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3.1. Tradurre Le Clézio

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Academic year: 2021

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~ L ~

3. LA TRADUZIONE DI CŒUR BRÛLE

3.1. Tradurre Le Clézio

Quest’ultimo capitolo propone un’analisi del lavoro di traduzione del racconto di Cœur Brûle. Sebbene questa novella, vista appunto la tipologia letteraria di appartenenza, si caratterizzi come un testo piuttosto breve, durante la traduzione sono emerse problematiche interessanti che verranno illustrate qui di seguito in maniera specifica.

Prima di procedere ad un’analisi dettagliata del processo traduttivo, si ritiene opportuno spendere qualche parola sulla difficoltà di tradurre un autore come Le Clézio; la ricchezza di tematiche, infatti, nonché i numerosi legami intertestuali che da sempre caratterizzano la sua produzione letteraria richiedono un particolare livello di attenzione in fase di traduzione.

In prima istanza, ciò che risulta essere fondamentale è la capacità di ricreare e di veicolare efficacemente al lettore l’universo dell’autore tramite scelte traduttive oculate; senza dubbio, questo aspetto è basilare in qualunque traduzione di tipo letterario e per l’opera di qualunque autore, ma è particolarmente rilevante nel caso di uno scrittore come Le Clézio.

Questa sorta di lavoro di “documentazione” che un traduttore deve compiere è

indispensabile in quanto, come illustrato dettagliatamente nel precedente

paragrafo, anche in questo racconto breve compaiono quelle tematiche

fondamentali che da sempre hanno caratterizzato l’immaginario dell’autore: la

figura femminile, il contrasto tra fanciullezza ed età adulta, il rimpianto

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dell’infanzia come sorta di “Paradiso Perduto”, la degradazione, frutto dell’influsso di una società corruttrice, che si abbatte sulla vita del singolo e in particolare dell’outsider, e non da ultimo, il mondo primitivo ed esotico (in Cœur Brûle il Messico) che si oppone ad una società occidentale ormai degradata e si configura come fuga, come ailleurs, come l’unico rifugio possibile al mondo occidentale ormai in rovina.

Nel processo traduttivo, quindi, per un traduttore è inevitabile dover tenere conto di tutti questi aspetti che costituiscono l’universo narrativo dell’autore;

un’altra preoccupazione ricorrente, inoltre, deve essere riconoscere e se possibile enfatizzare tramite le scelte traduttive di tipo lessicale il legame intertestuale che sussiste tra una singola opera e l’intera produzione letteraria dello scrittore.

Si può indubbiamente sostenere che la questione dell’intertestualità, intesa come la relazione esistente tra un testo e uno o più testi diversi, sia uno degli aspetti principali che un traduttore debba tener presente nel decidere di accostarsi ad un’opera di Le Clézio. Ciò che della scrittura lecleziana colpisce un lettore attento è per l’appunto il continuo ricorrere di tematiche, di parole e accostamenti semantici all’interno di una stessa opera o di opere diverse dell’autore; pertanto, in fase di traduzione, non si può assolutamente prescindere da questi aspetti.

Per fare un esempio, nel caso di Cœur Brûle, il traduttore non può ignorare il ruolo che il Messico e la mitologia messicana hanno giocato in Le Clézio, ma soprattutto non può evitare di analizzare attentamente altre opere dello scrittore il cui argomento principale risulta essere proprio la cultura, la mitologia e la civiltà mesoamericana. A questo riguardo, nel primo capitolo di Cœur Brûle è presente una personificazione dei rospi: ‹‹Les crapauds chantaient […]›› (CBtf, p. 5).

Ovviamente, tenendo conto che la personificazione di animali è una caratteristica ricorrente non solo nel racconto tradotto ma nell’intera scrittura lecleziana, si è effettuata una traduzione letterale dal francese, ovvero “I rospi cantavano […]”

(CBti, p. 5); in questo modo, si lascia intatto un elemento rilevante del testo

lecleziano. Per di più, non si può far altro che rimanere stupiti quando, nel

leggere Haï, un saggio lecleziano sulle civiltà indigene del Messico pubblicato

circa trent’anni prima di Cœur Brûle, si ritrova un lungo paragrafo dedicato al

canto dei rospi in cui l’autore opera all’incirca le stesse scelte lessicali.

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Un altro esempio di rimandi intertestuali può essere il caso di un personaggio che compare due volte in Cœur Brûle, ‹‹l’homme aux abeilles›› (CBtf, p. 31) e le

‹‹maître des abeilles›› (CBtf, p. 43). L’appellativo conferito a questo personaggio è un riferimento esplicito alla mitologia delle civiltà precolombiane del Messico, come si può evincere da un altro saggio che Le Clézio dedica alla cultura mesoamericana, Le rêve mexicain ou la pensée interrompue

1

.

Gli esempi proposti non vogliono essere altro che una dimostrazione di come sia fondamentale, per chiunque si accinga a tradurre uno scrittore quale Le Clézio, accostare al lavoro specificatamente traduttivo un’attenta lettura e analisi di altre opere dell’autore, in modo tale da riuscire a restituire al lettore non soltanto l’ universo narrativo lecleziano, ma anche al fine di individuare la rilevanza di alcune parole caratterizzanti l’immaginario dell’autore e che in quanto tali ritornano insistentemente in tutti i suoi scritti. Come si vedrà in seguito, esempi di parole ricorrenti nella scrittura lecleziana sono i sostantivi

‹‹lumière››, ‹‹lueur››, ‹‹chaleur››, verbi come ‹‹brûler›› o ‹‹briller›› ed aggettivi come ‹‹jaune››; ciò che a riguardo colpisce il traduttore è che, oltre ad avere un ruolo funzionale a livello di ripetizione nel racconto, questi elementi lessicali devono essere manipolati e variati il meno possibile proprio perché sono elementi chiave costituitivi di quella sorta di “mitologia” personale dell’autore.

In ultima istanza, è il caso di dedicare qualche parola allo stile dell’autore e alle difficoltà che, per quanto riguarda questo aspetto, possono emergere nel processo traduttivo; indubbiamente, un’altra sfida capitale nel tradurre Le Clézio è riuscire a restituire appunto quell’andamento fluido e scorrevole che da sempre caratterizza la sua prosa. Come si vedrà in maniera più approfondita nel secondo paragrafo, i critici hanno generalmente individuato due fasi per quanto riguarda l’aspetto stilistico delle opere di Le Clézio: una prima fase, a partire dal 1963 con la pubblicazione di Le Procès-Verbal in cui l’autore è più prossimo alle tendenze del Nouveau Roman e, a partire dal romanzo Désert, pubblicato nel 1980, la fase successiva in cui sarebbe avvenuta una semplificazione stilistica accanto ad un generale decremento delle tecniche narrative sperimentali che caratterizzavano la cosiddetta “prima fase”.

1

J.-M.G. Le Clézio, Le rêve mexicain, ou la pensée interrompue, Paris, Gallimard, 1988, p. 115.

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Secondo questa classificazione, il racconto breve Cœur Brûle rientrerebbe appunto in questa seconda fase della produzione letteraria lecleziana.

Effettivamente, il linguaggio impiegato in questo testo risulta essere, soprattutto ad un primo impatto, molto semplice. Tuttavia, dietro questa apparente

“semplicità” si cela qualcosa di più, un qualcosa che potremmo definire una sorta di “tono poetico”. Come analizzato dettagliatamente in seguito, una delle sfide principali incontrate nel processo traduttivo è stata proprio quella di riuscire a restituire questo tono poetico, cercando di riporre la massima attenzione e di modificare il meno possibile il livello ritmico e la musicalità del testo al fine di evitare di commettere un tradimento del testo.

La traduzione di Le Clézio è stata pertanto un processo che ha richiesto un’attenzione costante per captare gli aspetti lessicali e tematici principali del testo francese e cercare di renderli al meglio nella lingua di arrivo; tuttavia, oltre ovviamente ad un successivo lavoro d’obbligo di revisione, ciò che ha costituito la sfida più grande è stato cercare di restituire al lettore in italiano la maniera irruenta in cui il flusso del testo francese invade la mente del lettore alla stregua di un fiume in piena.

Da questo punto di vista, non si può evitare di condividere appieno il giudizio di Alison Anderson, una delle traduttrici americane di Le Clézio, che in un interessante articolo sulla traduzione di alcune opere di Le Clézio dichiara: ‹‹It is difficult for me to give a talk on translation; I might say that translating J.M.G. Le Clézio is like breathing.

2

››

3.2. Cœur Brûle: analisi del processo traduttivo

3.2.1. Analisi del livello lessicale

Questo paragrafo propone di analizzare nello specifico le problematiche emerse durante il processo traduttivo di Cœur Brûle, limitando l’angolo di osservazione al livello lessicale del testo.

2

A. Anderson, ‹‹Translating J.M.G. Le Clézio››, in World Literature Today, Vol. 71, No. 4, The questing fiction of J.M.G. Le Clézio (Autumn, 1997), p. 695. Consultato in

http://www.jstor.org/

stable/40153290, il 18/10/2013.

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Come già anticipato nel primo paragrafo di questo capitolo, uno degli aspetti che richiede un elevato livello di attenzione da parte del traduttore è certamente la ricorrente presenza di parole chiave, cioè di elementi lessicali che possono essere considerati rilevanti in quanto vengono reiterati nel corso della narrazione e che nel caso specifico di un autore quale Le Clézio simboleggiano una vera e propria visione del mondo.

La prima problematica emersa è stata relativa alla traduzione di due parole chiave come ‹‹lumière›› e ‹‹lueur››. Queste due parole oltre a ricorrere più volte all’interno del testo sono particolarmente importanti in Le Clézio, un autore per cui l’elemento naturale della luce veicola un significato di forza vitale in accordo con il culto del Sole tipico delle civiltà precolombiane.

Nel corso della traduzione del racconto compaiono queste versioni:

‹‹lumière›› è sempre stato reso come “luce”, e ‹‹lueur›› è sempre stato tradotto come “bagliore”. Si è deciso, pertanto, di rispettare la dicotomia lessicale tra

‹‹lumière›› e ‹‹lueur›› presente nel testo francese, anche se la parola ‹‹lueur›› può essere considerata a, tutti gli effetti, un sinonimo del termine “luce”. In italiano, tra i vari sinonimi di “luce”, la scelta è caduta su “bagliore” in quanto era il termine che meglio si prestava a veicolare il significato nelle diverse occorrenze.

Ad esempio, nel primo capitolo, la parola ‹‹lueur›› compare in riferimento al volto del personaggio di Beto (CBtf, p. 5) e, al capitolo quarto, viene ripetuta in riferimento alle luci della città che si stagliano in lontananza (CBtf, p. 22).

Un altro esempio di parola chiave è il termine ‹‹chaleur››. In questo caso, nella traduzione compaiono due diversi sinonimi, “calore” e “calura”. Si è deciso di operare questa differenziazione lessicale a seconda del contesto e del tono poetico del periodo tradotto. Nella maggior parte dei casi, questa parola ricorre infatti all’interno di passi descrittivi caratterizzati da un tono piuttosto lirico, pertanto si è optato per l’italiano “calura”. Ad esempio, all’incipit del secondo e quinto capitolo, compare il termine ‹‹chaleur›› (CBtf, p. 8 e CBtf, p. 25); in italiano si è preferito l’uso di “calura”( CBti, p. 8 e CBti, p. 25), per mantenere il tono lirico. Tuttavia nel corso del primo capitolo, il testo francese recita: ‹‹[…] la chaleur et la couleur […]›› (CBtf, p. 4). In questo caso la traduzione fornita è:

“[…] il calore e il colore […]” (CBti, p. 4). Si è optato per questa soluzione in

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quanto, in francese, i due termini posti in correlazione dalla congiunzione ‹‹et››

contano lo stesso numero di sillabe, appartengono allo stesso genere e perché, a parte la differenza nel fonema iniziale, compaiono gli stessi fonemi consonantici.

Pertanto, in italiano, qui si è preferito “calore” a “calura” in quanto permette di mantenere gli stessi effetti che il medesimo accostamento ha in francese (ovvero mantenimento del numero di sillabe e del genere dei due termini correlati, che in italiano è maschile e non femminile come in francese); questa scelta ha inoltre consentito di introdurre un’allitterazione assente nel testo di partenza.

Un altro interessante caso di parola chiave è, senza ombra di dubbio, l’aggettivo ‹‹jaune››. L’uso di questo attributo è estremamente caratteristico nella scrittura lecleziana: esso è associato infatti soprattutto agli animali (nel caso di Cœur Brûle, ad esempio, è impiegato per i cani in procinto di aggredire) e, con implicazione metaforica, per le persone quando queste si trovano in condizioni difficili o in stati di nervosismo o ira (ad esempio, nel caso del personaggio di Laurent nel quarto capitolo o in quello di Dax nel settimo capitolo, rispettivamente CBtf, p. 21 e CBtf, p. 41). Per tutte le numerose occorrenze nel corso del testo, è stato tradotto sempre con l’aggettivo italiano “giallo”.

Nonostante in alcuni casi l’uso possa risultare a primo impatto straniante per il lettore, ad esempio nel capitolo settimo si legge “Dax era pallidissimo, giallissimo […]” (CBti, p. 41), si sottolinea che anche il francese ‹‹jaune›› produce lo stesso effetto su un lettore non abituale di Le Clézio. Ovviamente, a livello simbolico, sia la ‹‹chaleur›› che il ‹‹jaune››, sono da ricollegarsi alla centralità del ruolo dell’elemento solare nell’ immaginario narrativo dello scrittore.

Un’altra parola ricorrente, a partire dal titolo, è il verbo ‹‹brûler››, sempre tradotto come bruciare anche in occorrenze dove dei sinonimi sarebbero stati forse preferibili. È questo il caso del capitolo primo, dove nel testo francese si legge:

‹‹[…] cet été brûlant […]›› (CBtf, p. 4) tradotto come “[…] quell’estate bruciante […]” (CBti, p. 4), laddove “bruciante” è stato preferito ad una collocazione meno inusuale in italiano quale “estate rovente” appunto per evitare la perdita della ripetizione di un termine chiave.

In ultimo, è particolarmente interessante analizzare il caso dell’altra parola

chiave che costituisce parte integrante del titolo, ovvero ‹‹cœur››. Questa parola è

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stata ovviamente tradotta con l’italiano “cuore” in quasi tutti i casi. Oltre che a livello tematico, la parola “cuore” è particolarmente rilevante anche in quanto il genere della romanza all’origine narrava principalmente delle vicende sentimentali. Per questa serie di ragioni, si è cercato di far sì che l’attenzione del lettore ricadesse il più possibile su questo elemento lessicale anche nella traduzione italiana; ragion per cui, al primo capitolo, nel rendere l’inciso ‹‹[…] au fond d’elle-même […]›› (CBtf, p. 4) si è optato per una resa quale “[…] in cuor suo […]” (CBti, p. 4). Diverso risulta essere il caso dell’espressione ricorrente ben quattro volte all’interno del testo, ‹‹faire/donner mal au coeur›› (ad esempio in CBtf, p. 21). In questo caso, si è tradotto “avere/dar la nausea” (come in CBti, p.

21), in quanto questo in italiano è il senso della citata espressione francese.

Un'altra problematica emersa durante la traduzione di Cœur Brûle è stata rispettare la differenziazione semantica per uno stesso referente che caratterizza il testo francese. In particolare, la questione si è posta in particolare per le seguenti parole: ‹‹visage››, ‹‹figure››, ‹‹face›› e ‹‹gueule››. Ovviamente, in questo senso, si è dovuto ricorrere a delle espressioni sinonimiche che in italiano rispecchiassero lo stesso registro e la stessa frequenza d’uso dei corrispettivi termini francesi. Di conseguenza, la traduzione corrispondente a ciascun termine è stata: “volto”,

“viso”, “faccia” e ancora “faccia”. Dalla consultazione dei dizionari, difatti, è emerso che il francese ‹‹visage›› è un termine meno colloquiale di ‹‹figure››, così come anche “volto” in italiano è meno impiegato di “viso” nella lingua quotidiana. Per la duplice occorrenza del termine ‹‹face›› (ad esempio in CBtf, p.

4), non si sono presentati problemi; l’unica perdita a livello di differenziazione sinonimica che si può registrare avviene per il termine ‹‹gueule››. Nel racconto, si registra una sola occorrenza di quest’ultima parola all’interno di un dialogo al secondo capitolo: ‹‹Je vais leur éclater la gueule […]›› (CBtf, p. 8). In effetti, si sarebbe potuto tradurre “Gli spaccherò il muso […]”, tenendo conto che un’accezione del termine ‹‹gueule›› indica la bocca di alcuni animali, ma questa ipotesi è stata scartata in quanto nel registro colloquiale questa parola indica la faccia o tutto al più bocca di un individuo e in più, per un parlante italiano in preda ad uno stesso impeto d’ira, è molto più naturale proferire l’esclamazione

“Gli spaccherò la faccia” ( CBti, p. 8).

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Un’altra variazione lessicale per indicare uno stesso referente si è registrata nel corso del sesto capitolo, laddove compaiono simultaneamente le parole

‹‹persienne›› e ‹‹volet››. In questo caso, anche al fine di evitare ridondanze terminologiche assenti nel testo di partenza, si è deciso di tradurre ‹‹persienne››

con “persiane”, laddove questa parola italiana risulta essere derivata da quella francese, e ‹‹volet›› come “imposta”, tenendo conto che secondo il dizionario De Mauro

3

questo termine indica lo stesso referente di “persiana”. Peraltro, si è mantenuta questa differenziazione terminologica anche in quanto, al sesto capitolo, le due parole compaiono a breve distanza (a tal proposito si veda CBtf, p. 36,37 e CBti, p. 36,37). Si è scartata una soluzione quale “scuro” perché l’uso di questa parola risulta essere marcata a livello regionale e perché, seppur compaia in alcuni testi letterari, al giorno d’oggi risulta tuttavia essere in disuso.

Un altro esempio interessante di variazione lessicale, assente in realtà nel testo francese e introdotta in fase di traduzione, è il caso della parola ‹‹ventre››, che è stata tradotta in due modi diversi, “ventre” e “pancia”.

È stato deciso di tradurre sempre “ventre”, mantenendo un tono più lirico quindi, quando il termine è riferito al personaggio maschile di Laurent; ad esempio, nel secondo capitolo, nel testo francese si legge: ‹‹[…] allongé sur le ventre […]›› (CBtf, p. 10), tradotto “[…] disteso sul ventre […]” (CBti, p. 10).

Tuttavia, sempre al secondo capitolo, il termine francese ‹‹ventre›› è usato in riferimento al personaggio femminile di Pervenche: ‹‹[…] au centre de son ventre […]›› (CBtf, p. 11). In questo caso, e di seguito ogni volta che il termine è impiegato in riferimento a Pervenche, si è tradotto “pancia” (CBti, p. 11) in quanto il lettore viene a conoscenza proprio da questo punto della narrazione che la protagonista è incinta. Anche nelle occorrenze successive, si è notato che il termine “pancia” risulta essere più calzante di “ventre” proprio per riporre maggior enfasi sul fatto che il personaggio di Pervenche è in stato interessante.

Un esempio di scelta lessicale caratterizzata dall’intento di mantenere il tono maggiormente lirico è stata la decisione di tradurre la parola ‹‹sages-femmes››

(CBtf, p. 40) con “levatrici” (CBti, p. 40). Effettivamente l’alternativa “ostetriche”

risulterebbe molto più usuale in italiano; tuttavia, si è volutamente tradotto

3

T. De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Milano, Paravia – B. Mondadori, 2000, p. 1157.

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“levatrici” per rendere il tono poetico di questo passo, tenendo anche conto della rilevanza tematica che le scene di accouchement hanno all’interno della narrativa lecleziana. A tal riguardo, bisogna inevitabilmente considerare che nel passo esaminato la parola ‹‹sages-femmes›› è posta in correlazione dalla congiunzione

‹‹et›› con la parola ‹‹fées›› (CBtf, p. 40); come sovente accade in Le Clézio, l’autore cerca quindi di conciliare la dimensione “medicalizzata” del parto con una dimensione quasi fiabesca. Dopo un’attenta valutazione di tutti questi aspetti, si è optato per la seguente resa in italiano: “[…] hanno fatto al tempo stesso da levatrici e da fate […]” (CBti, p. 40).

Per quanto riguarda il racconto di Cœur Brûle, si è segnalato uno dei più classici problemi concernenti la traduzione, ovvero la questione degli antroponimi e dei toponimi. A riguardo, si è volutamente scelto di non tradurre né antroponimi né toponimi; per questa ragione, quasi tutti i nomi dei personaggi e i nomi di luoghi che compaiono in Cœur Brûle sono rimasti invariati. Le uniche eccezioni nel testo italiano risultano essere il caso dell’ antroponimo ‹‹Chita›› (ad esempio in CBtf, p.27), tradotto come “Cita” (CBti, p. 27), e di toponimi quali

‹‹Marseille›› (CBtf, p. 17), reso come “Marsiglia” (CBti, p. 17), ‹‹Mexico›› (CBtf, p. 25), reso come “Città del Messico” (CBti, p. 25) e ‹‹Querétaro›› (CBtf, p. 43), reso come “Queretaro” (CBti, p. 43). Per quanto riguarda la traduzione dei tre toponimi ‹‹Marseille››, ‹‹Mexico››, ‹‹Querétaro›› e del soprannome ‹‹Chita››, la decisione di rendere questi ultimi con il loro equivalente italiano è motivata dal fatto che in italiano esiste una referenza condivisa. Nel caso, appunto, in cui sia attestata una equivalenza nella lingua di arrivo, il traduttore deve obbligatoriamente utilizzare i nomi esistenti nella propria lingua. Di conseguenza, anche nel caso in cui compaiano altri nomi geografici quali ad esempio ‹‹France››

(CBtf, p. 30), ‹‹Mexique›› (CBtf, p. 25), ‹‹Centrafrique›› (CBtf, p. 25), nella traduzione sono stati riportati i corrispettivi equivalenti italiani “Francia” (CBti, p.

30), “Messico” (CBti, p. 25) e “Africa centrale” (CBti, p.25). Diverso è invece il caso di toponimi quali ‹‹Bordeaux›› (CBtf, p. 20) , ‹‹Brignoles›› (CBtf, p. 41) o

‹‹Zamora›› (CBtf, p. 25); in questo caso, nella lingua italiana non è attestata

alcuna referenza condivisa, pertanto nella traduzione i nomi sono rimasti invariati

(si veda rispettivamente CBti, p. 20, 41 e 25).

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Sempre a proposito di tale problematica è da segnalare un caso che compare al capitolo quinto, laddove il testo francese reca soltanto il toponimo ‹‹Aix››

(CBtf, p. 25) e nella traduzione compare invece “Aix-en-Provence” (CBti, p. 25).

Questa scelta è stata operata in quanto un lettore francese nel leggere soltanto

‹‹Aix›› non ha dubbi circa l’argomento del discorso in quanto, nella lingua corrente, questa città della Provenza è comunemente denominata in questo modo.

In italiano, invece, riportare la sola dicitura “Aix” risulterebbe inusuale e soprattutto fuorviante a livello di significato, se si considera l’esistenza di altre località che includono nel proprio nome la parola “Aix” (ad, esempio, Aix-la- Chapelle).

Altri problemi lessicali interessanti sorti durante il processo traduttivo di questa novella sono quelli relativi a sostantivi quali ‹‹pétanqueurs›› o ‹‹pain doux››.

La parola ‹‹pétanqueurs›› (CBtf, p. 8) è stata tradotta con la perifrasi

“giocatori di pétanque” (CBti, p. 8). La ‹‹pétanque›› è la variante provenzale del nostro gioco di bocce; tenendo conto di ciò, si è optato per questa soluzione traduttiva poiché, laddove il termine compare al secondo capitolo, il lettore è stato poco prima informato che il luogo in cui si svolge attualmente la narrazione è la Provenza e in più, qualche riga di seguito, compare la parola ‹‹boules›› (CBtf, p.

8) tradotta con “bocce” (CBti, p. 8) che chiarisce ulteriormente ad un lettore italiano ciò di cui si sta parlando.

Il caso di ‹‹pain doux›› è stato un po’ più complesso da risolvere, in quanto può essere considerato un esempio di come il traduttore debba comunque cercare di interpretare attivamente il testo. Nonostante questa occorrenza non risulti essere presente in nessuno dei dizionari consultati, dalla consultazione di siti internet dedicati alla gastronomia si è giunti alla conclusione che l’espressione indica un tipo di gâteau, cioè di torta. Nella due occorrenze di ‹‹pain doux›› presenti in Cœur Brûle, al primo e al quinto capitolo (CBtf, p. 6 e p. 26), si è tradotto sempre

“dolce” (CBti, p. 6 e p. 26) in quanto questo termine in italiano è a tutti gli effetti

un sinonimo della parola torta e, a differenza di quest’ultima, consente di

mantenere a livello semantico parte della locuzione francese ‹‹pain doux››.

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Quest’ultimo caso dimostra come la traduzione non sia soltanto una mera trasposizione di significanti, ma come in realtà risulti essere un processo molto più complesso in quanto necessita spesso di un intervento di interpretazione attiva da parte del traduttore. Inoltre, in accordo con quanto sostiene Gadamer, il traduttore:

Non può lasciare in sospeso nulla che non gli riesca chiaro. Deve decidere il senso di ogni sfumatura. […] Deve rassegnarsi, e dire chiaramente come intende anche queste parti oscure del testo … ogni traduzione che prenda sul serio il proprio compito risulta più chiara e superficiale dell’originale

4

.

Un altro esempio di interpretazione attiva da parte del traduttore potrebbe essere dato da altri quattro casi presentatisi rispettivamente al capitolo primo e al capitolo quinto del testo di Cœur Brûle.

Nel primo capitolo, infatti, compaiono nel testo francese le parole ‹‹aboua›› e

‹‹douce’›› (entrambe in CBtf, p. 2). Analizzando il contesto, si nota che queste parole sono proferite da una bambina che, data la tenera età, non riesce a pronunciare tutte le sillabe che compongono le parole; si deve dedurre, pertanto, che le parole francesi complete siano ‹‹à bouar›› e ‹‹doucet››. Nel testo italiano si è deciso di tradurre rispettivamente “’aua” e “’mella” (CBti, p. 2), in quanto si è pensato che un bambino italiano nella stessa situazione tenterebbe di pronunciare le parole “acqua” e “caramella”. Per riprodurre lo stesso effetto che il testo francese suscita nel lettore, si è ricreata pertanto la mancata sillabazione delle due parole, giungendo alla già citata conclusione “’aua” e “’mella”.

Anche al quinto capitolo quinto è richiesta al traduttore un’attività interpretativa di contestualizzazione. Nella narrazione, infatti, si racconta che le due bambine vengono derise per la loro pronuncia del francese che mostra un marcato accento spagnolo. Nel testo di partenza compaiono in particolare queste due frasi: ‹‹la maison est bide›› e ‹‹tu mi pisses le pied›› (CBtf, p. 32); in questo caso, l’autore ha voluto ricreare delle caratteristiche fonetiche che un parlante spagnolo può manifestare nella pronuncia del francese. Nella traduzione si è

4

H. G. Gadamer, Verità e metodo, in U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione,

Milano, Bompiani, 2010, p. 111.

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deciso di mantenere lo stesso effetto del testo francese e di tradurre pertanto le frasi modificando le parole italiane come se fossero pronunciate da un parlante spagnolo, arrivando alle soluzioni “La casa è buota” e “mi pessi il piede” ( CBti, p. 32), laddove la dicitura standard sarebbe “la casa è vuota” e “mi pesti il piede”.

Dagli esempi addotti, si può notare la volontà di ricreare in italiano lo stesso effetto che il testo francese produce sul lettore ricorrendo ad una sorta di strategia di localizzazione linguistica, come avviene per la traduzione di testi post- coloniali, cercando cioè di evitare di cancellare la presenza dell’estraneo.

Un altro passo in cui è stato necessaria un’interpretazione in base al contesto è stato un inciso collocato al sesto capitolo, laddove si legge ‹‹la grande pièce au plafond à deux eaux›› (CBtf, p. 35). Nonostante dalla consultazione di dizionari specialistici di architettura non siano emersi elementi atti a facilitare il processo traduttivo, si può ragionevolmente supporre che il francese ‹‹plafond à deux eaux›› possa essere l’equivalente di quel che in italiano si definisce in architettura

“un soffitto a doppia falda”. Di conseguenza, la resa finale in italiano dell’ inciso in questione è risultata essere “l’ampia stanza dal soffitto a doppia falda” (CBti, p.

35).

Un ennesimo aspetto che ha richiesto un intervento da parte del traduttore è stata la presenza, nel corso della narrazione, di elementi onomatopeici. Al secondo capitolo, si segnala il caso di ‹‹ketcha ketcha›› (CBtf, p. 10), reso nella lingua di arrivo con “zac, zac” (CBti, p. 10), in quanto questa è la convenzione onomatopeica che in italiano veicola il rumore secco di una mannaia. Al settimo capitolo poi compare nel testo francese un’altra onomatopea, ‹‹hin hin›› (CBtf, p.

41). Dalla consultazione di un interessante mémoire de licence sull’onomatopea, è stato rilevato che questo suono corrisponde all’effetto sonoro di una risata

5

. Pertanto, in italiano si è pensato che un suono onomatopeico corrispondente potesse essere “eh, eh” (CBti, p. 41), tenendo conto del fatto che in un tale contesto bisogna utilizzare un suono molto breve in quanto verrebbe emesso da una bambina con pochi giorni di vita.

5

L.Ylä-Outinen, L’influence des onomatopées anglaises sur les onomatopées françaises et

finnoises dans la bande dessinée, mémoire de licence de l’Université de Jyväskylä, 2009, p. 27.

Consultato in

https://jyx.jyu.fi/dspace/bitstream/handle/123456789/19655/Laura_Yl%C3%A4- Outinen.pdf?sequence=1, il 27/02/2014.

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Un'altra problematica riscontrata durante il processo traduttivo di Cœur Brûle è stato il tentativo di rendere i diversi registri e livelli linguistici che compaiono nella lingua di partenza. La sfida è stata appunto quella di cercare di restituire anche in italiano queste differenze di registro, cercando di scegliere di volta in volta per ciascun termine fra la gamma dei sinonimi la parola più indicata per veicolare una data sfumatura di significato.

Per fare alcuni esempi, al terzo capitolo compare nel testo francese la parola

‹‹macs›› (CBtf, p. 16); questo termine può essere considerato a tutti gli effetti un colloquialismo, pertanto in italiano si è optato per una parola quale “magnaccia”

(CBti, p. 16), in quanto mostra lo stesso registro linguistico. Altri casi di parole appartenenti ad un registro familiare, incontrate sempre al terzo capitolo, sono

‹‹boulot›› (CBtf, p. 18), tradotto con il vezzeggiativo “lavoretto” (CBti, p. 18) proprio per rendere il carattere di colloquialismo, o ancora ‹‹flic›› (CBtf, p. 15) tradotto come “sbirro” (CBti, p. 15) invece del referente italiano standard di

“poliziotto”. Soprattutto in quest’ultimo caso, è molto importante evitare perdite nel registro linguistico, in quanto questo colloquialismo è inserito all’interno di un passo dal tono lirico; per tale ragione, è sembrato opportuno cercare di non far perdere questa sfumatura nella traduzione al fine di far riprodurre al testo della lingua d’arrivo lo stesso effetto del testo in lingua di partenza. Un altro esempio dello stesso tipo può essere il termine, ricorrente all’interno di diversi capitoli, di

‹‹gosses›› (ad esempio in CBtf, p. 27); questa parola francese appartenente ad un registro di lingua familiare è stata tradotta con “ragazzini” (CBti, p. 27), ricorrendo pertanto all’aggiunta di un suffisso per ricreare una dimensione colloquiale.

Tuttavia, si sono verificate circostanze in cui si può registrare una perdita parziale a livello di registro linguistico. Può essere questo il caso del settimo capitolo in cui la parola ‹‹came›› (CBtf, p. 42) è tradotta semplicemente come

“droga” (CBti, p. 42); dalla consultazione dei dizionari, è emerso che un sinonimo

più colloquiale sarebbe stato “roba”, ma è una ipotesi che si è subito scartata in

quanto utilizzare questa dicitura in un tale contesto sarebbe stato fuorviante a

livello di significato date le diverse implicazioni polisemiche implicite in questa

parola italiana.

(14)

~ LXIII ~

Riguardo al fenomeno dei prestiti linguistici, compaiono nel testo di Cœur Brûle alcuni anglicismi: ad esempio, al secondo capitolo del testo francese, compare la parola ‹‹boom-box›› (CBtf, p. 12); in italiano, a parte l’aspetto grafico, non si registrano variazioni nella resa del termine, tradotto appunto “boom box”

(CBti, p. 12). Un’occorrenza più interessante può essere considerata quella della parola ‹‹dealers›› (CBtf, p. 13): questo anglicismo che compare nel testo francese appartiene ad un gergo giovanile e in italiano, al fine di preservare al tempo stesso sia il significato che il registro linguistico, si è fatto ricorso ad un anglicismo diverso, vale a dire la parola “pusher” (CBti, p. 13).

Sempre con l’obiettivo di restituire il registro familiare del testo di partenza, simili strategie sono state adoperate in alcune manifestazioni di turpiloquio. Ad esempio, al capitolo terzo, laddove in francese compare ‹‹conseils de merde››

(CBtf, p. 20) in italiano si è optato per la soluzione “consigli del cazzo” (CBti, p.

19), in quanto questa bestemmia è in sostanza l’equivalente italiano del francese

‹‹merde››. Lo stesso procedimento è stato utilizzato al capitolo sesto per le ingiurie ‹‹sale con, enculé›› (CBtf, p. 35) tradotte come “brutto stronzo, rottinculo” (CBti, p. 35), o ancora per un’interiezione quale ‹‹Bon sang›› (CBtf, p. 39), resa in italiano come “Caspita” (CBti, p. 39).

Durante il processo di traduzione, un altro aspetto che si è cercato di rendere al meglio è il voler ricreare il carattere di spontaneità dei dialoghi che compaiono nel testo. Ad esempio, al settimo capitolo, si legge: ‹‹Surtout, surtout, ne le contacte pas […]›› (CBtf, p. 42). In italiano si è tradotto: “E soprattutto, soprattutto, non lo contattare” (CBti, p. 42). Si è pertanto introdotta la congiunzione “e” quasi come se il dialogo fosse uno strascico di una precedente conversazione; in italiano, infatti, cominciare il periodo con un semplice

“soprattutto” risulterebbe straniante. Per di più, altre forme che sembrerebbero più naturali per un parlante quali “più che altro” o “per prima cosa” sono state scartate in quanto andrebbero ad appesantire oltremodo il periodale, tenendo conto che bisogna rispettare la ripetizione presente nel testo francese.

Per quanto riguarda poi la presenza di acronimi nel testo, l’unica occorrenza si

registra al capitolo quinto, dove compare ‹‹OMS›› (CBtf, p. 25). Dalla

consultazione dei dizionari, è emerso che la sigla ‹‹OMS›› risulta essere

(15)

~ LXIV ~

l’acronimo di ‹‹Organisation mondiale de la Santé››, ovvero l’ “Organizzazione mondiale della Sanità”, il cui acronimo italiano è equivalente a quello francese; di conseguenza, nel testo in lingua di arrivo, si è tradotto “OMS” (CBti, p. 25).

Un’altra interessante problematica emersa durante la fase traduttiva è stata riscontrare, in un testo narrativo quale Cœur Brûle, la presenza delle cosiddette microlingue o linguaggi settoriali.

Per un traduttore la presenza all’interno di un testo dei linguaggi settoriali richiede un particolare grado di attenzione rivolto all’analisi del livello lessicale, tenendo conto che all’interno di una microlingua la parola è strettamente legata al referente a livello di significato ma che comunque esistono casi di polisemia interna, cioè di casi in cui la stessa parola può indicare diversi referenti.

Quando termini del linguaggio specialistico trapelano all’interno di un testo narrativo, il traduttore deve quindi prestare la massima attenzione al riconoscimento di questi elementi lessicali onde evitare di incorrere in grossi abbagli; difatti, a proposito dei linguaggi settoriali, si può considerare che:

Un’altra difficoltà di studio nasce dall’assottigliarsi della barriera che divide la macrolingua dai suoi sottosettori. Le contaminazioni cosiddette “gergali”

sono sempre più frequenti. La terminologia settoriale si diffonde nella lingua comune, ma finisce per essere applicata ad un contesto diverso. Si creano perciò casi singolari quando un termine viene preso dalla micro lingua e adoperato nella lingua settoriale fino ad acquisire tale portata da essere riassorbito, ma con valenze differenti, dalla lingua comune

6

.

Di conseguenza, il lavoro del traduttore deve in questo caso essere finalizzato a scongiurare eventuali fraintendimenti resi possibili dalla commistione esistente fra macrolingua e microlingua.

All’interno del testo di Cœur Brûle, si è rilevata la presenza di tre diversi tipi di linguaggi settoriali, quello della botanica, quello della zoologia e, in maggior misura, quello giuridico.

Tenendo conto della grande sensibilità di Le Clézio nel voler riprodurre fedelmente l’ambiente naturale soprattutto se legato ad un universo “esotico”, nel corso della narrazione vi sono numerosi esempi di lessico botanico: ad esempio,

6

S. Santavenere, ‹‹Le risorse dei linguaggi settoriali. Comunicazione e didattica.›› in Quaderni di

Bérénice, num. 8, Angelus Novus Edizioni, 2007, p. 11.

(16)

~ LXV ~

soltanto al capitolo primo compaiono tre vocaboli quali ‹‹volubilis›› (CBtf, p. 4),

‹‹acacias›› e ‹‹flamboyants›› (entrambe in CBtf, p. 5). Dopo aver verificato i significati all’interno dei dizionari monolingue e bilingue, i termini elencati sono stati rispettivamente tradotti come “ipomee” (CBti, p. 5), “acacie” e “alberi corallo” (CBti, p. 5). Un'altra parola appartenente al lessico della botanica, ripetuta al capitolo terzo e al capitolo sesto, è ‹‹goyavier›› (CBtf, p. 19 e p. 37), tradotto in italiano come “guaiava” (CBti, p. 19 e p. 37).

Un'altra microlingua che compare in Cœur Brûle è quella appartenente al settore della zoologia; come nel caso della botanica, anche il mondo animale è presentato con grande meticolosità da Le Clézio all’interno delle sue opere narrative. Si segnala, pertanto, la presenza di parole quali ‹‹singe-araignée›› , al primo capitolo (CBtf, p. 3), resa come “scimmia ragno” (CBti, p. 3) o ancora di

‹‹crapauds›› (CBtf, p.5 e p. 21), “rospi” (CBti, p. 5 e p. 21), al primo e al quarto capitolo; si trovano, inoltre, ‹‹gueupes›› (CBtf, p. 21), “vespe” (CBti, p. 21),

‹‹abeilles›› (CBtf, p. 41), “api” ( CBti, p. 41) e uccelli quali ‹‹merles›› (CBtf, p.

38), “merli” (CBti, p. 38), e infine ‹‹rouges-gorges›› (CBtf, p. 41), “pettirossi”

(CBti, p. 41) e ‹‹rossignol›› (CBtf, p. 41), “usignolo” (CBti, p. 41).

C’è da notare che, nella maggior parte dei casi, non è stato richiesto un intervento sui verbi indicanti i rispettivi versi di questi animali, in quanto, in Le Clézio ricorrono sovente casi di personificazione; l’unica eccezione è costituita dal quarto capitolo dove si è scelto di tradurre la parola ‹‹cris›› (CBtf, p. 23), che in italiano corrisponderebbe a “grida”, con “frinii” (CBti, p. 23), dato che il riferimento è al verso della cicala. Si è deciso di ricorrere al medesimo verbo

“frinire” (CBti, p. 38) al capitolo sesto per tradurre il francese ‹‹grincement››

(CBtf, p. 38); si è optato per questa soluzione, in quanto, oltre ad essere questo il verbo atto ad indicare il verso della cicala non si può ignorare che tale parola non sembra essere inusuale al lettore italiano, dato che è stata impiegata sovente nella letteratura del Novecento, come testimoniato, ad esempio, da alcune liriche del Pascoli.

Tuttavia la microlingua che ha richiesto un intervento più ingente a livello di

traduzione, nonché la consultazione di un dizionario specialistico, è stata quella

del lessico giuridico.

(17)

~ LXVI ~

Al capitolo terzo, infatti, compaiono una serie di elementi lessicali pertinenti all’ambito della microlingua giuridica: sono un esempio parole quali, ‹‹prévenu››

(CBtf, p. 15), ‹‹experts›› (CBtf, p. 15), ‹‹avocat commis d’office›› (CBtf, p.15), tradotti rispettivamente come “imputato” (CBti, p.15), “periti” (CBti, p. 15) e

“avvocato d’ufficio” (CBti, p. 15). Sempre nel corso dello stesso capitolo compare una lunga lista di reati; all’interno di questa, vi sono alcuni termini per cui l’ausilio di un dizionario tecnico è risultato indispensabile per una corretta interpretazione, come ad esempio nel caso dell’espressione ‹‹coups et blessures››

(CBtf, p. 17), locuzione che in italiano corrisponde al reato di “lesioni personali”

(CBti, p. 17). Un altro esempio da addurre in riferimento alla terminologia giuridica è il termine ‹‹charge››. Questo è un esempio lampante di quel che si può definire polisemia interna, ovvero di un caso in cui una stessa parola indica più referenti all’interno di una stessa tipologia di linguaggio settoriale. In accordo con il dizionario giuridico di Tortora

7

, infatti, nel capitolo terzo il termine ‹‹charge››

(CBtf, p. 15) deve essere indubbiamente interpretato in italiano con il significato di “peso” (CBti, p. 15); al settimo capitolo, invece, ricorre all’interno dell’espressione ‹‹on n’avait pas retenu de charge contre lui›› (CBtf, p. 42) ed è stato tradotto come “non avevano assunto indizi a suo carico” (CBti, p. 42).

L’ultimo aspetto da trattare relativamente all’analisi del livello lessicale del racconto è la resa in lingua d’arrivo dei due elementi paratestuali, quali il titolo e l’epigrafe.

Il titolo, Cœur Brûle, crea nel lettore francese un effetto di immediatezza e di essenzialità, tenendo conto che il sostantivo non è preceduto da un articolo determinativo; pertanto, anche in italiano si è tradotto Cuore Brucia, proprio per trasporre quello stesso impatto brusco e immediato che il titolo francese veicola.

Le stesse considerazioni sono da estendersi al titolo dell’intera raccolta, per cui una proposta di traduzione sarebbe “Cuore Brucia e altre romanze”.

Il caso dell’epigrafe è invece molto interessante e testimonia ancora una volta l’interesse dell’autore, di cui tanto si è parlato nei precedenti capitoli, verso altre culture; in particolare, si configurerebbe come un omaggio alle sue origini mauriziane. Seppur con qualche discrepanza grafologica, infatti, si può sostenere

7

G. Tortora, Dizionario giuridico: italiano-francese, francese-italiano; Dictionnaire juridique:

italien-français, français-italien, Milano, Giuffrè editore, 1984, p. 426.

(18)

~ LXVII ~

con un discreto margine di certezza che l’epigrafe che compare all’inizio della novella altro non sia che un proverbio in creolo mauriziano, la cui corrispondente traduzione francese è: ‹‹Quand la montagne brûle tout le monde le sait; quand le cœur brûle, qui le sait

8

?››. Si è giunti ad una tale conclusione in seguito alla consultazione di uno studio dedicato al creolo mauriziano, da cui per l’appunto si è ricavata la traduzione francese del citato proverbio. Volendo operare una traduzione italiana, quindi, si avrebbe: “Tutti sanno quando la montagna brucia;

ma chi sa quando il cuore brucia?” Come si può facilmente intuire, aver condotto questa sorta di indagine linguistica sull’epigrafe iniziale del racconto si è rivelato un atto di fondamentale importanza in quanto si è in questo modo dedotto che il titolo della novella tradotta è parzialmente mutuato dalle parole che costituiscono questo proverbio mauriziano.

3.2.2. Analisi del livello morfosintattico

Nel corso del processo traduttivo di Cœur Brûle non sono emerse problematiche rilevanti per quanto concerne il livello morfosintattico del racconto.

A livello di tempi verbali, tra il testo della lingua di partenza e quello della lingua di arrivo non si registrano pertanto sostanziali variazioni. L’unica modifica in fatto di adattamento di tempi verbali riguarda la resa del futur proche francese con l’indicativo presente in italiano nel caso specifico di una cornice dialogica, al fine quindi di conferire un carattere di maggiore naturalezza ai dialoghi del racconto.

Ad esempio, al secondo capitolo, si legge: ‹‹Je vais développer, voir ce que ça donne. Je te rappellerai.›› (CBtf, p. 10). Si nota appunto, nel testo francese, la presenza del futur proche che in italiano è tradotto generalmente con il futuro semplice dell’indicativo, ma che qui si è preferito rendere con un indicativo presente in quanto un parlante italiano nello stesso contesto non utilizzerebbe un futuro; di conseguenza, si è tradotto: “Sviluppo, vedo cosa ne ricavo. Ti richiamerò” (CBti, p. 10).

La medesima strategia traduttiva si può rintracciare nel capitolo terzo, laddove la frase ‹‹Je ne vais pas la forcer›› (CBtf, p. 18) è stata tradotta “Non posso

8

C. Baissac, Étude sur le patois créole mauricien, Nancy, Berger-Levrault, 1880, p. 160.

(19)

~ LXVIII ~

costringerla” (CBti, p. 18), con la scelta del presente indicativo e l’introduzione del verbo “potere”. Anche in questo caso, si è cercato di mantenere un carattere di spontaneità nel dialogo, sia per trasporre il carattere colloquiale dell’impianto narrativo, sia tenendo conto che il futur proche è un gallicismo, ovvero una struttura morfologica ricorrente soprattutto a livello di lingua parlata; del resto, anche in italiano, a livello orale, il presente dell’indicativo tende a sostituire sempre più frequentemente il futuro semplice dell’indicativo.

Altre variazioni morfologiche si rintracciano al capitolo sesto, dove nel testo francese si legge ‹‹Il faisait encore jour […]›› (CBtf, p. 37) e nel testo italiano si è preferito tradurre “Stava ancora facendo giorno […]” (CBti, p. 37), utilizzando quindi una forma progressiva per meglio veicolare il carattere continuativo dell’azione.

Al capitolo quinto, poi, si segnala l’introduzione di una subordinata relativa, per meglio veicolare il significato del testo, laddove c’è stata una soppressione di un corrispondente possessivo del testo francese; nella lingua di partenza infatti si legge: ‹‹[…] une chambre crépie à la chaux pareille à sa chambre là-bas.›› (CBtf, p. 28), mentre in italiano si è optato per “[…] una stanza intonacata a calce simile alla stanza che aveva laggiù.” (CBti, p. 28).

Al settimo capitolo si rileva una leggera modifica sempre al fine di veicolare al meglio il significato: laddove in francese compare ‹‹Comment elle s’appelle?››

(CBtf, p. 42), in italiano si è tradotto “Come l’hai chiamata?” (CBti, p. 42). Si è optato per questa soluzione in quanto vi è l’esigenza di sottolineare il fatto che si sta parlando di una bambina. Si è scartata una resa letteraria del tipo “Lei come si chiama” in quanto l’uso del pronome all’interno di un tale contesto dialogico risulterebbe innaturale nonché poco immediato per un parlante italiano.

Nel corso della narrazione non si rintracciano, a livello morfosintattico, altre

variazioni significative; per quanto riguarda l’assetto pronominale, la tendenza

generalizzata è stata quella di sottintendere il pronome tendendo conto che, a

differenza del francese, l’italiano è una lingua pro-drop e che in quanto tale

consente, salvo particolari casi in cui si vuol riporre enfasi sul soggetto di

un’azione, di mettere in atto questo espediente.

(20)

~ LXIX ~

Per quanto riguarda i pronomi, un caso interessante si manifesta al capitolo quinto, dove in francese si legge: ‹‹En tout cas le docteur lui le connaît bien››

(CBtf, p. 29). Qui si nota la presenza del pronome tonico ‹‹lui›› che ricorre insieme al soggetto con funzione di rafforzare quest’ultimo. In italiano, tenendo conto che si è all’interno di un dialogo e che quindi bisogna riporre enfasi sul soggetto della frase impiegando una soluzione che risulti essere più spontanea possibile, si è deciso di tradurre: “Ad ogni modo il dottore sì che lo conosce bene”

(CBti, p. 29).

Un'altra problematica concernente il livello prettamente sintattico è la presenza in numerose occorrenze della cosiddetta mise en relief, ovvero di una costruzione morfosintattica tipica della lingua francese.

All’incipit del testo francese del capitolo primo si legge: ‹‹Ce qu’elle voudrait voir, c’est Pervenche […]›› (CBtf, p. 2); in italiano la resa è stata “Vorrebbe vedere Pervenche […]” (CBti, p. 2). Similmente, al secondo capitolo si può leggere: ‹‹C’est au cours du mois de juillet qu’elle a fait connaissance de Stern››

(CBtf, p. 8). Nella resa in italiano si è messa in atto una strategia analoga al caso precedente, quindi si è tradotto “Ha conosciuto Stern durante il mese di luglio”

(CBti, p. 8), anteponendo quindi soggetto, verbo e complemento oggetto per riprodurre nella lingua di arrivo lo stesso effetto suscitato dal testo francese.

In altri casi, invece, questa costruzione sintattica è stata restituita nella traduzione italiana; ad esempio, al capitolo primo, si legge nel testo francese:

‹‹C’est là que les enfants se retrouvaient à la même heure [..]›› (CBtf, p. 3). In italiano si è tradotto “È proprio lì che i bambini si ritrovavano alla stessa ora […]”

(CBti, p. 3). Nel presente caso, si è optato per una soluzione di tal genere in quanto il contesto della frase richiedeva una certa enfasi e, appunto per questa stessa ragione, si registra l’aggiunta dell’avverbio “proprio”.

3.2.3. Analisi del livello stilistico

Si vuole dedicare l’ultima parte di questo paragrafo all’analisi della tematica

dello stile lecleziano, ovvero delle caratteristiche ricorrenti nella sua scrittura che

emergono dalle pagine di Cœur Brȗle.

(21)

~ LXX ~

La questione stilistica in Le Clézio si è sempre caratterizzata come una problematica fondante negli studi dedicati a questo autore; come si evince da un fervido dibattito critico, l’intera produzione lecleziana viene divisa in due fasi anche in base alle caratteristiche stilistiche dei suoi scritti. Come si può leggere in Ook Chung, infatti:

La critique journalistique s’est bornée le plus souvent à signaler le contraste formel entre ces œuvres et celles postérieures aux Géants, comme s’il s’agissait d’une simple volte-face artistique de l’auteur. Il est vrai que c’est sur le plan stylistique que ses premières œuvres tranchent de la manière la plus spectaculaire avec le reste de la production leclézienne: dès le Procès- verbal, ce style s’impose par des descriptions baroques et échevelées, des techniques narratives avant-gardistes, et une rhétorique de plus en plus enflammée qui culmine avec Les Géants, tandis qu’à partir du roman Désert, ce style s’efface au profit d’une narration épurée et plus conventionnelle

9

.

Secondo il citato punto di vista, condiviso dalla maggior parte degli studiosi di Le Clézio, la romanza di Cœur brȗle essendo successiva alla pubblicazione di Désert può quindi essere ascritta alla seconda fase della narrativa lecleziana.

Effettivamente, ad una prima lettura, il racconto colpisce per la sua linearità e la sua scorrevolezza. Tuttavia, in seguito ad un’analisi più approfondita, si può notare che dietro questa apparente semplicità il testo cela delle caratteristiche stilistiche che richiedono un elevato livello di attenzione in fase di traduzione.

La caratteristica stilistica che implica un maggior impegno del traduttore è, senza ombra di dubbio, il costante ricorrere di campi semantici, quasi di intere reti di significato che compaiono anche a distanza di diverse pagine nel corpo della narrazione. In questo senso, il traduttore ha il compito di rilevare queste

“ridondanze” stilistiche, questi continui rimandi del testo a se stesso e di trasporli fedelmente nella lingua d’arrivo. L’individuazione nel testo francese e la restituzione nel testo in lingua d’arrivo delle cosiddette ripetizioni funzionali, pertanto, è stato il compito principale al quale assolvere durante la fase traduttiva di Cœur Brûle. Ad esempio, nel primo capitolo, si legge nel testo: ‹‹Quand la nuit tombait, autrefois. Quand la nuit tombait, […]›› (CBtf, p. 4) e, poco più avanti, un altro periodo inizia in questo modo: ‹‹Quand la nuit venait […]›› (CBtf, p. 6).

Ovviamente, nel corso della traduzione, si è dovuto tener conto di questa

9

O. Chung, Le Clézio, une écriture prophétique, Paris, Éditions Imago, 2001, p. 245.

(22)

~ LXXI ~

“riproposizione” a livello semantico e si è pertanto tradotto: “Quando la notte calava, un tempo. Quando la notte calava […]” (CBti, p. 4) e, per il periodo successivo, “Quando la notte arrivava […]” (CBti, p. 6). Tenendo conto che in italiano l’ordine dei costituenti della frase è meno rigido rispetto alla lingua francese, si è volutamente scelto di anteporre il soggetto al verbo proprio al fine di dare maggior rilievo alla parola “notte”.

Un impegno notevole durante il processo traduttivo è stato quello richiesto per rendere nella lingua d’arrivo un’altra caratteristica stilistica peculiare di Le Clézio, ovvero quello che molti critici hanno denominato il suo tono poetico. Sovente, infatti, durante i passi descrittivi e non solo, si rintraccia un tono squisitamente lirico; l’aspetto che poi colpisce particolarmente è che, all’interno di questi periodi, si rintraccia talvolta una commistione stilistica: il tono è chiaramente lirico ma al contempo compaiono dei termini appartenenti ad un registro colloquiale. L’esempio più palese in tal senso si rintraccia al capitolo terzo, laddove nel testo francese si legge:

Sortis de la nuit, du néant, tout dégouttant, souillés de sang, de sperme, de mort, portant la destinée comme une mauvaise sueur sur leur peau, éblouis dans la lumière crue de la justice, incapables de parler, répétant ce qu’on leur souffle, suspendus au regard de n’importe qui, d’un flic, d’un huissier, d’un avocat, cherchant un brin de paille où s’accrocher, pour se sauver de la noyade. Assourdis par le langage des experts, des assistantes sociales, des psychiatres, des avocat commis d’office. Un instant extraits de l’ombre, conduits devant elle, devant Madame le juge des enfants, puis retournant vers leurs cellules, entravés, menottés, la tête penchée, honteux, renvoyés au silence. (CBtf, p. 15)

Questo passo è risultato essere uno dei più impegnativi da tradurre all’interno

dell’intero racconto: visto l’argomento trattato, il tono della narrazione deve

cercare di veicolare lo stesso effetto di drammaticità. Inoltre, all’interno di un

passo che si caratterizza indubbiamente per il suo tono lirico ricorrono due

elementi lessicali tipici della terminologia giuridica, quali ‹‹avocats commis

d’office›› e ‹‹Juge des enfants›› oltre ad un termine argot quale ‹‹flic››, che, come

già segnalato in precedenza, è stato volutamente tradotto con il termine gergale

italiano “sbirro”. Un’altra caratteristica che emerge da questo passo è la

ripetizione dei tempi verbali: si rileva, infatti, la presenza di cinque participi

(23)

~ LXXII ~

presenti ‹‹dégouttant, portant, répétant, cherchant, retournant››. In questo caso, in italiano si è preferito tradurre tutte le cinque occorrenze con un indicativo presente piuttosto che con il pronome relativo che + indicativo presente, al fine di evitare di appesantire oltremodo un periodo che risulta essere per sua stessa natura già lungo e per mantenere lo stesso effetto di immediatezza conferito al testo francese dall’uso del participio presente.

Un altro aspetto che emerge da un’accurata analisi di questo passo è l’accumulazione binaria o per multipli di due, di elementi con la stessa funzione che ricorre per l’intero periodo. Sin dall’inizio si segnalano, infatti, ‹‹de la nuit, du néant›› retti dall’unico verbo ‹‹sortis››; più avanti si nota ancora: ‹‹suspendus au regard de n’importe qui, d’un flic, d’un huissier, d’un avocat››, e ancora, al periodo successivo: ‹‹assourdis par le langage des experts, des assistantes sociales, des psychiatres, des avocats commis d’office››. Ovviamente, in questi casi nella traduzione si è mantenuto lo stesso impianto, evitando di modificare la punteggiatura al fine di non variare in alcuna maniera il ritmo; agire in maniera diversa avrebbe significato, infatti, intaccare le caratteristiche stilistiche del testo e in qualche modo tradire le finalità estetiche sottese all’opera.

Seguendo la lezione di Antoine Berman, infatti, bisognerebbe evitare di soccombere al peso della tendenza alla razionalizzazione che spinge il traduttore a riorganizzare la punteggiatura nel testo, provocando così una deformazione dell’originale. Bisogna oltretutto considerare, sempre in accordo con le teorie di Berman, che il ritmo non è un elemento esclusivo del genere poetico ma è, al contrario, un elemento stilistico fondante anche di un testo in prosa:

The novel is not less rhythmic than poetry. It even compromises a multiplicity of rhythms. Since the entire bulk of the novel is thus in movement, it is fortunately difficult for translation to destroy this rhythmic movement

10

.

Pertanto, da questo punto di vista, si deduce che anche un testo in prosa, come una poesia, ha il suo ritmo; compito del traduttore deve essere quello di

10

A. Berman, ‹‹Translation and the trials of the foreign›› in L. Venuti, The Translation Studies

Reader, London – New York, Routledge, 2000, p. 284.

(24)

~ LXXIII ~

individuarlo e di evitare qualunque tendenza deformante che distrugga la componente ritmica del testo tradotto.

In particolare, in uno scrittore quale Le Clézio, deformare il ritmo o distruggere il tono lirico del racconto significherebbe sopprimere un elemento fondamentale della sua scrittura, anche tenendo conto che il tono poetico lecleziano è in realtà considerato da alcuni studiosi dell’autore come l’elemento di continuità fra la cosiddetta prima e seconda fase della scrittura di Le Clézio.

Secondo l’opinione di Miriam Stendal Boulos, infatti:

Malgré une tendance dans la critique à vouloir distinguer deux périodes dans l’écriture de Le Clézio, la première expérimentale à l’instar du nouveau roman, la seconde à structure d’apparence plus traditionnelle mais avec des accents lyriques, son œuvre exprime une continuité profonde qui est assurée par sa structure poétique. S’il existe une constante qui semble dominer sa tentative novatrice, c’est la volonté d’investir le roman des caractéristiques propres au poème, en utilisant sa structure, ses procédés techniques

11

.

Di conseguenza, è impensabile per un traduttore che si accosta ad un testo di Le Clézio non rispettare queste caratteristiche fondanti dello stile dell’autore se si considera oltretutto che:

La cohésion de ses romans ne réside pas au niveau de l’orchestration d’une intrigue et de la construction d’un personnage authentique, mais dans une cohésion poétique, dans un rythme et un récit qui rappellent la structure du poème

12

.

Non tener conto di questi aspetti fondanti della scrittura lecleziana comporta, oltre ad un impoverimento qualitativo del testo in sé, anche un mancato riconoscimento di un elemento che funge, in qualche modo, da sorta di “collante”

dell’intera produzione letteraria dell’autore.

Del resto, come sostiene Kundera in un suo bellissimo saggio relativo ai problemi della traduzione: ‹‹Per un traduttore, l’autorità dovrebbe essere lo stile personale dell’autore

13

››. Quest’affermazione risulta essere profondamente

11

M.S. Boulos, ‹‹La dimension poétique de l’intetextualité dans l’œuvre de Le Clézio›› in S.

Bertocchi-Jollin e B. Thibault (a cura di), J.-M.G. Le Clézio. Lectures d’une œuvre, Nantes, Éditions du temps, 2004, p. 71.

12

Ibidem.

13

M. Kundera, I testamenti traditi, Milano, Adelphi, 2005, p. 109.

(25)

~ LXXIV ~

veritiera nel caso di uno scrittore quale Le Clézio, la cui prosa narrativa si caratterizza per un tono estremamente lirico e per una musicalità ottenuta in primis facendo ricorso alle ripetizioni funzionali; come del resto sottolinea Miriam Boulos: ‹‹Le recours à un rythme itératif permet à la fois de souligner un lien étroit entre littérature et musique, et d’inscrire l’ œuvre dans une tentative primitiviste, où la répétition contribue à renforcer l’expression d’une pulsion

14

.››

Per concludere il discorso relativo all’analisi del livello stilistico di Cœur Brûle, bisogna prendere in considerazione un altro esempio di ripetizione funzionale riscontrato nel racconto. Colpisce, infatti, la conclusione dell’ultimo capitolo, laddove si legge nel testo francese: ‹‹Et les cris et les chansons, Pervenche gardait sa petite main serrée dans la sienne, tandis que les flammes jaillissaient au bord du trottoir, devant les enfants, et dans la nuit les étincelles tourbillonnaient, montaient, rejoignaient les étoiles.›› (CBtf, p. 44). Ad una attenta lettura, si nota come, nella chiusura del racconto, ricompaia lo stesso campo semantico del primo capitolo, dove si legge ‹‹Les étincelles tourbillonnaient, montaient vers le ciel››

(CBtf, p. 5) e ancora, all’inizio del paragrafo conclusivo: ‹‹Puis un soir, Clémence ne se souvenait plus comment, Pervenche a mis sa petite main dans la sienne […]›› (CBtf, p. 6). Nella traduzione, pertanto, si è deciso di rispettare queste ripetizioni funzionali, servendosi delle stesse parole: “[…], e nella notte le scintille turbinavano, salivano […]” (CBti, p. 44), laddove al primo capitolo si legge “le scintille turbinavano, salivano verso il cielo” (CBti, p. 5); oppure, nell’altro caso proposto, si nota: “[…] Pervenche teneva la manina stretta nella sua […]” (CBti, p. 44), laddove al capitolo primo si è tradotto “[…] Pervenche ha infilato la manina nella sua […]” (CBti, p. 6). Esiste una duplice ragione per cui si è rispettato questo tipo di ripetizione: in primis per coerenza narrativa, in quanto il personaggio di Clémence ad anni di distanza si ritrova nei luoghi della sua infanzia, e quindi si ritrova, come in un déjà vu, a provare le stesse sensazioni che aveva vissuto da bambina. La seconda ragione, invece, ha a che fare con la volontà di non modificare l’andamento della prosa lecleziana: come è stato notato da diversi critici, infatti, il riproporre lo stesso campo semantico nelle pagine iniziali e finali di un racconto al fine di conferire alla narrazione un carattere

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M.S. Boulos, ‹‹La dimension poétique de l’intertextualité dans l’œuvre de Le Clézio››, in S.

Bertocchi- Jollin e B. Thibault (a cura di), op. cit., p. 81.

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