Introduzione
«Alzò gli occhi dai fogli e il suo sorriso si allargò.
“Possedere un’altra lingua è possedere un’altra anima.”
L’ha scritto un grande re, signore, Carlo V.»
(John le Carré, da La talpa)
L’etichetta di “letteratura postcoloniale”, detta anche
“Commonwealth Literature”, “World Literature in English” o “New Literatures in English”, raccoglie
all the culture affected by the imperial process from the moment of colonization to the present day. This is because there is a continuity of preoccupations throughout the historical process initiated by European imperial aggression.1
Quindi le letterature postocloniali sono tutte quelle prodotte in inglese da autori di paesi come l’Africa, l’Australia, il Bangladesh, il Canada, le isole caraibiche, l’India, la Malesia, Malta, Nuova Zelanda, il Pakistan, Singapore, o lo Sri Lanka e trattano temi comuni come la multiculturalità, la difesa della diversità culturale, il rapporto colonizzato‐colonizzatore, la storia vista dal punto di vista dei colonizzati, il rapporto con la lingua inglese, lingua imposta dal colonizzatore.
Solo per citarne alcuni, nomi come quelli di Patrick White, Amitav Gosh, Margaret Atwood, Jean Rhys, Arundhati Roy, Michael Ondaatje e, ultimo ma non meno importante, Salman Rushdie, fanno parte del panorama letterario internazionale. In questo si inserisce un particolare filone chiamato African Canadian Literature. Di quest’ultimo fa parte il romanzo The Book of Negroes dell’autore canadese Lawrence Hill, preso in analisi in questa tesi. Il romanzo,
1
Bill Ashcroft, Gareth Griffiths, e Helen Tiffin. The Empire Writes Back:
Theory and Practice in PostColonial Literatures Londra e New York, Routledge, 1989, p. 1.
pubblicato negli Stati Uniti, in Australia e Nuova Zelanda con il titolo di Someone Knows My Name e in francese con il titolo di Aminata, ha vinto il Commonwealth Writers’ Prize nel 2008. Nel 2014, sotto la direzione di Clement Virgo e con la collaborazione dello stesso Hill, sono iniziate le riprese della serie televisiva tratta dal romanzo.
Andata in onda sulla CBC Television in Canada a gennaio 2015, vede come protagonisti l’attrice americana Aunjanue Ellis nel ruolo di Aminata, l’attore canadese Lyriq Bent nel ruolo di Chekura e Cuba Gooding Jr nel ruolo di Samuel Fraunces, un mulatto liberato che possiede una taverna a New York e che aiuterà la protagonista.
Il presente lavoro si propone di analizzare, a partire dal romanzo di Hill, come il linguaggio e le lingue, temi centrali per la produzione letteraria post coloniale, possano influire sulla costruzione della personalità di un individuo.
In particolare, il primo capitolo sarà dedicato alla presentazione del panorama letterario canadese, molto composito e vario sia sul versante francofono sia su quello anglofono, dalle origini a oggi. Seguirà una breve presentazione della letteratura prodotta da autori di origini non europee in lingua inglese e in particolare la letteratura afro‐canadese di cui George Elliot Clarke è uno dei maggiori studiosi. Negli ultimi due paragrafi di questa sezione si vedrà come l’autore, Lawrence Hill, e l’opera presa in analisi si inseriscono all’interno di questo filone.
Il secondo capitolo conterrà la traduzione con testo originale
a fronte, di una parte del secondo libro. La scelta di tradurre proprio
questa parte è stata operata in funzione della riflessione su identità e
linguaggio che si affronterà nel capitolo successivo. Alla traduzione
seguirà una breve analisi delle difficoltà traduttive legate al testo di
Hill e l’illustrazione delle soluzioni da me adottate. La terza e ultima
parte analizzerà il percorso identitario della protagonista, segnato
dall’apprendimento di nuove lingue durante tutto il romanzo. A
partire da Hegel, tra i principali sostenitori della visione romantica
della lingua del popolo, si svilupperà una riflessione che, basandosi sulle teorie di diversi filosofi e studiosi come, ad esemio, Gayatri Spivak, Édouard Glissant, Franz Fanon, analizzerà come invece la lingua sia strettamente legata all’individualità, quanto i diversi livelli di competenza linguistica influiscano l’identità di un individuo, la percezione che lo stesso ha di sé e quella che terzi hanno di lui e, infine, quanto sia importante, per coloro che vengono chiamati
“subalterni”, avere una propria voce per poter raccontare la Storia dal loro punto di vista senza che l’occhio dell’Altro faccia da
“mediatore” tra il protagonista e il mondo.
CAPITOLO PRIMO
I ain’t blue: the rain still works;
The wind hasn’t broken down.
I ain’t blue: the rain, it still works, The wind ain’t all fallen down.
And the sun, it still burns, it burns, It burns right down to the ground.
(Blues de Malcom, George Elliott Clarke)
21. Il Canada: paese multiculturale per eccellenza
È stato scritto tanto sullo scenario multiculturale del Canada, sul fatto che il Canada sia la sola nazione che costituisce a livello costituzionale uno stato multiculturale all’interno di un contesto bilingue, e non è mia intenzione scrivere l’ennesimo saggio sul multiculturalismo, ma credo sia necessario accennare ai punti fondamentali di questo panorama così complesso e variegato, un mosaico di tradizioni, valori, pratiche appartenenti sia alle popolazioni autoctone (indiana ed eschimese) sia a quelle di origine europea (principalmente francese e inglese) sia a quelle di più recente insediamento come quelle africana, sulla quale mi soffermerò più particolarmente, italiana, caraibica, indiana, cinese, eccetera.
Abitato inizialmente da popolazioni indigene, gli Inuit, gli Yupik, gli Innu, il Canada ha subito varie ondate migratorie, a partire dalla scoperta dell’America. Dalla fine de XV secolo, il paese fu colonizzato dai francesi e dagli inglesi. A questa fecero seguito diverse ondate migratorie che durano ancora oggi che hanno fatto sì che il paese diventasse appunto fortemente multiculturale. In seguito alla rivoluzione americana ci fu un forte flusso migratorio
2 George Elliot Clarke, Blues de Malcom in Blues and Bliss: The Poetry of George Elliott Clarke selected with an introduction by Jon Paul Fiorentino, Waterloo, Ontario, Canada, Wilfrid Laurier University Press, 2008.
proveniente dagli Stati Uniti attraverso itinerari segreti che portarono principalmente in Nuova Scozia (dove arriverà la protagonista del romanzo che analizzerò) e in Ontario. In particolare erano lealisti ed ex schiavi africani provenienti dalle piantagioni degli Stati Uniti del sud, i neri iniziarono quindi così a introdursi in Canada e in seguito arrivarono anche le popolazioni caraibiche in particolare di lingua francese. Una seconda ondata provenne dalla Gran Bretagna e dall’Irlanda nella prima metà del 1800 mentre nella seconda metà del XIX secolo si ebbe un forte flusso proveniente dall’Asia e in particolare dalla Cina, dal Giappone e dall’India (la costruzione delle ferrovie richiedeva manodopera a basso costo).
Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 si aggiunsero poi immigrati provenienti dall’Europa, in particolare dalla Russia, dall’Ucraina, austro‐ungheresi e italiani. Tra le due guerre si ebbe un periodo di stasi e il flusso proveniente dal vecchio mondo riprese alla fine degli anni ’50 del novecento con arrivi in particolare dalla Germania, dall’Italia e dai Paesi Bassi e continua ancora oggi.
Le varie ondate migratorie succedutesi nel corso della storia
hanno reso il Canada un paese fortemente composito dal punto di
vista etnico e culturale. Diversamente da altri paesi (in particolare gli
Stati Uniti), dove si è affermata una forte tendenza all'assimilazione
delle varie culture, che dovrebbero essere superate per dare vita a
un'identità nazionale il più possibile omogenea (il modello del
cosiddetto melting pot), in Canada si è affermato un modello
multiculturale in senso stretto, che tende a offrire maggiori spazi e
tutele alle singole culture d'origine. Infatti nel 1971 venne varata la
prima legge sul multiculturalismo che sanciva la conservazione e
l’affermazione della propria identità e della propria appartenenza a
un gruppo culturale pur favorendo l’apprendimento delle lingue
ufficiali consentendo però agli appartenenti ad altre comunità, di
tutelare la propria identità nazionale e contemporaneamente di
integrarsi nella comunità canadese. Questa politica è sancita
nell'Immigration Act. Per descrivere questa realtà multiculturale
canadese si usa spesso l'espressione "mosaico culturale". Questo
termine è usato per descrivere la mescolanza e la coesistenza dei differenti gruppi etnici che compongono la società canadese.
La nascita della letteratura canadese è avvenuta però solo nel 1800. Per un Paese che è annoverato tra i più sviluppati proprio per questa sua componente così “frastagliata” che ne determina la ricchezza e la modernità, potrebbe sembrare un fenomeno abbastanza tardivo. Ma questo è appunto il risultato delle dinamiche migratorie, che sono anche state tra i primi soggetti delle opere degli autori canadesi: cronache di viaggio a cui si è presto affiancato il resoconto intriso di stupore per gli spettacoli naturali che si presentavano agli occhi dei viaggiatori, e che ancora lasciano affascinati (ad esempio il poeta di lingua francese Gaston Miron, oltre alle tematiche politico‐linguistiche, cantava anche la sua terra). La storia letteraria canadese è dunque giovane, e tuttavia già ricca di eccellenze, sia in ambito anglofono che francofono, ma anche per quanto riguarda tutte le minoranze che compongono il mosaico culturale.
Anche se le due maggiori civiltà e letterature, la francese e l'inglese, coesistono da secoli nel Canada, non è possibile considerare unitaria la produzione letteraria delle due lingue anche se nelle due tradizioni si trovano diverse caratteristiche comuni.
1.1. Letteratura francofona
Come si è già detto, la letteratura canadese di espressione
francese si sviluppò solo nell'Ottocento. Per quasi un secolo dalla
cessione della Nuova Francia (nel momento di massima espansione,
nel 1712, il territorio andava da Terranova al Lago Superiore e dalla
Baia di Hudson al Golfo del Messico) agli Inglesi nel 1763, la
produzione letteraria fu quasi inesistente, poiché tutte le energie
erano rivolte alla conservazione dei diritti della popolazione
francofona. I documenti di quel periodo hanno prevalentemente
carattere politico‐civile e l'eloquenza rappresenta quasi l'unica
forma letteraria, impersonata soprattutto dal politico Louis Papineau
(1786‐1871), uno dei grandi simboli del nazionalismo franco‐
canadese. Il distacco dalla Francia fece sì che gli echi dei grandi movimenti letterari giungessero in ritardo e che solo dopo il 1840 nascesse un movimento poetico ispirato a un romanticismo tinto di nazionalismo, al cui risveglio contribuì soprattutto l'Histoire du Canada (3 vol.) di François‐Xavier Garneau (1809‐1866), storico, poeta e notaio. Inizialmente il libro fu scritto in risposta a quello di John Lambton, Report on the Affairs of British North America (1839), secondo cui la cultura franco‐canadese stava attraversando una fase di stasi ed era quindi inevitabile che venisse assimilata dalla più fiorente cultura anglo‐canadese. Fu intorno alla figura di Octave Crémazie (1827‐1879), poeta dall'ampio respiro epico e patriottico, e alla sua libreria fondata con i fratelli Jaques e Joseph (J. & O.
Crémazie), che si sviluppò un circolo di intellettuali e poeti che con le loro opere segnarono la nascita della letteratura franco‐canadese: tra essi i poeti Louis‐Honoré Fréchette (1839‐1908) avvocato, giornalista, scrittore e politico, il suoi amici Léon‐Pamhile Le May e Nerée Beauchemin. Al movimento diedero un contributo insostituibile anche alcuni storici, come l'abate Jean‐Baptiste‐Antoin Ferland (1805‐1865) che dedicò la sua vita alle ricerche storiche sul Canada come anche l'abate Henri‐Raymond Casgrain (1831‐1904).
Quasi tutta la letteratura nata dal movimento di rinascita culturale
venne pubblicata nelle Soirées canadiennes (1861‐65), una rivista
fondata dal già citato abate Casgrain, dall’avvocato poeta e
romanziere Antoine Gérin‐Lajoie, dal medico, professore, chimico e
scrittore François Alexandre Hubert LaRue e dal fisico, politico e
scrittore Joseph‐Charles Taché o nella raccolta storico‐letteraria Le
Foyer canadien (1863‐66), che ebbe come massimo esponente
Philippe Aubert de Gaspé autore di Les Anciens Canadiens,
considerato uno dei primi romanzi canadesi. A cavallo tra i due secoli
intorno alla figura del poeta, critico e drammaturgo Jean
Charbonneau (1875‐1960) nacque l’École Litteraire de Montréal,
composta da poeti simbolisti come Émile Nelligan, (1879‐1941),
considerato ancora oggi uno dei più grandi poeti del Québec, la cui
poetica, incentrata su temi quali l’infanzia, la follia, la musica e la
morte, fu influenzata dai grandi come i già citati Octave Crémazie e Louis‐Honoré Fréchette ma anche da Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Edgar Allan Poe, o parnassiani, come Albert Lozeau (1878‐1924), i cui temi preferiti erano, ancora una volta, la solitudine, l’amore e la natura, Albert Ferland (1872‐1943), poeta e disegnatore autodidatta, Paul Morin (1889‐1963) poeta e traduttore, e molti altri. I temi sui quali si basa la corrente poetica più legata alla tradizione continuano a essere la storia, il paesaggio, la natura e la tradizione canadese. Su questi temi si regge il genere romanzo con autori come Robert Laroque de Roquebrune (Les Habits rouges, Dames Le Marchand, D'un océan à l'autre), Philippe Panneton, detto Ringuet, nel cui romanzo Trente Arpents si legge “La patrie c'est la terre, et non le sang”
3(La patria è la terra e non il sangue) e Claude‐Henri Grignon, autore di uno dei romanzi più noti del Canada francese, Un homme et son péché. Il vero di tutta questa letteratura legata al territorio, alla tradizione e alla famiglia, è il romanzo Maria Chapdelaine (1914), di Louis Hémon (1880‐1913), un francese emigrato nel Québec considerato lo scrittore emblematico del Canada francese. Ma fino al secondo conflitto mondiale la letteratura franco‐canadese rimase di carattere provinciale, anche se con un profondo significato storico e morale sempre alla paziente ricerca di una propria fisionomia nazionale.
Furono poeti come Hector de Saint‐Denys Garneau (1912‐1943), bisnipote del già citiato François‐Xavier Garneau e cugino della poetessa, scrittrice e sceneggiatrice Anne Hébert, che con la sua unica raccolta Regards et Jeux dans l’espace segna una svolta nella letteratura del Québec (anche se gli ne verranno riconosciuti i meriti solo dopo la sua morte), Alain Grandbois, poeta di stampo intimista che aprì le porte all’utilizzo del verso libero (1900‐1975) e Simone Routier, autrice di una poesia d’ispirazione personale e spirituale, a dare il via al processo di svecchiamento e apertura sul mondo della letteratura del Québec, che subì fortemente l'influsso americano
3 Philippe Panneton, Trente Arpents, Parigi, Flammarion, 1938.
riuscendo a liberarsi dai modelli esclusivamente francesi. Tra i poeti e i prosatori più significativi, citiamo Rina Lasnier che insieme ai già citati Anne Hébert, Hector de Saint‐Denys Garneau e Alain Grandbois, fa parte dei “grandi quattro” della letteratura dell’epoca, poi Jacques Godbout, o ancora la romanziera Gabrielle Roy, una delle voci più rappresentative del dopoguerra, il poeta Jean‐Guy Pilon (n.
1930), Jaques Brault poeta che si ispira al malcontento di un’infanzia misera e dell’alienazione economica e socioculturale della minoranza francofona e Paul Chamberland cantore della rivolta del Québec e fondatore della rivista Parti pris. Altri nomi importanti sono quelli dei romanzieri come Marie‐Claire Blais i cui romanzi sono impregnati di critica sociale, Yves Thériault, difensore delle minoranze canadesi, conosciuto in Italia per il suo romanzo Agaguk:
l’ombra del lupo (titolo originale Agaguk) Réal Benoît (1916‐1972), e Réjean Ducharme, i cui libri, un po’ sullo stile di Rabelais e Quenaeu, hanno sollevato grande interesse; egli, infatti, reinventa il linguaggio, creandone uno suo, in Dévadé (1990) e Va savoir (1994), in cui il lato buffo dei personaggi non nasconde la loro disperazione, ma la sottolinea. Con la fondazione, a opera del poeta Gaston Miron (1928‐
1996), del gruppo “Hexagone” (1953) e di molte riviste politico‐
letterarie, (fu l’editore, tra gli altri, di Alain Grandbois) si è affermato
il concetto di “Québécitude” (sul modello di “Négritude”, Il
movimento che sorse a Parigi a opera dei poeti di origine africana
Léon Damas, Aimé Césaire e Léopold Sédar Senghor il cui manifesto
fu il Cahier d'un retour au pays natal di Césaire del 1939) quindi
territorio da riconquistare, affermazione della lingua francese e
rivendicazione di un’identità distinta sia da quella inglese che da
quella della Francia. Per quanto riguarda la saggistica sul Québec,
citiamo Nègres blancs d’Amérique di Pierre Vallières (leader del
movimento Front de libération du Québec), una cronaca del
colonialismo francese in nord America del 1968, e Jean‐Marcel
Paquette autore del saggio Le joual de Troie, 1973 che tratta la
politica, le condizioni socioeconomiche e linguistiche del Québec. Va
ricordato anche Hubert Aquin (1929‐1977), un altro militante per
l’indipendenza del Québec, le cui avventure romanzate, raccontate con un linguaggio innovativo, si legano al suo interesse per la sorte politica della regione natia. Tra le opere più importanti, Prochaine épisode (1965) tradotto in italiano Prossimo episodio, in cui il linguaggio ha un valore simbolico che invita a leggere oltre la lettera e l’azione; Trou de mémoire (1968), Neige noire (1974), L’Invention de la mort (1991) tradotto L’Invenzione della morte. Oltre che per la letteratura di argomento politico, gli anni Settanta sono significativi anche per la presenza femminile, che emerge con testi forti, violenti, rivendicatori, come quelli di Madeleine Gagnon, della femminista Nicole Brossard, Louky Bersianik (pseudonimo di Lucille Durand) il cui romanzo L’Eugélionne, 1976, è considerato come il primo romanzo del Québec di ispirazione femminista, France Théoret. Un posto a parte merita, nell'ambito di questa letteratura al femminile, l’autrice francese Michèle Causse, con Voyage de la Grande Naine en Adrossie (1976). La Causse, leader francese del lesbismo radicale, era anche traduttrice, fra le altre opere di autori di diverse lingue, ha tradotto in francese testi di autori italiani come I. Silone, C. Pavese, D.
Maraini. Gli anni Ottanta vedono la letteratura canadese di lingua francese assumere un orientamento più intimista. La lingua diventa più libera, il francese “québécois” si afferma come indipendente rispetto a quello della madre patria. Come abbiamo già detto, emblema di questa autonomia possono considerarsi innanzitutto Gaston Miron, poeta nazionale la cui opera principale, L’Homme rapailllé è una rivendicazione dell’autonomia della lingua francese del Canada rispetto a quella della Francia e rispetto a un paese
“anglicizzato”, e Michel Tremblay. Entrambi sono figure dominanti del panorama letterario franco‐canadese, il secondo è autore di un ciclo di opere teatrali, le Chroniques du Plateau MontRoyal. Tra le sue opere più recenti, Un ange cornu avec des ailes de tôle (1995), La nuit des princes charmants (1995) e Contes pour buveurs attardés (1996).
Tra i romanzi più importanti pubblicati negli ultimi anni, vanno citati
quelli di Louis Caron, giornalista, romanziere e sceneggiatore (Le
coup de poing, 1990; Les Hommes du Nord, 1992), di Anne Dandurand
(Un Coeur qui craque, 1990) e di Victor Lévy Beaulieu (L’héritage, 1991) fondatore della casa editrice VLB che pubblica, tra gli altri, i già citati Yves Thériault, Marie‐Claire Blais, Paul Chamberland, Pierre Vaillères, Anne Dandurand, Madeleine Gagnon. Altri nomi della letteratura contemporanea sono quelli di Gilles Archambault, Yves Beauchemin, Jacques Gauthier con le sue Chroniques d’Arcadie (4 tomi pubblicati dal 1992 al 1996) e Antonine Maillet. Per quanto riguarda gli ultimi anni del Novecento si possono ricordare Gilles Vigneault, poeta, narratore e cantautore molto celebre, che si ispira ai grandi del passato come Ronsard, Hugo, Nelligan, Rimbauld, Baudelaire e Verlaine e che descrive la gente e il paese di Natashquan, suo paese natio e, prima ancora, paese degli Innu. Un altro nome è quello di François Barcelo, romanziere, autore di libri per bambini e del romanzo nero Cadavres (1998, tradotto in Italia con il titolo Cadaveri) e di Moi les parapluies… (1999, tradotto in Italia con il titolo Il mistero degli ombrelli assassini). Da segnalare anche Claude Jasmin, edito anche lui da VLB, i cui temi ricorrenti sono la fuga e il cercare di evitare la realtà, narrati con uno stile rapido, frequente ricorso al monologo e utilizzo di gergo. Dominique Demers, Arlette Cousture autrice de Les Filles de Caleb (3 vol., 1985–
2003) da cui è stata tratta anche una serie televisiva, Pauline Vincent, Pierre Turgeon e Maria José Thériault artista poliedrica, figlia del più famoso Yves, sono alcuni nomi del panorama odierno.
Molto successo hanno anche in questo periodo, come in tutta la letteratura contemporanea, gli scrittori di origini straniere, le cui opere trattano spesso il tema dell'immigrazione e delle difficoltà a essa legate. Tra questi ricordiamo l’italo‐canadese Marco Micone che nella sua opera riflette sull’intolleranza etnica e linguistica e sul dialogo interculturale. C’è la cinese Ying Chen, nata a Shanghai nel 1961, i cui romanzi vertono sul ricordo della Cina, sullo sradicamento, sulla memoria e sul tempo, un po’ come la recherche di Marcel Proust.
1.2.1. Letteratura anglofona
Chiaramente la letteratura anglocanadese ha inizio con scritti di viaggio. Tra i primi si annoverano quelli di due esploratori britannici e precisamente A Journey from Prince of Wales’ Fort in Hudson’s Bay, to the Northern Ocean del 1795 di Samuel Hearne un esploratore, autore e naturalista inglese che il primo europeo ad attraversare il Canada settentrionale via terra e con Voyages from Montreal through the Continent of North America in 1789 and 1793 in due volumi di sir Alexander Mackenzie, esploratore scozzese. Altri scritti di viaggio sono dovuti all’artista George Heriot (più significativo come artista che come autore) che scrisse The History of Canada from its first discovery (1804), and Travels through the Canadas (1807), quest’ultimo da lui stesso illustrato, entrambi pubblicati a Londra, ad Alexander Henry the younger, nipote di Alexander Henry the elder, un commerciante di pellicce, che scrisse The Journal of Alexander Henry The Younger 17991814 e ad Anna Brownell Jameson che scrisse Winter studies and summer rambles in Canada pubblicato a Londra nel 1838.
Queste opere sono essenzialmente di carattere storico e autobiografico con riferimenti alla geografia e all'ambiente naturale.
Per quanto riguarda la poesia uno dei maggiori poeti è sicuramente
Archibald Lampman considerato uno degli esponenti più
rappresentativi della poesia canadese del XIX secolo. Un altro nome è
quello di William Henry Drummond (irlandese di nascita) il cui
primo libro The Habitant ebbe grandissimo successo e fece di lui uno
dei più popolari autori di lingua inglese. Il nome di Charles
Heavysege è da ricordare per quanto riguarda il teatro; il suo Saul
del 1857, poema drammatico, è la sua opera più famosa e all’epoca
venne accolto come il miglior dramma in versi dai tempi di
Shakespeare. Tra i romanzieri, John Richardson fu il primo che ebbe
riconoscimento internazionale con Wacousta (1832) che è ritenuto
essere il primo romanzo canadese. Durante tutto il XIX secolo
prevalgono comunque descrizioni romantiche di paesi e foreste. Gli
inizi del XX secolo invece vedono una fioritura di narrativa e poesia a
carattere popolare.
Dopo la prima guerra mondiale, nel gruppo che ruotava attorno agli espatriati a Parigi come Ernest Hemingway, Ezra Pound, Gertrude Stein, F. Scott Fitzgerald e James Joyce, troviamo Morley Callagham (1903‐1990), autore di racconti, romanzi e successivamente personaggio radio‐televisivo. Un posto a sé merita per efficacia narrativa e dignità artistica l’autrice Mazo de la Roche (1885‐1961) che scrisse la sua prima short story all’età di nove anni.
I suoi libri divennero best sellers tra le due guerre ed era apprezzata anche fuori dei confini nazionali; divenne famosa grazie alla cosiddetta Jalna series (una serie di 16 romanzi) che racconta la storia di una famiglia, la famiglia Whiteoak, durante il corso di un intero secolo, dal 1854 al 1954.
Nel secondo dopoguerra il Canada vede la nascita di voci di notevole rilievo. Come Saul Bellow, autore canadese naturalizzato statunitense di origini russe ed ebraiche, che ricevette nel 1976 il premio Nobel per la letteratura, uno dei maggiori scrittori contemporanei, o come il critico e teorico letterario Northrop Frye (1912‐1991), uno tra i più significativi del XX secolo, il cui lavoro più importante conosciuto è Anatomy of Criticism o ancora lo studioso di massmedia e sociologo Marshall McLuhan. Avvicinandoci alla contemporaneità non si possono non citare i nomi di Leonard Cohen, poeta, cantante folk e romanziere, di Margaret Atwood, famosa anche in Italia per The Edible Woman (1969; La donna da mangiare), analisi risentita eppure ironica della condizione femminile, e vincitrice del Booker Prize nel 2000 con l’Assassino cieco, di Mordecai Richler (1931‐2001), sceneggiatore e autore di romanzi satirici e umoristici in cui affronta i problemi dell'ebreo canadese contemporaneo (era infatti di famiglie ebrea) la cui opera più famosa è Barney’s Version, 1997, (La versione di Barney); Robertson Davies (1913‐1995) romanziere ma soprattutto autore di teatro (The Cunning Man, 1996); e ancora Robert Kroetsch che fu molto influente per quel che riguarda l’introduzione di idee legate al postmodernismo in Canada.
Altri nomi poco conosciuti in Italia sono quelli di Jack Hodgins,
Timothy Findley (1930‐2002) scrittore e sceneggiatore e Matt Cohen (1942‐1999) autore anche di letteratura per bambini sotto lo pseudonimo di Teddy Jam.
Per quel che riguarda la poesia sono da citare i nomi delle poetesse Phyllis Webb, Jan Conn e Linda Rogers anche autrice per bambini, Stephen Scobie poeta e critico (Ghosts: a Glossary of the Intertext, 1990) e Al Purdy (1918‐2000), questi ultimi due misuratisi anche con la prosa. Per quanto riguarda il thriller umoristico abbiamo autori come George Bowering, per quanto riguarda la saga si può citare il nome di Hugh Hood (1928‐2000), per il genere del giallo storico abbiamo Margaret Doody mentre per il ritratto socio‐
psicologico, in particolare nella forma del racconto breve, abbiamo Alice Munro, vincitrice per tre volte del Governor General’s Award, il più importante premio letterario canadese e del Nobel per la letteratura nel 2013.
Dalla fine degli anni Novanta si assiste a un’innovazione
contenutistica: la natura e la terra, da sempre muse ispiratrici,
lasciano spazio alle nuove problematiche di una società ormai
cosmopolita, urbanizzata e post‐industriale, dove il rapporto con
l'altro e l'ambiente esterno sono un divenire mutevole di spazio e
tempo. Lo scrittore Douglas Coupland, ad esempio, nato nel 1961,
sperimenta nei suoi libri come Generation X, 1991; Polaroid from the
Dead, 1996; Girlfriend in Coma, 1998; Lara’s Book, 1999, ritratti e
schizzi della società nordamericana degli anni ‘80‐‘90. Nel 2006 ha
pubblicato JPOD, un’ironica critica del consumismo del terzo
millennio, in cui la tecnologia è tutto e la mente umana perde la sua
capacità “multitasking”. Molti di questi temi vengono affrontati anche
dai poeti postmodernisti, come James Deahl (originario degli U.S.A. e
naturalizzato canadese) fondatore insieme a Shaunt Basmajian
(nativo di Beirut ma di origini armene trasferitosi in Canada all’età di
sette anni) Wayne Ray (nato in Alabama e divenuto cittadino
canadese nel 1978), la scrittrice ed editrice Beverley Daurio, Chris
Faiers e Ted Plantos, della Canadian Poetry Association, o da George
Bowering, poeta, romanziere, storico e biografo, Robert Kroetsch o
ancora Robert Bringhurst. Nella contemporaneità si situano anche altri autori di liriche, le cui tematiche spaziano dallo sperimentalismo linguistico alla condizione femminile, dalla rievocazione storica alla ridefinizione della propria identità etnica:
tra le voci più significative degli ultimi anni abbiamo Karen Solie (Short Haul Engine, 2001; Modern and Normal, 2005) Don McKay (Field Marks, 2006), Sharon Thesen (A Pair of Scissors, 2001), Erin Mouré poetessa e traduttrice di origini ucraine (Little Theatres; or, Aturuxos Calados, 2005), Barbara Gowdy, Gail Anderson‐Dargatz, e Isabel Huggan il cui terzo libro Belonging: Home Away From Home (un misto tra autobiografia e finzione) tratta delle difficoltà di inserirsi in un nuovo paese, apprenderne la lingua e la cultura mantenendo al contempo la propria identità d’origine. Infine non si può non menzionare la giornalista e attivista di origini ebraiche Naomi Klein, autrice del famoso saggio sul potere economico delle multinazionali e sulle ricadute in termini di disuguaglianze a livello mondiale, No Logo, considerato il manifesto del movimento no global che ha riscosso un successo internazionale, venendo tradotto in 28 lingue.
1.2.2. Autori di origini straniere
Vincitore del Booker Prize è Michael Ondaatje autore de Il paziente inglese da cui è stato tratto anche l’omonimo film vincitore di nove premi Oscar. Nato a Colombo, Sri Lanka nel 1943 da una famiglia di origini olandesi, si trasferisce in Inghilterra nel 1954 e in Canada nel 1962 dove ottiene la cittadinanza nel 1965. Per gli autori canadesi il legame con la terra è sempre determinante, ma sono importanti anche i valori etici, gli unici capaci di trascendere i confini geografici e rendere la letteratura comprensibile a tutti. Questi concetti si ritrovano nelle sue opere insieme al multiculturalismo e alla memoria per il proprio passato e le proprie radici.
Come dice Joseph Pivato nel suo articolo La famiglia smembrata nella letteratura e nella filmografia italocanadese
Nel campo degli studi etnici la ricerca nella letteratura delle minoranze etniche, come quella italo‐canadese, può trovare giustificazione sulla base di varie considerazioni: 1) il valore intrinseco della scrittura stessa come letteratura, 2) la prospettiva letteraria dell'esperienza immigrata, 3) l'autoriflessione dello scrittore della minoranza etnica, 4) la rappresentazione della comunità etnica da parte di uno dei suoi membri, 5) la ricostruzione della passata storia dell'immigrazione, 6) l'immigrato che parla come soggetto, 7) la libertà dalla mediazione accademica, 8) l'immigrato che usa la lingua del paese di adozione per esprimere la cultura del paese d'origine, 9) il dialogo della diaspora con le altre comunità immigrate del mondo, 10) il raffronto con gli altri media quali il cinema e il teatro.4
Le tematiche legate alle radici, al passato e al ricordo di questi elementi che segnano l’intimità di autori e personaggi, ma anche il conflitto generazionale tra genitori e figli o il ritorno al paese d’origine che non riconosce e non viene riconosciuto come proprio, sono quindi centrali nelle opere di quasi tutti gli immigrati, come gli afrocanadesi (alla letteratura afrocanadese dedicherò un paragrafo a parte), gli scrittori di origine caraibica come il barbadiano Austin Clarke che esordisce nel 1964 con The Survivors of the Crossing o André Alexis, originario di Trinidad e Tobago, che ha la particolarità di trattare nelle sue opere, la propria origine caraibica come un semplice dato di fatto e non come una fonte di ansia o conflitto con il paese d’adozione come invece succede nelle opere della maggior parte degli afro‐canadesi o degli afroamericani. Per quanto riguarda la poesia invece abbiamo Dionne Brand, poetessa originaria di Trinidad ed emigrata in Canada all’età di 17 anni, impegnata su tematiche razziali e femministe, la sua opera è quasi interamente ispirata alla condizione delle donne di colore, ed è un’attivista in favore delle comunità emarginate e delle minoranze sessuali.
Abbiamo poi Lilian Allen musicista e dub poet (la cosiddetta “dub
4 Joseph Pivato, La famiglia smembrata nella letteratura e nella filmografia italocanadese, in Altreitalie n 14, gennaio‐dicembre 1996.
poetry” è un sottogenere del reggae caratterizzato dalla lettura di un brano poetico registrato su una base musicale dub o reggae), Claire Harris e Marlene Norubese Philips che nella sua opera esplora temi quali razza, genere, colonialismo e, sopra a tutti, il linguaggio. Infatti la tensione fra la lingua paterna e quella materna è sempre presente come nella bellissima poesia Discourse on the Logic of Language, che recita:
English is my mother tongue A mother tongue is not a foreign
lang lang lang language languish anguish a foreign anguish English is my father tongue a father tongue is a foreign language therefore English is a foreign language5.
Tutte queste poetesse sono di origini caraibiche.
Ci sono poi gli scozzesi, come, ad esempio, Alistair MacLeod le cui storie evocano la bellezza di Cape Breton Island, terra che accoglie i discendenti di immigranti scozzesi che sono prede di memorie ancestrali e tentano di riconciliare presente e passato, o gli irlandesi, come Jane Urquhart autrice di The Underpainter, romanzo che le fa vincere il Governor General’s Literary Awards nel 1997. O ancora l'italo‐canadesi, come Nino Ricci, nato nel 1959 da una famiglia del Molise, autore di una trilogia, in parte di ispirazione autobiografica, chiamata in italiano Terra del ritorno. La trilogia, composta dai romanzi Vite dei Santi, Nella casa di vetro e Il fratello italiano (Fazi Editore), è la saga di una famiglia che da un paese del Molise, Valle del Sole, emigra in Canada: una vita divisa tra due patrie, piena di contrasti, rimpianti e contraddizioni. Realismo e
5
Marlene NorubeSe Philips, Discourse on the Logic of Language in She Tries Her Tongue Her Silence Softly Breaks Charlottetown, Ragweed Press, 1989.
(L’autrice legge la poesia
http://www.youtube.com/watch?v=424yF9eqBsE 13‐11‐14)
alienazione sono le dimensioni e i temi fondamentali. In particolare negli ultimi due romanzi della trilogia il tema principale è quello dell'alienazione: il nuovo mondo dell'America, distrugge il vecchio mondo, quello delle origini e l'emigrante non riesce più a vivere né nel nuovo né nel vecchio. Uno sceneggiato televisivo con Sophia Loren e Sabrina Ferilli, diretto dal regista italo‐canadese Jerry Ciccoritti, è stato tratto dalla trilogia nel 2004. Nelle opere degli autori indiani nativi come Basil Johnston, appartenente alla tribù di nativi americani Ojibway, (sottogruppo degli Algonchini di cui fanno parte anche i più conosciuti Cheyenne e Mohicani) la tematica portante è la conservazione della cultura nativa. L’indiano Rohinton Mistry, nato a Mumbai nel 1952 e trasferitosi in Canada nel 1975, autore di Such a Long Journey (finalista al Booker Prize nel 1991), A Fine Balance (finalista al Booker Prize nel 1995) e Family Matters (finalista nel 2002) (Un lungo viaggio, Fazi editore, Un perfetto equilibrio, Mondadori e Questioni di famiglia, Mondadori) affronta tematiche come le diverse facce della vita socioeconomica indiana, con un sguardo nostalgico all’India e alle sue tradizioni in particolare quella Parsi, una delle due culture zoroastriane. Un altro indiano di Mumbay è Anosh Irani, fa parte della seconda cultura zoroastriana, quella Irani. Autore anche di opere teatrali come Bombay Black, ha pubblicato il suo primo romanzo The Cripple and His Talismans, nel 2004 e il secondo The Song of Kahunsha nel 2006. Il secondo è stato tradotto in Italia con il titolo Il bambino con i petali in tasca e un altro suo romanzo, Dahanu Road è stato tradotto Destini di vetro. Entrambi trattano delle difficili vite di bambini indiani.
Leilah Nadir, invece, è una scrittrice di origini irachene. Nata e cresciuta tra l’Inghilterra e il Canada da padre assiro‐iracheno cristiano e madre inglese, non è mai stata in Iraq. Nel 2007 pubblica The Orange Trees of Baghdad: In Search of My Lost Family tradotto in Italia con il titolo I giardini di Baghdad. Storia della mia famiglia perduta (Cairo Publishing) nel quale narra la storia della famiglia del padre fino all’invasione dell’Iraq nel 2003.
Infine è da citare il particolare caso del vincitore del Booker
Prize del 2002, Yann Martel. Con il romanzo Vita di Pi, divenuto famoso anche grazie alla trasposizione cinematografica, figlio di genitori fanco‐canadesi, ha viaggiato in tutto il mondo. Questa componente multiculturale rende particolari le sue opere. Anche se la sua lingua materna è il francese, scrive in inglese perché, a suo dire, questa lingua gli dà una distanza dal mondo sufficiente per descriverlo.
1.3.1. George Elliott Clarke e l’Africadia
Il panorama della letteratura canadese di lingua inglese è, come abbiamo potuto osservare dalla beve panoramica precedente, molto vasto. Ma per scendere più nello specifico e avvicinarci così a Lawrence Hill, bisogna parlare di letteratura afro‐canadese. Si potrebbero citare mille autori ma nella lista dei più importanti e influenti, sicuramente al primo posto troviamo George Elliott Clarke.
Professore di inglese alla University of Toronto, ha scritto poesia, romanzi, pièces teatrali, saggi critici e antologie. È uno dei maggiori studiosi di letteratura afro canadese e sono sue due delle più importanti antologie di questo filone che raccolgono autobiografie, sermoni, petizioni, contratti, scritti storici, canzoni, orazioni, saggi, poesie testi teatrali e racconti (Fire on the Water: An Anthology of Black Nova Scotian Writing in due volumi e Eyeing the North Star:
Directions in AfricanCanadian Literature).
Nato nel 1960 in Nuova Scozia, ha conseguito un B.A. alla University of Waterloo, un M.A. a Dalhousie e un Ph.D alla Queen’s University. I suoi lavori documentano la storia e la cultura dei neri in Canada, in particolare in Nuova Scozia.
Indissolubilmente legato a quest’autore è il concetto di Africadia. Quando uscì il primo volume di Fire on the Water: An Anthology of Black Nova Scotian Writing nel 1991, Clarke propose al pubblico l’idea dell’esistenza di un’unica ed eterogenea cultura relativa ai discendenti della diaspora africana che chiamò appunto
“Africadian culture” (cultura africadiana). L’antologia, che traccia un
profilo di questa cultura dal 1785, rivendica la continuità fra i testi dell’epoca e quelli odierni.
Il neologismo nato dalla crasi tra le parole Africa e Acadia (la regione che comprende le tre provincie marittime del Canada quali Nuova Scozia, Nuovo Brunswick, l’Isola del Principe Edoardo e parte del Québec), è un termine che veicola “the historical hybridity of the post colonial world”
6e denota innanzitutto la doppia e distinta base geografica che sta alle spalle della cultura afro‐canadese caratterizzata dalla fusione e allo stesso tempo dalla dualità e dall’ambiguità.
Purtroppo i testi precedenti al 1900 non sono moltissimi e si tratta per lo più di schizzi autobiografici, sermoni e appunti di incontri della Chiesa Battista o di testi tratti dalla tradizione orale. In ogni caso questi, secondo l’autore, sono le fondamenta della cultura africadiana, se mi si concede la traduzione, e in seguito della letteratura africadiana, che nasce come fenomeno predominante in particolare dopo la seconda guerra mondiale. Fin dalla pubblicazione del primo volume di Fire on the Water, Clarke sostiene l’unicità di qualsiasi tipo di produzione artistica che graviti attorno al concetto di Africadia.
Infatti, anche se la cultura afro‐canadese ha diversi aspetti in comune con quella afroamericana (lo stesso Clarke, in un’intervista rilasciata a Maureen Moynagh nel novembre del 1995 a Halifax dice:
And then there is the United States, particularly African Americans, who many of us are descended from and who represent our major
«ethnic connection,» and so I feel that we have a bond, or a potential bond with them that ought to be further developed.7
),
6 Daniel Samson, George Elliott Clarke’s Songs of Love and Pain from Africadia. An Introduction to “The Apochrypha of Whylah Falls” in Left History An Interdisciplinary Journal of Historical Inquiry and Debate Vol 2, No 1, 1994.
7 Maureen Moynagh, Mapping Africadia’s Imaginary Geography: An Interview with George Elliott Clarke Ariel: A Review of International English Literature. 27.4, Ott. 1996, pp. 71‐94.
È necessario sottolineare che l’abolizione dalla schiavitù nel Nord America è avvenuta prima che negli Stati Uniti, e questo ha apportato delle differenze culturali notevoli. Inoltre, l’aderenza al credo Battista unita alla mescolanza fra le culture africana in primis, britannica, tedesca, acadiana, francese e Mi’kmaq
8, ha dato come risultato una cultura unica ed eterogenea (non a caso il Canada ha elaborato una politica che inserisce tra i principi basilari della nazione il rispetto per la diversità culturale implementando, nel 1988, il Canadian Multiculturalism Act
9che afferma il multiculturalismo come sistema sociale e normativo).
L’evento che diede il via alla costruzione di quest’identità fu, negli anni sessanta del novecento, la distruzione di Africville, una piccola comunità a sud di Halifax, Nuova Scozia, abitata soltanto da neri di diverse origini. Gli abitanti furono obbligati a trasferirsi e le abitazioni e la chiesa distrutte
10.
Questo portò a un’ondata di sentimento di coesione retroattivo che vide nella comunità di Africville il fulcro dell’immaginario culturale e spirituale dei suoi ex‐abitanti e diede il via a una serie di creazioni artistiche di diverso genere.
I giovani che erano bambini al tempo della distruzione di Africville o quelli, come lo stesso Clarke che non ne ebbero esperienza diretta, furono i primi a ricevere un’educazione che dava loro la possibilità di esprimere attraverso qualsiasi forma d’arte, la voce della loro identità culturale. E quella voce cominciò a essere udita, non solo all’interno della stessa comunità nera, ma anche al di fuori di essa. Il fatto stesso di essere una comunità emarginata aumentò, negli anni ottanta del novecento, il panorama dei critici e del pubblico di tutta la letteratura canadese in genere.
8 Popolazione indigena dell’area acadiana.
9 Il testo del Canadian Multiculturalism Act si trova sul sito http://laws‐
lois.justice.gc.ca/eng/acts/C‐18.7/page‐1.html (21‐09‐14).
10 Nel 2010 la Canadian Broadcasting Corporation ha riportato che l’Halifax Council ha ratificato la cosiddetta “apologia di Africville” e che il Governo canadese avrebbe stanziato una somma di 250.000 dollari per l’NPO Africville Heritage Trust per la costruzione di un museo e la ricostruzione della chiesa di Africville. Per maggiori informazioni http://africvillemuseum.org/ (21‐09‐14).
Molti artisti dell’inizio del ventesimo secolo come cantanti (il contralto Portia White
11è un perfetto esempio di “donna simbolo dell’Africadia”. Nata dalla Black Loyalist Izie Dora e dal reverendo William Andrew White, figlio di un ex‐schiavo della Virginia e primo laureato nero all’Acadia University della Nuova Scozia nel 1903, e stata dichiarata una persona di importanza storica dal governo canadese.) drammaturghi e scrittori in genere sono diventati delle icone per la comunità.
Con il passare del tempo gli artisti della cultura africadiana hanno adottato una visione più globale e messo un po’ da parte il tema, comunque sempre centrale dal punto di vista dell’integrazione socioculturale, di Africville che è stato superato da una visione più globale che ha portato, a vent’anni dall’invenzione del termine
“africadiano”, a una consapevolezza di un comune denominatore fra tutti gli scrittori e artisti.
1.3.2. Lawrence Hill
Fra gli scrittori di origine africana abbiamo Lawrence Hill, autore del romanzo preso in analisi. Nasce nel 1957 da immigrati americani. Il padre, Daniel Grafton Hill III, era un sociologo afroamericano studioso della storia dei neri canadesi che si trasferì in Canada e la madre, Donna Bender, un’attivista bianca. È fratello minore del cantante Dan Hill.
Cresciuto nel quartiere Don Mills di Toronto negli anni sessanta, è stato molto influenzato dal lavoro dei suoi genitori nel movimento per i diritti umani.
Ha conseguito un B.A. in economia alla Laval University di Quebec City e un M.A. in scrittura alla Johns Hopkins University di Baltimora. Molti dei suoi scritti hanno come temi l’identità e l’appartenenza.
In un’intervista rilasciata a Winfried Siemerling nell’inverno
11 http://www.thecanadianencyclopedia.ca/en/article/portia‐white‐emc/
(21‐09‐14).
del 2013 per la rivista Callaloo, parla della sua doppia natura di Canadese e Americano e di nero e bianco. Dice:
We were somewhat Americans, because of our family’s origins, but we were also officially Canadians. We were black, but we were also white. We could never be entirely comfortable with either appellation in those early years in Don Mills. For the most part nobody really paid any attention at all, but once every ten days or so something would come zinging along to remind us that we did not really fit in as whites. But that did not necessarily mean that we were black either. Although our parents spoke to us a great deal about black history, about injustice and human rights, the one topic that they deliberately left aside was that of our own racial identity.
The most that would happen was that occasionally, for fun and in a playful way, not meaning to be demeaning, my father would refer to us as zebras. He did not do it to poke fun at us, or to make us feel bad. It was an affectionate verbal play, and it has to be understood that way, suggesting that we were both black and white, but that was it. In all our discussions about black history, injustice and human rights, there were no real discussions, from my parents, about who we were, and that is because my father and my mother wanted it to emerge naturally and let us figure it out.12
Nel 1992 esordisce con il suo primo romanzo Some Great Things, che però non ottiene un grande successo. Nel 1993 e nel 1996, grazie agli studi del padre sull’argomento e alle attività della madre, pubblica Trials and Triumphs: The Story of AfricanCanadians e Women of Vision: The Story of the Canadian Negro Women's Association, due opere sulla storia dei neri canadesi. Nel 1997 scrive un secondo romanzo, intitolato Any Known Blood. Conosce il successo solo nel 2001, quando esordisce come diarista con Black Berry, Sweet Juice: On Being Black and White in Canada, senza ottenere premi o riconoscimenti importanti. In quest’opera tratta
12 Winfried Siemerling., An Interview with Lawrence Hill, Callaloo, Volume 36, N. 1, John Hopkins University Press, inverno 2013, pp. 5‐26.
dell’identità bianco‐nera in Canada; egli stesso ne parla così, sempre nell’intervista rilasciata a Siemerling:
It is a hybrid book: a bit of memoir with essays, interviews, and a meditation on mixed‐race identity along the black‐white axis in Canada. When I wrote it there was no single‐authored book examining black‐white identity in Canada. There are numerous works in the United States, but nothing in Canada. I felt there was a huge hole and wanted to fill it. It was an uncomfortable book to write. I feel much safer, more comfortable, more secure writing fiction and imaginary stories. There is at least formally a distance, a recognizable gap between an author’s own personal experiences and the works that he writes. There is a certain safety there. By contrast, when you are writing a memoir you are exposing yourself to the reader. This is largely an autobiographical book. I say largely because there are also elements that are more journalistic and I talk about other people. It is a more uncomfortable book to write because I am closer to the material. I think the hardest thing was not to write it, but to talk about it afterwards. Every time I spoke, it was about my intimate family matters. 13
Nel 2005 ottiene finalmente il suo primo riconoscimento come saggista, un National Magazine Award, per il suo articolo Is Africa’s Pain Black America’s Burden? pubblicato in The Walrus. Ma è proprio con il suo terzo romanzo, The Book of Negroes, che viene scoperto dal grande pubblico nel 2007 e vince il Commonwealth Writers’ Prize nel 2008. Sempre nel 2007 pubblica, insieme al soldato statunitense Josh Key, disertore in Iraq, un libro di memorie dal titolo The Deserter's Tale, the story of an ordinary soldier who walked away from the war in Iraq, edito in Italia da Neri Pozza con il titolo Il racconto del disertore.
Inizialmente reporter per The Globe and Mail, un quotidiano
13 Winfried Siemerling, An Interview with Lawrence Hill, Callaloo, Volume 36, N. 1, John Hopkins University Press, inverno 2013, pp. 5‐26.