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1. INTRODUZIONE
1.1. Gli ambienti virtuali
Negli ultimi anni si è assistito alla comparsa di un numero sempre maggiore di sistemi destinati alla generazione di Ambienti Virtuali (AV). In tali ambienti l’utente percepisce, intorno a sé o ad una sua rappresentazione, un ambiente simulato. L’immersione in tali ambienti può essere raggiunta a diversi livelli.
L’operatore deve innanzitutto poter percepire la propria presenza all’interno dell’ambiente in cui risulta immerso.
Il secondo grado di immersione è determinato dalla possibilità, da parte dell’utente, di poter muovere i sensori attraverso i quali percepisce le informazioni che caratterizzano AV, in altre parole è consentita la navigazione all’interno dell’ambiente. Questi due livelli di immersione sono ottenuti mediante la simulazione di grafica e audio, in modo da conferire stimoli di natura visiva e uditiva.
Infine il terzo grado di immersione è caratterizzato dalla possibilità di controllo esercitabile sull’ambiente dall’operatore, che altrimenti avrebbe un rapporto esclusivamente passivo nei confronti dell’AV. Per realizzare questo livello di immersione è necessario riprodurre stimoli tattili e le forze che il mondo reale eserciterebbe sull’utente. Questo tipo di simulazione richiede il calcolo in tempo reale di tutte le situazioni di contatto per stabilire l’entità delle forze, che devono essere percepite dall’operatore. É necessario quindi caratterizzare gli oggetti presenti nell’AV anche dal punto di vista fisico, attribuendo loro grandezze quali peso, inerzia, rigidezza, viscosità, rugosità, ecc.
Una simulazione di questo tipo, in grado di riprodurre sensazioni tattili e di forza, è ottenuta mediante dispositivi definiti Interfacce Aptiche (IA).
1.2. Caratteristiche delle interfacce aptiche
Le Interfacce Aptiche sono dispositivi robotici studiati per interagire direttamente con l’operatore umano, aventi la funzionalità di indurre in quest’ultimo la percezione di forze relative, ad esempio, al contatto con un oggetto.
Questi dispositivi sono stati concepiti sulla base dell’ipotesi che l’interazione fisica con l’ambiente circostante consista nella percezione di forze il cui valore è funzione della posizione degli arti dell’operatore usati per esplorare l’ambiente. Le interfacce aptiche, oggi sviluppate, sono dispositivi elettromeccanici il cui end-effector è, da un lato, permanentemente collegato all’arto dell’operatore e dall’altro è collegato ad un sistema di attuatori. I movimenti dell’end-effector vengono imposti dall’operatore e rivelati da un sistema di controllo, che aziona gli attuatori in modo da fornire all’utente il feedback di forza in funzione della posizione dell’end-effctor.
Se ad esempio si vuole simulare la presenza di una palla di fronte all’operatore i passi che devono essere eseguiti sono i seguenti. L’interfaccia aptica, tramite i propri sensori di posizione, rivela la posizione del dito dell’utente. Un modulo software, detto di ambiente virtuale, determina se il dito è in contatto o meno con la “palla virtuale”. Se lo è, il modulo software calcola la corrispondente forza di contatto. A questo punto i motori del robot vengono azionati in maniera da indurre la percezione di tale forza.
La traiettoria dell’end-effector è quindi determinata dal bilancio delle forze prodotte, istante per istante, dalle dita dell’operatore e da quelle prodotte dagli attuatori dei giunti del robot. In questo modo è possibile sia creare il contatto con superfici complesse, sia creare dei vincoli al movimento dell’operatore per guidarlo lungo traiettorie predefinite.
Affinché un dispositivo robotico possa essere ritenuto idoneo alla simulazione dell’interazione fisica con l’ambiente, deve possedere tre caratteristiche fondamentali:
1. Elevata trasparenza. Durante la fase in cui non si determinano interazioni con l’ambiente circostante, l’utente non deve avvertire la presenza del dispositivo. In altri termini l’interfaccia aptica deve essere realizzata in modo da ridurre al minimo le forze di reazione, necessarie al suo trascinamento, che questa esercita sull’operatore durante i suoi spostamenti nello spazio libero. Dal punto di vista tecnico, occorre
3 ridurre al minimo le forze, indotte sull’operatore, dovute al peso proprio del dispositivo, agli attriti interni e alle masse in movimento (forze inerziali). Questa condizione può essere ottenuta sia agendo sulla componente meccanica del dispositivo (cinematica, sistemi di trasmissione, attuatori, parti strutturali, etc.) sia sulla componente di controllo degli attuatori, adottando opportune tecniche di compensazione (attrito, inerzia, gravità).
2. Elevate rigidezza. Durante la fase di interazione il dispositivo deve essere in grado di indurre realisticamente la percezione del contatto con gli oggetti. Questi ultimi, al limite, possono essere infinitamente rigidi. Il dispositivo quindi, dovrà essere in grado di mostrare all’operatore rigidezze sufficientemente elevate. Anche in questo caso si può agire tanto sulla componente meccanica (trasmissioni, parti strutturali) tanto sulla componente di controllo (elevato guadagno d’anello).
3. Elevata banda passante. Durante la transizione tra la fase di non contatto e quella di contatto, il dispositivo deve essere in grado di generare delle forze con elevata dinamica temporale (alto contenuto spettrale). Questo è particolarmente vero nel caso sia necessario simulare degli urti con oggetti rigidi. Dal punto di vista tecnico questa caratteristica può essere ottenuta elevando la frequenza propria della componete meccanica.
1.3. Applicazioni delle IA
Per come sono state concepite le Interfacce Aptiche, uno dei principali campi d’impiego è l’addestramento in Ambiente Virtuale, per tutti quei compiti che potrebbero essere rischiosi sia per l’utente sia per tutte le cose o persone che si troverebbero nell’area di lavoro reale, evitando così di sottoporli al rischio dell’inesperienza dell’operatore. I settori applicativi sono svariati basti pensare a quello medico, con prove d’intervento su pazienti virtuali, oppure a situazioni ad alto rischio o particolarmente delicate come manipolare materiale radioattivo nelle centrali nucleari o installazioni sottomarine o costruzioni spaziali.
Un altro campo d’impiego è legato alla riabilitazione in campo medico. Essa consiste nella movimentazione assistita di arti e mani, del paziente, attraverso l’aiuto di un operatore, in modo da stimolare la rigenerazione del sistema nervoso. In questo caso le IA possono essere programmate per far compiere all’arto da riabilitare una traiettoria il più possibile vicina a quella ottimale, stabilita precedentemente dal medico. Utilizzando queste strutture robotiche è anche possibile monitorare i miglioramenti.
Infine esiste un’altra applicazione in cui le Interfacce Aptiche sono particolarmente indicate: la teleoperazione, il cui principio di funzionamento è illustrato in figura 1.1.
Il sistema è in questo caso composto di due moduli: un sistema master aptico ed un sistema
slave. L’operatore muove degli strumenti che sono rigidamente vincolati con l’end-effector
del robot master. Attraverso i sensori di posizione di quest’ultimo è possibile calcolare la traiettoria compiuta dallo strumento impugnato dall’operatore. Il robot slave riceve i dati necessari a ricostruire tale traiettoria ed è in grado di posizionarsi nello spazio e riprodurre i movimenti, imposti dall’operatore al robot master. L’end-effector di quest’ultimo robot consiste nel vero e proprio utensile che andrà a compiere realmente l’operazione richiesta. Lo slave è provvisto di uno o più sensori di forza, che misurano l’entità delle forze che nascono tra l’utensile e i corpi con cui entra in contatto. Esiste un flusso di informazioni di forza di ritorno, che permette al robot master di riprodurre le stesse forze, fornendo così all’operatore la sensazione di contatto.
5 I vantaggi della teleoperazione sono, oltre a quello di poter operare in tutti gli ambienti inaccessibili e ostili all’uomo, quello di poter guidare l’operatore durante esecuzione del task operativo, spingendolo ad eseguire la migliore traiettoria possibile e la possibilità di evitare un eventuale tremore della mano. Infine attraverso la teleoperazione sono possibili operazioni con forti riduzione di scala delle forze e/o dello spazio. In questo modo un movimento di una decina di centimetri della mano dell’operatore si può tradurre in spostamenti dell’ordine di millimetri per l’utensile a bordo dello slave. Oppure una forza di alcuni N prodotta dall’operatore può portare lo slave alla manipolazione di oggetti anche molto pesanti.
1.4. L’attuazione delle IA
Nel paragrafo 1.2. sono state illustrate le caratteristiche fondamentali di un interfaccia aptica. I componenti meccaniche che influiranno maggiormente sulle suddette caratteristiche sono gli attuatori del dispositivo. Le caratteristiche auspicabili per un interfaccia aptica si traducono in corrispondenti caratteristiche auspicabili per gli attuatori:
• Elevato rapporto Forza/Ingombro • Elevato rapporto Forza/Peso • Elevato rapporto Forza/Inerzia • Elevato fattore dinamico • Elevata banda passante
• Elevata controllabilità della forza • Costi contenuti
Un attuatore di forza ideale dovrebbe generare in uscita la forza desiderata indipendentemente dai movimenti del carico. Viceversa gli attuatori reali presentano delle limitazioni che li discostano dal comportamento ideale, dovute principalmente alle inerzie, agli attriti, e a una banda passante limitata.
La presenza delle inerzie crea in uscita una forza aggiuntiva, che è legata alle accellerazioni del carico. Tale forza non deve essere avvertita dall’operatore ed è quindi necessario compensarla. La presenza di inerzie rilevanti rispetto al carico applicato comporta quindi una maggiore complessità del controllo dell’attuatore.
Gli attriti interni, che si determinano tra le componenti dell’attuatore in moto relativo, sono responsabili della minima forza esercitabile dall’attuatore. Il fattore dinamico quantifica questa caratteristica, essendo definito come: rapporto tra la massima forza e la minima generabile dall’attuatore. Nella progettazione degli attuatori si tende, generalmente, a massimizzare questo fattore dinamico, cercando di ridurre, per quanto possibile, gli attriti interni. Nei servomotori in corrente continua tale fattore è compreso tra 30 e 100.
La banda passante di un attuatore è la frequenza massima fino alla quale è possibile effettuare un accurato controllo di forza. Tale valore dipende dalla natura del principio fisico adottato
7 per la trasformazione di energia (da energia elettrica a energia meccanica) e dall’inerzia delle parti mobili dell’attuatore.
Nella maggior parte dei casi gli attuatori utilizzati nelle interfacce aptiche sono dei servomotori elettromagnetici. Questi possono essere impiegati in due modi differenti: interfacciati direttamente con il carico o utilizzati insieme con dei riduttori. Entrambi i casi presentano degli inconvenienti.
Quando sono impiegati direttamente possono essere controllati accuratamente, in virtù della loro relazione lineare, che li caratterizza, tra la forza in uscita e la corrente in entrata, e possono essere considerati una buona approssimazione di un attuatore di forza ideale. Questo caso di utilizzo è però poco efficiente, perché gli attuatori si trovano ad operare a relativamente bassa velocità e alta forza di uscita, condizione tipicamente richiesta nei dispositivi aptici. Infatti in questo caso il motore viene dimensionato in base alla massima forza richiesta, risultando sovradimensionato, rispetto alla potenza effettivamente richiesta in uscita, e quindi pesante e ingombrante.
In alternativa, qualora si impieghino dei riduttori, posso essere utilizzati motori molto più piccoli e leggeri. L’introduzione dei riduttori nel sistema d’attuazione provoca, però, un incremento sensibile dell’inerzia e degli attriti complessivi. Per mitigare questi effetti è possibile usare un sensore di forza a valle del riduttore e tramite un opportuna azione di controllo sull’attuatore è possibile ridurre l’errore tra la forza desiderata e quella effettivamente generata. Questo tipo di controllo risulta però molto più complesso e delicato. Qualora sia possibile, è conveniente posizionare gli attuatori sulla parte fissa del dispositivo, questa soluzione risulta infatti praticabile in quanto non peggiorativa delle caratteristiche inerziali dell’interfaccia aptica.
1.5. Obiettivo della tesi
L’obiettivo della tesi è analisi e la progettazione di un nuovo sistema d’attuazione basato su fluidi magneto-reologici (MR), da impiegare per la realizzazione di interfacce aptiche aventi più di un grado di libertà attuato.
I fluidi magnetoreologici sono materiali in grado di cambiare il loro comportamento reologico a seconda del campo magnetico che li attraversa. Questi fluidi sono costituiti da fini particelle di materiale ferromagnetico aventi usualmente un diametro compreso tra 1 e 10 µm, in sospensione in un olio. L’applicazione di un campo magnetico genera un repentino e drastico cambiamento della forza di scorrimento del fluido. Ordine di grandezza di questo cambiamento è di qualche millisecondo. In assenza di campo magnetico il fluido si comporta invece come un classico fluido Newtoniano.
Questa caratteristica può essere utilizzata per realizzare dispositivi molto semplici destinati al controllo della trasmissione della potenza. L’idea è di realizzare delle frizioni capaci di trasmettere una coppia tra un organo d’ingresso e uno d’uscita tramite l’impiego di due dischi o due cilindri in moto relativo uno rispetto all’altro e tra cui è stato posto un fluido MR, come rappresentato in figura 1.2. Con un opportuno circuito elettromagnetico in grado di generare, in funzione della corrente di comando, un corrispettivo flusso magnetico nel fluido MR, è possibile modulare la coppia trasmessa al carico. In questo modo è possibile determinare una relazione tra la corrente fornita e la coppia trasmessa. Le superfici attraverso le quali si ha il passaggio della potenza si definiscono superfici attive del dispositivo.
Affinché l’ingresso possa effettivamente trasferire energia meccanica all’uscita è inoltre necessario che la velocità di rotazione dell’organo d’ingresso risulti sempre maggiore di quella dell’uscita.
Attualmente i sistemi d’attuazione possiedono un motore per ogni grado di libertà attuato ed ogni motore assolve la funzione di fornire l’energia necessaria solo al relativo giunto della struttura.
Il nuovo sistema d’attuazione potrebbe invece essere costituito da un’unica fonte d’energia meccanica per tutto il sistema e una serie di frizioni, sopra descritte, una per ogni grado di libertà attuato. Ogni frizione sarebbe quindi controllata per prelevare e trasmettere istante per istante solo quella potenza realmente richiesta al giunto di sua competenza.
9 Il sistema sarebbe quindi costituito da: un solo motore, un bus meccanico, messo in rotazione dal motore stesso, e una serie di frizioni aventi la caratteristica di avere un doppio ingresso ed un’uscita. Il numero di frizioni impiegate sarà pari al numero di gradi di libertà attuati dell’IA. Le frizioni, con i loro due ingressi, devono potersi interfacciare con il bus meccanico per prelevarvi la coppia necessaria da trasmettere. L’unico motore deve essere controllato in modo che la velocità di rotazione del bus risulti sempre maggiore a qualsiasi velocità si determini ai giunti durante l’esecuzione delle operazioni di riferimento per le specifiche dell’IA. Le frizioni a doppio ingresso e ad una uscita sono indispensabili per consentire di esercitare coppie sui giunti in entrambe le direzioni indipendentemente dalla velocità del giunto (purché minori della velocità del bus). L’intensità di tali coppie è modulabile tramite il controllo dell’intensità di corrente in ingresso alle frizioni. Uno schema rappresentativo è illustrato in figura 1.3.
Questo nuovo sistema, rispetto a quelli tradizionali basati su servomotori elettrici dovrebbe portare i seguenti vantaggi:
• Migliore rapporto Ingombro/Forza massima esercitabile • Migliore rapporto Peso/Forza massima esercitabile • Migliore rapporto Inerzia/Forza massima esercitabile • Migliore Fattore dinamico
• Maggiore Banda Passante
• Elettronica di potenza semplice e compatta
Figura 1.2 Rappresentazione schematica dei componenti necessari alla realizzazione di una frizione a fluidi MR.
Inoltre la presenza del bus meccanico e delle frizioni consente di rendere il dispositivo insensibile alle caratteristiche meccaniche del motore utilizzato. L’inerzia e massa del motore non si riflette, infatti, sull’end-effector dell’IA .
É da notare che il controllo dell’unico motore del sistema di attuazione è particolarmente semplice. Infatti, è sufficiente implementare un controllo che garantisca che la velocità del bus rimanga sempre maggiore della massima velocità, tra quelle che si determinano alle trasmissioni durante l’esecuzione delle operazioni di riferimento delle specifiche dell’IA.
Uno svantaggio di questa soluzione è certamente la quantità di energia meccanica dissipata sotto forma di calore dalle singole frizioni. Il rendimento energetico complessivo sarà, quindi, relativamente basso. Inoltre la produzione di calore può portare ad un eccessivo surriscaldamento della frizione e in particolare del fluido MR. Sarà quindi necessario, in fase di progettazione della frizione, verificare che la temperatura raggiunta dal fluido resti inferiore alla massima consentita.
Il calore, che deve essere dissipato dalla frizione, ha origine per due diversi fenomeni termici: effetto Joule derivante dal passaggio di corrente nelle bobine del circuito elettromagnetico e
11 l’attrito che si sviluppa tra lo scorrimento relativo tra le pareti attive della frizione e il fluido stesso.
La potenza termica che si sviluppa per attrito è strettamente legata alla velocità relativa tra organo d’ingresso e quello d’uscita della frizione. Per limitare quest’effetto termico è pensabile realizzare un controllo sul motore più complesso rispetto a quello precedentemente descritto. É infatti sufficiente che la velocità del bus sia maggiore a tutte le velocità dei giunti per ogni determinato istante, invece che maggiore alla massima velocità raggiungibile dai giunti in assoluto. È pensabile quindi realizzare un controllo, che in base alle velocità assunte dai giunti in ogni istante, piloti il motore di conseguenza.
Al fine di poter ricavare dei dati quantitativi, con i quali confrontare le prestazioni del nuovo sistema d’attuazione con quelli tradizionali, è stato preso a riferimento il sistema d’attuazione di un’interfaccia aptiche esistente: il L-EXOS (Light EXOS) sviluppato dal laboratorio di ricerca PERCRO.
L-EXOS è un esoscheletro per braccio a cinematica antropomorfa utilizzato per la retroazione di forza in ambienti virtuali, il quale può essere indossato dall'operatore, consentendogli un’ampia libertà di movimento. Il sistema possiede 5 gradi di libertà di cui 4 attuati e sensorizzati e uno solo sensorizzato, un immagine del dispositivo è riportata in figura 1.4.
Figura 1.4 L’interfaccia aptica L-EXOS sviluppata dal laboratorio di ricerca PERCRO.
1.6. Caratteristiche del LIGHT-EXOS
1.6.1. Configurazione cinematica
L’esoscheletro per braccio L-EXOS è in grado di rilevare la configurazione del braccio umano e di esercitare su di esso forze durante applicazioni sia statiche sia dinamiche, così da consentire la simulazione del contatto con oggetti rappresentati in un Ambiente Virtuale. L-Exos può essere utilizzato in due diverse configurazioni intercambiabili.
Nella prima configurazione (figura 1.5) il dispositivo è in grado di trasmettere forze sul palmo della mano, utilizzando come end-effector una manopola impugnata dall’operatore. In questa prima soluzione il sistema è composto da 4 primari giunti rotazionali, tutti sensorizzati e attuati, e da un ulteriore giunto rotazionale solo sensorizzato, che rivela la rotazione del polso rispetto all’asse passante per l’avambraccio. Il primo link può essere connesso rigidamente sia a un supporto fisso sia a un supporto mobile.
Link 0 Link 1 Link 3 Link 2 Link 4 Link 5 4 actuated + sensorized primary axis Link 0 Link 1 Link 3 Link 2 Link 4 Link 5 4 actuated + sensorized primary axis Link 0 Link 1 Link 3 Link 2 Link 4 Link 5 4 actuated + sensorized primary axis
13 Nella seconda configurazione le forze sono invece trasmesse in modo indipendente sulle punte di due dita, generalmente il pollice e l’indice. In questo secondo caso l’ultimo giunto del L-Exos è sostituito con un ulteriore interfaccia aptica, HAND EXOSKELETON, necessaria per simulare la forza sulle dita (figura1.6). Questa seconda IA è formata da 2 dispositivi seriali aventi ciascuno 6 gradi di libertà e come end-effector un ditale. Dei 6 gradi di libertà i primi 3 sono sensorizzati e attuati, mentre i restanti 3 sono passivi.
I primi 3 assi di rotazione dei giunti del L-Exos sono incidenti in un punto e mutualmente ortogonali, in modo implementare un moto sferico. Il centro di rotazione è approssimativamente coincidente con in centro del giunto spalla umana (figura 1.7). Il quarto giunto rotazionale del robot coincide con quello del gomito. Inoltre la scelta dell’orientazione del primo asse di rotazione, l’unico fisso nello spazio, è stata fatta nell’ottica di posizionare le singolarità del meccanismo al di fuori dello spazio di lavoro richiesto.
Hand Exoskeleton
Hand Exoskeleton
Figura 1.6 Il L-EXOS nella sua seconda configurazione, in cui end-effector è costituito da una seconda I.A., HAND EXOSKELETON.
La corrispondenza dei giunti meccanici e quelli umani realizza un perfetto isomorfismo cinematico. In questo modo esoscheletro può essere indossato dall’utente e il suo workspace si avvicina molto a quello di un vero braccio umano, rendendolo così particolarmente adatto alla manipolazione di oggetti.
AXIS 1
AXIS 3
AXIS 2
AXIS 1
AXIS 3
AXIS 2
Figura 1.7 Ingrandimento sui primi tre giuti rotazionali del L-EXOS. Si sottolinea il fatto che gli assi di rotazione dei giunti sono incidenti in un punto e mutualmente ortogonali.
15 1.6.2. Caratteristiche del sistema di attuazione
Il sistema d’attuazione del LIGHT EXOS, che controlla i primi 4 gradi di libertà, è composto da:
•
4 riduttori integrati sui giunti dell’articolazione dell’esoscheletro.•
Un sistema di trasmissione a cavi in tensione.•
Un gruppo di motorizzazione, costituito da 4 torque motors integrati all’interno del link di base.L’adozione di riduttori integrati al giunto, in manipolatori robotici attuati a cavi, consente di migliorare notevolmente le prestazioni statiche e dinamiche del sistema. Questa soluzione permette, infatti, di aumentare la rigidezza dell’esoscheletro e di ridurre in modo considerevole le dimensioni generali e la massa dell’intera struttura, in virtù della riduzione delle tensioni massime che si determinano sulle trasmissioni a cavi.
Affinché l’utilizzo di riduttori al giunto possa effettivamente portare dei vantaggi in termini di riduzione degli ingombri e delle masse, è necessario un notevole grado di integrazione del riduttore con i componenti meccanici presenti nei giunti di articolazione. In particolare il riduttore deve integrarsi con i cuscinetti, il perno di articolazione e la puleggia condotta. I riduttori impiegati sono del tipo epicicloidale. Il pignone solare è direttamente solidale alla puleggia condotta e il portatreno assolve sia alla funzione di potenza, trasmettendo al link attuato la coppia di uscita dal riduttore, sia alla funzione di perno di articolazione consentendo la rotazione reciproca dei links adiacenti e supportando le pulegge folli di rinvio, delle trasmissioni che attraversano il giunto. In figura 1.9 è riportata una immagine del riduttore utilizzato.
La trasmissione è costituita da una serie di cavi d’acciaio e rinvii con pulegge folli. Sono stati utilizzati due cavi per ogni riduttore per poter trasmettere una coppia bidirezionale ai giunti. L’impiego di riduttori integrati sui giunti, a valle della trasmissione, porta maggiore vantaggi rispetto ad avere motoriduttori integrati a monte della trasmissione. Nel primo caso infatti la trasmissione lavora alle alte velocità e basse coppie, viceversa nella seconda configurazione la trasmissione è utilizzata nel campo delle basse velocità e alte coppie. La prima soluzione riduce intensità delle tensioni che nascono sul cavo durante la trasmissione della coppia, portando i benefici descritti precedentemente.
I 4 gruppi di motorizzazione sono posizionati sul link di base per renderli fissi nello spazio in modo da ridurre le masse in movimento ed evitare ulteriori problemi nella trasmissione a cavi. Questi sistemi, come i riduttori, hanno un elevato livello di integrazione. Il gruppo è stato progettato per inglobare un DC torque motor, un sensore angolare (un encoder incrementale ad alta risoluzione) e la puleggia motrice della trasmissione, coincidente con il
Figura 1.8 Immagine del riduttore di tipo epicicloidale, integrato al giunto.
17 rotore stesso. L’encorder è connesso al rotore attraverso un giunto di Holdam modificato, in quanto una parte del giunto è ricavata direttamente sul rotore.
Lo sviluppo sia del gruppo di riduttori integrati sia del gruppo di motorizzazione è stato condotto dal laboratorio PERCRO, mentre il motore utilizzato è stato acquistato dalla casa produttrice VERNITRON motion control group. Il Vernitron utilizzato è un motore a corrente continua costituito da: uno statore, che alloggia una serie di placchette di magnete permanente a base di Samario Cobalto (SmCo), un rotore con gli avvolgimenti e un sistema di spazzole e il collettore, per trasferire la corrente dallo statore al rotore. Proprietà costruttiva di questo motore è l’assenza di un albero di uscita e di tutto il sistema d’alloggiamento dei cuscinetti di sostegno.
Figura 1.9 Gruppo di motorizzazione. Il gruppo è composto da: DC motor (bianco), un puleggia d’uscita (rosso), un encoder (viola), un ginto di Holdam (verde) e un carter esterno (celeste).
Questa proprietà è stata sfruttata per rendere l’intero sistema di motorizzazione il più compatto e integrato possibile. Durante lo studio e la progettazione della frizione dovranno essere prese a riferimento le principali prestazioni del motore, che sono:
• Coppia di picco: Tp = 3.7Nm • Coppia continua: Tc = 2 Nm • Coppia d’attrito: Ts = 0.07Nm • Potenza: Wm = 285W
• Inerzia del rotore: Jm =0.4*10-3Nms2
• Peso: Pm = 650g
Mentre per quanto riguarda gli ingombri e il peso complessivo è necessario prendere a riferimento l’intero gruppo di motorizzazione:
• Diametro esterno: De = 100mm
• Ingombro assiale esclusa la puleggia motrice: H0 = 35mm • Peso complessivo del gruppo di motorizzazione: Pt = 1100g
Figura 1.10 Immagine dei vari componenti che costituiscono il gruppo di motorizzazione.
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1.7. Quadro delle attività
Il presente lavoro di tesi è partito da uno studio dello stato dell’arte dei fluidi magnetoreologici e dei dispositivi esistenti, che sfruttano le proprietà reologiche e magnetiche dei fluidi. In questa prima fase sono stati, anche, evidenziati i criteri per il dimensionamento della configurazione geometrica e del circuito elettromagnetico adottati da questi dispositivi, focalizzando l’attenzione sui freni e le frizioni a fluidi MR. Nella seconda fase è stata effettuata l’analisi e la scelta della configurazione di riferimento. A tal fine sono state identificate una serie di soluzioni alternative per quanto riguarda lo schema base di funzionamento, la forma delle superfici attive per la trasmissione della coppia e la configurazione del circuito magnetico. I criteri di scelta sono legate alla possibilità di avere un sistema avente prestazioni paragonabili a quelle del gruppo di motorizzazione dell’interfaccia aptica di riferimento. Nella terza fase è stata condotta la progettazione di dettaglio. In particolare è stato ottimizzato il circuito magnetico, e studiato l’intero gruppo meccanico definendo tutte le soluzioni costruttive di dettaglio. Nella fase successiva è stata effettuata l’analisi termica del dispositivo al fine di stimare la massima potenza dissipabile e la costante di tempo dei transitori termici. Infine è stato scelto il motore del sistema d’attuazione e definiti i particolari meccanici necessari al suo funzionamento.