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Rito processuale veloce per le controversie in tema di licenziamento - Judicium

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Remo Caponi

Rito processuale veloce per le controversie in tema di licenziamento

Sommario: 1. Documento sulla «riforma del mercato di lavoro in una prospettiva di crescita». – 2. Giustizia civile e obiettivi di politica pubblica. – 3. Strumentalità e autonomia del processo civile rispetto al diritto sostanziale. – 4. Sulla distinzione tra cognizione piena e cognizione sommaria. – 5. Brevi indicazioni operative sulla regolamentazione del rito processuale veloce per le controversie in materia di licenziamento.

1. - Il documento sulla «riforma del mercato di lavoro in una prospettiva di crescita», approvato dal Governo Monti il 23 marzo 2012, prevede al punto 3.2. l’introduzione di «un rito processuale veloce per le controversie in tema di licenziamento».

Ecco il passo: «al fine di consentire la riduzione dei tempi del processo per quanto concerne le controversie giudiziali in tema di licenziamento, si propone, attraverso l’azione di concertazione istituzionale con il Ministero della Giustizia, l’introduzione di un rito speciale specificamente dedicato a tali controversie. Nel quadro di tale rito, una volta dettati i termini della fase introduttiva, è rimessa al giudice la scansione dei tempi del procedimento, nel rispetto del principio del contraddittorio e della parità delle armi nel processo. Si tratta di un rito con caratteristiche di celerità e snellezza, ma che, in ossequio alla specificità del processo del lavoro, rivolto tradizionalmente all’accertamento della verità materiale, prevede un'istruzione vera e propria, sia pure con l'eliminazione delle formalità non essenziali all’instaurazione di un pieno contraddittorio».

Rinvio la valutazione definitiva della proposta al momento in cui ci sarà la bozza di testo normativo.

È possibile però una sintetica valutazione preliminare, poiché la dichiarazione di intenti è sufficientemente dettagliata.

2. – Il diritto processuale è uno strumento del diritto sostanziale, ma ciò non significa che esso sia un involucro formale in grado di modellarsi su qualsiasi contenuto. Se la norma processuale funziona in un certo modo, piuttosto che in un altro, gli obiettivi della norma sostanziale si conseguono in un certo modo, piuttosto che in un altro. Non sorprende quindi che il legislatore accompagni frequentemente interventi in campo processuale a modifiche di diritto sostanziale.

La consapevolezza della interconnessione tra diritto sostanziale e processo civile è comune da molto tempo. Vi è però un risvolto relativamente nuovo per l’esperienza italiana. Esso emerge con evidenza soprattutto a partire dalla l. n. 80 del 2005, che inserisce la riforma della giustizia civile in un piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale del paese, e si manifesta da ultimo nel d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 in materia di liberalizzazioni (per quanto attiene alla istituzione del «tribunale delle imprese», nonché ai ritocchi dell’azione di classe di cui all’art. 140-bis cod.

cons.). Si tratta della conformazione del processo civile in funzione di importanti obiettivi di politica pubblica, ulteriori rispetto alla tutela giurisdizionale dei diritti individuali dedotti in giudizio:

in particolare lo sviluppo economico e sociale, nonché l’incremento della competitività sul piano internazionale del «sistema paese» (oltreché, specificamente, dei servizi legali e giudiziari di quest’ultimo)1. Che dire di questo risvolto?

Niente di nuovo sotto il sole. L’ordinamento statunitense ha affidato fin dall’inizio il perseguimento di importanti obiettivi di politica pubblica al sistema della giustizia civile2.

1 Il punto è colto da M. De Cristofaro, Il nuovo processo civile «competitivo» secondo la l. n. 80 del 2005, in Riv. trim.

dir. proc. civ., 2006, p. 171.

2 Cfr. L. M. Friedman, A History of American Law, terza ed., New York e a., 2005, p. 9 (con riferimento al ruolo delle corti nel periodo coloniale).

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Fra questi obiettivi, saliente è l’aspetto di regolazione e controllo delle condotte sociali ed economiche, che può controbilanciare il minore impatto dell’attività governativa e amministrativa in certi settori negli Stati Uniti. In relazione agli ordinamenti europei, frequentemente si sostiene che la maggiore attività di regolazione e di controllo degli apparati amministrativi può ridurre il bisogno di attivare la leva della giustizia civile per conseguire gli stessi obiettivi regolativi.

L’osservazione non è del tutto soddisfacente, anzi ha l’aria di offrire una razionalizzazione ex post al seguente condizionamento storico. Le strutture fondamentali della giustizia civile negli stati dell’Europa continentale recano ancora oggi notevoli tracce della sua fase di fondazione sulla base del pensiero giusnaturalista, in cui si costruisce un processo civile idoneo a proteggere il nuovo individuo borghese e la sua libertà economica, in una prospettiva individualistica e frammentata dei rapporti sociali, che entrano nel processo come uno o più rapporti interindividuali. Gli

«orientamenti pubblicistici» della scienza del processo, che maturano in conseguenza della fase apertasi in Germania nella seconda metà del secolo XIX non spostano questo equilibrio fondamentale. Essi assomigliano piuttosto ad una specie di gioco delle parti all’interno della ideologia borghese. Tale modello di processo civile (dalla legittimazione ad agire fino ai limiti soggettivi del giudicato) è pertanto difficilmente in grado di svolgere una funzione di regolazione e di controllo di condotte sociali ed economiche ad impatto collettivo, salvo i casi di azioni collettive delle associazioni, di aggregazione di azioni individuali a tutela di interessi individuali omogenei, nonché, nell’esperienza italiana, dell’azione di repressione della condotta antisindacale (art. 28 St.

lavoratori). La disciplina di questi casi risente tuttavia dello sforzo di mantenere inalterato il tradizionale modello di tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi individuali in tutti i suoi elementi fondamentali (ruolo dell’avvocatura, contraddittorio, tecniche di accertamento del fatto, limiti soggettivi di efficacia della sentenza, ecc. ecc.).

Ritorno a riflettere in generale sulla (scarsa) destinazione dei sistemi della giustizia civile europei al perseguimento di obiettivi di politica pubblica. Un importante rottura (non di carattere eccezionale, bensì sistemico) di questo assetto è determinato dagli sviluppi del diritto dell’Unione europea, da quando la disciplina del processo civile è stata esplicitamente collegata alla realizzazione del mercato interno3, nonché, più recentemente (con il Trattato di Amsterdam del 1997), alla creazione graduale di uno «spazio di libertà, sicurezza e giustizia».

In conclusione, niente di male nel mettere il processo civile al servizio di obiettivi di politica pubblica (salva l’essenza della garanzia costituzionale del giusto processo). Semmai si tratta di un’operazione tardiva rispetto alle linee di tendenza maturate al di fuori dei confini del nostro paese.

3. – È normale che questi obiettivi di politica pubblica emergano nel contesto della legislazione speciale, come in questo caso la riforma del mercato del lavoro. È normale anche che l’istanza di mettere il processo civile al servizio di tali obiettivi si profili in un primo tempo come richiesta di introdurre una normativa processuale parimenti speciale, come in questo caso il rito processuale veloce per le controversie in tema di licenziamento. Questa richiesta deve essere poi ambientata nel sistema del processo civile, che è certamente strumentale rispetto al diritto sostanziale, ma è anche autonomo da quest’ultimo.

In altri termini, poiché il processo civile serve ad assicurare la realizzazione degli interessi protetti dalle norme di diritto sostanziale, costante è la questione del modo in cui il diritto processuale civile debba reagire agli sviluppi del diritto sostanziale, conservando la propria autonomia sistematica.

Per impostare una possibile risposta a questo problema, nei termini in cui esso si pone attualmente, conviene distinguere tendenzialmente tra disciplina del contenuto e degli effetti dei provvedimenti di tutela e disciplina dello svolgimento del processo.

3 L’impulso fondamentale verso questo storico collegamento deriva dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, in particolare da Corte giust., 10 febbraio 1994, C-398/92, Mund & Fester.

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La prima deve reagire alla progressiva complessità e varietà dei bisogni di tutela emergenti sul piano del diritto sostanziale adottando dei rimedi che siano a loro volta, in modo corrispondente, complessi e variegati, altrimenti il processo non è in grado di adempiere la sua funzione di «dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire» ai sensi del diritto sostanziale4.

Viceversa, la disciplina dello svolgimento del processo deve essere contraddistinta da una relativa autonomia nei confronti del diritto sostanziale. Ciò non solo in omaggio alla tradizione, che ha fondato su questa autonomia l’esistenza stessa e il modo di essere di questa branca del diritto, ma anche (e soprattutto) in considerazione del buon funzionamento del processo civile, cioè in omaggio proprio al suo carattere strumentale nei confronti del diritto sostanziale. La relativa autonomia della disciplina dello svolgimento del processo è accentuata dall’introduzione delle garanzie costituzionali del processo civile, in particolare della garanzia del contraddittorio. Accade certamente che le garanzie processuali conoscano una diffusione al di là dell’ambiente giurisdizionale per il quale sono state originariamente pensate, ma accade più raramente che soluzioni pensate per il diritto sostanziale possano essere oggi automaticamente trasposte nella disciplina dello svolgimento del processo. Operazioni di trapianto di questo tipo dovrebbero essere sempre condotte con costante e vigile attenzione.

Ho parlato di autonomia «relativa» della disciplina del procedimento rispetto al diritto sostanziale.

Infatti, per fare un esempio, se l’effettività della tutela giurisdizionale richiede l’emanazione urgente di un provvedimento per neutralizzare un pericolo nel ritardo, ciò non può che riflettersi anche sulla disciplina del procedimento. Nel contesto della presente indagine, autonomia del procedimento significa soprattutto questo: la specificità del bisogno di tutela del diritto sostanziale o degli obiettivi che la legislazione speciale intende conseguire non deve tradursi automaticamente nell’adozione di un ennesimo rito speciale.

4. - Le premesse svolte nei paragrafi precedenti consentono di inquadrare il nuovo rito processuale veloce per le controversie in tema di licenziamento proposto nel quadro della riforma del mercato del lavoro. È sufficiente rileggerne il profilo che si è riprodotto all’inizio. Nelle intenzioni del governo, si tratta univocamente di un processo speciale a cognizione piena ed esauriente («accertamento della verità materiale», «istruzione vera e propria»), dettato in funzione di accelerazione dello svolgimento del processo («riduzione dei tempi del processo», «celerità»), con predeterminazione legale delle forme e dei termini limitata alla fase introduttiva («dettati i termini della fase introduttiva») e decisoria (nulla è detto, ma non si potrà evitare di farlo), mentre la fase istruttoria è affidata alle determinazioni discrezionali del giudice («al giudice la scansione dei tempi del procedimento», «eliminazione delle formalità non essenziali all’instaurazione di un pieno contraddittorio»).

Il principale nodo teorico da sciogliere è se un procedimento con queste caratteristiche possa essere correttamente qualificato come «a cognizione piena ed esauriente». Tutto dipende dalle nozioni di cognizione piena e di cognizione sommaria che si accolgono. Compiere questa distinzione significa fare una «istantanea» in un certo momento, in un ordinamento determinato, di una realtà in movimento. La distinzione tra processi a cognizione piena e processi sommari è un punto attuale che si inserisce in una linea storica caratterizzata da una notevole mobilità e permeabilità.

Il problema è peraltro comune a tutti gli ordinamenti vicini a quello italiano per tradizione storica e cultura processuale. È comune in particolare agli ordinamenti europei. È inevitabile pertanto che nel compiere questa operazione si cerchi il dialogo con le esperienze europee, non solo per tracciare le linee di una possibile armonizzazione, ma anche e soprattutto perché le decisioni giurisdizionali

4 G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, ristampa anastatica della terza edizione, con prefazione di V.

Andrioli, Napoli, 1980.

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circolano nello spazio giudiziario europeo e non si può rinunciare a sciogliere questo nodo fondamentale in modi che siano radicalmente divaricati da un ordinamento all’altro.

Dal punto di vista semantico, la contrapposizione sembra esprimere l’idea che la cognizione piena sfoci in un enunciato finale vero, cioè corrispondente al diritto sostanziale, più di quanto possa esserlo il provvedimento conclusivo di un procedimento sommario (ciò è tanto più vero con riferimento al nuovo rito speciale per le controversie in tema di licenziamento, «in ossequio alla specificità del processo del lavoro, rivolto tradizionalmente all’accertamento della verità materiale»). In realtà non si è formato un consenso sull’individuazione degli elementi che rendono logicamente migliore la cognizione piena rispetto a quella sommaria. Non vi è nemmeno accordo se cognizione piena significhi conoscenza logicamente migliore di quella sommaria. Infine si dibatte se la cognizione differisca qualitativamente tra i vari di procedimenti sommari, se tutti i procedimenti sommari rechino in sé un momento di cognizione ed istruzione probatoria o se piuttosto, in taluni di essi, l’attività processuale non sia diretta ad altro che alla preparazione del titolo esecutivo.

Per descrivere in modo attendibile in che cosa consistano le differenze tra processi a cognizione piena e processi sommari occorre abbandonare l’idea di cogliere l’essenza della cognizione piena in una diversità logica dell’attività di conoscenza. Per svolgere questo compito, occorre fare leva piuttosto sulle diversità strutturali dei processi (quanto a disciplina del procedimento, a contenuto del provvedimento finale, a tipo di stabilità degli effetti di quest’ultimo) e/o sulle loro differenze funzionali. Alla luce di quest’ultimo rilievo si può innanzitutto esaminare l’impostazione che, nel distinguere tra processi a cognizione piena e procedimenti sommari, muove dagli aspetti strutturali che accomunano al processo ordinario i modelli di trattazione e di decisione che costituiscono delle varianti rispetto a quest’ultimo, nonché i processi di cognizione speciali. Sulla base di questa impostazione, sono stati enucleati due tratti essenziali comuni. In primo luogo, il contraddittorio tra le parti è provocato fin dall’inizio del procedimento e il provvedimento giudiziale è emanato dopo che le parti sono state messe in condizione di far valere tutte le loro ragioni davanti al giudice. In secondo luogo, la legge predetermina tendenzialmente le forme e i termini in cui si svolge l’attività delle parti e del giudice, e quindi i loro poteri, doveri e facoltà processuali sotto il profilo delle allegazioni in punto di domande, eccezioni e fatti che ne costituiscono il fondamento, della tipicità dei mezzi di prova, delle modalità di assunzione delle prove in giudizio e dei soggetti su iniziativa dei quali le prove possono essere assunte, dei termini a difesa delle parti nelle varie fasi del processo. In altri termini, la disciplina del procedimento non è affidata, se non in minima parte, al potere discrezionale del giudice. Rispetto al processo ordinario e ai processi speciali a cognizione piena, i processi sommari si distinguerebbero per il fatto che essi differiscono in almeno uno dei due tratti, nel senso che il provvedimento finale è emanato inaudita altera parte o la disciplina del procedimento è affidata prevalentemente al potere discrezionale del giudice.

Su questa descrizione delle attuali differenze tra i procedimenti a cognizione piena previsti dal secondo libro del codice di procedura civile e i procedimenti sommari contenuti nel quarto libro e disseminati nelle leggi speciali si può raccogliere, se non l’unanimità, certamente un ampio consenso. È incerto invece il valore prescrittivo di questo quadro. In particolare sussiste un contrasto, riattizzato dall’esplicita introduzione nella Costituzione italiana della riserva di legge in materia di svolgimento del processo (art. 111, 1° comma Cost.), relativo al modo della disciplina dei processi giurisdizionali contenziosi statali che si concludono con la cosa giudicata sul diritto dedotto in giudizio.

Riassumendo i termini del dibattito, alla stregua di una prima concezione la riserva di legge non esclude che la determinazione della disciplina processuale possa essere affidata al potere discre- zionale del giudice. Il legislatore potrebbe adottare uno schema formale «caratterizzato da flessibilità, privo di un ordine procedimentale rigidamente prefissato e con un giudice dotato di (una

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certa) libertà nello scegliere le forme dell’agire più adeguate al perseguimento del risultato»5, rispettati i limiti inderogabili del contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. Alla stregua di una seconda concezione la riserva di legge impone invece che la disciplina dei processi a cognizione piena sia predeterminata dalla legge. L’essenza di tali processi consiste proprio in tale predeterminazione legale, l’unica in grado di sottrarre la titolarità e l’esercizio dei poteri delle parti alla soggezione al potere discrezionale del giudice6.

Senza nascondere il fascino sprigionato dai valori che questa seconda concezione mira a realizzare, non si può misconoscere che essa guarda verso un passato carico di onore e di prestigio, più che verso la linea evolutiva europea. In una prospettiva europea guadagna particolare attenzione l’idea di accelerare la tutela giurisdizionale attraverso un processo a cognizione piena elastico, che affida lo svolgimento preferibile nel caso concreto alle determinazioni discrezionali del giudice7.

Un punto – per quanto semplice, quasi banale – deve essere ribadito come pietra miliare sul cammino della ricostruzione sistematica. In ogni ordinamento si ritrova un processo «ordinario», con le seguenti caratteristiche: a) esso è atipico quanto a diritti che ne possono costituire l’oggetto;

b) esso disciplina il contraddittorio nel modo più complesso nell’ordinamento di riferimento; c) il provvedimento finale è dotato del maggior grado di stabilità nell’ordinamento di riferimento; d) esso serve tendenzialmente solo a stabilire chi ha torto e chi ha ragione tra le parti.

Nei vari ordinamenti di riferimento, il processo ordinario è sempre un processo a cognizione piena.

Il problema riguarda quindi la distinzione tra i procedimenti sommari, da un lato, e, dall’altro lato, i modelli di trattazione della causa più semplici rispetto a quello ordinario (a cominciare dal procedimento contumaciale), nonché i processi di cognizione speciali. La difficoltà della distinzione risiede nel fatto che frequentemente i modelli di trattazione semplificati e i processi speciali di cognizione abbinano alla funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, finalità ulteriori che sono in tutto o in parte comuni anche ai procedimenti sommari: economia dei giudizi in caso di (prevedibile) non contestazione, l’urgenza del provvedere, neutralizzazione dell’abuso del processo8. Questa delimitazione del campo problematico è confermata da una prospettiva europea. Nel rivolgere la propria attenzione alla possibilità di accelerare la tutela giurisdizionale dei diritti, lo studioso del processo civile interessato a fotografare le varie esperienze europee per tracciare le linee di una possibile armonizzazione è sollecitato a studiare contestualmente sia i procedimenti sommari (cautelari e non cautelari), sia i processi speciali a cognizione piena, sia i modelli di trattazione e di decisione che costituiscono varianti rispetto al corso normale del processo ordinario tra parti costituite in giudizio.

Emerge quindi un’ampia nozione di «procedimento speciale», che sotto il profilo strutturale inquadra i procedimenti che hanno una disciplina diversa da quella del processo ordinario di cognizione tra parti attive in giudizio. Sotto il profilo funzionale, le differenze di regolamentazione sono rivolte ad assicurare una tutela giurisdizionale dei diritti accelerata e processualmente più economica del corso normale del rito ordinario. Rispettando questa impostazione, la definizione proposta abbraccia, oltre ai procedimenti sommari, processi speciali a cognizione piena: procédure d’urgence a jour fixe nell’esperienza francese9; fast track nell’esperienza inglese10; juicio verbal

5 Così, S. Chiarloni, Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il processo civile, in Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di M. G. Civininie C. M. Verardi, Milano, 2000, p. 18

6 Così, A. Proto Pisani,Lezioni di diritto processuale civile, nuova ristampa della quinta ed., Napoli, 2012, p. 546.

7 Cfr. R. Stürner, Einstweiliger Rechtsschutz, General Bericht, in M. Storme (ed.), Procedural Laws in Europe – Towards Harmonisation, Antwerpen/Apeldoorn, 2003, p. 143 s.

8 Per queste esigenze soddisfatte dalla tutela sommaria, v. A. Proto Pisani,Lezioni di diritto processuale civile, nuova ristampa della quinta ed., Napoli, 2012, p. 548.

9 Artt. 788 ss. nouveau Code de procédure civile.

10 Part. 26.6, 28 Civil Procedure Rules.

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nell’esperienza spagnola11. Abbraccia poi anche i procedimenti e le sentenze contumaciali:

jugement par défaut12, judgment by default13, Versäumnisurteil14.

L’adozione di un angolo visuale europeo ci invita pertanto ad abbandonare la bipartizione tra processi a cognizione piena e procedimenti sommari, a vantaggio della bipartizione tra processo ordinario e procedimenti speciali? Al momento questa conclusione sembra affrettata. Tuttavia tale prospettiva induce a rimeditare quei criteri distintivi tra processi a cognizione piena e procedimenti sommari i quali fanno perno più sull’assetto particolare dell’ordinamento da cui proviene l’osservatore che sull’esigenza di individuare una soluzione armonizzante sul piano europeo.

Se applichiamo questa impostazione metodologica non si tarderà a scoprire che maggiori possibilità di dialogo con le altre esperienze europee ha un criterio che faccia perno dapprima sulle funzioni specifiche cui risponde la tutela sommaria, rispetto alla funzione di accertamento del diritto dedotto in giudizio propria del processo ordinario, e inserisca poi procedimenti che hanno una regolamentazione diversa da quest’ultimo tra i procedimenti a cognizione piena oppure tra i procedimenti sommari, a seconda che nella loro destinazione prevalga la funzione di accertare semplicemente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto ad altre specifiche funzioni, che sono in tutto o in parte comuni anche ai procedimenti sommari.

Infatti, sulle esigenze di conseguire economia processuale in caso di non contestazione, di provvedere con urgenza, di neutralizzare l’abuso del processo e sugli strumenti processuali per realizzarle si lascia ben intavolare un discorso in comune con le altre esperienze europee. Viceversa, minori possibilità di dialogo con le altre esperienze europee ha un criterio che faccia perno dapprima sulle caratteristiche strutturali del processo ordinario e inserisca poi i procedimenti che hanno una disciplina diversa da quest’ultimo tra quelli a cognizione piena oppure tra quelli sommari, a seconda che nella loro struttura le somiglianze su aspetti fondamentali (disciplina del procedimento, contenuto del provvedimento finale, tipo di stabilità degli effetti di quest’ultimo) prevalgano sulle differenze rispetto al processo ordinario. Infatti, le diversità strutturali dei procedimenti che nei vari ordinamenti sono considerati ordinari sono notevoli (soprattutto quanto a disciplina delle modalità di realizzazione del contraddittorio), proprio come sono notevoli viceversa le somiglianze fra le esigenze perseguite dai procedimenti che nei vari ordinamenti sono qualificati come sommari. In altri termini, è preferibile definire i processi a cognizione piena muovendo dalla definizione delle finalità dei procedimenti sommari, e non viceversa. Ne segue che il nuovo rito processuale veloce per le controversie in tema di licenziamento prefigurato dalla riforma del mercato del lavoro è in effetti un processo a cognizione piena ed esauriente, nonostante che la disciplina della fase istruttoria sia affidata alle determinazioni discrezionali del giudice, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto alle funzioni che sono tradizionalmente proprie dei procedimenti sommari. Vale per questo nuovo rito speciale ciò che ho sostenuto per il procedimento sommario di cognizione (art.

702-bis ss. c.p.c.)15 e che si può sostenere per la fase del processo successiva all’ammissione dell’azione di classe (art. 140-bis, 11° comma cod. cons.).

5. – La comparazione con il procedimento sommario di cognizione e con la fase del processo successiva all’ammissione dell’azione di classe suggerisce una regolamentazione del nuovo

11 Artt. 437 ss. Ley de Enjuiciamiento Civil.

12 Art. 471 ss. c.p.c. francese.

13 Part 12.1, 12.3 CPR.

14 §§ 330 ss. ZPO.

15 Cfr. R. Caponi, Sulla distinzione tra cognizione piena e cognizione sommaria (in margine al nuovo procedimento ex art. 702 bis seg. c.p.c.), in Giusto processo civ., 2009, p. 1115 ss.

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procedimento che sia in linea con il canone di proporzionalità16. Esso ha ad oggetto controversie che rientrano nel rito delle controversie in materia di lavoro (art. 409 ss. c.p.c.). La fase introduttiva di quest’ultimo già si ispira a quelle esigenze di celerità e di snellezza che sono tenute presenti dal documento governativo del 23 marzo. Per evitare complicazioni sarà opportuno quindi che il nuovo procedimento per le controversie in materia di licenziamento sia configurato come modello di trattazione ancora più semplice all’interno del processo del lavoro e non come un ennesimo rito speciale. Se si conviene su questo punto, «l'eliminazione delle formalità non essenziali all’instaurazione di un pieno contraddittorio» consisterà essenzialmente nella riduzione delle formalità nell’assunzione delle prove costituende: un risultato modesto di cui si avverte poco l’esigenza.

Altra dovrebbe essere la risposta che sul piano processuale (per tacere una volta tanto degli interventi sul piano delle risorse e dell’organizzazione degli uffici giudiziari) dovrebbe darsi alle esigenze di celerità e di snellezza che riguardano la trattazione di cause semplici. Segnalo in particolare la distinzione tra due modelli di trattazione, a seconda della «complessità» o della

«semplicità» della causa, prevista nel quadro di un progetto di nuovo codice di procedura civile17.

16 Cfr. R. Caponi, Il principio di proporzionalità nella giustizia civile: prime note sistematiche, in Riv. trim. dir. e proc.

civ., 2011, p. 389 ss.

17 Cfr. A. Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it,, 2009, V, 1.

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