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39 dell’8 febbraio 2021

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Academic year: 2022

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OGGETTO: Pratica num. 3/VV/2020 - 755/VV/2020 - Quesiti in ordine alla destinazione di magistrato assegnato all'ufficio di provenienza dopo assegnazione a sede disagiata.

(delibera 11 marzo 2021)

Il Consiglio

- vista la nota datata 9.12.2019 con cui il Presidente del Tribunale di XXX ha chiesto “di chiarire se al magistrato riassegnato alla sede di provenienza all’esito del servizio svolto in sede disagiata possa applicarsi in via analogica la disposizione dell’art. 144 della Circolare sulla formazione delle Tabelle e, quindi, possa essere assegnato, all’esito di un concorso appositamente indetto, alla destinazione indicata nell’interpello, o quale debba essere la disciplina applicabile”;

- vista, altresì, la nota datata 18.12.2020 a firma del dott. XXX, giudice del Tribunale di XXX, con la quale si chiede “se il Presidente del Tribunale sia obbligato a riassegnare il magistrato, che eserciti il diritto ad essere riassegnato alla sede di provenienza, nello stesso posto e nelle stesse funzioni svolte prima del trasferimento presso la sede disagiata o se possa, invece, su domanda del magistrato, assegnarlo ad altro posto vacante dell’ufficio giudicante”;

- letto il parere dell’Ufficio Studi e Documentazione del Consiglio n. 39 dell’8 febbraio 2021;

OSSERVA

1. Il quesito posto dal Presidente del Tribunale di XXX ha preso le mosse dalla circostanza che un magistrato già in servizio presso tale ufficio giudiziario, avendo superato il periodo di servizio di quattro anni presso una sede disagiata, era stato riassegnato dal Consiglio Superiore all’ufficio di provenienza; prima di prendere possesso presso il Tribunale di XXX detto magistrato aveva dichiarato, in relazione ad un interpello relativo ad un posto della sezione civile, di non essere interessato allo stesso, preferendo tornare a svolgere le pregresse funzioni di G.i.p./G.u.p. Senonchè, come chiarito dal Presidente, i posti dell’ufficio G.i.p./G.u.p. erano tutti coperti e tra le due uniche vacanze esistenti (una al settore civile, una al settore penale) il dirigente aveva ritenuto di pubblicare quella al settore civile, che appariva il più “problematico” in relazione all’arretrato da smaltire.

A fronte di tale situazione il dirigente ha chiesto al Consiglio di chiarire se, nella specie, potesse trovare applicazione, per analogia, la disciplina prevista dall’art. 144 della circolare sulle tabelle degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019 (vigenti ratione temporis) o quale fosse, altrimenti, la regola applicabile al caso di specie.

Il dott. XXX ha rappresentato, invece, la situazione opposta, ovvero il caso in cui il magistrato che abbia esercitato il diritto ad essere riassegnato alla sede di provenienza non chieda di svolgere le precedenti specifiche funzioni (non volendo, ad esempio, essere riassegnato all’ufficio G.i.p./G.u.p.); ha, quindi, domandato se in tale ipotesi il dirigente “sia obbligato” ad assegnarlo al posto precedentemente occupato o se, invece, possa destinarlo, a domanda, in altro posto vacante del tribunale.

2. Al fine di rispondere ai quesiti posti appare necessario dapprima esaminare le disposizioni dettate in tema di assegnazione dei magistrati ordinari alle cd. sedi disagiate (L. 4 maggio 1998, n. 133) e, in particolare, quale sia l’esatta portata del diritto del magistrato riassegnato all’ufficio di provenienza dopo un periodo di servizio in una sede disagiata; si rende, poi, necessario considerare il regime di mobilità interna dei magistrati delineato dalla circolare sulle tabelle relativa all’organizzazione degli uffici giudicanti.

Dall’art. 1 della L. 133/1998, n. 133 si ricava che la sede disagiata è l’ufficio giudiziario che abbia registrato la mancata copertura dei posti messi a concorso nell’ultima pubblicazione e presenti una

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quota di posti vacanti non inferiore al 20% dell’organico; il trasferimento d'ufficio alla sede disagiata è possibile solo quando comporti una distanza superiore ai 100 chilometri dalla sede ove il magistrato presta servizio.

Le successive norme della L. n. 133/1998 individuano i benefici connessi al trasferimento del magistrato in sede disagiata e dunque: il diritto a percepire una speciale indennità (art. 2); il diritto del coniuge, che sia dipendente statale, ad ottenere il trasferimento ex legge n. 100/1987 e succ.

mod.; la valutazione dell’anzianità di servizio in misura doppia per ogni anno di svolgimento effettivo delle funzioni nella sede disagiata, fino al sesto anno di permanenza (art. 5, comma 1); il diritto, se la permanenza effettiva nella sede disagiata supera i quattro anni, alla riassegnazione, a domanda, alla sede di provenienza, con le precedenti funzioni, anche in soprannumero da riassorbire con le successive vacanze (art. 5, comma 2); la valutazione dell’anzianità di servizio in caso di applicazione in sede disagiata con l’aumento della metà per ogni mese di servizio trascorso nella sede (art. 5 bis).

Con particolare riguardo ai quesiti posti, rileva l’art. 5, comma 2 della L. n. 133/1998, a mente del quale “Se la permanenza in effettivo servizio presso la sede disagiata supera i quattro anni, il magistrato ha diritto ad essere riassegnato, a domanda, alla sede di provenienza, con le precedenti funzioni, anche in soprannumero da riassorbire con le successive vacanze”.

Per comprendere il senso da attribuire all’espressione “precedenti funzioni” usata dall’art. 5, comma 2 appare utile fare riferimento alla nozione di “funzioni” utilizzata nelle norme dell’ordinamento giudiziario.

Orbene, il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160, nel riformare l’ordinamento giudiziario, all’art.

10 (sotto la rubrica “Funzioni”) ha precisato innanzi tutto che i magistrati ordinari si distinguono per le funzioni esercitate (comma 1); ha elencato, quindi, queste ultime in base alla divisione generale tra funzioni giudicanti e requirenti, specificando che “le funzioni giudicanti sono: di primo grado, di secondo grado e di legittimità; semidirettive di primo grado, semidirettive elevate di primo grado e semidirettive di secondo grado; direttive di primo grado, direttive elevate di primo grado, direttive di secondo grado, direttive di legittimità, direttive superiori e direttive apicali” e che “le funzioni requirenti sono: di primo grado, di secondo grado, di coordinamento nazionale e di legittimità; semidirettive di primo grado, semidirettive elevate di primo grado e semidirettive di secondo grado; direttive di primo grado, direttive elevate di primo grado, direttive di secondo grado, direttive di coordinamento nazionale, direttive di legittimità, direttive superiori e direttive apicali” (comma 2).

I commi da tre a sedici del medesimo articolo 10 dettagliano, poi, quali funzioni sono incluse nelle varie sottocategorie.

Dal D.Lgs. n. 160/2006 si desume, dunque, che le funzioni che i magistrati ordinari possono svolgere sono innanzitutto quelle giudicanti e requirenti, per come si articolano nell’elenco contemplato dal legislatore.

Alle stesse conclusioni si giunge esaminando le restanti disposizioni del D.Lgs. n. 160/2006 ove il Capo III, dedicato alla “progressione nelle funzioni”, richiama espressamente la distinzione fra le funzioni operata nel citato art. 10 (cfr. art. 12), ed il Capo IV, relativo al “passaggio di funzioni”, utilizza tale espressione per fare riferimento alla possibilità che il magistrato passi dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa (cfr. art. 13).

Particolare rilievo, poi, assume l’art. 50 del D.Lgs. n. 160/2006 che, in materia di ricollocamento in ruolo del magistrato, prevedendo che questo “avviene nella medesima sede, se vacante, o in altra sede, e nelle medesime funzioni”, dètta una disciplina affine a quella di cui al citato art. 5, comma 2 della L. n. 133/1998.

Ebbene, l’art. 50 attribuisce all’espressione “funzioni” lo stesso significato che essa assume nelle altre norme del D.Lgs. 160/2006, ovvero quello di funzioni giudicanti e requirenti. Infatti, né dalla relazione illustrativa del D.Lgs. n. 160, né da quella tecnica, né dalla nota di lettura del Senato della Repubblica n. 171 del novembre 2005 di commento alla riforma sono desumibili elementi che depongano per l’attribuzione di un significato diverso alla locuzione in parola e, in particolare,

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quello di “funzioni tabellari”. Una tale interpretazione sembra, peraltro, esclusa dalla stessa lettera della norma, facendo essa riferimento al ricollocamento in ruolo del magistrato nelle stesse funzioni e nella stessa sede, se vacante, e nelle medesime funzioni in un’altra sede, se quella originaria sia stata medio tempore occupata. È evidente come in nessun caso potrebbero rilevare le funzioni tabellari del magistrato in una sede diversa da quella cui era originariamente assegnato.

La stessa accezione di “funzioni” è utilizzata anche dal più recente D.Lgs. n. 155/2012 recante

“Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148”, ove si prevede:

all’art. 5, che “i magistrati assegnati agli uffici giudiziari soppressi entrano di diritto a far parte dell'organico dei tribunali e delle procure della Repubblica cui sono trasferite le funzioni, anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze”:

all’art. 6, comma 2, che i magistrati titolari di funzioni dirigenziali in uffici soppressi possano chiedere di essere destinati all’esercizio di una delle “funzioni” indicate dalla stessa norma ovvero quelle di consigliere di corte di appello nel distretto da essi scelto, di giudice di tribunale o sostituto procuratore della Repubblica in una sede da essi scelta, oppure scegliere di svolgere quelle esercitate prima del conferimento dell’incarico direttivo.

Anche a livello di normazione secondaria, ed in particolare nella circolare n. 13778 del 24 luglio 2014 in tema di “trasferimenti dei magistrati, conferimento di funzioni e destinazione a funzioni diverse da quelle giudiziarie”, è stata accolta la stessa accezione della nozione di “funzioni” sopra illustrata (cfr. art. 11).

In definitiva, nelle norme dell’ordinamento giudiziario l’espressione “funzioni” è stata utilizzata solamente nel senso sopra ricostruito e non come sinonimo di funzioni (rectius: posizioni) tabellari.

Tale dato, unito alla oggettiva affinità di contenuto fra le disposizioni dell’art. 50, comma 1 del D.Lgs. 160/2006 e quelle dell’art. 5, comma 2 L. 133/98, e al fatto che in quest’ultima norma l’espressione “precedenti funzioni” non è affiancata da alcun attributo o elemento aggiuntivo che consenta di attribuirle un significato più specifico rispetto a quello che assume generalmente nelle disposizioni dell’ordinamento giudiziario, inducono a ritenere che essa debba essere interpretata proprio nel senso sopra indicato e, dunque, come categoria generale comprensiva della macro distinzione fra funzioni giudicanti e requirenti.

Così come indicato per il D.Lgs. n. 160/2006, non si ricavano informazioni di segno diverso nemmeno dalla relazione illustrativa della legge n. 133/1998 o dai lavori preparatori di quest’ultima, poiché la questione non sembra essere stata affatto affrontata. Analogamente, nei lavori preparatori della L. n. 181/2008, modificativa della L. n. 133/1998, nell’ambito dei benefici cui ha diritto il magistrato che abbia espletato il proprio servizio in una sede disagiata si contempla quello a vedersi riassegnato alla sede di provenienza dopo quattro anni.

Sembra, dunque, che il legislatore in relazione alle sedi disagiate, più che appuntare la propria attenzione sulle funzioni che il magistrato deve tornare a svolgere nell’ufficio di provenienza, abbia ritenuto preminente la questione del suo rientro in detta sede, anche in sovrannumero.

A supporto dell’interpretazione del comma 2 dell’art. 5 cit. nel senso anzidetto è, peraltro, anche la specificazione contenuta nella seconda parte del terzo comma dello stesso articolo, laddove si legge che “La disposizione di cui al comma 2 non si applica ai trasferimenti che prevedono il conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi”. Pur nella dizione non del tutto chiara della disposizione appena citata, sembra desumersi da essa che il magistrato che precedentemente

1Articolo 1 (Funzioni dei magistrati)

1. I magistrati ordinari si distinguono secondo le funzioni esercitate.

2. Le funzioni giudicanti di primo grado sono quelle di giudice presso il tribunale ordinario, presso il tribunale per i minorenni, presso l’ufficio di sorveglianza, di magistrato distrettuale giudicante, nonché di magistrato addetto all’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di Cassazione. Le funzioni requirenti di primo grado sono quelle di sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario e presso il tribunale per i minorenni, nonché di magistrato distrettuale requirente.

3. Le funzioni giudicanti di secondo grado sono quelle di consigliere presso la Corte di appello. Le funzioni requirenti di secondo grado sono quelle di sostituto procuratore generale presso la Corte di appello.

4. Le funzioni requirenti di coordinamento nazionale sono quelle di sostituto presso la Direzione Nazionale Antimafia (DNA). 5. Le funzioni giudicanti di legittimità sono quelle di consigliere presso la Corte di Cassazione. Le funzioni requirenti di legittimità sono quelle di sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione.

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svolgeva funzioni semidirettive o direttive e che si sia determinato a prestare servizio in una sede disagiata, non abbia diritto, all’atto della riassegnazione alla sede di provenienza, a tornare a svolgere le pregresse funzioni direttive o semidirettive, dovendo il Consiglio Superiore in questo caso, per ragioni di efficienza e buon andamento della sua azione amministrativa, coprire tempestivamente la vacanza e dotare l’ufficio di un nuovo dirigente o semidirigente.

Anche il terzo comma dell’art. 5 richiama dunque, di fatto, l’uso del termine “funzioni” nello stesso senso delle disposizioni dell’ordinamento giudiziario di cui si è detto, nell’ambito delle quali opera innanzitutto la summa divisio fra funzioni giudicanti e requirenti, con elencazione di quelle, direttive e semidirettive, di merito e di legittimità, che rientrano nelle une e nelle altre.

In definitiva, i dati innanzi evidenziati inducono tutti a ritenere che l’art. 5, comma 2 attribuisce al magistrato che rientri nell’ufficio di provenienza, dopo il periodo di prescritto servizio in una sede disagiata, il diritto a tornare a svolgere le funzioni giudicanti o requirenti precedentemente svolte, ma non anche il diritto di essere riassegnato alle specifiche funzioni tabellari espletate nel periodo antecedente al trasferimento alla sede disagiata.

A ciò si aggiunga che dall’esame del complesso normativo di cui alla L. n. 133/1998 si desume come il legislatore abbia inteso tracciare un quadro degli incentivi attribuiti al magistrato che decida di prestare servizio in sede disagiata assai ampio, distinguendo fra quelli giuridici ed economici, ed adottando disposizioni dettagliate, di talché deve ritenersi che in ossequio al canone interpretativo dell’ubi voluit dixit ubi nolui tacuit, abbia evidentemente ritenuto che il diritto del magistrato ad essere riassegnato alla sede di provenienza anche in soprannumero, accanto al godimento degli ulteriori benefici economici e di carriera di cui si è sopra detto, sia sufficiente a compensare le difficoltà connesse all’aver scelto di prestare servizio, per un determinato tempo, in una sede disagiata.

Tanto chiarito sul significato da attribuire alla locuzione “precedenti funzioni” nell’ambito dell’art.

5, comma 2 della L. n. 133/1998, appare opportuno proseguire l’indagine esaminando il regime della mobilità interna dei magistrati al fine di chiarire se, nel caso prospettato dal Presidente del Tribunale di Pisa, potesse applicarsi, per analogia, l’art. 144 della circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2017/2019 (delibera del 25 gennaio 2017 e succ. mod.), richiamata dal dirigente in quanto applicabile ratione temporis.

In proposito occorre innanzi tutto chiarire che la predetta circolare, come quella per il triennio 2020- 2022 (approvata in data 23 luglio 2020), non contiene disposizioni riferite specificamente alla riassegnazione del magistrato proveniente da sede disagiata ex art. 5, comma 2 della L. 133/1998.

Un chiarimento in proposito non si rinviene neppure nella circolare n. 13778/2014 in tema di tramutamenti che si limita a contemplare, all’art. 92, il trasferimento in sede disagiata nell’ambito dei trasferimenti non ordinari.

Ciò posto, la nostra analisi, avuto riguardo al quadro secondario di riferimento del primo dei due quesiti, deve essere avviata partendo dall’art. 118 della circolare sulle tabelle per il triennio 2017- 2019 che prevede che il dirigente “sia per l’eventuale potenziamento di un settore rispetto agli altri, sia in tutti i casi nei quali è necessario, per esigenze di servizio, lo spostamento di magistrati da una sezione all’altra”, indica un concorso interno.

Al fine di consentire la più ampia partecipazione, del concorso va data comunicazione con modalità tali da assicurare l’effettiva conoscenza dei posti da coprire, “a tutti i magistrati dell’ufficio e a quelli che vi siano destinati dal Consiglio e che non vi abbiano ancora preso possesso, assegnando un congruo termine per la domanda, invitando tutti i magistrati ad esprimere preferenze”.

L’idea di fondo delle disposizioni della circolare in tema di mobilità interna è, evidentemente, quella che l’esercizio della giurisdizione in funzioni e materie più confacenti alle attitudini professionali e alle aspirazioni del magistrato possa contribuire a migliorare l’efficienza e l’efficacia della risposta giurisdizionale, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo. In linea con quanto detto, si pone la cadenza dei concorsi interni e la partecipazione allargata agli stessi anche dei magistrati di nuova destinazione che non abbiano ancora preso possesso nella sede e la residualità delle ipotesi di trasferimento d’ufficio dei magistrati.

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Ciò considerato, nel caso in cui vi siano più aspiranti “all’assegnazione o al tramutamento”, il dirigente applica i criteri fissati dalla circolare secondo l’ordine stabilito dall’art. 130; quindi, applicati i criteri di valutazione ed individuato, fra i vari aspiranti, il magistrato da destinare al posto oggetto di concorso interno, formula la motivata proposta di assegnazione o di tramutamento e la comunica a tutti i partecipanti alla procedura (artt. 137 e 138).

Gli articoli citati, contemplando accanto all’ipotesi del tramutamento quella dell’assegnazione, fanno espresso riferimento anche a quei magistrati che, pur essendo destinati all’ufficio, non vi prestano ancora servizio, e che, ove risultino vincitori del concorso interno, vengono assegnati al posto oggetto della procedura, non potendo invece essere tramutati, non essendo titolari di un pregresso posto all’interno dell’ufficio.

Nel paragrafo 4 della II sezione del Capo IV della circolare sulle tabelle per il triennio 2017-2019, dedicata specificamente all’assegnazione dei magistrati di nuova destinazione e al ricollocamento in ruolo, è contenuto l’art. 142 (“Assegnazione di un magistrato di nuova destinazione”) che specifica che, laddove la scelta, all’esito della procedura concorsuale, cada su un magistrato che non abbia ancora preso possesso dell’ufficio, la delibera di variazione tabellare ha effetto dalla data dell’immissione in possesso e, nel periodo compreso tra la data della delibera e quella dell’immissione, alle esigenze del posto da coprire si fa fronte mediante l’istituto della supplenza.

Laddove il magistrato non abbia partecipato al concorso o non sia risultato vincitore soccorrono le disposizioni degli artt. 143 (“Assegnazione interna”) e 144 (“Assegnazione d’ufficio”).

L’art. 143 prevede che il magistrato di nuova destinazione che non abbia ancora partecipato a un concorso sia inserito immediatamente nell’ufficio “non appena vi prende possesso con provvedimento di variazione tabellare e nel rispetto degli eventuali vincoli di settore” e che, nel tempo necessario per l’espletamento del concorso, sia temporaneamente assegnato ad uno qualsiasi dei posti vacanti, fermi i limiti previsti dagli articoli 114 (“Funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell'udienza preliminare”) e 115 (“Magistrati provenienti da un ufficio di Procura”). L’assegnazione temporanea non può in ogni caso superare la durata di sei mesi, prorogabile per non più di una volta.

Per quanto la locuzione “non abbia partecipato a un concorso” sia così generica da contemplare astrattamente sia l’ipotesi in cui il magistrato non abbia potuto partecipare alla procedura per assenza di concorso all’atto della destinazione al nuovo ufficio, o per altre contingenti ragioni personali, sia quella in cui, non avendo, se del caso, interesse per il posto messo a concorso, non abbia voluto farlo, il tenore della norma e quella del successivo art. 144 confermano che la regola ordinariamente seguita è quella della partecipazione del magistrato di nuova destinazione al primo concorso interno utile.

L’art. 144 disciplina, invece, il caso del magistrato di nuova destinazione che abbia partecipato al concorso interno, ma con esito negativo e che, dovendo essere comunque inserito nell’ufficio, viene

“assegnato d’ufficio ad uno dei posti liberi corrispondenti alla destinazione eventualmente indicata nella pubblicazione della sede”.

Con tale ultima espressione la circolare allude evidentemente al fatto che il magistrato di nuova destinazione è stato assegnato all’ufficio all’esito di un concorso per una sede giudicante, con eventuale indicazione del settore ad esso abbinato. In quest’ottica il termine “sede” contemplato dall’art. 144 deve essere inteso come “posto”, e dunque come sede abbinata ad un determinato settore, e la circolare impone di tenere conto dell’assegnazione ad un posto omologo a quello per il quale il magistrato ha chiesto il tramutamento presso l’ufficio cui è stato poi destinato.

In ogni caso, lo ‘svantaggio’ derivante dall’esito negativo del concorso, e dalla conseguente assegnazione d’ufficio prevista dall’art. 144, è compensato dal termine di legittimazione per presentare domanda per altra sezione o settore di servizio, di un anno anziché di due anni, decorrente dall’effettiva presa di possesso, così come previsto dall’art. 123.

La ratio dell’assegnazione d’ufficio risiede nella circostanza che mentre il magistrato già inserito in una sede giudiziaria che partecipa al concorso e non risulta assegnatario del posto conserva la

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posizione occupata nell’ufficio, il magistrato di nuova destinazione che partecipa alla procedura senza successo, deve comunque esservi collocato.

In questo quadro l’art. 159, lettera b), dedicato, invece, ai “trasferimenti d’ufficio”, si applica ai soli magistrati già in servizio presso una sede giudiziaria e prevede, per l’ipotesi in cui il posto, all’esito del concorso interno, sia rimasto senza aspiranti, che si applichi la regola generale prevista dall’art.

160, ovvero quella secondo la quale: “la scelta cade sui magistrati con minore anzianità di servizio nell’ufficio - anche operanti in settori diversi da quello di destinazione salvo che non vi ostino, sotto il profilo attitudinale od organizzativo, specifiche ragioni contrarie da indicare espressamente nella proposta di tramutamento - soltanto nell’ambito di una fascia di anzianità di ruolo di 4 anni.

In tale ultima fascia, nel caso di pari anzianità di servizio nell’ufficio, la scelta ricade sul magistrato avente minore anzianità di ruolo. Fuori da tale fascia, la scelta ricade sul magistrato con minore anzianità di ruolo”.

Venendo al caso oggetto di quesito, si è già anticipato come il quadro normativo sopra tracciato sia delineato per i magistrati destinati ad un ufficio all’esito di una procedura concorsuale ordinaria e non specificamente per l’ipotesi di riassegnazione di un magistrato all’ufficio di provenienza dopo un periodo in sede disagiata.

Occorre, dunque, innanzitutto verificare se nella nozione di “magistrato di nuova destinazione”, contemplato dal paragrafo 4 della sezione II del Capo IV della circolare per il triennio 2017-2019, possa essere incluso anche il caso d’interesse, o se, invece, la circostanza che il magistrato in questione sia stato un tempo appartenente a quell’ufficio sia di per sé un elemento idoneo a ricondurlo nell’ambito della diversa categoria dei magistrati già in servizio presso lo stesso, con la conseguente applicabilità, nel caso in cui il posto oggetto di concorso interno sia rimasto senza aspiranti, della citata regola di cui all’art. 160 e non di quella di cui all’art. 144.

Dalle disposizioni della circolare sopra richiamate e dall’esame sopra svolto, è possibile evincere due considerazioni: la prima è che i magistrati di nuova destinazione non appartengono alla categoria dei magistrati dell’ufficio; la seconda è che il Capo IV della circolare, per quanto in questa sede rileva, distingue solo tre categorie di magistrati, ovvero quella dei “magistrati già in servizio presso l’ufficio”, dei “magistrati assegnati all’ufficio senza avervi preso possesso che hanno partecipato ad un concorso interno” e dei “magistrati assegnati all’ufficio senza avervi preso possesso che non hanno partecipato ad un concorso interno”.

Con riferimento alla prima di dette considerazioni, deve osservarsi come l’art. 118, nel prevedere che del concorso interno debba essere data notizia “a tutti i magistrati dell’ufficio e a quelli che vi siano destinati dal Consiglio e che non vi abbiano ancora preso possesso”, ha evidentemente distinto i primi magistrati dai secondi ed ha chiarito che i magistrati che siano solo destinati ad un ufficio non possono essere considerati parte di esso fino a quando non vi prendano possesso. A tale presa di possesso può conseguire: l’assegnazione del posto messo a concorso cui abbia partecipato vittoriosamente (art. 142), l’assegnazione interna a carattere temporaneo nel caso in cui non vi abbia partecipato (art. 143), l’assegnazione d’ufficio in caso di esito negativo del concorso (art. 144).

Con riferimento alla seconda considerazione, preme evidenziare come il Capo IV della circolare si fondi sulla distinzione fra le suddette tre categorie di magistrati, essendo l’elemento dell’appartenenza all’ufficio e la partecipazione o meno al concorso gli unici tratti rilevanti ai fini della destinazione interna del magistrato ad un posto.

Da quanto detto può certamente desumersi che almeno sotto il profilo da ultimo evidenziato il caso del magistrato riassegnato all’ufficio di provenienza da una sede disagiata non sembri caratterizzarsi in modo peculiare, potendo essere astrattamente ricondotto nell’ambito di una delle tre categorie sopra menzionate a seconda della condizione specifica in cui egli versi, con conseguente applicazione delle norme innanzi specificate.

Se è vero che il magistrato riassegnato alla sede di provenienza non presenta caratteristiche così peculiari da assurgere ad una categoria autonoma, è però altrettanto vero che per verificare più concretamente la percorribilità dell’applicazione dell’art. 144 al caso di specie appare necessario

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considerare la differenza esistente tra il regime di assegnazione descritto dal predetto art. 144 e quello contemplato dall’art. 5, comma 2 della L. n. 133.

Mentre tale ultima norma si limita a prevedere che il magistrato torni a svolgere nell’ufficio di provenienza le precedenti funzioni (giudicanti o requirenti) senza ulteriori specificazioni, l’art. 144 prevede, in caso di esito negativo del concorso, che il dirigente assegni il magistrato “ad uno dei posti liberi corrispondenti alla destinazione eventualmente indicata nella pubblicazione della sede”.

Si è già detto come le disposizioni della circolare siano state all’evidenza dettate pensando all’assegnazione nell’ufficio del magistrato destinatovi all’esito di un concorso ordinario, donde il riferimento alla destinazione indicata nel bando. Tuttavia, la circostanza che l’indicazione della destinazione nel bando sia prevista dall’art. 144 solo come eventuale (“destinazione eventualmente indicata”) evidenzia la possibilità che il magistrato possa avere, al contrario, partecipato ad un concorso per un posto giudicante non ulteriormente specificato quanto al settore presso una determinata sede giudiziaria. In questo caso, dunque, la sua condizione, all’atto dell’assegnazione interna all’ufficio, non si discosterebbe da quella del magistrato riassegnato alla sede di provenienza dopo un periodo di servizio in quella disagiata, poiché dovrebbe essere assegnato d’ufficio ad uno dei posti liberi.

L’assenza nella condizione del magistrato di cui si tratta di peculiarità tali da postulare la creazione da parte del legislatore di una categoria autonoma, dotata di una disciplina espressamente dedicata alla sua riassegnazione alla sede di provenienza (che infatti, come visto, difetta nel corpo della L. n.

133/1998 e della circolare), l’affinità tra le due situazioni derivante dalla ricorrenza in entrambi i casi di “magistrati di nuova destinazione” da collocare all’interno dell’ufficio, il tenore letterale dell’art. 144 ed in particolare l’uso dell’avverbio “eventualmente” associato alla indicazione di uno specifico posto cui destinare i partecipanti al concorso ordinario - che evidenzia la possibilità che tale indicazione manchi, rendendo così il caso sovrapponibile a quello oggetto di quesito - sono elementi che inducono a ritenere che possa trovare applicazione al caso di specie, non espressamente contemplato dalla circolare, l’art. 144; e ciò in via analogica, non già all’esito di una sua interpretazione estensiva2.

Nel caso di specie si verte, infatti, nel caso di applicazione di una conseguenza giuridica (l’assegnazione interna di un magistrato ad uno dei posti liberi) prevista da una norma (l’art. 144) per una determinata ipotesi (assegnazione interna del magistrato destinato all’ufficio all’esito di un concorso ordinario) ad una fattispecie concreta riconducibile ad una classe di casi diversa (la riassegnazione del magistrato all’ufficio di provenienza da una sede disagiata) che presenta, tuttavia, con il caso disciplinato una rilevante similitudine (l’essere entrambi magistrati di nuova destinazione e l’avere partecipato, con esito negativo, ad un concorso interno con conseguente necessità di essere comunque collocati nell’ufficio in uno dei posti liberi).

Il nucleo essenziale della norma, tenuto conto del suo tenore letterale e della sua collocazione di seguito agli artt. 142 e 143, è quindi evidentemente quella di consentire l’assegnazione interna all’ufficio del magistrato di nuova destinazione ad uno dei posti liberi, rivestendo la destinazione specifica ad uno dei posti corrispondenti a quella indicata nella pubblicazione della sede vacante carattere solo eventuale e perciò non essenziale rispetto al principio di diritto evincibile dalla disposizione.

2 Come noto, si interpreta estensivamente una norma se il significato di essa viene ampliato rispetto a quello determinato sulla base della lettera della legge, non ricorrendo ad una classe di casi diversa, ma rimanendo all’interno del perimetro della normativa da interpretare.

In altri termini, si ha un’interpretazione estensiva quando ci si limita ad individuare i significati possibili delle parole usate dalla legge, ricercando all’interno di essi quelli giuridicamente ammissibili, sia quando si proceda ad attribuirsi ad una disposizione un significato più ampio (lex minus dixit quam voluit), valorizzando anche elementi che si ritiene non siano stati tenuti in considerazione dal legislatore all’epoca dell’adozione del testo normativo in commento.

Risulta dunque evidente la differenza dello strumento interpretativo da ultimo evocato rispetto all’analogia, nella quale non vi sono norme da interpretare, non essendo il caso d’interesse contemplato da alcuna di esse. Di fronte alla lacuna della legge, ai sensi dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, occorre necessariamente fare riferimento ad eventuali norme che regolano casi simili o materie analoghe. Per mezzo dell’analogia si applica, dunque, la conseguenza giuridica prevista per una determinata ipotesi ad una fattispecie concreta riconducibile ad una classe di casi diversa che presenti, tuttavia, una rilevante similitudine con il caso disciplinato.

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Da ultimo, per completezza espositiva, deve anche esplorarsi la possibilità di ricondurre il caso d’interesse alla disciplina prevista dall’art. 145 della circolare per il ricollocamento del magistrato che provenga da un periodo di attività fuori ruolo.

Si è già detto, infatti, che l’art. 50 del D.Lgs. n. 160/2006, prevedendo che il ricollocamento in ruolo del magistrato “avviene nella medesima sede, se vacante, o in altra sede, e nelle medesime funzioni”, dètta una disciplina simile nel contenuto a quella dell’art. 5, comma 2 della L. n.

133/1998. In particolare, si è chiarito come entrambe le norme prevedano, per il magistrato ricollocato in ruolo e per il magistrato riassegnato alla sede di provenienza da una sede disagiata, il diritto a tornare a svolgere le medesime funzioni3.

A fronte del dato normativo dell’art. 50, comma 1, D.Lgs. n. 160/2006, il Consiglio Superiore ha previsto, all’art. 145 della circolare sulle tabelle per il triennio 2017/2019, un beneficio più ampio di quello previsto dalla normativa di rango primario: il magistrato, infatti, all’atto del ricollocamento in ruolo “va assegnato alla destinazione tabellare di provenienza, eventualmente anche in sovrannumero rispetto all’organico della sezione”.

La scelta consiliare di attribuire in questo caso, attraverso la normativa secondaria, all’espressione

“medesime funzioni”, il significato di “funzioni tabellari precedentemente svolte” è certamente legittima in quanto più favorevole per il magistrato da ricollocare in ruolo rispetto al più restrittivo disposto dell’art. 50; tuttavia, implicando essa l’attribuzione al termine ‘funzioni’ di un significato eccentrico rispetto a quello che esso assume nelle altre disposizioni dell’ordinamento giudiziario, della circolare sui tramutamenti e della circolare sulle tabelle, ed un beneficio rafforzato e speciale per il magistrato, deve ritenersi che essa, in base alle ordinarie regole interpretative delle norme giuridiche previste dall’art. 12 delle preleggi, non possa essere applicata ad un caso diverso da quello espressamente contemplato.

Anche a prescindere da quanto sopra, difettano nel caso di specie i presupposti per l’applicazione analogica dell’art. 145, ovvero l’elemento della rilevante somiglianza fra il caso disciplinato e quello privo di regola.

Nell’ipotesi d’interesse, vi è infatti una evidente diversità dei due impianti normativi. La L. n.

133/1998, come sopra evidenziato, è stata prevista dal legislatore al precipuo scopo di favorire la copertura e la permanenza dei magistrati nelle sedi cd. disagiate, diminuendo le vacanze di organico nei territori particolarmente interessati da disfunzioni organizzative e compensando i magistrati con incentivi economici e significativi benefici di carriera attraverso un impianto normativo complesso ed autosufficiente. Essendo già compiutamente disciplinato un ricco panorama di incentivi per il magistrato, attribuire all’espressione “precedenti funzioni” il significato di ‘funzioni tabellari’

andrebbe all’evidenza oltre lo spirito della legge.

Al ricollocamento in ruolo del magistrato è, invece, dedicato l’art. 50 citato e, a livello di normazione secondaria, l’art. 145 della circolare tabelle 2017/2019 che, come visto, dètta una disciplina nel suo ambito esaustiva, ma del tutto peculiare, non solo perché prevede che in caso di

“riassegnazione di un magistrato al medesimo ufficio a seguito di ridestinazione alle funzioni giudiziarie da un precedente collocamento fuori ruolo, il medesimo va assegnato alla destinazione tabellare di provenienza, eventualmente anche in sovrannumero rispetto all’organico della sezione” (comma 1), ma anche che l’anzianità di servizio nell’ufficio ai sensi dell’articolo 130, comma 1, lett. b), va calcolata tenendo conto anche del periodo di servizio prestato prima del collocamento fuori ruolo (comma 2) e che la disposizione del primo comma “si applica, se richiesto dall’interessato, anche nel caso di cessazione da un incarico direttivo o semidirettivo e di riassegnazione del magistrato all’ufficio occupato prima del conferimento dell’incarico direttivo o semidirettivo”.

3 In verità l’art. 50, comma 1 del D.Lgs. n. 160 fa riferimento alle “medesime funzioni”, ovvero quelle svolte prima del collocamento fuori ruolo, mentre l’art. 5, comma 2, si riferisce al diritto del magistrato ad essere riassegnato alla sede di provenienza con le “precedenti funzioni”. La differenza lessicale non vale a divaricare il significato delle due disposizioni che depone in entrambe le ipotesi nella direzione di ricondurre il magistrato nello status quo ante, con i limiti però sopra evidenziati, ovvero quello di non poter attribuire all’espressione “medesime funzioni” o “precedenti funzioni”

il significato di precedenti funzioni tabellari.

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Il diverso trattamento previsto dalla normativa secondaria per le due ipotesi è verosimilmente dovuto alla considerazione che mentre il magistrato che decida di dichiarare la propria disponibilità a svolgere servizio in una sede disagiata potrebbe permanervi, in astratto, per tutta la durata della sua carriera, il collocamento fuori ruolo è necessariamente a termine e dunque, seppur il quando di detto rientro conserva un margine d’incertezza, vi è almeno la sicurezza sull’an. In altri termini, dopo quattro anni presso la sede disagiata il magistrato vanta un diritto alla riassegnazione, che può anche non esercitare; invece, al momento del ricollocamento in ruolo, il magistrato è obbligato a rientrare nella sede di provenienza, ove vacante. Da qui, la necessità di considerare, senza soluzione di continuità, i due momenti della carriera del magistrato, saldandoli fra loro attraverso le disposizioni dell’art. 50 cit. di equiparazione del periodo trascorso fuori ruolo alle ultime funzioni svolte e del diritto a tornare nella stessa sede e nelle stesse funzioni.

In sostanza, alla luce di quanto esposto in tema di distinzione tra analogia ed interpretazione estensiva, appare evidente come la ‘vicinanza’ del dato normativo primario rappresentato dall’art.

50, comma 1 del D.Lgs. n. 160/2006 e quello dell’art. 5, comma 2 della L. n. 133/1998 sopra evidenziata, non sia sufficiente di per sé sola a rendere percorribile la strada dell’applicazione analogica al caso oggetto di quesito, della disciplina prevista dall’art. 145 della circolare, a fronte della diversità di presupposti fattuali per l’applicazione dell’una e dell’altra norma e della differenza dei due impianti normativi complessivi, elementi questi ultimi che rendono chiara l’assenza nel caso di specie di quella ‘rilevante somiglianza’ tra la situazione disciplinata e quella priva di disciplina, presupposto per il ricorso allo strumento dell’analogia.

Da ultimo, e per completezza, deve rilevarsi come nella nuova circolare sulle tabelle 2020-2022 la previsione dell’art 145 è stata modificata. Il nuovo art. 139, infatti, prevede che “in caso di riassegnazione di un magistrato al medesimo ufficio a seguito di ridestinazione alle funzioni giudiziarie da un precedente collocamento fuori ruolo, il medesimo va assegnato alla destinazione tabellare di provenienza, se vacante. Se la destinazione tabellare non è vacante si applica l’articolo 138”. In altri termini, il diritto a tornare nel posto precedentemente occupato presso l’ufficio di provenienza è stato subordinato alla sua vacanza all’atto della riassegnazione, con conseguente esclusione di una destinazione tabellare in sovrannumero. Ove la destinazione tabellare pregressa non sia vacante, si applica il nuovo art. 138, il quale stabilisce: “1. Il magistrato di nuova destinazione che non abbia ancora partecipato a un concorso per la copertura di posti vacanti è inserito nell’ufficio non appena vi prende possesso, con provvedimento di variazione tabellare e nel rispetto degli eventuali vincoli di settore. 2. Nel tempo necessario per l’espletamento del concorso, il dirigente dell’ufficio con provvedimento motivato assegna temporaneamente il magistrato a uno qualsiasi dei posti vacanti, fermi i limiti previsti dagli articoli 111 e 112. 3. L’assegnazione non può superare la durata di sei mesi, prorogabile per non più di una volta. 4. Espletato il concorso interno, i magistrati di nuova destinazione risultati perdenti anche su eventuali posti di risulta indicati, o che non abbiano partecipato al bando, vanno collocati d’ufficio ad uno dei posti rimasti vacanti tra quelli pubblicati. 5. Nel caso in cui non siano rimasti posti vacanti tra quelli pubblicati, i magistrati di nuova destinazione vanno collocati in uno dei posti di risulta che il dirigente aveva indicato avrebbe sicuramente coperto rimasti vacanti. In mancanza, il dirigente provvede ad espletare un ulteriore concorso per i posti, in numero pari a quello dei magistrati di nuova destinazione ancora da collocare, liberatisi all’esito del concorso o liberi e non pubblicati, indicando le ragioni della copertura”.

In definitiva, esaminate le disposizioni di rango primario di cui alla L. n. 133/1998 e quelle della circolare sulle tabelle per gli uffici giudicanti applicabile ratione temporis al caso d’interesse, appare opportuno applicare ad esso in via analogica l’art. 144. Non potrà, invece, trovare applicazione analogica l’art. 145, prevedendo la norma il diritto del magistrato ricollocato in ruolo di tornare a svolgere le funzioni tabellari esercitate prima del collocamento fuori ruolo, con una previsione di favore di carattere eccezionale, e perciò insuscettibile di essere applicata analogicamente a casi diversi da quelli espressamente da essa contemplati.

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Venendo, da ultimo, al quesito del dott. XXX, appare evidente che se non esiste un diritto del magistrato riassegnato alla sede di provenienza (dopo aver prestato servizio nella sede disagiata per un periodo superiore a quattro anni) ad essere ridestinato al settore ed alla posizione tabellare occupata prima del tramutamento ex art. 1 L. 133/1998, non sussiste neanche un obbligo del dirigente ad assegnare il predetto magistrato al settore ed alla posizione tabellare in precedenza coperti.

Tanto premesso,

delibera di rispondere ai quesiti posti nel senso che:

- il magistrato riassegnato alla sede di provenienza dopo aver prestato servizio nella sede disagiata per un periodo superiore a quattro anni non ha diritto ad essere riassegnato in ogni caso al settore ed alla posizione tabellare occupata prima del tramutamento ex art. 1 L.

133/1998; egualmente, non sussiste un obbligo del dirigente a riassegnare il predetto magistrato riassegnato alla medesima posizione tabellare in precedenza occupata;

- al magistrato riassegnato alla sede di provenienza dopo aver prestato servizio nella sede disagiata per un periodo superiore a quattro anni, nella vigenza della Circolare sulla formazione delle tabelle per il triennio 2017-2019, poteva applicarsi in via analogica la disposizione dell’art. 144”.

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