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11 LL’’iinnqquuiinnaammeennttoo ee llaa mmooddeelllliissttiiccaa aattmmoossffeerriiccaa

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

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L’inquinamento atmosferico, secondo il D.Lgs n°152/2006, può essere definito come:

…omissis… “ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta all’introduzione nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente” …omissis….

La possibilità che gli inquinanti possano formarsi e trasformarsi, porta a distinguere tra inquinanti primari, emessi direttamente in atmosfera, ed inquinanti secondari che si originano nell’aria per trasformazione chimica o fisica

I principali inquinanti primari sono quelli emessi dai processi di combustione di qualunque natura (idrocarburi incombusti), il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto (principalmente sotto forma di monossido) ed il particolato.

Il particolato che sarà esaminato in seguito, si classifica in ragione del diametro delle particelle: si considerano grossolane quelle con diametro maggiore di 2.5 µm e fini quelle con diametro minore 2.5 µm. Si distinguono, inoltre come inalabili le particelle con diametro minore di 10 µm (PM10).

Nel caso in cui i combustibili contengono zolfo, si ha anche rilevante emissione di anidride solforosa. Inoltre sono compresi in questa classe anche i composti alogenati come HCl, HF, HBr, CFC.

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

L’ aria è una miscela eterogenea formata da gas e aerosol di varia natura e dimensioni. La sua composizione si modifica nello spazio e nel tempo a causa di numerose reazioni chimiche e trasformazioni fisiche. Molte delle reazioni in atmosfera avvengono a temperatura ambiente oppure sono iniziate fotochimicamente, se hanno bisogno di un’elevata energia di attivazione. Le principali reazioni sono rappresentate dall’ossidazione dei gas, a causa della natura fortemente ossidante dell’atmosfera.

La definizione di inquinamento è inevitabilmente basata sugli effetti che la concentrazione delle varie sostanze chimiche ha nei confronti della salute, delle attività umane, della vita degli altri esseri viventi e sull’ecosistema in generale.

L’atmosfera non è quindi in equilibrio termodinamico, poiché sono costantemente attivi molti processi che influenzano le concentrazioni dei componenti principali. A seguito dell’emissione in atmosfera, gli inquinanti primari sono soggetti a processi di diffusione, di trasporto e deposizione, e a processi di trasformazione chimico-fisica che possono portare alla formazione di nuove specie inquinanti. La dispersione degli inquinanti in atmosfera, determinata dai fenomeni di diffusione turbolenta e di trasporto delle masse d’aria, come pure la loro rimozione, determinata dai processi di deposizione, sono strettamente dipendenti dal comportamento dinamico dei bassi strati dell’atmosfera. Ne consegue che per lo studio del comportamento degli inquinanti primari è necessario sia conoscere il profilo qualitativo, quantitativo e temporale delle emissioni, che avere informazioni sui processi meteorologici che regolano il comportamento dinamico della bassa troposfera (classi di stabilità, direzione ed intensità del vento etc.). Fra i processi di formazione di inquinanti secondari, particolare importanza è assunta dalla serie di reazioni che avvengono fra gli ossidi di azoto e gli idrocarburi in presenza di luce solare. Questa catena di reazioni porta all’ossidazione del monossido di azoto (NO) a biossido di azoto (NO2), alla produzione di ozono (O3) ed all’ossidazione degli idrocarburi, con formazione di

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

particellare e alla trasformazione di composti organici in particelle organiche (SOA).

Naturalmente gli inquinanti atmosferici, sia primari sia secondari, si caratterizzano per la loro grande mobilità indotta dal trasporto convettivo e dispersivo. A tale riguardo il particolato inalabile si comporta come un gas, mentre quello di diametro superiore segue traiettorie balistiche dominate dalla forza di gravità.

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Il monossido di carbonio è un componente inodore, incolore, insapore, gassoso a temperature superiori a -192 C°, non apprezzabilmente solubile in acqua e con peso pari al 96.5% del peso dell’aria. La formazione di ossidi di carbonio può avvenire secondo tre processi [Finzi, 2001] :

o combustione incompleta di carbonio o di composti contenenti carbonio. Le reazioni coinvolte sono essenzialmente le seguenti:

o reazione ad elevata temperatura tra CO2 e composti contenenti Carbonio:

o dissociazione ad elevate temperature di CO2 in CO e O (nelle combustioni ad alte temperature):

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Le emissioni industriali di CO sono dovute essenzialmente alla combustione in impianti fissi con l’impiego di carbone, olio combustibile, legno. Si hanno poi le emissioni di CO dovute ai processi siderurgici che consistono nell’arricchimento dei minerali in impianti di sinterizzazione, nella produzione della ghisa in altoforno e nell’attività di fonderia. Esistono anche le emissioni dovute a processi geofisici e biologici come le attività vulcaniche, le emissioni naturali di gas, le scariche elettriche nel corso di temporali ecc.

Le emissioni complessive di CO ed il lungo tempo di persistenza nell’aria, sarebbero sufficienti a raddoppiare ogni 4-5 anni la concentrazione atmosferica mondiale, ma dato che ciò non si verifica, si è ipotizzata la capacità di alcuni microrganismi, comunemente presenti nel suolo di rimuovere molto rapidamente l’ossido di carbonio presente nell’atmosfera; sembra che tale tipo di rimozione sia preponderante rispetto all’adsorbimento da parte delle piante e all’ossidazione del CO in atmosfera in presenza di ossigeno. Purtroppo il CO è soprattutto prodotto dai motori delle autovetture in zone urbane, dove il terreno è asfaltato e quindi inadatto all’adsorbimento. Affinché il CO possa danneggiare le piante deve raggiungere concentrazioni superiori ai 100 ppm per lunghi periodi, ma le condizioni attuali di concentrazione sono ben lontane da questi livelli.

Per quanto riguarda, invece, l’effetto sugli uomini, è noto che inalazioni d’aria ad alta concentrazione (superiori a 100 ppm) possono portare alla morte, ma l’inquinamento non giunge a concentrazioni così elevate, le concentrazioni massime riscontrate in ambiente urbano sono intorno ai 3-4 mg/m^3.

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Dalla combustione di ogni materiale contenente zolfo si producono particolari tipi di ossidi di questo elemento: l’anidride solforosa (SO2) e l’anidride solforica (SO3).

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Le caratteristiche principali di questi due composti SO2 e SO3 (indicati con il

termine generale di SOx) sono l’assenza di colore, l’odore pungente e l’elevata

reattività dell’SO3. Il meccanismo semplificato della formazione degli SOx è

rappresentato da due equilibri:

La reazione di equilibrio è lenta e quindi le condizioni di equilibrio non sono mai raggiunte perciò la concentrazione di SO3 tende a rimanere bassa. Inoltre SO3 gassosa può essere presente nell’aria solo se la concentrazione di vapore è bassa. In caso contrario l’SO3 tende a combinarsi con il vapore dell’acqua e questo porta alla formazione di goccioline di acido solforico, secondo la seguente reazione:

Questa conversione è influenzata da numerosi fattori tra cui l’umidità dell’aria, l’intensità, la durata e la distribuzione spettrale della luce solare, la presenza di maggiori o minori quantità di materie catalizzatrici, assorbenti e alcaline. E’ questo il motivo per cui la luce del giorno e la bassa umidità sono molto importanti sia per i fenomeni ossidativi che per le reazioni fotochimiche che coinvolgono SO2, NO2 e idrocarburi (dato l’effetto catalitico degli ossidi di azoto sull’ossidazione dell’SO2). Di notte invece, in condizioni di umidità, nebbia o pioggia, l’SO2 viene assorbito dalle gocce di acqua alcalina presenti in atmosfera e reagisce con essa con conseguente formazione, a velocità apprezzabili, di solfati come l’ammonio e il solfato di calcio. Lo zolfo presente nell’atmosfera proviene per circa due terzi da fonti naturali (tipicamente i vulcani) e per la restante parte dall’attività dell’uomo. Le maggiori fonti di inquinamento da SOx sono gli impianti di combustione fissi per la produzione di emergia: combustione del carbone e di oli combustibili; inoltre sono da considerare la combustione negli impianti industriali in genere, tra i quali le fonderie, le raffinerie di petrolio ecc.

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Per quanto riguarda gli effetti sulla salute si può dire che l’SO2 essendo molto solubile viene facilmente assorbito dalle mucose del naso e del tratto superiore dell’apparato respiratorio.

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In termini di inquinamento atmosferico gli ossidi di azoto che destano maggiore preoccupazione sono l’NO e l’NO2 provenienti dalla reazione tra N2 e O2 ad

elevate temperature (più di 1210 °C) formando monossido di azoto che, ossidandosi a sua volta, forma biossido di azoto secondo le seguenti reazioni:

La quantità di NO prodotta dipende dalla temperatura di combustione, dal tempo di permanenza a tale temperatura dei gas durante la combustione e dalla quantità di ossigeno libero contenuto nella fiamma. La produzione di NO2 invece,

aumentando col diminuire della temperatura, ha luogo durante il raffreddamento. Alti quantitativi di NO si convertono in NO2 una volta presenti in atmosfera, per il

verificarsi del ciclo fotolitico, conseguenza diretta della interazione tra la luce solare e l’NO2. Le fasi del ciclo sono:

o NO2 assorbe energia dal sole sotto forma di luce ultravioletta;

o l’energia assorbita scinde le molecole di NO2 in molecole di NO ed atomi di ossigeno O;

o gli atomi di ossigeno atomico reagiscono con l’ossigeno atmosferico (O2) per produrre ozono (O3), un inquinante secondario;

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Figura 1.1- Ciclo fotolitico degli ossidi di azoto [APAT, 2003]

Se il ciclo avvenisse effettivamente così, l’NO2 si convertirebbe in NO per poi

convertirsi nuovamente in NO2 senza modifiche nelle concentrazioni dei due

composti. Al contrario gli idrocarburi presenti nell’atmosfera interferiscono nel ciclo permettendo che l’NO si converta in NO2 più rapidamente di quanto l’NO2

venga dissociato in NO e O, con conseguente accumulo di NO2 e di ozono.

La maggiore fonte di inquinamento da NOx sono i trasporti, in particolare i motori diesel producono più ossidi di azoto dei motori a benzina, poiché utilizzano miscele molto povere in termini di rapporto aria-combustibile, i motori benzina però emettono più ossido di carbonio e idrocarburi. Molto elevata è anche l’emissione dovuta a combustione in impianti fissi, specialmente impianti termoelettrici. I processi industriali che prevedono emissioni relativamente piccole di NOx, non devono essere trascurati, in quanto influiscono anch’essi sull’ambiente in quanto sono molto concentrate e localizzate.

Il tempo medio di permanenza degli ossidi di azoto nell’atmosfera è di circa tre giorni per l’NO2, e di circa quattro per l’NO; questo dimostra la presenza di

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

meccanismi di rimozione naturali che eliminano gli ossidi di azoto dall’atmosfera trasformandoli in acido nitrico (HNO3), il quale precipita sottoforma di nitrati o con la pioggia.

L’NO2 risulta essere circa quattro volte più tossico dell’NO, ma entrambi

rappresentano potenziali pericoli per la salute umana.

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L’atmosfera può essere considerata,come già citato, un ambiente dinamico e ossidante, nel quale avvengono numerose reazioni per le quali svolgono un ruolo importante i seguenti composti:

o gli ossidi di azoto (NO e NO2) che si formano dalla reazione tra l’ossigeno e l’azoto presenti nell’aria a causa delle alte temperature che si raggiungano nei processi di combustione;

o gli ossidanti in particolare l’ozono, che può raggiungere livelli elevati di concentrazione, soprattutto di giorno, e le specie radicaliche, composti chimici molto reattivi, con almeno un elettrone spaiato;

o i composti organici volatili: alcani, alcheni, alchini, aromatici e i rispettivi derivati ossigenati. Il termine composti organici volatili (Volatile Organic Compounds, VOC) indica l’insieme degli organici atmosferici allo stato gassoso. La presenza di questi composti nell’aria è dovuta in parte a processi di origine naturale (processi biologici di decomposizione di materia organica sulla superficie terrestre, fotolisi delle piante ecc.), in parte agli scarichi dei mezzi di trasporto e in parte ai processi industriali nelle fasi

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

di produzione, lavorazione, immagazzinamento, trasporto e utilizzo di vernici e solventi.

Un ruolo fondamentale è svolto dalle reazioni fotochimiche, generalmente di fotodissociazione, sia nella chimica inorganica, che in quella organica. Nella stagione calda e soleggiata, con un evidente ciclo giornaliero caratterizzato da valori massimi attorno a mezzogiorno e prossimi allo zero durante la notte si possono produrre alte concentrazioni di inquinanti secondari e di ozono. Tale fenomeno prende il nome di inquinamento fotochimico, o smog fotochimico, e può essere definito come il complesso delle trasformazioni degli ossidi di azoto e dell’ozono, in presenza di composti organici in grado di modificare il naturale equilibrio tra O3 e NOx. I meccanismi delle reazioni coinvolte nel fenomeno dello

smog fotochimica sono molto complessi e risulta molto difficile individuare l’evoluzione delle numerose sostanze che entrano in gioco.

I fenomeni di maggior rilievo nel sistema sono la conversione di NO in NO2, la formazione di una varietà di composti contenenti azoto, come l’acido nitrico e i PAN (Perossi-Acetil-Nitrati), nocive alla salute dell’uomo e degli ecosistemi e l’accumulo di ozono. Il biossido di azoto rappresenta sia l’ iniziatore che il terminatore della catena di reazioni che porta alla conversione di NO in NO2 e alla sintesi di O3. La terminazione della catena produce acido nitrico e nitrati organici [Seinfeld,1986].

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Tabella 1.1- Un meccanismo di reazione per lo smog fotochimico [Seinfeld,1986]

Per metter in moto l’intera catena di reazioni riportata in tabella è però necessaria una sorgente iniziale di radicali liberi. Questa sorgente viene individuata da Seinfeld nella fotolisi dell’ozono:

Negli ultimi tempi un forte indicatore di smog fotochimico è proprio il PAN. La pericolosità ambientale del PAN è associata alla sua persistenza: esso tende ad accumularsi nelle zone più alte e fredde della troposfera da dove diffonde verso le zone sottostanti più calde, dissociandosi termicamente con produzione di radicali e NO2.

La reazione di dissociazione del PAN a riformare NO2 e radicale perossiacetile è fortemente dipendente dalla temperatura: ad esempio il suo tempo di vita medio che alla temperatura di 27 °C è di circa 30 min sale a circa tre giorni a 17 °C.

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Il PAN costituisce una riserva stabile negli strati più freddi della media e alta troposfera sia di NOx, sia di radicali iniziatori di reazioni secondarie.

A causa della sua via di formazione esclusivamente fotochimica è possibile osservare concentrazioni atmosferiche elevate di PAN se solo se sono attivi ed intensi in atmosfera i processi ossidativi. Per questa ragione il PAN viene considerato come efficace indicatore di attività fotochimica. Il suo ridotto tempo di vita medio lo rende inoltre un utile indicatore di fenomeni di trasporto a breve distanza.

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Con il termine particolato atmosferico (PM) si comprende genericamente un’ampia classe di sostanze con diverse proprietà chimiche e fisiche presenti in atmosfera sotto forma di particelle liquide (con esclusione dell’acqua pura) o solide. L’aerosol atmosferico è dunque sinonimo di eterogeneità chimica. Le sue emissioni possono essere naturali (suolo, mare, incendi, pollini, eruzioni vulcaniche) o provenire dalle attività dell’uomo, in particolare dai settori della combustione e dei trasporti su gomma; possono essere emesse direttamente dalla sorgente (PM primario) o formarsi in atmosfera per trasformazione di emissioni gassose di ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx) e Composti Organici Volatili

(COV) (PM secondario).

La quantità di polveri totale, senza discriminarne le dimensioni, viene denominata col termine Particolato Totale Sospeso (PTS) e in particolare con PM10 si indica la

massa con una frazione granulometrica con diametro inferiore a 10 µm, mentre con PM2.5 quella con diametro inferiore a 2.5 µm. In letteratura sono proposti diversi

valori per il rapporto PM10/PTS: quello su cui converge il maggior numero di

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

attesta a 0.7–0.8. In altre parole il 70-80% del particolato totale sospeso risulta avere diametro inferiore a 10 µm.

La dimensione è uno dei parametri più importanti per la definizione delle proprietà dell’aerosol ed influisce sui fenomeni di rimozione dall'atmosfera, sugli effetti sulla salute umana e sulla visibilità. L’ordine di grandezza delle dimensioni lineari del particolato misurate in atmosfera varia di un fattore 103, andando dai nm (10 -9m) ai µm (10-6m). Tale variazione si traduce in una differenza di un fattore 109 nel

volume delle particelle ai due estremi dello spettro. La dimensione del particolato viene in genere espressa attraverso il diametro aerodinamico equivalente [Seinfeld and Pandis, 1998], definito come il diametro che avrebbe una particella sferica con velocità di deposizione uguale e densità unitaria. Questa convenzione è necessaria vista la forma irregolare delle particelle solide. Una prima distinzione dell’aerosol atmosferico in funzione delle sue dimensioni è quella in fine mode (particelle “fini”) e coarse mode (particelle “grandi”). La soglia che separa i due tipi non è ben definita, ma è compresa tra 1 e 3 µm (in genere si considera fine mode la frazione PM2.5). Particelle di diverse dimensioni, oltre ad avere diversa composizione

chimica e comportamento fisico, sono caratterizzate da differenti sorgenti di origine o meccanismi di formazione come indicato in Tabella 1.1, ed hanno diversi effetti sulla salute umana.

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Le particelle fini sono composte essenzialmente da solfati, nitrati, acidi, carbonio elementare, carbonio organico e metalli. Quelle di dimensioni maggiori possono derivare da particolari attività industriali o da cave e cantieri (operazioni di demolizione e costruzione, lavori di estrazione, etc.), da processi di erosione della crosta terrestre o avere origini biogeniche, e presentano elementi caratteristici come silicio, alluminio ferro, magnesio e potassio. In ambiente urbano possono venire “risospesi” dal traffico autoveicolare dopo che sono state portate al suolo da processi di rimozione, quali la deposizione secca o umida.

La frazione carboniosa del particolato atmosferico può essere classificata in carbonio elementare (EC) e carbonio organico (OC). Il carbonio elementare è emesso direttamente in atmosfera, prevalentemente da processi di combustione, mentre il carbonio organico può avere sia origine primaria sia secondaria (condensazione di prodotti poco volatili del processo di fotossidazione degli idrocarburi).

La componente secondaria degli OC è una frazione notevole degli OC totali ed ha un peso almeno paragonabile alla componente primaria [Pandis et al., 1993]. Il particolato fine ha tempi medi di residenza in atmosfera dell’ordine di giorni o settimane ed è in grado di percorrere, trasportato dal vento, distanze dell’ordine delle centinaia di chilometri. Il particolato grezzo invece ha tempi medi dell’ordine di minuti o ore, e le distanze tipiche di percorrenza sono inferiori alla decina di chilometri.

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Il decreto DECRETO LEGISLATIVO n°351 del 4/8/99 ed il DECRETO MINISTERIALE n°60 del 2/4/2002, oltre definire gli standard di qualità dell’aria per la protezione della salute umana e degli ecosistemi, stabiliscono le modalità di misura e di valutazione dei vari inquinanti.

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Inoltre il DM n°60/02 e il DECRETO MINISTERIALE n°261 1/10/2002 includono l’utilizzo di modelli matematici per lo studio della dispersione di inquinanti in atmosfera, testualmente come riportato in normativa “…omissis…la misurazione può essere completata da tecniche modellistiche per fornire un adeguato livello di informazione sulla qualità dell'aria ambiente…omissis…” (art. DM 60/04/2002).

Le tecniche di modellistica ambientale quindi sono un importante strumento di aiuto per la valutazione della qualità dell’ aria e rappresentano uno strumento fondamentale per la realizzazione di piani e programmi di miglioramento e mantenimento dell’aria.

In generale un modello matematico è uno strumento matematico/informatico che cerca di ricostruire il più fedelmente possibile lo stato della concentrazione dei vari inquinanti in un dominio di calcolo spazio-temporale di interesse[APAT, RTI CTN_ACEXX/2003].

Secondo Seinfeld (1975) e Cirillo (1997) i modelli per la qualità dell’aria sono degli “strumenti matematici” che possono essere utilizzati per:

- stabilire quali sono le massime emissioni che garantiscono il rispetto dei parametri di qualità dell’aria;

- valutare eventuali tecniche e strategie per il controllo delle emissioni;

- individuare la locazione adatta all’impianto di una nuova sorgente emissiva al fine di limitarne l’impatto ambientale;

- pianificare il monitoraggio di eventuali episodi di emissioni straordinarie di inquinanti in atmosfera e definire le eventuali strategie di intervento;

- mettere in relazione il livello di inquinamento atmosferico con le sorgenti già esistenti.

Inoltre tali modelli sono spesso necessari per stabilire le concentrazioni di inquinanti in una certa regione dove non possono essere direttamente ricavate dalle misure sperimentali; infatti, sebbene tali misure siano un aspetto essenziale

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

del monitoraggio, esse raramente sono sufficienti a raggiungere la migliore descrizione possibile della qualità dell’atmosfera, poiché le rilevazioni sono fatte in pochi punti sul territorio e rappresentano una media dei valori reali calcolati su un intervallo finito di tempo.

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Una sostanza (inquinante o meno), una volta immessa nell’atmosfera, per effetto dei numerosi fenomeni quali il trasporto dovuto all’azione del vento, la dispersione ecc., si distribuisce nell’ambiente circostante, diluendosi in un volume di aria di dimensioni più o meno grandi in funzione delle particolari condizioni atmosferiche presenti.

Ciò significa, in altri termini, che se una sostanza è immessa nell’atmosfera in un determinato punto del territorio (sorgente) ad un dato istante e con determinate modalità di emissione, è possibile ritrovarla in altri punti del territorio dopo un tempo più o meno lungo, con un diverso valore di concentrazione in funzione dei processi fisici e chimici che ha subito lungo il suo tragitto. La valutazione dei valori assunti dalla concentrazione in tutti i punti dello spazio ed in ogni istante o, in altri termini, la previsione dell’evoluzione nel tempo della concentrazione C(x, y, z, t) di una determinata sostanza, costituisce l’obiettivo dei modelli di simulazione della dispersione degli inquinanti in atmosfera.

Un “modello” è una rappresentazione semplificata di un fenomeno complesso: non contiene tutte le caratteristiche di un sistema reale, ma comprende tutti gli elementi essenziali alla sua descrizione.

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mai completamente aderente alla realtà fisica, a causa delle varie ipotesi semplificative e delle correlazioni semiempiriche in esso introdotte per descriverne la fenomenologia. A questa incertezza intrinseca del modello si associa poi quella relativa ai dati forniti come ingresso o condizioni al contorno.

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I principali modelli di dispersione di inquinanti in atmosfera possono essere classificati come in figura 1.1 :

Figura 1.2- Classificazione dei modelli matematici per lo studio della dispersione degli inquinanti.

Modelli per la dispersione di inquinanti in atmosfera

Modelli deterministici Modelli stocastici

3D Euleriani 3D Lagrangiani

Analitici (gaussiani o a puff)

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

I modelli di tipo deterministico si propongono di descrivere in maniera quantitativa i fenomeni che sono alla base dell’evoluzione spazio - temporale della concentrazione degli inquinanti in atmosfera. Naturalmente all’interno di questa grande categoria sono stati sviluppati molti modelli in grado di poter essere applicati a situazioni tra di loro molto diverse. In termini generali essi si possono suddividere in tre classi in funzione del diverso modo di osservare e descrivere le proprietà fluidodinamiche di un fluido. Questa prima classificazione distingue i modelli fra analitici, euleriani e lagrangiani.

I modelli analitici si basano sull’integrazione delle equazione generale di trasporto e di diffusione. Essi sono utilizzati per descrivere l’andamento, sottovento ad una sorgente puntiforme continua, della concentrazione di un inquinante. L’integrazione che è alla base di questi semplici modelli, si basa su alcune ipotesi fortemente semplificative che verranno illustrate più dettagliatamente in seguito. I modelli analitici più importanti sono quelli gaussiani in cui si suppone che il pennacchio venga trasportato secondo la direzione del vento e diffuso nelle direzioni trasversali, e i modelli a puff che rappresentano un’estensione dei primi ma applicabili in condizioni non omogenee e non stazionarie.

I modelli euleriani fanno riferimento ad un sistema di coordinate fisse e si basano sull’integrazione dell’equazione differenziale di diffusione che deriva dal bilancio di massa effettuato su un volumetto infinitesimo sotto determinate ipotesi semplificative: fluidi incomprimibili, diffusività molecolare trascurabile rispetto alla turbolenza, coefficiente di diffusività turbolenta orizzontale costante in direzioni perpendicolari rispetto a quella della direzione del vento. All’interno di questa categoria possiamo a sua volta effettuare la distinzione tra i modelli a box e quelli a griglia. Nei modelli a box, la regione di indagine è suddivisa in una o più celle all’interno delle quali gli inquinanti si considerano perfettamente miscelati. In pratica ciò significa che si assume che i coefficienti di diffusione siano infiniti provocando una dispersione istantanea degli inquinanti immessi nel box. Naturalmente la quantità di sostanza considerata presente all’interno del dominio

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

di analisi dipende da eventuali sorgenti interne al box o da fenomeni di trasporto dovuti al vento. Questi modelli si basano quindi sulla risoluzione di una equazione di bilancio di massa sul box stesso che tiene conto di tutti questi termini oltre ad eventuali espressioni relative a trasformazioni chimiche o a fenomeni di rimozione.

I modelli a box costituiscono un approccio matematico semplice poiché schematizzano grossolanamente la struttura spaziale dei fenomeni e possono essere adatti a descrivere l’evoluzione di un insieme di sorgenti complesse in domini omogenei da un punto di vista dispersivo.

Nei modelli a griglia il dominio di calcolo è suddiviso in un grigliato tridimensionale, in cui la dimensione orizzontale delle celle è generalmente di qualche chilometro, mentre quella verticale dipende dal numero di strati considerati, variabile da alcune decine di metri in prossimità del suolo fino ad alcune centinaia o migliaia di metri.

I modelli lagrangiani si basano invece su un sistema di riferimento mobile che segue gli spostamenti delle masse di aria di cui si vuole riprodurre il comportamento. Tra essi si distinguono i modelli a traiettoria o a particelle.

Nei primi viene simulata l’evoluzione di una massa di aria che si muove sotto l’azione di una componente media di velocità del vento, che per ipotesi è considerata uniforme con la quota e in direzione solo orizzontale. Gli altri invece, simulano l’emissione degli inquinanti con la generazione di un certo numero di particelle emesse ad ogni passo temporale; la concentrazione della specie di interesse in funzione del tempo, è ricostruita valutando il numero di particelle contenute in un certo volume di spazio.

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La caratteristica fondamentale dei modelli euleriani è quella di essere stati sviluppati con lo specifico scopo di implementare al loro interno dei moduli di

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calcolo per la descrizione dei fenomeni chimici che avvengono in atmosfera, tra i quali quelli che portano alla formazione di particolato atmosferico.

La descrizione dei fenomeni non può, infatti, essere limitata all’utilizzo di semplici modelli di diffusione e dispersione poiché essi si limitano a descrivere la dispersione di una sorgente puntiforme industriale su larga scala.

Attualmente sono emerse altre priorità come ad esempio i fenomeni di dispersione non omogenei dovuti a terreni complessi, all’alternanza di terreni urbani e non, alle interazioni con le condizioni meteorologiche e i fenomeni di inquinamento fotochimico [Seinfeld, 1998; Finzi,2001] , che hanno reso tali modelli non idonei a ricostruire quello che realmente avviene in atmosfera.

Gli inquinanti immessi in atmosfera (inquinanti primari), reagiscono immediatamente tra loro e con i costituenti naturali dell’aria, trasformandole in altre sostanze (alcune delle quali danno origine anche a particolato) che vengono dette inquinanti secondari. L’atmosfera non è quindi in equilibrio chimico termodinamico poiché sono costantemente attivi molti processi che influenzano la concentrazione dei suoi principali componenti. Tali processi avvengono in genere a temperatura ambiente e possono essere inizializzati fotochimicamente.

L’interesse per lo studio, in genere, degli inquinanti e, in particolare, del particolato in atmosfera, ha introdotto nell'ambito della modellistica di dispersione delle innovazioni, relativamente recenti, che riguardano l’evoluzione dei modelli di calcolo. Sono stati infatti realizzati, sulla base dei numerosi studi teorici e sperimentali sulle polveri, dei primi moduli di calcolo che descrivono la chimica e la fisica del particolato in atmosfera, e che vanno ad aggiungersi ed integrare i preesistenti moduli, realizzati per descrivere la sola fotochimica degli ossidi di azoto, ozono e composti organici volatili.

Scopo di queste nuove implementazioni è consentire la caratterizzazione delle polveri per quanto riguarda la composizione e la granulometria del particolato; inoltre, poter valutare la componente secondaria d’inquinante che si forma in atmosfera a partire dalla quella primaria direttamente emessa e da precursori.

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In prospettiva, riuscire a stabilire un nesso causale tra gli episodi di inquinamento e le sorgenti emissive che li hanno provocati, sia dirette che indirette.

Il meccanismo chimico di formazione degli inquinanti è implementato nei modelli fotochimici attraverso un modulo di calcolo che varia da modello a modello. La formulazione del meccanismo e le relative modalità di utilizzazione influenzano molto i risultati delle simulazioni.

La necessità di utilizzare meccanismi chimici non dettagliati (ridotti) al posto di quelli “reali” (espliciti) deriva dalla limitazione delle risorse di calcolo; pertanto, per contenere i tempi, allo stato attuale sono inevitabili approssimazioni, forzatamente drastiche, che caratterizzano i meccanismi chimici attualmente utilizzati per trattare la chimica in fase gassosa.

All'interno dei meccanismi "condensati", ossia CBIV, SAPRC e MSC-W, oggi in uso, viene eseguito il lumping (raggruppamento, accorpamento) delle specie organiche.

La procedura di lumping può essere eseguita essenzialmente con due approcci:  LUMPED STRUCTURE APPROACH basato sulla struttura degli organici

coinvolti. Le specie organiche sono suddivise in elementi reattivi più piccoli in funzione del tipo di legami carbonio presenti all’interno di esse. Un meccanismo chimico di questo tipo è il CBIV [Gery et al., 1990], dove una specie chimica come il propene (C-C=C) viene rappresentata come un gruppo paraffinico (1 PAR) più un gruppo olefinico (1 OLE); invece una specie come il pentano (C-C-C-C-C) viene rappresentata come 5 gruppi paraffinici (5 PAR). È evidente come questo tipo di lumping perda le informazioni sulle specie chimiche originarie.

 LUMPED SPECIES APPROACH basato sulle specie coinvolte. una specie generalizzata (specie-gruppo) viene utilizzata per rappresentare molecole organiche simili. La similitudine viene determinata, oltre che dalla

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struttura, anche dalla reattività (ad esempio, dal fatto di reagire in modo analogo con il gruppo ossidrile OH). Un esempio di meccanismi chimici di questo tipo è il SAPRC [Carter, 1990]. Le specie lumped hanno nomi del tipo OLE1, OLE2, ARO1, ALK1 e rappresentano, rispettivamente, olefine con diversa reattività nei confronti del radicale ossidrile, aromatici e alcani.

Il CBIV originario e il SAPRC non includono la chimica delle fasi acquosa ed eterogenea. Ciò porta a trascurare reazioni chimiche fondamentali, come la formazione degli acidi nitrico, nitroso e solforico.

Nelle ultime versioni del modello CAMx il meccanismo CBIV è stato però integrato con l’aggiunta di moduli per la trattazione del particolato (SOAP) e della chimica in fase acquosa (RADM).

Riassumendo e schematizzando i risultati di un analisi dettagliata di tali meccanismi, eseguita dall’ANPA (Agenzia Nazionale Protezione Ambiente) nel 2001 sulla base delle conoscenze della fotochimica atmosferica tipica delle varie zone del nostro Paese, si può dire quanto segue:

 Nelle applicazioni effettuate in Italia [Deserti et al., 2001], il modello fotochimico di gran lunga più conosciuto e usato è CALGRID; il meccanismo chimico più utilizzato nelle applicazioni italiane di CALGRID è il SAPRC. Alcune applicazioni hanno utilizzato il meccanismo CBIV relativo al modello UAM (Urban Airshed Model) dell'EPA. Attualmente sono frequentemente utilizzati i risultati del modello EMEP per fornire condizioni iniziali ed al contorno ai modelli fotochimici a piccola scala. EMEP utilizza un proprio meccanismo chimico MSC-W.

 La chimica inorganica viene espressa in maniera esplicita, mentre la trattazione della chimica organica richiede l'aggregazione di vari composti in cosiddette specie-gruppo.

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

 I meccanismi chimici oggi in uso si differenziano quindi soprattutto per i diversi approcci con cui affrontano il problema dell'aggregazione, sostanzialmente in termini di lumped molecule (SAPRC e in parte MSC-W) o lumped structure (CB IV).

 Il meccanismo SAPRC presenta una notevole flessibilità nella fase di aggregazione, che in buona parte può essere decisa dall'utente.

 Il meccanismo MSC-W adotta in parte l'approccio lumped molecule ed è inserito in un modello a larga scala (EMEP) che ne limita l'applicabilità a studi di smog fotochimico su scala più ridotta. Tale modello, di tipo lagrangiano, è ottimizzato per studiare eventi di trasporto transfrontaliero e deposizioni acide. Solo negli ultimi anni si è sviluppata una versione euleriana del modello.

 Questi meccanismi chimici risultano elaborati e ottimizzati su situazioni tipiche del continente americano (SAPRC, CB-IV) o del nord Europa (MSC-W). Ovviamente, tali situazioni differiscono da quelle tipiche mediterranee non soltanto nella chimica dell'atmosfera fondamentale, ma anche nelle situazioni meteorologiche dei bassi strati, che influenzano in maniera determinante il comportamento degli inquinanti fotochimici.

 L'approccio lumped structure rappresenta una via razionale per accorpare varie specie in base a criteri oggettivi (soprattutto in mancanza di dati su costanti cinetiche e velocità di reazione), tuttavia l'approccio lumped molecule appare più consistente dal punto di vista dello "sviluppo reattivo", mantenendo integra l’identità dei composti chimiche coinvolti e facendo reagire insieme quelli con velocità di reazione simile.

 Il problema dell'aggregazione non può essere risolto a priori, ma va considerato in base alla specifica applicazione dei modelli. Ad esempio,

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

sulle zone mediterranee andrebbero aggregati con estremo dettaglio i terpeni.

In generale si può dire che, per quanto riguarda i meccanismi chimici SAPRC e CBIV analizzati, non è possibile a priori ritenere uno dei due più accurato e prestante dell'altro.

La scelta del meccanismo migliore dipende dalla realtà che ci si trova ad analizzare, soprattutto in funzione della conoscenza che si ha del sistema. Se non si dispone di dati accurati rispetto alla chimica (soprattutto organica) in termini di costanti cinetiche e velocità di reazione, il meccanismo CBIV fornisce comunque un metodo razionale per aggregare le specie chimiche.

Nel caso invece si avessero a disposizione in maniera dettagliata tutte queste informazioni, l'approccio lumped molecule del SAPRC dovrebbe garantire una maggiore affidabilità nell'aggregazione.

A ciò si può aggiungere la maggiore flessibilità di questo ultimo meccanismo, che consente aggregazioni che tengano conto delle specie importanti per la zona in esame, come i terpeni per il bacino del Mediterraneo.

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L’applicazione di modelli di dispersione atmosferica per la valutazione della qualità dell’aria richiede la predisposizione di una base di dati meteorologici che relativamente ai codici di calcolo più avanzati consiste in campi tridimensionali che coprono l’intero dominio di applicazione del modello e che possono essere considerati rappresentativi dei processi che avvengono nello strato limite planetario. A questo scopo vengono utilizzati i modelli meteorologici che simulano la fluidodinamica dell’atmosfera e fungono da pre-processori ai modelli di dispersione. Esistono due tipi di pre-processori meteorologici:

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale



 Prognostici: sono modelli dinamici, che consentono di studiare l’evoluzione dei fenomeni atmosferici attraverso l’integrazione di equazioni differenziali di conservazione che descrivono la fisica del sistema in esame. Oltre che come preprocessori, sono utilizzati anche per le previsioni meteorologiche. Si distinguono tra loro per il modo di implementare le equazioni, ossia in base alle ipotesi semplificative adottate per integrarle. Le due principali categorie sono costituite dai modelli idrostatici (che considerano l’aria come un fluido incomprimibile) e non idrostatici (che assumono invece variazioni di densità lungo la quota). La prima ipotesi comporta notevoli semplificazioni dal punto di vista computazionale, ed in passato era quindi considerata l’unica adottabile. L’aumento delle risorse di calcolo ha consentito poi l’implementazione anche della seconda ipotesi. Esempi di pre-processori di questo tipo sono MM5,RAMS e LAMI.



 Diagnostici: sono modelli statici, che cioè non implementano al loro interno nessuna equazione rappresentativa della fisica dei fenomeni, fatta eccezione per l’onnipresente conservazione della massa (considerando l’aria incomprimibile). Essenzialmente sono degli algoritmi che interpolano le misure disponibili su tutto il dominio di calcolo, per poi correggerne i valori in modo da garantire l’ipotesi di divergenza nulla. Si distinguono tra loro in base alla raffinatezza delle tecniche di interpolazione (la più semplice pesa le misure in funzione dell’inverso del quadrato della distanza) e di adattamento (ad esempio, come tengono conto dell’orografia e delle caratteristiche del suolo). Esempio : CALMET.

Modello Diagnostico CALMET

CALMET è un pre-processore meteorologico in grado di riprodurre campi tridimensionali di vento e di temperatura e campi bidimensionali di parametri descrittivi della turbolenza sulla base delle misure fornitegli. Può disporre di rilevazioni effettuate con centraline superficiali e sonde disposte in quota oppure,

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

oppure utilizzare i campi forniti da un modello prognostico. CALMET interpola questi dati con algoritmi più o meno complessi, che prevedono più passaggi, considerano l’orografia , la copertura del suolo ed il rispetto della condizione di divergenza nulla (ipotesi fondamentale di conservazione della massa per fluido incomprimibile).

Il dominio su cui viene applicato è costituito da una griglia tridimensionale di Nx per Ny celle quadrate orizzontali e Nz layer verticali. Il grid point, cioè il punto rappresentativo della griglia, al quale si riferiscono sia i valori di input che quelli di output, si riferisce al centro della griglia, sia in senso orizzontale che verticale. In ogni grid point sono definite le componenti della velocità del vento. Per quanto riguarda la suddivisione orizzontale, il codice permette di tener conto anche della curvatura terrestre nel caso di dominio di calcolo molto ampio; mentre, per quel che concerne l’asse verticale z, è importante specificare che CALMET utilizza un sistema di coordinate riferito al terreno (terrain-following) con strati verticali di spessore variabile.

Il modello è costituito essenzialmente da tre moduli, che vengono applicati per ogni ora di simulazione utilizzando le informazioni disponibili per quella sequenza temporale:

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oo per la ricostruzione del campo di vento,

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Modello prognostico RAMS (Regional Atmospheric Modeling System)

Il modello prognostico RAMS è stato sviluppato dall’università di Fort Collins del Colorado (USA) ed è gestito da ATMET (Atmosferc Meteorological and Environmenatal Technologies). E’ attualmente operativo presso il La.M.M.A

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Fornisce i dati metereologici in modo omogeneo ed uniforme su dominio di 176x216km2 che copre l’intera regione toscana, suddiviso in un un grigliato

costituito da 45x55 nodi di passo 4x4 km2 , per 12 livelli vertivali su cui vengono

estratte le variabili atmosferiche.

Le centraline “virtuali” (punti griglia) RAMS misurano: velocità e direzione del vento, temperatura, pressione e umidità relativa.

Per tutte le variabili sono archiviati anche i valori profilometrici; più precisamente tali profili verticali sono relativi a 12 quote: da quella iniziale di 38m sul livello del suolo a quella finale di 2856m.

Modello prognostico MM5 (Fifth-Generation Mesoscale Model)

Si tratta di un modello prognostico non idrostatico sviluppato da NCAR (National Center for Atmospheric Research della Pennsylvania University) e attualmente utilizzato presso il CETEMPS (Università de L’Aquila). Il modello è operativo su un ampio dominio di calcolo che copre tutta l’Europa occidentale con una risoluzione spaziale di 27x27km2 e su 24 livelli verticali. Per ogni punto griglia

fornisce informazioni relative a campi di vento, temperatura (Figura 2.3) ed umidità relativa oltre a numerose altre variabili utili per una corretta caratterizzazione meteorologica dell’area e per la definizione dei parametri di turbolenza.

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L’inquinamento atmosferico e la modellistica ambientale

Figura 2.2 - Visualizzazione dei risultati di una simulazione di MM5 (campi di temperatura superficiale e della componente orizzontale del vento, a un dato livello, per una certa ora).

I dati MM5 sono stati utilizzati nel corso di questo lavoro per la caratterizzazione meteorologica dei domini considerati nelle simulazioni.

Modello prognostico LAMI (Limited Area Model Italy)

Modello meteorologico di tipo prognostico gestito dall’Agenzia Regionale Prevenzione ed Ambiente – servizio idrometeorologico (ARPA SIM) della regione Emilia Romagna. Si tratta di un modello ad area limitata non idrostatico ad alta risoluzione che opera su un dominio esteso a tutto il territorio nazionale (234x272x35 punti) con un passo griglia di 7km.

Figura

Figura 1.1- Ciclo fotolitico degli ossidi di azoto [APAT, 2003]
Tabella 1.1 -  Un meccanismo di reazione per lo smog fotochimico [Seinfeld,1986]
Tabella 1.3- Gli Standard di qualità dell’aria [DM n°60 02/04/02]
Figura 1.2- Classificazione dei modelli matematici per lo studio della dispersione degli inquinanti.

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