta

1.1 La crisi del ‘68 p.5

1.2 L’autunno caldo p.9

1.3 La strategia della tensione p.12

1.4 Il terrorismo p.17

1.5 Verso il compromesso storico p.19

1.6 La crisi p.27

Capitolo 2 – Universo massonico

2.1 Le origini della moderna Massoneria p.35

2.2 L’espansione mondiale p.41

2.3 Il caso italiano p.51

2.4 Riti e gradi p.56

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Capitolo 3 – Propaganda 2

3.1 Scoppio dello scandalo p.66

3.2 La Loggia p.72

3.3 La P2 nella strategia della tensione p.77

3.4 Affari occulti p.86

3.5 Scalata Rizzoli p.99

3.6 Il Piano di rinascita democratica p.105

Conclusioni p.113

Appendice p.117

Bibliografia p.158

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Introduzione

Se si volesse menzionare il più grave scandalo politico che abbia mai coinvolto l’Italia, la risposta sarebbe solo una: il “caso P2”. Con la perquisizione attuata a Castiglion Fibocchi fu infatti sgominata l’associazione che influenzò maggiormente il Paese nei suoi anni suoi più critici.

Con gli anni Settanta si aprì in Italia un decennio caratterizzato dall’instabilità più totale, dominato da lotte sindacali, crisi di governo, stragi terroristiche e mancati colpi di stato. Fino al 1981, nessuno di essi parve in qualche modo collegato ad una trama, ma, una volta requisiti gli elenchi degli iscritti alla Loggia, il fosco quadro incominciò a delinearsi.

Sulla Loggia P2 molto è stato detto e molto è stato scritto. Nei fatti, essa fu un’organizzazione massonica “coperta” che, sulla spinta del Venerabile Licio Gelli, riuscì ad infiltrarsi nei più alti gangli dello Stato grazie a corruzione, ricatti e attività criminali. Dai documenti sequestrati, inoltre, emersero presto i suoi rapporti con varie entità esterne ai confini nazionali, legate soprattutto al traffico di armi e a finanziamenti illeciti; questi ultimi, in particolare, evidenziarono le forti relazioni vantate dalla Loggia verso numerosi capi militari sudamericani, nella maggior parte dei casi responsabili di colpi di Stato e cruente persecuzioni civili. Un vero crogiolo di interessi criminosi che ebbe modo di stravolgere la vita del Paese, nell’ottica di un progetto internazionale che riunì insieme circuiti degenerati della Massoneria, organizzazioni militari e malavita.

Con la scoperta della Loggia, un vero terremoto attraversò il Paese, così forte da comportare l’apertura di una crisi e la caduta del governo. Per far fronte al fenomeno, venne istituita una Commissione Parlamentare d’inchiesta, che attraverso un immane lavoro riuscì a delineare un filo conduttore all’interno delle vaste attività della P2, giungendo infine a delle enigmatiche conclusioni. Molti rimasero nei fatti gli interrogativi senza risposta, legati soprattutto all’effettivo ruolo svolto dalla Loggia, intesa dalla maggioranza come una sorta di strumento alla mercé di trame internazionali. I dilemmi aumentarono del resto vertiginosamente davanti alla

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reticenza di vari personaggi chiave che scelsero di non collaborare, primo fra tutti Giulio Andreotti, da alcuni ritenuto il vero padre spirituale della Loggia.

A quarant’anni di distanza numerosi dubbi continuano a rimanere irrisolti.

Il presente elaborato non cerca dunque di fornire soluzioni, bensì di analizzare il fenomeno in un’ottica storica, rapportando la nascita della Loggia all’evolversi dei due contesti entro cui ebbe modo di svilupparsi e proliferare: rispettivamente, la politica italiana degli anni Settanta e la Massoneria, istituzione secolare a tratti avversa e a tratti complice della P2. In tal modo, lo studio si prefigge l’obiettivo di evidenziare almeno le possibili determinanti del “caso P2”, a tutti gli effetti ancora aperto.

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Capitolo 1

L’Italia degli anni Settanta

1.1 La crisi del ‘68

Il 1968 rappresentò senza dubbio un anno di forti cambiamenti, tanto da rappresentare un vero e proprio spartiacque all’interno del sistema politico e sociale italiano.

Lo scenario politico, in particolare, era dominato dai contrasti fra i partiti più rappresentativi, rispettivamente la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito Comunista Italiano (PCI), e ciò fu immediatamente ravvisabile già dalle elezioni politiche del maggio, che confermarono una percentuale elettorale in favore della DC del 39% , seguita da da un 27% registrata dal PCI. Una sconfitta non indifferente toccò invece il Partito Socialista Unitario (PSU,) nato dall’unificazione fra il Partito Socialista Italiano (PSI) e il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), che rasentò una percentuale del 14,5%. 1Questa sconfitta non segnò solo il declino dell’unificazione del PSU, che tornò a dividersi nemmeno un anno dopo, ma rappresentò soprattutto il tramonto dell’idea di un terzo partito che potesse rappresentare una valida alternativa al sistema politico italiano, dominato da anni da un “bipartitismo imperfetto” che vedeva la DC come unico partito di maggioranza al governo e il PCI relegato ad un ruolo di opposizione perpetua.

Si costituì così un governo monocolore democristiano, denominato “balneare” per via della sua scarsa durata, esclusivamente estiva, il cui incarico venne affidato a Giovanni Leone, in attesa di una riorganizzazione generale del partito socialista.

Il congresso dei socialisti si tenne a Roma dal 24 al 28 ottobre. A discapito dell’idea di rinnovamento maturata a seguito della sconfitta elettorale, tuttavia, il PSU si presentò di nuovo estremamente frammentato; le correnti

1 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), Roma, Carocci editore, 2009, p.88.

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partecipanti erano infatti ben cinque, raggruppate sotto i rispettivi leader: “Riscossa e Unità Socialista” di Francesco De Martino, “Rinnovamento Socialista” di Mario Tanassi, “Autonomia Socialista” di Mauro Ferri, “Impegno Socialista” di Antonio Giolitti e, infine, “Sinistra Socialista” di Riccardo Lombardi. Il congresso terminò con la fusione fra “Autonomia Socialista” (vincitrice di una percentuale del 36%) e “Rinnovamento Socialista” (15%), a cui seguirono le elezioni di Pietro Nenni come presidente del partito e di Mauro Ferri come segretario. 2

Una volta riorganizzata la struttura socialista, restava da affrontare la partecipazione al nuovo governo. Di fatti, il 19 novembre il presidente del Consiglio Giovanni Leone sancì le sue dimissioni, aprendo le strade per la formazione di un governo di centro-sinistra, il cui incarico venne affidato al democristiano Mauro Rumor. Con 181 voti favorevoli, nacque dunque il nuovo governo, al cui interno trovarono collocazione tutti i i leader delle varie correnti socialiste ad eccezione di Giolitti. 3

A partire da agosto, tuttavia, il quadro internazionale si complicò notevolmente in seguito all’invasione della Cecoslovacchia ad opera delle truppe dell’Unione Sovietica. Proprio in Cecoslovacchia si assisteva infatti ad un tentativo di politica anti-autoritaria (definita “socialismo dal volto umano”), ideata dal presidente Alexander Dubček e passata alla storia come “Primavera di Praga”: si trattava nei fatti di una politica di liberalizzazioni aventi la prerogativa di modernizzare il Paese e di aumentare le libertà personali e civili dei cittadini, pur rimanendo all’interno del Patto di Varsavia; le riforme non erano state però accettate dai sovietici, che decisero di porre fine all’esperimento invadendo il Paese ed arrestando Dubček. 4

A differenza dei fatti di Ungheria del 1956, il PCI decise questa volta di esporsi e di condannare pubblicamente l’invasione sovietica, esprimendo un « grave dissenso » e mostrando solidarietà al partito cecoslovacco; ciò generò dei

2 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, Bologna, Il mulino, 1998, pp. 327-328. 3 Ibidem.

4 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), pp. 88-89.

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malumori sempre più frequenti fra il PCI e il PCUS, tanto che si molti intellettuali arrivarono a parlare di « rottura irreversibile ».5

Ma il 1968 fu un anno critico anche per la società italiana, specialmente per le fasce più giovani. Le trasformazioni economiche e sociali che avevano rapidamente investito il Paese, nonché i cambiamenti culturali che stavano attraversando il mondo intero non lasciarono indifferenti gli studenti universitari italiani, che già da due anni stavano occupando moltissime università. Non a caso, risalì al 1966 la fondazione dell’Istituto universitario di scienze sociali nella città di Trento, culla di molti intellettuali che diedero vita a dei movimenti e, spesso, organizzazioni, destinate ad avere un ruolo cruciale nelle vicende della società italiana. Sempre nel 1966 morì a Roma Paolo Rossi, uno studente che precipitò dall’università di Lettere durante uno scontro contro un gruppo di neofascisti.6

Il 1968 fu infatti l’anno della protesta e della contestazione, sia a livello nazionale che internazionale. Il boom economico che aveva così radicalmente cambiato il Paese non era stato infatti accompagnato da adeguate riforme in grado di regolarlo, col risultato che settori come la sanità e l’istruzione si rivelavano ancorati a dei sistemi ormai divenuti obsoleti. Lo stesso contesto universitario, in particolare, non risultava in grado di contenere la grossissima mole di studenti provenienti da ogni parte d’Italia e da ogni estrazione sociale, generando così dei malesseri sempre più diffusi fra gli studenti, ormai insofferenti nei confronti delle sorde rappresentanze politiche. Per sopperire alle mancanze della politica, numerosi studenti decisero di provvedere da sé. Nacquero dunque delle assemblee all’interno delle facoltà e degli istituti superiori, che divennero presto i luoghi di discussione delle numerose problematiche interne ed esterne, con temi che andavano dal diritto allo studio all’autoritarismo della didattica, dalla rivoluzione cubana alla guerra del Vietnam, nonché al ruolo della donna all’interno di una società che, da patriarcale, stava diventando sempre più incentrata sull’individuo, in una cornice “capitalista” che

5 A.Höbel, Il contrasto tra Pci e Pcus sull’intervento sovietico in Cecoslovacchia. Nuove acquisizioni, in Studi storici, n.2, 2007, pp. 523-526.

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spiazzava sempre di più le nuove generazioni, destabilizzate e alla mercé delle grandi potenze mondiali. 7

Il momento più cruciale si ebbe senza dubbio nella contestazione avvenuta all’interno della facoltà di Architettura di Roma, in quella che venne poi ribattezzata “la battaglia di Valle Giulia”; qui, a seguito di una manifestazione tenutasi in Piazza di Spagna, un consistente gruppo di quasi diecimila studenti, molti dei quali aderenti alla destra neofascista, diedero vita ad una violenta guerriglia contro i reparti di polizia.8 L’episodio, diventato simbolo della protesta studentesca italiana, venne commentato da molti intellettuali, primo fra tutti Pier Paolo Pasolini, che non risparmiò le critiche nella sua poesia “Il PCI ai giovani”, rese esplicite nei seguenti versi:

« Avete facce di figli di papà./Vi odio come odio i vostri papà./Buona razza non mente./Avete lo/stesso occhio cattivo./Siete pavidi, incerti, disperati/(benissimo!) ma sapete anche come essere/ prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:/ prerogative piccolo-borghesi, cari./ Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte/ coi poliziotti,/ io simpatizzavo coi poliziotti../Perché i poliziotti sono figli di poveri.».9

Analizzando la contestazione studentesca nelle sue dinamiche, si potrebbe notare tuttavia che, a partire dal 1968, essa assunse altre forme ed altri obiettivi. Se nell’arco temporale racchiuso fra il 1966 e il 1968, l’epicentro dei dibattiti e della protesta verteva attorno alle tematiche dell’autoritarismo in tutte le sue varie manifestazioni ( politico, economico e sociologico), e il fulcro principale del movimento era rappresentato dalle varie assemblee o gruppi all’interno delle università, a partire dal 1968 il movimento abbandonò gli stampi comunitari e si disintegrò in sottogruppi di matrice marxista e leninista, aventi per obiettivo l’attuazione della rivoluzione proletaria in Italia. Nacquero così dei gruppi che lentamente abbandonarono il contesto universitario per riversare le proprie ideologie

7 Ivi, pp.90-91. 8 Ibidem.

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all’interno delle fabbriche: fu il caso di “Potere Operaio”, “Lotta continua” e “Avanguardia operaia”, formazioni che andarono poi ad alimentare le contestazioni operaie che ebbero il loro culmine durante l’ “autunno caldo”. 10

1.2 L’autunno caldo

Dopo le università, i tumulti di protesta investirono presto le fabbriche, soprattutto quelle del Nord Italia. L’ambiente industriale rappresentava infatti il fulcro di notevoli problematiche, frutto soprattutto delle carenze legislative in materia. Le principali tematiche della protesta verterono non a caso sui pesanti orari lavorativi (che rendevano la figura dell’operaio quasi ridotta ad una macchina ), la mancanza di adeguati diritti sul lavoro e la scarsa equità nelle retribuzioni salariali. La mancanza di tutele ebbe i suoi effetti soprattutto fra gli operai più giovani, la maggior parte dei quali era emigrata dal Sud in cerca di un maggiore benessere. Nonostante le prime proteste abbiano iniziato a realizzarsi a partire dal 1968 (fra cui il caso degli stabilimenti tessili di Valdagno e del petrolchimico di Porto Marghera), fu l’autunno del 1969 il periodo dei più accesi tumulti industriali, tanto da meritare l’appellativo di “autunno caldo”. 11

Davanti agli scioperi, inaugurati già dalla primavera dagli stabilimenti FIAT di Mirafiori e Pirelli di Milano, i partiti non assunsero alcuna posizione; in contrapposizione all’inerzia politica, iniziò così ad affermarsi sempre di più il ruolo dei sindacati, veri protagonisti delle agitazioni. La prima significativa presa di posizione fu riscontrata nella battaglia svolta nell’estate dalle Federazioni dei metalmeccanici ( FIOM – CGIL, FIM – CISL, UILM ), in vista del rinnovo del contratto collettivo nazionale. Le più importanti richieste ruotavano attorno l’aumento degli stipendi, che a dispetto dell’aumento esponenziale della produzione industriale continuavano a rimanere bassi, l’eguaglianza legislativa sia per gli operai

10 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), pp.91-92.

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che per gli impiegati nonché la definizione di un tetto massimo di 40 ore lavorative a settimana.

Fu significativo notare come, nonostante le differenze ideologiche alla base dei tre più grandi sindacati italiani quali CGIL, CISL e UIL, queste vennero accantonate in vista di una lotta comune per i diritti dei lavoratori. Davanti al silenzio della politica, i sindacati presero dunque le redini del malessere e diventarono rapidamente degli stabili punti di riferimento per i lavoratori; la spinta propulsiva fu così forte che molti studiosi cominciano ad inquadrare il fenomeno in una prospettiva di “pansidacalismo”, in opposizione alla partitocrazia intesa come centro d’azione del sistema politico e sociale. 12L’arma dello sciopero divenne presto un potente mezzo per denunciare le condizioni della classe operaia, e i risultati non tardarono ad arrivare: davanti all’ondata di proteste, che solo nel 1969 coinvolsero sette milioni e mezzo di lavoratori, il primo effetto fu un forte aumento dei salari, pari al 18,3%.

13Ad esso, fece seguito l’abolizione delle “gabbie salariali”, un sistema di calcolo dei

salari che, a parità di lavoro svolto, penalizzava i lavoratori del Mezzogiorno.

Il punto di arrivo delle lotte fu però rappresentato dall’approvazione dello Statuto dei lavoratori, realizzata nel 1970, e rappresentante la più grande normativa italiana in tema di lavoro. Se contestualizzata nel modello di produzione fordista, la legge n.300 del 1970 aveva infatti delle connotazioni sensibilmente innovative: fra le tante garanzie introdotte, spiccava per la prima volta la tutela della libertà di opinione del lavoratore, così come la cura della sua salute psico-fisica nonché il suo reintegro in caso di licenziamento illegittimo (art.18). 14

Nonostante le importanti conquiste sul piano delle tutele lavorative, tuttavia, l’”autunno caldo” ebbe anche degli effetti negativi. Il primo di questi fu un ribasso dell’8% nella produzione industriale causato delle giornate di sciopero, che manteneva il pil su un valore pari al 5,5%.15 Ad esso, si accompagnava una frattura fra la classe lavoratrice e quella del padronato, generante un clima di sfiducia verso gli investimenti da parte degli imprenditori italiani. Le conseguenze principali furono

12 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, p.345. 13 Ivi, p.346.

14 Ivi, pp.346-347. 15 Ibidem.

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però politiche: le dure lotte operaie all’interno degli stabilimenti avevano di fatto riacceso lo spettro di un’insurrezione rivoluzionaria che allarmava molte forze conservatrici. I partiti neo-fascisti uscirono così dall’ “autunno caldo” più rinforzati, primo fra tutti il Movimento Sociale Italiano (MSI). Quest’ultimo godeva del resto di una politica di rinnovamento inaugurata dal nuovo segretario Giorgio Almirante, che fece del partito un’autentica roccaforte dell’elettorato più timoroso e conservatore. Classe 1914, fervente ammiratore di Benito Mussolini nonché sostenitore e aderente della Repubblica Sociale Italiana, Almirante intendeva dare una svolta alla linea d’azione del Movimento; i suoi obiettivi furono esposti nella sua relazione alla seduta della Camera del 14 luglio 1960 (avente per argomento di discussione i fatti di Genova del 30 giugno16) con i seguenti termini:

« Si è discusso ieri se l’anticomunismo debba esser fatto con le leggi di progresso sociale o con la tutela dell’ordine pubblico. Mi si consenta di dire che questa è una posizione indegna di un Parlamento! Sono argomentazioni sofistiche che si possono leggere sui giornali di quart’ordine o su grossi giornali finanziati da determinati partiti; le abbiamo lette in certi articoli di fondo che, forse per una tal consonanza, erano molto simili alle pietre che gli attivisti del Partito comunista hanno lanciato sulle teste dei tutori dell’ordine. Sono sofismi! È chiaro: il comunismo si combatte e con le leggi sociali e con la tutela dell’ordine; è chiaro che ogni moto sovversivo si combatte realizzando una giustizia nel più vasto senso del termine e consolidando, attraverso la giustizia e il rispetto delle leggi, lo Stato. Io credevo che queste cose fossero note a tutti i parlamentari, ma mi sono accorto con disappunto che qualche parlamentare ha ancora bisogno d’impararle o di discuterle. Ma, a parte ciò, è chiarissimo che, dal punto di vista politico, il comunismo si combatte non dando partita vinta al Partito comunista. Non v’è altro modo! Quando il Partito comunista riempie l’Italia dei suoi manifesti, prende iniziative sue (e l’avete detto tutti: perché l’ ha detto il Presidente del Consiglio, ma l’ha detto anche il presidente del gruppo democristiano e l’ ha detto anche l’onorevole Malagodi), quando il Partito comunista assume l’iniziativa di una sua battaglia politica per un determinato obiettivo politico e i gruppi che si dichiarano anticomunisti fanno quel che il Partito comunista comanda, il Partito comunista ha vinto; e sarà perfettamente inutile concedere al popolo provvidenze sociali di cui il Partito comunista dirà: sono merito mio e non del Governo, perché sono io che determino le crisi dei governi contro lo stesso Parlamento e contro gli stessi partiti che ai governi danno vita! E sarà soprattutto inutile tentare di difendere l’ordine pubblico in un paese il quale avesse dovuto assistere (e

16 Il 30 giugno 1960 si verificarono dei violenti scontri nella città di Genova durante un corteo indetto dalla Camera del Lavoro. Il motivo scatenante fu la decisione di convocare nella città il sesto congresso del Movimento Sociale Italiano.

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Dio voglia che ciò non accada!) alla capitolazione dello Stato e, quindi, dell’ordine e della legge, di fronte ai provocatori dei disordini, ai sobillatori, ai sovversivi! Questo mi sembra che sia un anticomunismo serio. Noi non ne abbiamo fatto la privativa o il monopolio.» 17

Per raggiungere i suoi obiettivi Almirante decise di intraprendere una politica definita “del doppiopetto”, ovvero altalenante fra un sistema di guerriglia urbana fomentata soprattutto dai militanti più giovani, e un’immagine di apertura verso il sistema politico italiano ed europeo. Il suo vero obiettivo era tuttavia quello di disgregare l’elettorato più conservatore dalla DC, al fine di realizzare una svolta a destra che avrebbe modificato totalmente l’assetto politico italiano.18

1.3 La strategia della tensione

Nel frattempo, imperversavano nel Paese le ultime battaglie operaie. Il 9 aprile del 1969, a Battipaglia, i cittadini organizzarono una manifestazione a seguito della chiusura delle due aziende principali della città; l’esito fu però drammatico: la protesta degenerò presto in uno scontro contro i reparti della polizia, e nei tumulti persero la vita un giovane tipografo, Carmine Citro e un’insegnante, Teresa Ricciardi, raggiunta nella sua abitazione da un proiettile vagante.19

Davanti ai tumulti operai, segni di un evidente malessere che affliggeva da anni la società italiana, si imponevano ormai delle scelte governative. Nell’impossibilità di trovare una soluzione incisiva, si decise dunque di allargare la partecipazione al governo a tutte le forze che avevano fondato il sistema costituzionale. L’apertura a sinistra implicava inevitabilmente la partecipazione del maggiore partito antifascista italiano, ovvero il PCI, osteggiato per anni da una “conventio ad exludendum” operata dalla DC e dalle altre forze moderate. Nonostante i tentativi di partecipazione mossi soprattutto da Aldo Moro, la DC

17 http://www.camera.it/_dati/leg03/lavori/stenografici/sed0320/sed0320.pdf 18 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, p.348.

19 http://lacittadisalerno.gelocal.it/tempo-libero/2015/04/09/news/46-anni-fa-i-moti-di-battipaglia-1.11207722

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decise tuttavia di mantenere la sua esclusione governativa, coinvolgendo il PCI esclusivamente nella stipula degli accordi parlamentari. 20

Ad ogni modo, forti cambiamenti stavano percorrendo la politica italiana, a partire dalle nuove linee direttive intraprese dal sindacato cattolico ACLI, che, sotto la direzione di Livio Labor, iniziò a distaccarsi dalla DC e a confrontarsi con le correnti di sinistra.21 Lo stessa Chiesa cattolica, reduce dal rinnovamento generato dal Concilio Vaticano II, decretò nei fatti una maggiore apertura verso le correnti di sinistra presenti in tutto il mondo, come testimoniò il dilagare del fenomeno dei “preti-operai” o dei sacerdoti che abbracciarono la dottrina marxista, soprattutto in Sud America.22

Ma crisi interne attraversarono presto anche la DC, in balia di dissidi fra la corrente dei dorotei (la corrente più anticomunista) e quella dei “pontieri”, una fazione capeggiata da Paolo Emilio Taviani intenzionata ad abbandonare le posizioni più radicali del partito per avvicinarsi alle correnti di sinistra.

Davanti alle tensioni vigenti nella DC e nel PSU, Rumor decise a luglio di formare un nuovo governo “di transizione”. Si trattava nei fatti di un monocolore DC, ma con sensibili aperture a sinistra caldeggiate da numerosi esponenti, fra cui l’onorevole Ciriaco De Mita, che arrivò addirittura ad auspicare un “nuovo patto costituzionale” con il PCI. 23

Ma non tutte le forze politiche erano pronte per un cambiamento simile. E il dissenso iniziò a manifestarsi con le bombe. Il primo attentato terroristico si verificò il 25 aprile 1969 alla Fiera di Milano; qui, all’interno dello stand riservato alla FIAT, una bomba esplose provocando sei feriti. In serata, un’altra bomba venne trovata inesplosa alla stazione ferroviaria. Il 12 dicembre, nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, situata presso piazza Fontana, l’esplosione di un ordigno provocò la morte di 17 persone e il ferimento di altre 87. Nella stessa giornata, altre tre bombe scoppiarono a Roma: la prima nel passaggio sotterraneo

20 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), p.98. 21 Ibidem.

22 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/08/31/preti-operai-la-rivoluzione-cominciata-mezzo-secolo.html

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collegante la Banca Nazionale del lavoro con quella di via San Basilio, la seconda davanti all’Altare della Patria e la terza all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, per un totale di 16 feriti. 24Le indagini sugli attentati vennero affidate inizialmente al commissario milanese Luigi Calabresi, che, ipotizzando una “pista anarchica” come matrice dinamitarda, decise di mettere in stato di fermo numerosi sospetti, tra cui un operaio anarchico di nome Giuseppe Pinelli. Questi, durante un interrogatorio effettuato negli uffici della questura, precipitò dal quarto piano del plesso e morì subito dopo. In seguito all’evento, fu immediatamente aperto un processo per chiarire la strana morte, che si concluse nel 1975 con una sentenza che sancì come causa della morte la comparsa di un malore.25 La sentenza lasciò però forti perplessità, acuite soprattutto dall’omicidio del commissario Calabresi, ucciso nel 1972. 26

In seguito agli avvenimenti, il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat chiese insistentemente a Rumor la dichiarazione dello stato di emergenza, che però venne rifiutata. Nello stesso mese, il quotidiano britannico “The Observer” pubblicò un articolo che accusava fortemente il presidente Saragat di aver orchestrato una “strategia della tensione”, basata su una serie di avvenimenti di stampo terroristico avente il fine di destabilizzare i cittadini in modo da imporre una svolta autoritaria nel Paese. Per il giornale, il presidente avrebbe istituito la strategia in un percorso a più fasi, inaugurato dalla scissione socialdemocratica e terminate con l’incitamento dato ai movimenti neo-fascisti attraverso il terrorismo. 27

La prospettiva tracciata dal quotidiano inglese venne rafforzata dai numerosi insabbiamenti condotti dai servizi segreti e dal governo nelle indagini sulle stragi. Lo stesso Servizio segreto italiano (SID) ammise al ministro della difesa Luigi Gui di aver contribuito agli attentati per opera di un suo agente, svelando così i rapporti fra i servizi segreti e alcuni movimenti neonazisti romani e veneti. Il ministro decise tuttavia di informare il suo capo e il ministro Moro, che a sua volta si

24 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, p.348. 25 http://ilmanifesto.info/squarci-di-verita-sulla-morte-di-pinelli/ 26 http://www.repubblica.it/online/cronaca/calabresi/delitto/delitto.html

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recò da Saragat: il risultato di queste consultazioni fu che la “pista nera” venne tenuta segreta, mentre le indagini sulla “pista anarchica” alimentate. 28

La strategia della tensione aveva però come obiettivo principale l’annullamento di ogni possibile coinvolgimento del PCI al governo. Non a caso, ebbe come prima conseguenza lo scontro fra i partiti, divisi fra l’attuazione di misure drastiche e l’apertura a sinistra. La crisi investì così il governo, che si dimise. Il 27 marzo 1970, Rumor diede vita ad un governo “organico” quadripartito, costituito da Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano (PSI), Partito Socialista Unitario (PSU) e Partito Repubblicano Italiano (PRI).29 La nuova formula di centro-sinistra avrebbe dovuto, nei fatti, sedare temporaneamente le proteste delle fazioni che ambivano ad una partecipazione governativa dei comunisti; riuscì tuttavia a portare a termine sia l’istituzione delle regioni a statuto ordinario che l’approvazione della tanto osteggiata legge sul divorzio, ottenuta mediante un referendum popolare indetto dalla campagna promossa dal Partito Radicale.30

Nel luglio, improvvisamente, il governo si dimise. La settimana seguente, un violento sciopero proclamato dalla CISNAL del missino Ciccio Franco coinvolse la città di Reggio Calabria, contraria allo spostamento del capoluogo regionale verso Catanzaro. Pochi giorni più tardi, un treno diretto a Torino deragliò nei pressi della stazione di Gioia Tauro, provocando la morte di 6 persone e ferendone 66. La natura della strage non venne mai chiarita, ma l’ipotesi dell’attentato dinamitardo venne considerata la più plausibile. 31

Nell’agosto del 1970 l’incarico di formare un nuovo governo venne affidato al democristiano Emilio Colombo, che riuscì ad istituire un quadripartito insieme a Partito Socialista Italiano, Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) e al Partito Repubblicano Italiano (PRI). Tra i più significativi provvedimenti varati da questo governo, particolare importanza ebbero il decreto-legge di misure economiche, il quale, ribattezzato “decretone”, introdusse numerose imposizioni fiscali, e l’approvazione dei nuovi regolamenti parlamentari, che introdussero per la

28 Ivi, p.101. 29 Ivi, pp. 101-102.

30 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, pp.352-354.

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prima volta il principio dell’unanimità nella conferenza dei capigruppo. Quest’ultimo provvedimento, in particolare, rappresentava un chiaro segno di apertura verso le opposizioni, nonché la valorizzazione del ruolo del parlamento nello scenario istituzionale e politico. 32

Ma a questa apertura a sinistra corrispose presto una reazione da parte delle forze più conservatrici. Nella notte fra il il 7 e l’8 dicembre 1970 delle organizzazioni neofasciste capeggiate dal principe Junio Valerio Borghese tentarono un colpo di Stato, che improvvisamente decisero di non attuare.

Il piano, progettato nei minimi dettagli, avrebbe comportato l’occupazione di molte città italiane (fra cui Milano) da parte di movimenti di estrema destra, con la complicità di vari reparti delle forze armate. Non si riuscì mai a fare chiarezza sulle motivazioni per cui Borghese decise all’improvviso di bloccare il progetto, ma un elemento certo risultò presto il ruolo chiave esercitato dai servizi segreti italiani, come dimostrò il finanziamento di 12 milioni di dollari erogato dall’amministrazione americana al capo del Servizio Informazioni Difesa (SID) Vito Miceli (che risulterà peraltro affiliato alla P2), avente per fine il sostegno dei partiti della destra. 33

Gli effetti del clima “di tensione” si ripercossero subito nelle elezioni amministrative del 1971, che registrarono una perdita elettorale nei confronti della DC pari al 5%, compensata da un incremento del MSI del 5%. Era il segnale inequivocabile di una pesante svolta a destra, che giungeva in prossimità delle elezioni per il presidente della Repubblica. La DC decise così di prendere le distanze dal PSI e di sostenere Giovanni Leone, esponente della corrente più anticomunista, che riuscì ad essere eletto grazie ai voti dei partiti centristi e del MSI. 34

32 Ivi, p.104.

33 Ivi, p.105. 34 Ivi, pp.105-106.

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1.4 Il terrorismo

L’elezione di Giovanni Leone e la consacrazione elettorale del MSI si rivelarono i sintomi di uno spostamento verso destra di una grossa parte dell’elettorato italiano. Protagonisti di questo mutamento furono in particolare vari gruppi estremisti come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, movimenti che riuscirono in breve tempo ad instaurare ambigui legami con alcuni apparati corrotti dello Stato. Oltre alle stragi, una delle strategie più utilizzate dai neofascisti (e strumentalizzate soprattutto da Almirante) era costituita dalla guerriglia urbana, combattuta per lo più contro i militanti del PCI e, più in generale, dei movimenti di sinistra. 35

Di fatto, anche questi ultimi iniziarono ad organizzarsi militarmente. Il primo nucleo armato di sinistra venne costituito da alcuni studenti della facoltà di Sociologia di Trento, fra cui Renato Curcio e Margherita Cagol, futuri fondatori del gruppo terroristico Brigate Rosse. Ma le università non erano gli unici epicentri della lotta armata. Già sul finire del 1968 i gruppi studenteschi si spostarono nelle fabbriche del Nord, soprattutto in quelle di Milano. Proprio nel clima metropolitano, il gruppo proveniente da Trento incominciò a delineare le sue strategie operative: si costituirono innanzitutto delle microstrutture, raggruppate inizialmente sotto il “Collettivo Politico Metropolitano”; 36

in seguito alla strage di piazza Fontana, considerata un vero e proprio attacco alla democrazia, molti militanti decisero di abbandonare le lotte operaie e di intraprendere la strada della lotta armata, considerata da molti una legittima difesa. Iniziò così la prima fase d’azione del gruppo (che in seguito a vari “congressi” clandestini decise di auto battezzarsi “Brigate rosse”, in contrapposizione alle Brigate nere, le squadre d’assalto della Repubblica sociale italiana), costituita per lo più da rapine e rapimenti di uomini facoltosi ma non particolarmente legati alla vita economica o politica del Paese. Ad una prima fase di propaganda armata, seguì presto il periodo dell’“attacco al cuore

35 P.Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, Milano, Tea storica, 2000, p.498. 36

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dello Stato”. 37

La strategia delle Brigate Rosse cambiò infatti radicalmente a partire dal 1972, anno in cui si realizzò il sequestro del giudice Mario Sossi, scelto soprattutto per i suoi orientamenti destroidi nonché “reo” di aver comminato delle pene particolarmente pesanti a carico del gruppo terrorista XXII ottobre.38 Da questo momento in poi, altri numerosi magistrati, prefetti, dirigenti industriali (divenne celebre il caso di un dirigente della Sit-Siemens) vennero prelevati e tenuti in ostaggio in cambio di denaro, dando vita ad un vero e proprio terrorismo rosso che, contrapposto al terrorismo nero, con il passare degli anni diventò sempre più capillare, fino a raggiungere il suo apice con il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro. In seguito al drammatico ritrovamento di via Caetani, il governo decise di riporre il nucleo antiterrorismo dei Carabinieri sotto il comando del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che inaugurò una vera a propria battaglia dedita all’annientamento del terrorismo. Grazie a una nuova strategia basata sulle informazioni riportate da infiltrati ( primo fra tutti “Frate Mitra”), nonché sull’utilizzo di mappe catastali per risalire ai covi clandestini, il nucleo storico delle Brigate Rosse venne in breve decimato. Furono infatti arrestati Renato Curcio, Alberto Franceschini, Alfredo Buonavita, Piero Bertolazzi, Prospero Gallinari e Paolo Maurizio Ferrari. L’unica che riuscì a sfuggire alle indagini fu Margherita Cagol, moglie di Curcio, che morì nel 1975 dopo aver organizzato l’evasione del marito e di altri brigatisti dal carcere di Casal Monferrato. Curcio fu tuttavia riarrestato nel giugno seguente e processato. 39

Le Brigate Rosse non erano però l’unico movimento di sinistra militarmente organizzato. Altri gruppi che intrapresero la strada del terrorismo furono ad esempio “Prima Linea”, una frangia estremista di “Lotta continua” che decise di imboccare la lotta armata, come testimoniarono i numerosi omicidi a danno di uomini politici italiani, fra cui Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’MSI; o i Gruppi d’azione partigiana, fondati dall’editore Giangiacomo Feltrinelli, sulla cui morte (avvenuta nei pressi di Segrate su un traliccio elettrico dell’ENEL) aleggia tuttora un velo di mistero. 40

37 P.Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, pp.516-517. 38 Ivi, p. 517.

39 Ibidem.

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L’escalation di violenze perpetrato da entrambe le frange militanti fu di tale entità che l’opinione pubblica, riciclando una formula utilizzata anni prima dal prefetto milanese Libero Mazza, iniziò a parlare di “teoria degli opposti estremismi” per indicare il clima di terrore diffuso. Occorre tuttavia precisare che fra il terrorismo nero e il terrorismo rosso correvano notevoli differenze. Il primo si caratterizzò infatti per la mancanza di un proprio progetto politico, nonostante i forti legami con i partiti neofascisti più rappresentativi, oltre che per l’asservimento nutrito nei confronti dei servizi segreti, ormai sempre più deviati. La lotta armata di sinistra, invece, caratterizzata da una matrice ideologica marxista-leninista, basò le sue azioni (almeno inizialmente) al fine di instaurare una rivoluzione proletaria, non riconoscendosi più nella sinistra parlamentare italiana, che del resto ebbe sempre una posizione molto critica nei suoi riguardi, come dimostrò l’approvazione incondizionata data dal PCI alla “legge Cossiga”, che inasprì ancora di più le norme di ordine pubblico introdotte dalla “legge Reale”.41

1.5 Verso il compromesso storico

In questo clima si tennero le elezioni di maggio, che decretarono l’ennesima vittoria della DC seguita da un’ulteriore ascesa del MSI. 42

Di conseguenza, il nuovo ministro Giulio Andreotti decise di imporre una formula neo-centrista, senza i socialisti e con l’appoggio del Partito Liberale Italiano (PLI). Il governo dovette però affrontare dure prove. Oltre al terrorismo, una violenta crisi economica investì il Paese in seguito alla svalutazione della lira. Nel tentativo di affrontarla, il ministro del tesoro Giovanni Malagodi optò per un finanziamento delle varie corporazioni e del pubblico impiego che ebbe come risultato l’impennata del debito pubblico. Numerose critiche iniziarono a levarsi dunque al governo, a partire da Gianni Agnelli che, durante l’assemblea della FIAT, si rivelò preoccupato per il tasso di inflazione quasi fuori controllo, o da Tanassi (portavoce di Saragat), che

41 Ivi, pp.499-519.

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propose addirittura l’apertura delle consultazioni fra i partiti di centro-sinistra per la formazione di una nuova maggioranza. Il dissenso pervenne anche dai tre maggiori sindacati, che nell’autunno organizzarono una grande manifestazione a Reggio Calabria. Allarmata per gli effetti della crisi, che avrebbero potuto far degenerare ulteriormente il già compromesso quadro sociale, la DC decise di optare per la “reversibilità delle maggioranze”.43

In vista del XII Congresso nazionale, Moro, in accordo con il presidente del Senato Amintore Fanfani, decise così di ripristinare l’alleanza con i socialisti e di ripristinare l’accordo delle varie correnti DC. L’accordo, che prese il nome di “patto di Palazzo Giustiniani” (dalla sede della presidenza del Senato), sancì le nuove linee politiche del partito, e venne sottoscritto da tutti i capi corrente: Fanfani divenne così il nuovo segretario, Rumor il nuovo presidente del consiglio, Moro garante e ministro degli esteri.44 Per evidenziare l’impegno volto a combattere la crisi, i tre ministeri economici vennero affidati agli esponenti del centro-sinistra, ovvero Ugo La Malfa, che divenne ministro del tesoro, Emilio Colombo, a cui venne designato il ministero delle finanze e Antonio Giolitti, nuovo ministro del bilancio. La Banca d’Italia si occupò nel frattempo di arginare il credito, e, in accordo con La Malfa, stipulò un prestito con il Fondo Monetario Internazionale pari a un miliardo e 200 milioni di dollari. 45

Il 1974 si rivelò tuttavia un anno fatidico. Nel febbraio, uno sciopero generale indetto dai sindacati comportò le dimissioni di La Malfa; si decise dunque la costruzione di un nuovo governo “tripartito” guidato da Rumor, con la partecipazione di DC, PSI e PSDI, nonché con l’appoggio del PRI. 46

Ma una nuova ondata di stragi e scandali colpì duramente l’assetto internazionale. Si scoprì infatti che l’Unione Petrolifera Italiana aveva elargito una tangente pari a 3 600 000 000 di lire ai partiti di governo, in cambio di una serie di trattamenti legislativi favorevoli alle società aderenti all’Unione; 47

per rimediare allo scandalo, il governo, su iniziativa dell’onorevole Flaminio Piccoli, decise di

43 P.Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, p.521. 44 Ivi, p.522.

45 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), p.114. 46 Ibidem.

47 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/03/14/vi-ricordate-lo-scandalo-petroli.html

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promulgare immediatamente una legge sul finanziamento pubblico dei partiti, che ottenne il consenso unanime sia dalla maggioranza che dall’opposizione. 48

Un altro scandalo coinvolse invece Eugenio Cefis, il presidente dell’ENI (anche lui tesserato alla P2) nonché della Montedison. Forte dell’appoggio di Fanfani, Cefis fu il primo imprenditore italiano che tentò di apporre il proprio dominio sui mezzi di comunicazione di massa. Mediante un’operazione inaugurata nel 1973 e conclusasi nell’autunno del 1974, Cefis condusse la Montedison a controllare per via diretta o indiretta testate come la“ Gazzetta del popolo di Torino”, il “Messaggero” di Roma e il “Secolo XIX” di Genova. La vera scalata si effettuò tuttavia nei confronti del “Corriere della Sera”, quando Cefis riuscì a far subentrare l’editore Rizzoli ai precedenti proprietari (rispettivamente Giulia Maria Crespi, Giovanni Agnelli e Angelo Moratti). L’ingresso di Rizzoli comportò un capovolgimento della linea politica del giornale, da sempre indipendente nei confronti della politica. Ne conseguì un cambio di direzione, affidata ora Piero Ottone, che abbandonò le precedenti posizioni moderate in favore di formule più incisive. 49

Il quadro internazionale, invece, era destinato a capovolgersi. Lo scoppio dello scandalo Watergate, seguito dalle dimissioni del presidente repubblicano Nixon , comportarono un cambiamento radicale della strategia europea adottata dal governo americano. Da una linea (che ebbe il suo picco durante l’ “operazione Chaos”) dedita al rafforzamento dei movimenti della destra europea, si mossero i primi passi per una democratizzazione generale, manifestata in primo luogo dal crollo delle dittature in Grecia, Portogallo e Spagna. 50Lo stesso ministro della difesa Giulio Andreotti, in seguito alla recente strage neofascista compiuta a Brescia, decise di sostituire il capo del SID Miceli, legato anche a Moro, con il generale Gianadelio Maletti (aderente comunque anche lui alla P2). La rimozione di Miceli ebbe non a caso un profondo eco politico. Di fatto, quando Moro divenne presidente del Consiglio, sia Andreotti che Taviani vennero sostituiti nei loro vari ministeri da Gui e Forlani, mentre Moro decise di intercedere in favore di Miceli, affossando quindi Maletti, utilizzato da

48 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), pp.114-115.

49 P.Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, pp.562-564.

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Andreotti per estromettere il primo. La faida Miceli-Maletti divenne così l’arena di battaglia per lo scontro politico fra Moro e Andreotti, che comportò come conseguenza un’ulteriore blocco delle già compromesse indagini sulle stragi e golpe avvenuti nel Paese.51

Il pericolo dei colpi stato non era del resto svanito. L’ultimo tentativo si registrò proprio nel 1974 ad opera dell’ambasciatore Edgardo Sogno. Antifascista e anticomunista, Sogno progettava per l’Italia una forma di governo presidenziale, sull’impronta della Quinta Repubblica francese. Per realizzare i suoi progetti, strinse accordi con l’ex repubblicano Randolfo Pacciardi ( anche lui iscritto alla P2), a cui sarebbe andato l’incarico di primo ministro una volta effettuato il golpe. Il piano, di cui l’ambasciata americana era al corrente, stava effettivamente per concretizzarsi nell’agosto, ma venne bloccato dalle dimissioni del presidente Nixon e dall’azione del governo italiano. Il ministro della difesa Andreotti decise infatti di rimuovere i militari coinvolti nel colpo di stato, mentre il ministro dell’interno Taviani dispose le indagini alla polizia, che, in concomitanza con la procura di Torino, successivamente arrestò Sogno. Con il fallimento del “golpe bianco”, terminò anche la prima fase della strategia della tensione in Italia. Gli eventi dell’autunno 1973, tuttavia, scossero di nuovo i fragili equilibri internazionali. 52

Il primo avvenimento fu il rovesciamento del governo socialista di Salvador Allende, in Cile, per opera del generale Augusto Pinochet. Si scoprì presto che il golpe, incipit di una delle più brutali repressioni mai avvenute nel Sud America, era stato finanziato abbondantemente dalla Central Intelligence Agency (CIA) e dall’amministrazione statunitense. La posizione esercitata dagli Stati Uniti fu inevitabilmente assai criticata, soprattutto dai membri dell’Alleanza atlantica. In Italia, le responsabilità statunitensi furono denunciate in particolare dal segretario del PCI Enrico Berlinguer, attraverso la redazione di tre articoli pubblicati sul settimanale “Rinascita”, in cui venne espresso un forte timore sulle future sorti dell’Italia, ormai in preda alle stragi e ai tentativi di colpi stato. Come antidoto, il politico sassarese prospettò una strategia di “compromesso storico” fra le maggiori

51 P.Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, p.552.

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forze italiane al fine di realizzare un vasto programma di riforme, riguardanti soprattutto il Mezzogiorno.53 A Napoli era non a caso appena scoppiata un’epidemia di colera, che ben forniva un’istantanea delle condizioni di vita del Sud. La prospettiva tratteggiata da Berlinguer era notevolmente incisiva, tanto da comportare, se realizzata, la fine della conventio ad exludendum in vigore da un trentennio. L’ostacolo alla sua realizzazione era infatti costituito dall’appartenenza del PCI al movimento comunista internazionale, che permaneva nonostante i numerosi contrasti con il PCUS, il Partito Comunista Sovietico; il leader comunista, a seguito di una riunione col leader bulgaro Todor Zivkv, era per giunta scampato ad un attentato mortale organizzato dal KGB nei pressi di Sofia. L’agguato, che costò la vita all’autista della vettura su cui viaggiava Berlinguer, era una palese dimostrazione dell’ostilità mostrata dall’Unione Sovietica nei riguardi dell’innovativo partito comunista italiano, considerato un vero e proprio pericolo per il mantenimento dell’organizzazione internazionale. 54

Oltre ai contrasti con l’Unione Sovietica, un pericolo ancora più minaccioso incombeva dal medio oriente. Il 6 ottobre 1973, gli eserciti egiziani e siriani, umiliati dalla sconfitta inferta in seguito alla “guerra dei sei giorni”, decisero di invadere i territori israeliani del Sinai e del Golan. L’offensiva, realizzata a sorpresa durante il digiuno ebraico del Kippur, aveva il fine di ricondurre i sopracitati territori al di sotto dei confini siriani, e per realizzare questi obiettivi si avvaleva dell’appoggio dell’Unione Sovietica. La guerra si concluse il 25 ottobre con un “cessate-il-fuoco” bilaterale, stipulato al cospetto dagli Stati Uniti con gli Accordi di Camp David: questi, firmati dal presidente egiziano Anwar al Sadat e dal primo ministro israeliano Menachem Begin, decretarono nei fatti lo sgombero delle forze civili e militari israeliane dalla penisola del Sinai, in cambio di alcune garanzie diplomatiche; gli Stati Uniti si impegnarono altresì ad elargire delle sovvenzioni annuali nei confronti di entrambi i Paesi, premonitrici del Trattato di Pace che verrà stipulato nel marzo del 1979. 55La guerra del Kippur ebbe tuttavia delle pesanti conseguenze economiche internazionali. Si l’Egitto che la Siria, nella loro avanzata

53 Ivi, p.117. 54 Ivi, p.119.

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contro Israele, furono infatti appoggiati e finanziati soprattutto dal mondo arabo, che decise di raddoppiare il prezzo del petrolio al fine di disincentivare qualsiasi aiuto internazionale mosso in favore di Israele. 56

L’Italia dovette così affrontare una delle peggiori crisi energetiche mai verificatesi dal dopoguerra. Nell’intento di arginare il deficit, il governo Rumor scelse di adottare delle pesanti misure di austerità che incisero profondamente sulla società italiana: fra queste, le più famigerate furono l’aumento della benzina e del gasolio, la riduzione del 40% dell’illuminazione pubblica, la chiusura dei locali notturni entro la mezzanotte e la sospensione del traffico a motore nella domenica e nei giorni festivi. Uno degli effetti positivi dell’austerity fu tuttavia la riscoperta del mondo urbano, come testimoniarono le numerose passeggiate a piedi per i centri storici e il boom degli ingressi nei musei, tanto che alcuni sociologi interpretarono il fenomeno come una “ripresa del possesso della città” particolarmente gioviale per gli italiani. La crisi riversò tuttavia i suoi effetti negativi all’interno degli stabilimenti produttivi. 57La FIAT, in particolare, davanti al crollo della domanda di automobili si vide costretta a dimezzare gli orari di lavoro da 40 a 24 ore settimanali per 70 000 dipendenti, mentre entrarono in crisi numerosi esercizi turistici legati al turismo del fine settimana. Queste conseguenze spinsero il governo a modulare presto le misure introdotte, tanto che, nell’estate del 1974, il traffico domenicale riprese il suo normale corso. 58

Oltre agli effetti delle varie crisi internazionali, un altro elemento che frenava l’intesa verso il compromesso storico era costituito dall’imminente referendum abrogativo del divorzio. L’istituto, introdotto appena quattro anni prima dalla legge Baslini-Fortuna, era stato infatti sempre osteggiato dalle frange più cattoliche e conservatrici capeggiate da Fanfani. Il vero obiettivo di Fanfani era infatti quello di dare vita ad un blocco sociale costituito dalle forze economiche e politiche più tradizionaliste al fine di provocare una possente virata a destra del sistema politico, bloccando così ogni accesso al governo del PCI. Ma non tutta la DC si rispecchiò in questo progetto, osteggiato soprattutto dal Partito Radicale, che,

56 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), p.117. 57 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, pp.389-391.

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impersonato da Marco Pannella, si mise alla guida di un imponente movimento di mobilitazione sociale. Le prospettive di Fanfani dovettero poi essere abbandonate in seguito ai risultati referendari del 12 maggio, che decretarono il mantenimento dell’istituto con una percentuale in favore del no pari al 59,7 %.59

L’esito del referendum ebbe delle forti ripercussioni politiche. Nella sostanza, esso mostrava come, all’interno del Paese, la corrente più conservatrice fosse diventata a tutti effetti una minoranza, sicché, con la sconfitta di Fanfani, incominciava a delinearsi nettamente una prospettiva volta a sinistra. Oltre al referendum, tuttavia, nuove problematiche iniziarono ad affacciarsi sul governo. La crisi economica, a discapito della politica di austerity, non aveva infatti designato particolari miglioramenti, tanto che il governatore della Banca d’Italia Guido Carli optò per una politica deflazionistica caratterizzata dalla riduzione dei crediti, dall’aumento delle imposte e dall’abbassamento dei salari. Ciò generò un forte scontro contro i sindacati e i partiti di sinistra, i quali si rifiutavano di approvare le misure. Il disavanzo della bilancia e le tensioni interne decretarono dunque la crisi del governo e le dimissioni di Rumor; dopo un primo tentativo di formare un nuovo governo effettuato da Fanfani, l’incarico venne poi affidato a Moro, che diede vita ad un governo bicolore DC-PRI. Nella speranza di arginare il deficit pubblico, il governo Moro pianificò un programma di politica economica sviluppato in due fasi: nella prima, avente per tema principale la riduzione dei consumi energetici, si cercò di ridurre le importazioni del greggio del 10% rispetto all’anno predente, nonché ad agevolare le esportazioni; nella seconda, si prospettavano ampi investimenti sia nel settore nucleare, attraverso la costruzione di alcune centrali nel Paese, che nel settore agricolo, con l’ingente finanziamento di numerose opere di irrigazione e riforestazione. Si sarebbe poi dato avvio ad un “programma d’urto” nell’area edilizia, con un investimento pari a 2000 miliardi, seguito da un’espansione del credito globale interno nei limiti stabiliti dal Fondo Monetario Internazionale. Il programma, tuttavia, non si riuscì ad attuare interamente, e ciò a causa del proliferare delle

59 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), pp.119-120.

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problematiche interne del Paese, nonché di quelle relative all’installazione delle centrali nucleari. 60

Un altro settore su cui il governo Moro tentò di apportare dei cambiamenti fu quello dell’ordine pubblico. L’infittirsi del terrorismo e delle stragi imponeva infatti delle misure rafforzative nei confronti degli apparati della polizia, ma i partiti rimanevano paralizzati da due concezioni opposte in materia: i democristiani e i socialdemocratici ambivano ad un aumento delle capacità di intervento delle forze dell’ordine, interpretato come un ampliamento delle loro stesse prerogative sociali; i socialisti, dal canto loro, erano ostili ad ogni ulteriore limitazione delle libertà personali dell’individuo, minate soprattutto dallo “stato di fermo” utilizzato dalla polizia per trattenere i possibili sospettati. 61

Del resto, il terrorismo continuava indisturbato le sue azioni. Tra il 3 e il 4 agosto una bomba esplose sul treno “Italicus”, proveniente da Roma e diretto a Monaco, procurando la morte di 12 persone e il ferimento di altre 44.62 All’attentato, rivendicato dal gruppo di estrema destra “Ordine Nero”, seguirà l’assassinio di due poliziotti commesso dal neo fascista Mario Tuti, fondatore del Fronte Nazionale Rivoluzionario.63 Nella seduta del 7 maggio, il governo decise dunque di approvare la proposta nota come “legge Reale” (dal nome del ministro della giustizia Oronzo Reale), la quale, oltre a negare la libertà provvisoria per i reati gravi e ad inasprire le violenze perpetuate a danno dei pubblici ufficiali, limitava le perquisizioni arbitrarie e le ipotesi di fermo, ristrette ora ai sospettati con a carico sufficienti prove di delitto. L’emanazione della legge lasciò tuttavia scontenti molti partiti, fra cui il PSI, che votò contro l’approvazione di due articoli.64

I contrasti partitici si acuirono poi nuovamente sulla tematica dell’aborto. Di fatto, nel febbraio 1973 il socialista Loris Fortuna ideò una proposta di legge avente per obiettivo la sua legalizzazione. Il governo, tuttavia, aveva preferito rinviare temporaneamente la proposta per non dare adito ad ulteriori scissioni, che si sarebbero rivelate inevitabili al riguardo. Il Partito

60 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, pp.409-412. 61 Ivi, pp.412-415.

62 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), p.113 63 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, p.413.

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Radicale e i vari movimenti femministi italiani avevano però deciso di mobilitarsi e di imporre la tematica al centro del dibattito politico. 65

In questo contesto, il 15 e il 16 giugno 1975 gli italiani si recarono a votare per le elezioni amministrative : a discapito della maggioranza acquisita dal DC (pari al 35,3 %) la vera vittoria venne registrata dal PCI, che conquistò il 33,4%. L’impennata del PCI era segno di un cambiamento radicale, o, come sostenne il Corriere della Sera “ una vittoria troppo grande”.66

Il risultato elettorale ebbe infatti delle ripercussioni molto forti. All’interno della DC, si fece strada l’idea di una nuova leadership capace di incarnare i cambiamenti in atto nella società italiana; il segretario Fanfani venne così messo in minoranza nella seduta del 22 luglio, e sostituito dall’onorevole Benigno Zaccagnini, considerato più adatto a rappresentare la “rinnovata” DC. Il PSDI si ritrovò invece spaccato, tanto che alcuni eletti rifiutarono la linea del partito e preferirono inserirsi in giunte di sinistra. Nel Partito Liberale, infine, i due grandi leader Malagodi e Agostino Bignardi preferirono dimettersi, aprendo così le porte della segreteria a Valerio Zanone, da sempre schierato a sinistra.67

1.6 La crisi

Successivamente alle elezioni, Frane Barbieri, giornalista del “Giornale” di Indro Montanelli, coniò il termine “eurocomunismo” per identificare la strategia politica di Berlinguer. Quest’ultimo ambiva di fatto a costituire un comunismo nettamente diverso dagli esempi nati in Russia e in Cina, caratterizzato da un’impostazione marxista ma allo stesso tempo garante di libertà, democrazia e pluralismo sia sociale che politico. Nella sua battaglia, Berlinguer non era del resto solo. Il 12 luglio incontrò a Livorno Santiago Carrillo, leader del Partito Comunista

65 Ibidem.

66 Ivi,pp.418-419. 67 Ivi,pp.420-421.

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Spagnolo, mentre il 15 novembre ebbe luogo un successivo incontro con Georges Marchais, segretario generale del Partito Comunista Francese. 68

Le prospettive di Berlinguer dovettero però fare i conti con gli effetti della crisi economica. Con un crollo del prodotto interno lordo del -3,7%, un livello di produzione industriale di -9.5% e un’inflazione oltre il 20%, l’Italia era infatti tornata in recessione. Moro decise così di dimettersi, ma fu nuovamente investito dal presidente Leone dell’incarico di formare un nuovo governo. Venne così formato un monocolore DC, appoggiato solo dai socialdemocratici. 69

Il nuovo governo dovette però fare i conti con lo scoppio di scottanti scandali. Il primo di essi riguardò le rivelazioni del “rapporto Pike”, pervenuto al Senato statunitense e contenente una lista di nomi di alcuni partiti politici italiani che avevano beneficiato di cospicui finanziamenti da parte della CIA. 70Ad aprile scoppiò invece lo scandalo Lockheed, in cui l’azienda statunitense Lockheed ammise di aver pagato varie tangenti a due ministri della difesa e ad un partito politico al fine di vendere alcuni aerei miliari (precisamente gli Hercules C-130) all’esercito italiano. Lo scandalo ebbe delle grosse conseguenze politiche, e investì presto sia gli allora ministri della difesa Gui e Tanassi che il presidente della Repubblica Leone, legato da rapporti personali ai fratelli Lefebvre, identificati come intermediari della transazione. 71Al congresso di marzo, la DC si ritrovò completamente scissa in due, con una metà favorevole alla collaborazione con il PCI e un’altra ostinata al rifiuto. Ad aggravare il quadro, concorse ad aprile l’approvazione di un emendamento alla legge Fortuna, che ammetteva l’aborto solo ai casi di stupro e ai rischi di morte. Davanti alle polemiche del PSI, che chiedeva ad alta voce l’indizione di un referendum e le elezioni anticipate, Moro decise dunque di dimettersi.

Il 20 e il 21 giugno 40 milioni e 500 mila italiani andarono a votare. Con un 38,7% la DC venne riconfermata come maggior forza politica, ma si trattò nei fatti di una vittoria mozza. Il PCI si piazzò infatti al secondo posto con una percentuale di voti del 34,4%, segnando una profonda divisione all’interno

68 Ivi,p.424.

69 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), p.126. 70 Ivi,p.127.

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dell’elettorato. 72

La formazione del nuovo governo fu non a caso travagliata. Alla fine, l’incarico di formare un nuovo governo venne affidato ad Andreotti, che optò per un “monocolore delle astensioni”, ovvero un governo democristiano fondato sull’astensione di tutti i partiti che avevano partecipato alla redazione della Costituzione. La decisione, fortemente criticata da La Malfa, venne così commentata da Andreotti nel suo diario:

« Ho trovato in tutti i partiti, a cominciare dal mio, buona propensione ad aiutare il mio sforzo, ma in pratica non c’è modo di dar vita ad una maggioranza. Almeno socialisti e socialdemocratici non marceranno se i comunisti restano sulla negativa. I comunisti, da parte loro, insistono per un governo di emergenza a larga base democratica, e lasciano capir tra le righe di potersi astenere nel voto di fiducia soltanto se questo apporto determinante venga loro chiesto esplicitamente. La DC è contro il “governone” ed esige che gli altri partiti, comunisti compresi, assumano decisioni autonome sulla base di un programma che spetta a me redigere e presentare. In qualche modo mi sembra il classico gioco del cerino. L’atteggiamento dei comunisti è il nodo centrale della questione ».

73

Il “governo di unità nazionale” ebbe come primo compito il risanamento della bilancia dei pagamenti, e per realizzarlo si servì delle competenze tecniche di alcune personalità, come quelle di Filippo Pandolfi, che divenne ministro delle Finanze e di Gaetano Stammati, ministro del Tesoro. Il primo provvedimento fu il nuovo programma di austerità, caratterizzato da un aumento della benzina e dei biglietti dei mezzi di trasporto, il blocco della scala mobile per gli stipendi oltre i sei milioni e delle severe misure nei confronti degli evasori fiscali; venne infine introdotta una tassa temporanea del 10% sugli acquisti di valuta, nonché limitate le operazioni di erogazione del credito. In supporto alla manovra, il Fondo Monetario Internazionale e la Comunità economica europea erogarono al Paese due prestiti di 500 miliardi ciascuno. 74L’austera manovra, definita da Scalfari “la stangata”, 75ebbe

72 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), p.130. 73 Ivi,p.132.

74 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, pp.446-447.

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risultati soddisfacenti già dai successivi mesi. Ad essi si accompagnarono tuttavia delle conseguenze negative, rappresentate in primis da un pesante rallentamento industriale, a cui fece seguito un forte aumento di disoccupazione, soprattutto giovanile. Nell’intento di far fronte alle difficoltà riscontrate, i partiti dell’astensione decisero di firmare un nuovo accordo programmatico: il documento, stilato per evitare una nuova crisi governativa, affrontava numerose tematiche, fra cui la pubblica sicurezza, l’istruzione e la nomina degli enti pubblici. Si provvide dunque ad attribuire maggiori compiti alle forze dell’ordine, a delegare alle regioni nuove competenze, soprattutto in tema di assistenza pubblica, e a rinnovare la Montedison, quasi in fase di fallimento. L’approvazione dell’accordo non si rivelò tuttavia unanime, tanto che il PSI e alcuni partiti minori decisero di prendere le distanze dall’intesa del governo, che rifletteva ormai la nota dinamica del bipartitismo imperfetto DC-PCI. 76

Berlinguer, dal canto suo, proseguiva la sua politica di apertura, tanto che, al congresso tenuto a Mosca per il 60° anniversario della rivoluzione russa, ribadì coraggiosamente che : « L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno su cui l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma anche il valore storicamente universale sul quale fondare una società socialista ».77 Il discorso scosse particolarmente sia i vertici sovietici che La Malfa, il quale era profondamente convinto che l’unico rimedio per porre fine alla crisi italiana fosse il coinvolgimento del PCI al governo. Lo stesso Berlinguer, in una riunione del partito tenutasi il 7 dicembre, chiese la formazione di un governo di emergenza costituito da tutti i partiti che avevano contribuito alla realizzazione della Costituzione. 78

Il 16 gennaio il governo si dimise, e Andreotti ricevette immediatamente l’incarico di formare un nuovo governo. Alla richiesta di inclusione governativa del PCI, egli rispose con un partecipazione alla maggioranza che avrebbe dovuto sostenere il nuovo governo, costituito anche questa volta da soli democristiani; circa la partecipazione comunista, diventò del resto celebre una dichiarazione diffusa il 12

76 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, pp.448-449.

77 http://archivio.internazionale.it/news/italia/2014/03/26/quando-cera-berlinguer 78 G.Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, p.451.

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gennaio 12978 dal Dipartimento di Stato americano, la quale sentenziava che « non accogliamo con favore tale partecipazione e, anzi, vorremmo che l’influenza dei comunisti diminuisse ».79 Di fatti, a dispetto degli impegni di rinnovamento presi, il nuovo governo confermava quasi totalmente i membri di quello precedente. Tale scelta suscitò così forte polemiche dai partiti della maggioranza, e si prospettava già un acceso dibattito parlamentare quando, improvvisamente, il 16 marzo venne annunciato il rapimento di Aldo Moro.80

Il sequestro, effettuato Brigate Rosse, ebbe luogo alle 9 del mattino in via Mario Fani, a Roma, e costò la vita ai cinque uomini della sua scorta. La notizia scosse pesantemente il Paese, che si ritrovò presto destabilizzato: per la prima volta, un gruppo terroristico “alzava il tiro”, tanto da colpire uno degli uomini politici più potenti, e, di riflesso, l’intera classe dirigente. Su proposta di Berlinguer, al governo Andreotti venne accordata immediatamente la fiducia, al fine di fronteggiare al più presto la drammatica vicenda. I brigatisti iniziarono presto a far circolare dei comunicati, con allegate le fotografie del prigioniero: per il suo rilascio, essi chiesero lo scambio di 13 detenuti politici, fra cui Renato Curcio. 81Nei 55 giorni di prigionia che seguirono il rapimento, i partiti italiani, per la prima volta riuniti al di là di ogni divergenza, si ritrovarono smarriti davanti alla scelta se accettare o meno le trattative imposte dai terroristi o perseguire la “linea della fermezza”. La prima opzione venne sostenuta sia da Andreotti che da Berlinguer e Bettino Craxi, il nuovo segretario del PSI; e, nei fatti, due tentativi di trattativa si verificarono, sebbene nella più totale segretezza. Il primo fu effettuato con l’appoggio del Vaticano, che collocò dieci miliardi di lire a Castel Gandolfo; il secondo, ebbe invece come protagonisti i socialisti Craxi, Claudio Signorile e Antonio Landolfi, i quali, con l’intermediazione dei giornalisti Paolo Mieli e Mario Scialoja, riuscirono a contattare per vie indirette i rapitori di Moro. Ad eccezione del Partito Socialista, tuttavia, tutti gli altri partiti rifiutarono categoricamente ogni dialogo con i terroristi. Entrambe le trattative, del

79 F.Barbagallo, L’Italia repubblicana. Dallo sviluppo alle riforme mancate ( 1945 – 2008 ), p.145. 80 Ivi, p.146.

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