PAOLO DELLA VEDOVA
Alcune riflessioni intorno all’art. 183 bis del codice di rito civile ed al giudizio sommario di cognizione
1) Il rito sommario di cognizione. 1 a) I poteri del giudice. 1b) La complessità della lite. Complessità della cognizione e complessità dei diritti. 1c) La complessità dell’istruzione probatoria. 1d) La valutazione del Giudice. 2) Il contraddittorio. Il diritto al rito ordinario. 3) Le prove. 4) L’udienza di cui all’art. 702ter. La relazione tra rito sommario e rito ordinario. Conclusioni
L'articolo 14 del decreto legge n. 132/2014, recante “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile”, convertito, con alcune modifiche, nella legge 10 Novembre 2014 n. 162, ha introdotto, nel codice di rito civile, l'articolo 183bis, il quale reca, quale rubrica, la seguente: "Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione".1 Dunque, già dalla rubrica della norma s’intende come quest’ultima rappresenti una particolare disciplina procedimentale, destinata a formalizzare e, conseguentemente, a rendere concreto, il passaggio del giudizio, dal rito ordinario, così come disciplinato dal Libro II del Codice di procedura civile, al rito sommario di cognizione che, come è noto, è disciplinato dagli articoli 702bis, 702ter e 702quater, contenuti nel Capo IIIbis del Titolo I, dedicato ai Procedimenti sommari, a sua volta contenuto nel Libro IV dello stesso codice.2
1 Sulla recentissima riforma si vedano : Consolo, Un d.l. processuale in bianco e nerofumo sullo equivoco della «degiurisdizionalizzazione» in Corr. giur., 2014, pp.
1173 ss. ; Briguglio, L'ottimistico Decreto-‐legge sulla 'degiurisdizionalizzazione' ed il trasferimento in arbitrato delle cause civili, in Riv. arbitrato, 2014, III, pp.
633 – 640 ; Id., Nuovi ritocchi in vista per il processo civile: mini-‐riforma ad iniziativa governativa, con promessa di fare (si confida su altri e più utili versanti) sul serio, in www.giustiziacivile.com; AA. VV., La riforma della giustizia, in Il Sole24 Ore, 2014.
2 Sul giudizio sommario di cognizione, si vedano : Giordano, Il procedimento sommario di cognizione, in Giur.merito, 2009, V, pp. 1210 -‐ 1223 ; Della Vedova, Il giusto processo sommario, Padova, 2013, pp. 173 – 199 ; Luiso, Il procedimento sommario di cognizione, in Giuri. it., 2009, VI, pp. 1568 – 1570 ; Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione, in Dir. e giur., 2009, pp. 389 – 400 ; Caponi, Un modello ricettivo delle parassi migliori :il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, pp. 334 – 338 ; Id., Procedimento sommario di cognizione e canone di proporzionalità, in Questione giustizia, 2010, pp. 61 – 70 ; Balena, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, pp. 324 – 334 ; Dittrich, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, in Riv.dir.proc., 2009, pp.
1582 – 1600 ; Ferri, Il procedimento sommario di cognizione, in Riv.dir.proc., 2010, pp. 92 – 101 ; Carratta, Le condizioni di ammissibilità del nuovo procedimento sommario di cognizione, in Giur.it., 2010, pp. 726 – 730 ; Id., Nuoco procedimento sommario di cognizione e presupposto dell’istruzione sommaria :
Atteso che, in particolare, il cennato articolo 702ter, che disciplina in modo specifico il procedimento sommario di cognizione, consente al giudice, in costanza delle difese svolte dalle parti, che richiedano un’istruzione non sommaria, di disporre, con ordinanza non impugnabile, la fissazione dell'udienza di cui all'articolo 183 c.p.c., applicandosi in tal caso le disposizioni del Libro II, l'introduzione di una norma che consente, sostanzialmente, il risultato opposto, (ovvero il passaggio dal rito ordinario al rito sommario) non può non spingere l'interprete a porsi alcuni interrogativi circa tale meccanismo e, soprattutto, circa l'opportunità della sua introduzione.
Richiamando, necessariamente, il titolo della novella ed escludendo, come appare ovvio, che l’innovazione prevista dall’art. 183bis rientri nel solco delle misure urgenti di “degiurisdizionalizzazione”, essa conseguentemente ricade all'interno dei cosiddetti "altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile", ai quali la novellazione cennata fa riferimento.
Pertanto, apprendiamo che la norma, oggetto della presente dinamica, avrebbe lo scopo di consentire la definizione dell'arretrato in materia di processo civile e ciò attraverso il passaggio dal rito ordinario al rito sommario, cosi che si può ben ritenere che il legislatore consideri il rito sommario alla stregua di una modalità procedimentale che possa consentire di definire e, per certi aspetti, risolvere il problema dell'arretrato in materia di processo civile.
Ci permettiamo di osservare, per incidens, che il cosiddetto arretrato altro non è che un cospicuo numero di cause civili che hanno ad oggetto diritti soggettivi, il cui accertamento e la cui tutela sono attesi dalle parti.3
È di tutta evidenza che, sebbene per molti aspetti il legislatore delle recenti novellazioni sembra esserne dimentico, ciò che si intende “smaltire” (ed usiamo questo termine consci della sua brutale crudezza) è, in realtà, l’insieme di altrettante domande di giustizia, alle quali non si trova e non si è trovato alcun altro rimedio che non sia rappresentato dalla introduzione di norme che unicamente posseggono lo scopo ( peraltro quasi mai raggiunto) di rendere più rapido, ma non sapremmo dire se più giusto, il processo.
Oltretutto, nel caso concreto, è opportuno rammentare che l'innovazione contenuta nell'articolo 183bis del codice di procedura civile non può che dispiegare i suoi effetti unicamente per le cause "nuove", ovvero per quei procedimenti che vengano promossi successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione del Decreto n. 132, quindi, in base al comma 2 dell'articolo 14, per quei procedimenti promossi a
prime applicazioni, in Giur.it., 2010, pp. 902 – 905; Consolo – Luiso, Assestamenti
funzionali per l’effettività piena del procedimento sommario di cognizione: iuna prima conclusione, in Corr. giur., 2010, pp. 519 -‐521 ; Porreca, Il procedimento sommario di cognizione : un rito flessibile, in Riv. trim. di dir. e proc.civ., 2010, pp.
823 – 858; Capponi, Il procedimento sommario di cognizione tra norme e istruzioni per l'uso, in Corr. giur., 2010, VIII, pp. 1103 – 1111; Ronco, Il procedimento sommario di cognizione nel prisma dell'incompetenza, dell'inammissibilità della domanda (e del mutamento del rito), in Giur.it., 2012, 10, pp. 2106 – 2109.
3 Sulla durata del processo civile in Italia si veda, tra i diversi contributi :OECD Economic Policy Papers: Judicial performance and its determinants: a cross – country perspective, 2013, sp. pp. 11 -‐ 15
far data dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.
Pertanto, già in prima battuta, appare opportuno ritenere che, almeno in linea generale, il passaggio dall'un rito all'altro, ovvero dall'ordinario al sommario, non potrebbe portare alcun immediato giovamento alla necessità di definizione dell'arretrato civile, della quale si è fatto cenno e che ha guidato la mano del legislatore.
Tralasciamo, inoltre, le considerazioni in merito all’opportunità che le modifiche al processo civile, generalmente non coordinate ed inorganiche, abbiano quale unico scopo, perlomeno apparente, la “velocizzazione” dei procedimenti, essendo noto, infatti, che lo scopo del processo è, o dovrebbe essere, l'accertamento della verità ed il ristoro dei diritti eventualmente lesi.4
Per tornare, dunque, alla norma in esame che, necessariamente, andrà posta in relazione con quanto previsto dall'articolo 702ter del codice di procedura civile, mette conto riportarne il meccanismo, che sta alla base del c.d. “passaggio di rito”.
L’articolo 183bis, dunque, prevede che nelle cause in cui il Tribunale giudichi in composizione monocratica, il giudice, nell'udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria, può disporre, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda a norma dell'articolo 702ter e invita le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria. Se richiesto, può fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a 15 giorni per l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e termine di ulteriori 10 giorni per le sole indicazioni di prova contraria.
Questo essendo il tenore letterale, ci pare che lo stesso si discosti, seppur in parte, da quanto prevede l'articolo 702ter c.p.c., per il passaggio dal rito sommario a quello ordinario, introducendo, inoltre, alcuni elementi precettivi, aventi ad oggetto i mezzi di prova ed il relativo potere di deduzione, che non sembra si inseriscano in modo funzionale all'interno del rito sommario, come vedremo più oltre.
È opportuno, dunque, esaminare partitamente gli elementi che compongono il meccanismo procedimentale del passaggio del giudizio dal rito ordinario a quello sommario, soprattutto con riguardo al giudice ed alle parti.
4 Sulla questione, sicuramente controversa ma altrettanto affascinante della ricerca della verità nel processo, si vedano, inter alios : Pugliatti, Conoscenza, in Enc .del dir., IX, Milano, 1961, pp. 45 – 131 ; Taruffo, la prova dei fatti giuridici : nozioni generali, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 1992, pp. 43 e ss.; Id., La verità nel processo, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 2012, IV, pp. 1117 – 1135 ; Comoglio, Regole deontologiche e doveri di verità nel processo, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 1998, III, 2, pp. 128 – 136 ; Id., Le prove civili, Torino, 2010, pag. 19 ; Resta, Le verità e il processo, in Politica del diritto, 2004, pp. 369 – 408 ; Chiarloni, Riflessioni microcomparative su ideologie processuali e accertamento della verità, in Rivi. trim. di dir. e proc. civ., 2009, IV, pp. 101 -‐ 117 ; Dittrich, La ricerca della verità nel processo civile: profili evolutivi in tema di prova testimoniale, consulenza tecnica e fatto notorio, in Riv. dir. proc, 2011, I, pp.
108 – 125.
1 a) I poteri del giudice
La norma indica, preliminarmente, il momento, all’interno del processo, nel quale avrà da valutarsi ed effettuarsi il passaggio dal rito ordinario al rito sommario.
Si tratta dell'udienza di trattazione, che è disciplinata dall'articolo 183 del codice di procedura civile, il quale reca la rubrica "Prima comparizione delle parti e trattazione della causa".
È in tale momento che il giudice, per le sole controversie assegnate alla cognizione del Tribunale in composizione monocratica, dovrà valutare la complessità della lite ed, inoltre, valutare la complessità dell'istruzione probatoria. Solo al termine di tale valutazione il giudice potrà disporre il passaggio dal rito ordinario al rito sommario.
Riteniamo che sarebbe opportuno limitare l’espletamento di tale attività valutativa all’ambito della sola udienza di prima comparizione, come sopra richiamata e non interpretare la lettera della norma, contenuta nel cennato art.183bis, nel senso di estenderne la portata, sino a comprendere anche una o più successive udienze di rinvio, nelle quali procedere alla valutazione ed all’eventuale passaggio di rito.
Atteso che la funzione della norma appare essere quella di individuare l’esistenza delle condizioni per l’effettuazione del cennato passaggio di rito, non vi è altro momento, all’interno del processo, se non quello dell’udienza di prima comparizione, la quale, in questo caso, bene fungerebbe da spartiacque, assolvendo adeguatamente alla esigenza di celerità del giudizio prefissatasi dal legislatore.
È di tutta evidenza, dunque, che appare fondamentale identificare e delimitare l'ampiezza del potere del giudice, nel momento in cui lo stesso dovrà effettuare la cennata valutazione ma, anche, è, allo stesso modo evidente che occorrerà approfondire la natura di tale valutazione ed i meccanismi che condurranno il giudice a consentire il passaggio del rito.
Non ci sembra, dunque, che tale potere sia di natura discrezionale, quanto al contenuto, mentre appare assai arduo delineare concretamente che tipo di valutazione debba effettuare il giudice, atteso che il legislatore si è limitato ad utilizzare il termine "complessità", posto in relazione alla lite ed all'istruzione probatoria.
In effetti, la valutazione del giudice dovrà avere ad oggetto non soltanto la lite e, quindi, la sua complessità ma anche l'istruzione probatoria, o meglio quello che appare essere l'istruzione probatoria, sulla scorta delle prove dedotte dalle parti, nei rispettivi atti introduttivi, posto che in questa sede il giudice non ha ancora provveduto circa le richieste istruttorie delle parti stesse.
È ovvio, quindi, che in tale fattispecie il giudice debba svolgere una valutazione complessiva che, tuttavia, a sua volta, è la risultante di due valutazioni singole che riguarderanno, rispettivamente, per un verso, la lite e, per altro verso, appunto, l'istruzione.
Quale tipo di valutazione il giudice dovrà compiere per poter disporre il passaggio del rito, per quanto, come vedremo, tale valutazione non sembra essere l'unico elemento determinante la decisione ?
1b) La complessità della lite. Complessità della cognizione e complessità dei diritti Ci sembra che individuare il concetto di complessità, con riguardo alla lite sia oltreché necessario, direttamente conseguente all'applicazione di tale norma, poiché è di tutta evidenza che una lite complessa non potrebbe consentire, di per sé, il mutamento di rito, richiedendo, al contrario, l'applicazione del giudizio ordinario di cognizione e di tutti i suoi meccanismi ed istituti, i quali dovrebbero garantire una cognizione piena e completa e, quindi, un più compiuto e completo accertamento dei fatti oggetto della lite.
Appare ovvio che questa norma rappresenti, tutto sommato, il risultato della necessaria distinzione che corre tra la cognizione ordinaria, da un lato, e la cognizione sommaria non cautelare, dall’altro, quest'ultima limitata, dunque, alle controversie che non richiedano un’istruzione diremmo “tipica” e che, per loro natura, possono consentire al giudice l'esercizio di una cognizione sommaria perché superficiale, incompleta o, come nel caso del giudizio sommario, ampiamente deformalizzata.
Se, quindi, tale norma contiene in sé questa necessaria distinzione, appare evidente che il concetto di complessità della lite debba essere posto in relazione alla natura della lite stessa ed alla possibilità che il giudice ne conosca in modo sommario.
Pertanto, sarà complessa quella lite che, secondo il giudice, non potrebbe essere proficuamente decisa attraverso una cognizione sommaria, e ciò perché tale lite presenta elementi costitutivi, in fatto e diritto, che, per loro natura, richiedono un esame approfondito, pieno e completo.
Oltre a ciò, si potrebbe ritenere che la complessità, in tale caso, richieda necessariamente l'applicazione di quei principi fondamentali che caratterizzano il giudizio ordinario di cognizione e che, per molti aspetti, rappresentano una garanzia per le parti, con ciò dovendosi necessariamente fare riferimento ai parametri ed agli schemi del c.d. "Giusto processo” oltre che alle sue regole.
Potremmo, quindi, concludere, in prima battuta, affermando che la complessità della lite - che impedisce quindi il passaggio del giudizio dal rito ordinario a quello sommario - da un lato, riguarda necessariamente il tipo di cognizione, così che la natura e l'oggetto della controversia male si adattino ad una cognizione sommaria, mentre, dall'altro lato, sarà complessa e, pertanto, impedirà il passaggio di rito, quella controversia che, per l'oggetto che la caratterizza ma anche per i diritti che vi sono coinvolti, necessariamente richiama i principi fondamentali del giusto processo, così come esplicitati all'interno del giudizio ordinario di cognizione.
Si tratterebbe, in pratica, di identificare una "complessità della cognizione" da un lato e, dall'altro una "complessità dei diritti", di natura tale e coinvolgenti interessi tali da non poter prescindere dall'adozione di una cognizione piena e completa.
1c) La complessità dell’istruzione probatoria
Accanto, dunque, alla complessità della lite, la norma in esame richiede che il giudice, al fine di procedere con il passaggio di rito, verifichi anche la complessità dell'istruzione probatoria5, in questo caso, dunque, rendendosi necessario un approfondimento di ciò che si possa intendere per tale endiadi.
Atteso che, per molti aspetti, la complessità della lite tutto sommato potrebbe ricomprendere in sé anche l’ulteriore concetto di complessità dell'istruzione probatoria, tuttavia ci pare che tale particolare previsione possegga un carattere di specificità.
Potremmo, infatti, sostenere che la complessità dell'istruzione probatoria è la risultante di una valutazione, da un lato, avente ad oggetto i mezzi di prova che sono stati dedotti dalle parti (per quanto, in effetti, le parti potrebbero non averne dedotto alcuno) e, dall'altro, riguardante la controversia in sé ed i mezzi di prova che potrebbero (e dovrebbero) essere assunti, allo scopo di rispettare la regola di giudizio rappresentata dal principio dell'onere della prova, di cui all'articolo 2697 del codice sostanziale.6
Si tratterebbe, pertanto, di valutare ciò che potrebbe essere l'istruzione probatoria, per comprendere se, relativamente ai diritti fatti valere dalle parti ed alle rispettive allegazioni difensive, le prove da assumere possano essere oggetto di una cognizione deformalizzata o, piuttosto, debbano seguire le rispettive discipline assuntive, senza discostarsene.
Chi scrive ha analizzato il concetto di deformalizzazione dell'istruzione nell'ambito del giudizio sommario di cognizione, concludendo per l'applicazione, in tale caso, di regole di assunzione delle prove diverse e meno rigide, se così si può dire, rispetto a quelle che caratterizzano la cognizione piena e completa.7
Riteniamo, infatti, che una sorta di “tipicità” della cognizione deformalizzata passi proprio attraverso l'utilizzo delle prove atipiche, per un verso e, per altro, consenta l'assunzione di prove tipiche, senza, tuttavia, la necessaria e completa applicazione delle norme rispettive, aventi ad oggetto proprio le modalità di assunzione.
5 Sull’istruzione probatoria e sulla sua natura, si vedano: Cavallone, Crisi delle
"maximen" e disciplina dell' istruzione probatoria, in Riv. dir. proc., 1976, IV, pp.
678 – 707 ; Denti, Sull’istruzione probatoria, in Riv. dir. proc., 1979, II, pp. 252 – 256 ; Tarzia, Problemi del contraddittorio nell' istruzione probatoria civile, in Riv.
dir. proc., 1984, IV, pp. 634 – 658 ; Taruffo, L' istruzione probatoria, in Riv. trim.
di dir. e proc. civ., 1988, IV, pp. 1313 – 1319; Ciaccia Cavallari, Le preclusioni e l'istruzione probatoria del nuovo processo civile, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 1999 fasc. 3, pp. 887 – 930.
6 Sull’onere della prova quale regola di giudizio si vedano, tra gli altri : Taruffo, Onere della prova, in Digesto, dis.priv., XIII, Torino, 1995 1a ed. e 2013 2a ed., pp.
65 – 78, sp. 73 – 74 ; Verde, Considerazioni sulla regola di giudizio fondata sull' onere della prova, in Riv. di dir. proc., 1972, III, pp. 438 – 463 ; Comoglio, Le prove civili, Torino, 1998, pp. 177 e ss. ; Micheli, L’onere della prova, Padova, 1966, pp.
151 ss.
7 Cfr., Della Vedova, op.cit., pp. 192 e ss.
Siamo ben consci del fatto che, anche in tale caso, lo schema di riferimento debba comunque essere quello rappresentato dal giusto processo e dal rispetto dei diritti fondamentali delle parti che tale schema delinea e protegge.8
Tuttavia, ci sembra che si possa concludere per considerare l’istruzione probatoria complessa - e, pertanto, impeditiva del passaggio di rito - quella che, qualora si caratterizzasse per l’assunzione di prove atipiche o di prove tipiche e tuttavia deformalizzate, quanto alle modalità assuntive, potrebbe impedire l’accertamento completo dei fatti o, financo, vulnerare i diritti fondamentali delle parti, con riguardo a quella specifica controversia.
Per fare un esempio, potremmo riferirci all'utilizzabilità di prove atipiche9, quali la posta elettronica non certificata o, per altro verso, l'assunzione di prove testimoniali senza che il teste debba rispondere su capi specifici, predisposti dai difensori.
Allo stesso modo - e per restare all'ambito della testimonianza - la possibilità che il giudice ammetta la testimonianza di un soggetto terzo, che, tuttavia, terzo propriamente non è e, quindi, se ne consenta la dichiarazione anche in ispregio dei limiti soggettivi alla prova testimoniale.10
8 Sul “giusto processo ”molto è stato scritto. Si vedano, tra gli altri : Trocker, Il nuovo articolo 111 della costituzione e il "giusto processo" in materia civile: profili generali, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 2001, II, pp. 381 – 410 ; Costantino, Il giusto processo, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2002, III, pp. 244 – 255 ; Comoglio, Il "giusto processo" civile nella dimensione comparatistica, in Riv. dir. proc., 2002, III, pp. 702 – 758 ; Id., "Terza via" e processo "giusto", in Riv.
dir. proc., 2006, II, pp. 755 -‐ 762 ; Id., "Requiem" per il processo "giusto", in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2013, I, II, pp. 47 -‐ 66 ; Fazzalari, Il giusto processo e i "procedimenti speciali" civili, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 2003, I, pp. 1 – 6 ; Vignera, Il "giusto processo" nell'art. 111, comma 1, Cost. : nozione e funzione, in Informazione previdenziale, 2003, IV, pp. 979 – 988 ; La China, Giusto processo, laboriosa utopia, in Riv. dir. proc., 2005, IV, pp. 1111 – 1126 ; Chiarloni, Giusto processo, garanzie processuali, giustizia della decisione, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 2008 I, pp. 129 – 152 ; Colesanti, Il giusto processo (art. 111 Cost.) civile: la garanzia dei diritti, la durata e i tempi del processo, in Iustitia, 2009, I, I, pp. 41 – 53.
9 Sulle prove atipiche, si vedano, tra gli altri : Taruffo, Prove atipiche e convincimento del giudice, in Riv. dir. proc., 1973, pp. 393 e ss. ; Comoglio, Garanzie costituzionali e prove atipiche nel procedimento camerale, in Riv.trim. di dir. e proc.civ., 1976, III, pp. 1150 -‐ 1168 ; Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, in Riv. dir. proc., 1978, IV, pp. 679 – 740; Montesano, Le "prove atipiche" nelle "presunzioni" e negli "argomenti" del giudice civile, in Riv. dir.
proc., 1980, II, pp. 233 – 251 ed anche in Studi in memoria di Salvatore Satta, Padova, 1982, pp. 234 e ss. ; Ricci, Le prove atipiche, Milano, 1999.Con riferimento alla atipicità della fonte ed alla modalità di assunzione si veda : Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010, pp. 52 e ss., sp. 86 e ss.
10 Assai interessanti (anche se con riguardo all’istituto della confessione), le riflessioni di Denti, in Interrogatorio formale di parte non legittimata a confessare, in Giur. It., 1960, 863 e ss. Quanto alla prova testimoniale ed ai suoi limiti, si vedano : Taruffo, Rilevanza e specificità dei fatti nella deduzione della
È di tutta evidenza che una istruzione complessa non potrebbe limitarsi ad utilizzare tali strumenti, specifici della cognizione deformalizzata e, per certi aspetti, inapplicabili all’interno del rito ordinario di cognizione.
1d) La valutazione del Giudice
Nell'ambito dell'esame della lettera della norma, contenuta nell'articolo 183bis del codice di rito civile, soprattutto in relazione alla valutazione che il giudice deve effettuare alla prima udienza di comparizione, sembra opportuno soffermare l'analisi sui criteri che debbono caratterizzare questa attività valutativa.
Certo il giudice, nell'ambito del suo potere - dovere di decidere la controversia, procede continuamente attraverso attività valutative, siano esse dirette ad apprezzare le prove assunte o, ancor prima, aventi ad oggetto i criteri di ammissibilità e rilevanza delle prove stesse od, infine, dovendo valutare il materiale raccolto durante la fase dell’istruzione, al fine di decidere la controversia.
Ciò che ci preme porre in rilievo, tuttavia, è sostanzialmente il criterio valutativo che il giudice dovrà utilizzare, da un lato, esaminando la lite e la sua complessità e, dall'altro, ancora esaminando l'istruzione probatoria e la sua complessità.
Ci pare che sia fondamentale individuare un criterio valutativo, non tanto a seguito di ciò che si è detto sopra, circa il concetto di complessità, quanto relativamente al meccanismo cognitivo, in base al quale il giudice riterrà esistenti le condizioni per il passaggio del rito.
Il primo elemento che riteniamo si debba considerare è quello rappresentato dal criterio dell’id quod plermuque accidit, così che il giudice dovrà necessariamente rapportare sia la complessità della lite, che la complessità dell'istruzione probatoria, a ciò che accade o potrebbe accadere nella maggioranza dei casi, laddove controversie simili od identiche presentino simili od identici elementi costitutivi.11
prova testimoniale, in Riv. dir proc., 1970, IV, pp. 688 – 697 ; Montesano, L'
interrogatorio libero dei "terzi interessati" dopo la sentenza costituzionale n. 248 del 1974, in Riv dir. proc., 1975, II, pp. 222 – 227 ; Comoglio, Incapacità e divieti di testimonianza nella prospettiva costituzionale, in Riv. dir. proc., 1976, I, pp. 41 – 75; Lapertosa, La prova testimoniale e il governo della istruttoria: un problema sempre attuale di compatibilità irrisolte, in Foro padano, 1990, IV, pp. 59 – 72 ; Dondi, Prova testimoniale nel processo civile, in Digesto, disc. priv., XVI, Torino, 1997, ed anche 2008, 2° ed. pp. 41 -‐ 64 ; Auletta, Sulla sanatoria delle nullità relative alla prova testimoniale, in Giust. civ., 1999, VII -‐ VIII, I, pp. 2068 – 2070 ; Carpi, La prova testimoniale nel processo civile, in Diritto e Formazione, 2003, II, pp. 301 – 307 ; Della Vedova, Capacità sopravvenuta ed attendibilità del testimone nel giudizio civile. Una disciplina “dispensabile”?, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2013, VII – VIII, pp. 728 – 732 ; Fornaciari, A proposito di prova testimoniale «valutativa», in Riv. dir. proc., 2013, IV, pp. 1004 -‐
1020.
11 Al proposito, sarebbe interessante (benché non sia la sede appropriata) approfondire il legame intercorrente tra l’attività valutativa de qua e le
Infatti, è di tutta evidenza che, soprattutto con riguardo alla valutazione dell'istruzione probatoria, il giudice dovrà necessariamente tener conto di ciò che normalmente richiede l'applicazione di quella prova, nell'ambito di quella determinata controversia o tipo di controversie.
Ma accanto a tale criterio riteniamo, altresì, che il giudice debba estendere ed applicare all’attività di valutazione, come sopra descritta, anche il criterio rappresentato dal suo prudente apprezzamento, così come richiamato, sebbene nell'ambito dei poteri di valutazione delle prove, dall'articolo 116 del codice di procedura civile.12
La prudentia richiesta al giudice in tale caso, sebbene cada ad acconcio per ciò che attiene alla valutazione della complessità delle prove e, pertanto, dell'istruzione probatoria - sia questa fondata su istanze già proposte o che, per altro verso, le parti presumibilmente proporranno - dovrà estendersi anche ad una valutazione complessiva della controversia, così da poter escludere che quella lite – ed il suo ambito, desumibile dalle allegazioni in fatto e diritto delle parti od anche, dalla assenza o limitatezza di tali allegazioni - richieda una cognizione piena e completa ma, al contrario, consenta il passaggio del rito, proprio al fine di ottenere più rapidamente una decisione.
2) Il contraddittorio. Il diritto al rito ordinario
La norma in esame, attesa, dunque, la necessità della valutazione cennata, prevede, altresì, che il giudice possa disporre, con ordinanza non impugnabile, previo contraddittorio, anche mediante trattazione scritta, che si proceda a norma dell'articolo 702ter c.p.c., ovvero secondo gli snodi del giudizio sommario di cognizione.
Ciò che ci preme porre in rilievo è la previsione per la quale il giudice deve stimolare il preventivo contraddittorio tra le parti.
Atteso che la lettera della norma fa riferimento alla trattazione scritta, tuttavia facendola precedere dall'avverbio "anche", ci pare che il contraddittorio si debba costituire all'udienza di prima comparizione, ove è più logico e naturale che le parti discutano in ordine alla valutazione del giudice circa l'eventuale passaggio di rito.
argomentazioni presuntive del giudice, su di che si veda esaustivamente :
Comoglio, Le Prove civili cit., pp. 645 e ss.
12 Ci pare opportuno richiamare, al proposito, le considerazioni di Comoglio, Art.
116 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile diretto da Comoglio – Consolo – Sassani – Vaccarella, Torino, 2012, pp. 410 – 411, il quale riporta, a Sua volta, la definizione del Devoto – Oli, Dizionario della lingua italiana, Firenze, 1990, 2074, laddove, tra gli altri significati, si attribuisce al verbo
“valutare” quello di “considerare attentamente, vagliare il pro e il contro, ai fini di un giudizio impegnativo”, che bene si attaglia all’attività valutativa richiesta al giudice nell’ipotesi di cui all’art. 183bis. Si vedano, inoltre : Patti, Libero convincimento e valutazione delle prove, in Riv. dir. proc., 1985, III, pp. 481 – 519;
Monteleone, Alle origini del principio del libero convincimento del giudice, in Riv.dir.proc., 2008, I, pp. 123 – 132.
Proprio tale previsione, inoltre, dovrebbe sgomberare il campo da eventuali interpretazioni estensive della norma, così restringendo l’ambito di discussione inter partes, alla udienza di cui all'articolo 183 c.p.c.
Ci sembra di poter aggiungere che il riferimento alla trattazione scritta debba essere limitato alle sole ipotesi nelle quali le parti, proprio con riguardo alla complessità della lite ed alla necessità dell'adozione di un’istruzione probatoria piena e completa, debbano procedere con atto scritto, al fine di meglio e più compiutamente articolare le proprie richieste e formulare le proprie eccezioni.
È di tutta evidenza che prevedere una specifica memoria scritta, relativa alle questioni sorte intorno all'ipotetico passaggio di rito, potrebbe comportare un aggravio procedimentale in capo alle parti, atteso che tale atto andrebbe ad aggiungersi a quelli già previsti nella fase introduttiva della lite.
Tuttavia, il riferimento alla eventualità della trattazione scritta, in ordine al passaggio del rito, non può non presupporre un atto particolare e diverso da quelli previsti per il rito ordinario ed in fase preliminare, poiché, in caso diverso, il passaggio del rito, da ordinario a sommario, si produrrebbe in uno stadio del giudizio ormai troppo avanzato, ponendosi così dubbi di antieconomicità di tale interpretazione.
Non deve, dunque, sembrare eccessivo il prevedere (del resto quale atto eventuale) la costituzione di un contraddittorio tra le parti mediante trattazione scritta.
Ci sembra, infatti, che il contraddittorio rappresenti una condizione essenziale ed indefettibile per il passaggio dal rito ordinario a quello sommario, poiché sarà necessario ed opportuno che le parti stesse possano specificare le rispettive posizioni, relativamente alla necessità che la cognizione sia piena e completa o che, al contrario, possa modificarsi nel solco della cognizione sommaria.
La scelta di stimolare il contraddittorio tra le parti appare, dunque, condivisibile, atteso che, sebbene non esiste un diritto ad ottenere la cognizione sommaria, dato che il giudice, nel giudizio sommario di cognizione, può certamente modificare il rito e disporre il passaggio al giudizio ordinario, con la pronuncia di una ordinanza non impugnabile, lo stesso, tutto sommato, si può dire per ciò che concerne l'inverso, ovvero il passaggio dal rito ordinario a quello sommario.
Dunque, la lettura della norma ed il necessario contraddittorio preventivo, da essa previsto, addirittura in forma scritta, ci convincono di questo, ovvero che esiste indubbiamente se non un diritto alla adozione del rito ordinario ed alle garanzie che la cognizione piena e completa comporta per le parti in lite, come detto, tuttavia, sicuramente un diritto a che le parti abbiano ad esprimersi intorno alla qualità del tipo di cognizione ed alla sua adozione nel giudizio.
3) Le prove
Una volta che, stimolato il contraddittorio, il giudice pronuncia l’ordinanza di passaggio del rito, lo stesso invita le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza, i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria.
La questione interpretativa che, a nostro sommesso giudizio, la lettera della norma di cui all'articolo 183bis c.p.c. può generare, riguarda proprio il momento in cui le parti debbono indicare i mezzi di prova, siano esse prove precostituite o prove costituende.
Tale aspetto assume una rilevanza assai notevole, atteso che la norma sanziona l'omessa indicazione dei mezzi di prova con la conseguenza della decadenza.13
Una prima lettura potrebbe consentirci di ritenere che le parti debbano indicare, a pena di decadenza, le prove come sopra specificate, all’udienza di trattazione nella quale si è deciso circa il passaggio del rito.
Tale situazione ben potrebbe verificarsi nell’ipotesi in cui, all’udienza di comparizione, le parti, dopo avere discusso circa l'opportunità del passaggio del rito e, quindi, intorno alla valutazione della complessità della lite, a fronte della pronuncia dell'ordinanza in udienza, indichino le prove e i documenti di cui intendono valersi.
Questa certo non potrebbe essere l'unica soluzione possibile, ( e sicuramente la meno praticabile in concreto) poiché, nell'ipotesi diversa nella quale il giudice abbia disposto che il contraddittorio si debba svolgere in forma scritta e, dunque, abbia fissato un termine per il deposito di apposite memorie, l'indicazione delle prove potrebbe essere effettuata alla successiva udienza od anche all’interno delle memorie stesse.
Anche tale soluzione presenta, tuttavia, alcuni aspetti di non agevole interpretazione, e ciò soprattutto, come vedremo, sulla scorta di quanto l'articolo 183bis prevede nella sua ultima parte.
Infatti, la norma prosegue affermando che, se richiesto, il giudice può fissare una nuova udienza ed un termine perentorio, non superiore a 15 giorni, per l'indicazione dei mezzi di prova e delle produzioni documentali ed un termine perentorio di ulteriori 10 giorni per le sole indicazioni di prova contraria.
La lettura di questa parte dell'articolo, infatti, ci potrebbe indurre a ritenere che esistano due possibilità alternative, in ordine alle prove da indicare:
l’una, che non prevede alcun termine per la formulazione delle istanze istruttorie e delle indicazioni documentali, con la relativa decadenza nel caso di mancata indicazione e l'altra, di ambito diverso, per la quale le parti richiedano un termine e
13 Sulla decadenza si vedano : Tedeschi, Decadenza ( dir.civ. e dir. proc.civ.), in Enc.del dir., 1962, XI, pp. 770 – 793 ; Satta, Estinzione del processo e decadenza, in Temi, 1970, I, pp. 18 – 21 ; B. Grasso, Sulla distinzione tra prescrizione e decadenza, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 1970, III, pp. 860 -‐ 893 ; Balbi, La decadenza nel processo di cognizione, Milan, 1983 ; Cimma, Prescrizione e decadenza, in Digesto, disc.priv., XIV, Torino, 1996 ed anche 2009 ; Caponi,
"Sfogliando la margherita" della decadenza (più o meno") non imputabile, in Resp.
civ. e prev., 2006, II, pp. 324 – 327 .
ad esse si consenta, nel termine perentorio fissato dal giudice ( peraltro in tal caso la perentorietà del termine è consequenziale alla decadenza, pur non essendo specificatamente prevista), di dedurre e formulare le proprie istanze.
Il richiamo che la norma fa alla volontà delle parti, laddove introduce l’endiadi "se richiesto", ci può indurre a ritenere che questa ipotesi non solo sarà quella maggiormente utilizzata dalle parti nell’ambito curiale ma, anche, che rappresenta una soluzione che si discosta da quanto la norma indica nella prima parte dell'articolo, con ciò introducendosi una distinzione procedimentale che si fatica a comprendere.
Da una lettura, dunque, che ritiene l'udienza richiamata nella prima parte dell'articolo 183bis, quella nella quale viene disposto il passaggio del rito, si possono dare le seguenti possibili soluzioni:
una prima soluzione, è quella per la quale il contraddittorio tra le parti avviene all'udienza ed, al termine della trattazione, in udienza il giudice pronuncia ordinanza di passaggio del rito, così che le parti nella stessa udienza dovranno indicare, a pena di decadenza, i mezzi di prova e i documenti dei quali intendono valersi;
una seconda soluzione è quella che prevede, al termine del contraddittorio in udienza, la fissazione di un termine entro il quale le parti debbano depositare apposita memoria, con la quale richiedere od opporsi al passaggio del rito ed anche eventualmente indicare i mezzi di prova, che, tuttavia, potranno comunque sempre dedurre alla successiva udienza, nella quale il giudice pronuncerà l'eventuale ordinanza;
una terza soluzione riguarda l'ipotesi nella quale le parti, al termine della trattazione in contraddittorio, all'udienza di prima comparizione, richiedano al giudice di fissare una nuova udienza con l'indicazione di un termine perentorio, che non potrà essere superiore a 15 giorni, per indicare i mezzi di prova e le produzioni documentali, nonché di un ulteriore termine di 10 giorni per la prova contraria.
Ben consci del fatto che la seconda soluzione preveda la fissazione di un'udienza, non perché disposta dal legislatore ma in quanto necessario corollario della trattazione scritta, queste soluzioni interpretative introducono sicuramente un meccanismo piuttosto complesso e che, possiamo esserne sicuri, si ridurrà quasi sempre all'adozione della terza possibilità, ovvero quella dei due termini concessi dal giudice. Ne indichiamo, pertanto, una possibile alternativa interpretativa.
4) L’udienza di cui all’art. 702ter. Conclusioni
Come si è detto, le soluzioni indicate nel paragrafo precedente prendono le mosse dalla considerazione per la quale l'udienza, alla quale l'articolo 183bis c.p.c. fa riferimento, sia quella di prima comparizione.
Tuttavia, potremmo tentare una soluzione alternativa, per ciò che attiene all'interpretazione della lettera della norma, atteso che il legislatore utilizza il termine
"stessa udienza" dopo aver richiamato proprio l'articolo 702ter del codice di rito civile.
Si potrebbe, quindi, riferire la "stessa udienza" proprio a quella che viene fissata, in conseguenza della pronuncia dell'ordinanza di passaggio del rito, così che l'indicazione dei mezzi di prova, a pena di decadenza, potrebbe doversi formulare non all'udienza, nella quale si è trattata e decisa la questione del passaggio, bensì a quella successiva, fissata dal giudice, già all'interno del rito sommario ed alla quale, tutto sommato, meglio si attaglia l'indicazione dei mezzi di prova formulata dalle parti.
Non solo ma, atteso che si tratta di passaggio di rito, da quello ordinario a quello sommario, la “richiesta” dei termini, prevista dall'articolo 183bis nella sua parte finale, potrebbe essere formulata dalle parti, proprio all'interno del rito sommario e rivolta al giudice che dovrà trattare e decidere la controversia con cognizione sommaria.
Ci sembra che tale soluzione, benché sotto l'aspetto dell’interpretazione lessicale si presenti quanto meno innovativa, possa, tuttavia, giustificare la complessità degli snodi procedimentali che la norma prevede, con un'evidente economia di attività giurisdizionale, che sembrerebbe lo scopo precipuo che ha condotto il legislatore del Decreto 132/2014 a varare, tra le altre, questa nuova previsione.
In conclusione, l'esame del meccanismo introdotto dall'articolo 183bis del codice di rito civile, ci spinge a ritenere che il legislatore abbia indicato, per ciò che attiene alla durata del processo ed alla necessaria economia dei giudizi, una volta di più la strada del giudizio sommario di cognizione.
Tale opzione ci suggerisce di considerare questo tipo di giudizio non propriamente alla stregua di un giudizio distinto da quello ordinario ma, per certi aspetti (del resto confermati da quest'ultima norma), una modalità alternativa di proposizione della lite, nell'ambito del giudizio ordinario di cognizione che, tuttavia, al suo interno possiede e consente una strada alternativa, ovvero quella della cognizione sommaria in quanto deformalizzata ma non in contrasto con i parametri indicati dalla disciplina del giusto processo.14
La sostanziale equiparazione del mutamento di rito da ordinario a sommario e da sommario ad ordinario, ne risaltano lo schema osmotico, la cui funzione è quella di ottenere una decisione nel più breve tempo possibile, là dove ciò sia auspicabile e
14 Si veda, quanto a questo aspetto : Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2014, pp. 347 – 355, laddove l’Autore conferma che trattasi di giudizio che “ si svolge sì con forme processuali “semplificate” ma il rito è a cognizione piena ( corsivo dell’Autore).
concretamente realizzabile, senza il sacrificio dei diritti fondamentali delle parti e dopo aver vagliato la lite e la sua intima struttura.
Si potrebbe, quindi, considerare il rito sommario come una particolare modalità di sviluppo e di snodo del giudizio ordinario di cognizione.