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Sulla deducibilità con l’opposizione ex art. 619 cpc dell’estinzione del processo esecutivo e sulla legittimazione dell’esecutato poi fallito ad opporsi ex artt. 615 e 617 all’esecuzione singolare proseguita dal curatore ex art. 107 l. fall. - Judicium

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Clarice Delle Donne

Sulla deducibilità con l’opposizione ex art. 619 cpc dell’estinzione del processo esecutivo e sulla legittimazione dell’esecutato poi fallito ad opporsi ex artt. 615 e 617 all’esecuzione singolare

proseguita dal curatore ex art. 107 l. fall.

1.- Il fatto ed i profili giuridici

La sentenza in commento è resa in esito alle opposizioni proposte rispettivamente dal debitore esecutato, poi fallito, ai sensi degli artt. 615 e 617, e dal terzo subacquirente di alcuni dei beni staggiti ai sensi dell’art. 619. Deducono gli opponenti che l’esecuzione in corso si è estinta in ragione del mancato/tardivo deposito della documentazione ipocatastale1 ma che tale estinzione non è mai stata dichiarata.

Chiedono perciò, previa sospensione ex art. 624, la revoca dell’ordinanza di vendita perché, dal punto di vista dell’esecutato, il vincolo del pignoramento è venuto meno e, dal punto di vista dell’opponente ex art. 619, il suo subacquisto, proprio in virtù dell’estinzione, è medio tempore divenuto opponibile al creditore pignorante (ed a quelli intervenuti).

Il tribunale disattende entrambe le domande sull’assunto della carenza di legittimazione degli opponenti.

Quanto al subacquirente egli, per il giudice capitolino, non ha accesso alle opposizioni ex artt. 615 e 617, potendo opporsi esclusivamente ai sensi dell’art. 619 per allegare vizi genetici del pignoramento, come tali idonei a rendere ab imis opponibile alla procedura esecutiva il subacquisto, e non anche vizi sopravvenuti al pignoramento stesso.

Quanto all’esecutato l’esclusione si fonda invece sull’asserzione che, essendo egli poi fallito, una tutela dei suoi interessi al di fuori della procedura concorsuale sarebbe ipotizzabile solo in caso di inerzia di quest’ultima, caso tuttavia non verificatosi “atteso che la procedura esecutiva in contestazione ad oggi è proseguita ad impulso del fallimento, ed il fallimento stesso si è contrapposto alla domanda” dell’esecutato.

E tuttavia, anche a voler ammettere la legittimazione di entrambi gli opponenti, le rispettive domande sarebbero comunque, per il giudice, inammissibili: esse lamentano infatti un vizio

1 In ragione dell’art. 567 cpc nel testo precedente alla riforma del 2005.

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dell’ordinanza di vendita non attinente all’atto ma derivato dalla mancata dichiarazione di estinzione, la contestazione dovendosi perciò indirizzare all’ordinanza avente ad oggetto l’estinzione stessa ed assumere la forma del reclamo ex art. 630.

Due sono dunque i profili giuridici che vengono in rilievo: quello della possibilità di dedurre, a sostegno di una opposizione ex art. 619 cpc, l’estinzione del processo esecutivo e più in generale vizi procedurali anche sopravvenuti al pignoramento, quali cause di opponibilità dell’acquisto dei beni al creditore pignorante (ed agli intervenuti); e quello della legittimazione dell’esecutato, fallito ad espropriazione pendente nella quale il curatore è subentrato ai sensi dell’art. 107, c. 6, l. fall., ad esperire le opposizioni esecutive che normalmente gli competono nell’ambito dell’esecuzione singolare.

Ciascuno di essi merita un distinto esame.

2.1- L’interesse all’opposizione ex art. 619 cpc nel contesto degli interessi tipici riconosciuti ai soggetti coinvolti nell’esecuzione.

Sostiene il giudice capitolino che il subacquirente non ha accesso alle opposizioni ex art. 615 e 617 cpc, essendogli riservato il solo rimedio dell’art. 619. La domanda deve però basarsi su vizi genetici del pignoramento e non invece, come nel caso deciso, su un vizio esterno all’atto ed idoneo a caducarlo solo ex post.

Il tema è quello della latitudine delle contestazioni spendibili con l’opposizione ex art. 619, e le possibili opzioni presuppongono la delimitazione dell’interesse che l’ordinamento riconosce all’opponente, nel più ampio contesto degli interessi riconosciuti invece agli altri soggetti a vario titolo coinvolti nell’espropriazione.

Ora, l’esegesi consolidatasi intorno agli artt. 619 ss cpc2 riconosce all’opponente un unico interesse giuridicamente rilevante: quello di sottrarre al pignoramento beni che, estranei al patrimonio dell’esecutato per essere oggetto di un suo diritto, neppure sono vincolati alla soddisfazione di un debito dell’esecutato stesso ex art. 2910, c. 2 c.c.3

E’ cioè il pignoramento che, individuando e conservando i beni ai fini della vendita o dell’assegnazione, diviene la fonte del lamentato pregiudizio, ed in una “opposizione” o

2 V., per tutti, Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano 2010, 270 ss; Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione forzata, Torino, 2010, 355 ss e passim; Vaccarella, Opposizione di terzo all’esecuzione, in Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, diretta da Proto Pisani, Torino, 1993, 315 ss.

3 O il loro acquisto è stato revocato per frode.

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“impugnazione” del pignoramento stesso si risolve perciò, in buona sostanza, il mezzo reattivo riconosciuto al terzo dall’art. 6194.

Egli è invece indifferente ad ogni altra questione relativa al regolare/valido svolgimento di una procedura che, per essere finalizzata alla liquidazione o assegnazione di beni non suoi ma dell’esecutato, riguarda solo quest’ultimo ed i suoi creditori.

In particolare, è proprio l’esecutato5 che, istituzionalmente portatore dell’interesse a sottrarre i beni all’espropriazione e/o comunque a soddisfare solo crediti effettivamente esistenti, è legittimato, oltre che a contestare il diritto dell’istante di procedere ad esecuzione forzata ex art. 615, anche a lamentare ex art. 617 vizi degli atti da cui dipende (la regolarità/validità/della procedura e con essa) l’attendibilità della liquidazione e la soddisfazione dei crediti effettivamente esistenti; ed infine a contestare an e/o quantum dei crediti concorrenti in sede distributiva6.

Quanto invece ai creditori, essi puntano alla soddisfazione più ampia possibile, e sono perciò legittimati a contestare, in sede distributiva, l’an, il quantum o la prelazione riconosciuta ad altri creditori concorrenti, (esclusivamente) nella misura in cui dall’accoglimento di tale contestazione derivi un vantaggio in termini di utile o migliore collocazione (id est di soddisfazione in percentuale maggiore) nel riparto finale; l’opposizione ex art. 617 è poi l’ulteriore mezzo loro riconosciuto per contestare gli atti che li pregiudichino.

L’interesse a contestare la regolarità/validità dei singoli subprocedimenti cui in concreto partecipano è infine riconosciuto a vari soggetti, ad esempio l’offerente all’incanto o l’aggiudicatario, se ed in quanto i vizi lamentati li pregiudichino. Mezzo al fine è ancora una volta l’opposizione agli atti esecutivi dell’art. 617.

Ad ogni soggetto a diverso titolo coinvolto nell’espropriazione corrispondono dunque mezzi di difesa diversamente calibrati sull’interesse di cui sono istituzionalmente portatori e perciò non sovrapponibili sul piano astratto e statico del fine tipico per cui sono pensati.

Il caso deciso è uno di quelli in cui l’opposizione ex art. 619 si mostra tuttavia idonea all’utilizzo anche da parte del subacquirente di beni staggiti, cioè di chi per definizione soggiace agli effetti del pignoramento, e proprio allo scopo di contestare la validità/efficacia attuale del vincolo: solo la rimozione di quest’ultimo emancipa infatti il subacquisto dalla destinazione impressa al bene,

4 Si tratta di nozioni pacifiche, per la quali sufficit il rinvio a Vaccarella, Opposizione di terzo all’esecuzione, in Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, cit., 315 ss.

5 Ed ai soggetti ex lege equiparati, cui è altresì riconosciuta la legittimazione a dolersi delle invalidità della procedura da cui derivi la loro pretermissione: Vaccarella, La tutela del terzo proprietario, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, cit., 361; Luiso, Op. loco ult. cit. Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione forzata, cit., 53 ss e passim.

6 Ma non le loro ragioni di prelazione: v, ex multis,; Verde, Diritto processuale civile, III, Bologna, 2010, 81 ss.

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recuperando all’opponente ex post quello status di terzo che egli non avrebbe se il vincolo fosse valido/efficace.

E’ allora già su tale piano che, se si riconosce uno spazio applicativo all’opposizione ex art. 619, se cioè non si ritiene, a monte, che vi appartenga il solo profilo dell’ingiustizia e non anche quello dell’invalidità/inefficacia del pignoramento, non lo si può poi limitare alle contestazioni sui vizi originari.

E’ del tutto evidente infatti che, essendo il petitum dell’opposizione la sottrazione del bene al vincolo, nessuna limitazione è lecito porre all’estensione della sua causa petendi.

2.2. Segue. La doppia anima dell’opposizione ex art. 619: terzo opponente e vizi del pignoramento

La conclusione appena attinta risulta di tutta evidenza nel passaggio dal piano astratto a quello concreto. Sotto il profilo tecnico l’esistenza dell’interesse istituzionale del subacquirente va valutata con riferimento al petitum e non è perciò esclusa dalla sola circostanza che la causa petendi in concreto allegata si basi su vizi di procedura diversi da quelli intrinseci del pignoramento.

Il subacquirente dei beni staggiti può infatti assumere in astratto, a seconda cioè che il pignoramento stesso sia valido/efficace oppure no,7 sia la posizione di soggetto passivo che, al contrario, quella di vero e proprio terzo il cui diritto è ad esso inopponibile.

Le due posizioni sono e restano inconciliabili e non confondibili sul piano astratto, e per verificare quale delle due sia fatta in concreto valere con l’opposizione non appare dirimente il riferimento allo status sostanziale di subacquirente dei beni pignorati, secondo quanto spesso risulta dalle massime delle sentenze di legittimità, 8 occorrendo invece verificare il concreto petitum

7 Lo stesso è a dirsi per i titolari dei diritti minori di cui all’art. 2812 c.c. che assumono la posizione processuale di creditori o terzi a seconda che l’ipoteca sia stata validamente iscritta oppure no, e che abbia una determinata data. Perciò per valutare in concreto se sia fatta valere la qualità di creditore, e quindi sia esperita una opposizione ex art. 617 per contestare gli atti esecutivi pregiudizievoli, o invece la qualità di terzo, e sia quindi esperita una opposizione ex art. 619, occorre valutare se sono allegati vizi che, ove sussistenti, renderebbero opponibile il suo diritto in quanto tale, e quindi siano funzionali a tale petitum. Amplius, sul punto, Vaccarella, Opposizione di terzo, cit., 356.

8 Riferimento ricorrente nelle massime di legittimità che hanno affrontato il tema, a partire, ad esempio, da Cass. 4

settembre 1985, n. 4612, in Giust. Civ., 1986, I, 453, con Nota di Luiso, L’acquirente del bene pignorato nel processo esecutivo, e in Riv.

dir. proc., 1987, 467, con Nota di Miccolis, Sulla legittimazione del terzo acquirente del bene pignorato, la quale qualifica la posizione processuale del subacquirente il cui acquisto sia trascritto dopo la trascrizione del pignoramento in termini di successione a titolo particolare nel diritto controverso, riconoscendogli la legittimazione all’opposizione agli atti esecutivi e quella

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dell’opposizione. Se cioè l’opponente punta ad infirmare il pignoramento e quindi a liberarne il bene su cui con l’opposizione ha vantato diritti, ad onta della causa petendi fondata su una invalidità procedurale, il giudizio va qualificato come opposizione ex art. 619 ed il terzo deve ritenersi ad esso legittimato9.

E’ in questo contesto che vanno (ri)considerate le consolidate affermazioni che il pregiudizio dell’opponente ex art. 619 nasce con il pignoramento e nella sola sottrazione a quel vincolo si esaurisce; e che il terzo in quanto tale è indifferente alla regolarità della procedura esecutiva.

Esse, facce di una stessa medaglia, appaiono corrette nella sola misura in cui non si consideri, come ha fatto invece il giudice capitolino, l’espressione “pregiudizio da pignoramento” come equivalente a quella di “pregiudizio da vizi genetici delle formalità in cui si risolve il pignoramento”, ma la si applichi a qualsiasi vizio della procedura o addirittura alla mancanza di presupposti processuali che ne comportino il venir meno. Nessuna differenza può infatti riscontrasi, dall’angolo visuale di chi si oppone quale terzo ex art. 619, tra l’ipotesi in cui il vizio infici ab initio ed in modo diretto il quomodo della costituzione del vincolo (ad esempio per nullità della sua trascrizione, come ipotizzato nella sentenza in commento) e quella in cui il vizio lo faccia solo venir meno, risolvendosi il petitum sempre e costantemente nella sottrazione del bene al vincolo.

Sicchè il terzo, opponendosi ex art. 619, ben potrebbe allegare, ad esempio, l’invalidità originaria del titolo esecutivo, la sua inidoneità a sorreggere una espropriazione o ancora il suo venir meno nel corso della procedura per le più svariate ragioni10 se tale causa petendi sia posta a sostegno

all’opposizione ex art. 615 (ma solo in via surrogatoria). Quanto poi a Cass. 14 aprile 1993, n. 4409, in Giust. civ., 1993, I, 2698, e in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 911, con Nota di Gili, Sulla legittimazione del terzo acquirente del bene pignorato a proporre opposizione agli atti esecutivi, anch’essa ritiene dirimente il solo status sostanziale di subaquirente dei beni staggiti ai fini della qualificazione del giudizio come di opposizione agli atti esecutivi. Mi pare infine che lo stesso trend segua Cass. 28 giugno 2010, n. 15400, in www.cortedicassazione.it, nel ripetere tralaticiamente che il subacquirente dei beni staggiti non è legittimato all’opposizione ex art. 617 né all’intervento neppure in via adesiva nel processo esecutivo (sic!), ma solo all’opposizione ex art. 619 per far valere l’eventuale nullità o inesistenza della trascrizione (allo scopo di svincolare il bene). Dato rilevante non è infatti la ricognizione del concreto petitum, ma solo lo status sostanziale dell’opponente. Ed invero dalla sentenza neppure si evince quale fosse tale petitum.

9 Se invece il subacquirente deduce, sulla premessa della sua soggezione all’espropriazione e senza contestarla, una nullità processuale dalla quale in sé si ritiene pregiudicato, chiedendo perciò la sostituzione dell’atto viziato con altro valido, allora l’opposizione può essere qualificata come agli atti esecutivi, venendo in rilievo il diverso problema dei mezzi reattivi riconoscibili a questi, ed in particolare se l’equiparazione della sua posizione di soggezione a quella del debitore gli consenta l’utilizzo degli stessi strumenti, ed a quale titolo. Le soluzioni della giurisprudenza non sono sempre uniformi, come si dirà, oscillando tra la soluzione che vede nel terzo un successore nel diritto controverso legittimato all’opposizione agli atti esecutivi ed in via surrogatoria all’esecuzione, propugnata da Cass. n. 4612 /1985, cit., alla negazione totale di ogni mezzo di difesa propugnata, ad esempio, da Cass. 28 giugno 2010, n. 15400, cit. Di ciò non si avvede, invece, Cass. 14 aprile 1993, n.

4409, cit., che qualifica come opposizione agli atti esecutivi il giudizio instaurato dal subacquirente dei beni staggiti per far dichiarare, in base a lamentati vizi della procedura, l’inefficacia del pignoramento e la revoca dell’ordinanza di vendita, in base al solo rilievo che l’opponente aveva fatto valere vizi della procedura.

10 Si tratta, all’evidenza, di tutti le ragioni che si ritengono proponibili con l’opposizione dell’esecutato ai sensi dell’art. 615.

Qui però non varrebbe obiettare il comune e consolidato argomento (per il quale v., indifferentemente, gli scritti di Capponi e Vaccarella da ultimo citati) che il terzo, opponendosi ex art. 619, non lamenta l’assenza in capo al creditore del diritto di

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dell’invalidità derivata del pignoramento che abbia investito un suo bene. Allo stesso modo deve perciò ritenersi che possa farne valere la sopravvenuta inefficacia ex art. 497, nonché l’inefficacia o l’estinzione del processo esecutivo11 e quindi l’invalidità di tutti gli atti successivamente compiuti, ivi compresi, come nel caso deciso, quelli della procedura di liquidazione.

Queste invalidità devono cioè tutte ritenersi naturalmente ricomprese nella causa petendi dell’opposizione ex art. 619 per il solo fatto che (e nella sola misura in cui) sono poste a sostegno del suo tipico petitum, che cioè sono addotte per inferirne la sopravvenuta carenza/invalidità di quello che resta pur sempre l’unico atto pregiudizievole per il terzo, il pignoramento del suo bene, per l’appunto. Ed è proprio tale petitum ad impedire di confonderle con i mezzi di difesa del debitore in quanto tale. Con essi l’opposizione ex art. 619 può in concreto condividere i fatti fondanti la causa petendi, ma tali fatti restano, per l’esecutato, comunque posti al servizio del più ampio interesse a sottrarre il patrimonio ad una azione esecutiva sine titulo o ingiusta (art. 615) o ad emendare vizi degli atti esecutivi che pregiudichino l’attendibilità della liquidazione (art. 617).

E’ piuttosto da rilevare come proprio i fatti idonei ad inibire, per le più svariate ragioni, la valida progressione della procedura, siano per ciò solo idonei a fondare anche la causa petendi delle opposizioni dell’esecutato (nella duplice tipologia degli artt. 615 e 617), assistendosi ad un primo livello di sovrapposizione: interessi diversi, rimedi diversi, comune causa petendi. 12

procedere ad esecuzione forzata, puntando al più limitato risultato della sottrazione del bene al vincolo. Il punto è infatti proprio questo: che cioè, attraverso l’allegazione della carenza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo (o se si vuole della carenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata), il terzo punta ad ottenere proprio lo svincolo dei beni su cui vanta diritti prevalenti, sia che essi siano gli unici ad essere pignorati, sia che invece ve ne siano anche altri appartenenti al patrimonio del debitore (ma l’effetto della constatata carenza di presupposti processuali dovrebbe coinvolgere anche gli altri beni eventualmente pignorati dell’esecutato, a meno che su questi ultimi non insista un ulteriore pignoramento successivo intrapreso da altro creditore, e perciò in base a diverso titolo esecutivo).

11In ogni sua forma, comprese quelle cd. atipiche, per una caratterizzazione delle quali v., per tutti, Vaccarella, Infruttuosa reiterazione dell’incanto ed estinzione “atipica” del processo esecutivo, in Riv. es. forz., 2007, 156 ss. Occorre precisare che, ai sensi dell’art. 567 cpc, u.c., come modificato dall’art. 2, c. 3, lett. e) del d.l. 35/2005 (conv., con mod., nella l. n. 80/2005) in caso di mancato o intempestivo deposito della documentazione ipocatastale o del certificato notarile sostitutivo nel termine di 120 giorni dal deposito dell’istanza di vendita, diviene inefficace il pignoramento del solo bene cui si riferisce la

documentazione mancante, mentre l’estinzione dell’intero processo esecutivo è effetto ricollegabile al fatto che non vi siano altri beni pignorati.

12 Ma la sovrapposizione è ancora più evidente, come si vedrà, nell’ipotesi in cui l’opponente ex art. 619 non abbia ottenuto la sospensione del processo e, per motivi vari, il suo diritto non possa più esercitarsi sul bene ma solo sul ricavato. Qui l’interesse istituzionale dell’opponente ex art. 619 diviene per motivi tecnici omologo a quello dell’esecutato, e la necessità di controllare la correttezza della formazione del ricavato è all’origine del riconoscimento della legittimazione all’opposizione ex art. 617 e all’esercizio di altri poteri processuali tipici quest’ultimo. E’ ovvio peraltro che si fa sempre riferimento al solo bene su cui con l’opposizione ex art. 619 il terzo ha vantato diritti, conseguendone che egli ha interesse al controllo della correttezza-validità della procedura di liquidazione di quello specifico bene, mentre continua a non essere interessato alle vicende della liquidazione degli altri beni dell’esecutato eventualmente sottoposti a pignoramento.

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La conclusione non deve stupire. La situazione del subacquirente13 che si oppone ai sensi dell’art.

619 è infatti molto più vicina a quella dell’esecutato che a quella di chi si oppone, sempre ex art.

619, ma allegando la intangibilità originaria del proprio diritto: in tal ultimo caso l’istante lamenta infatti che il vincolo, pur valido, è ingiusto perché alla situazione di appartenenza processualmente rilevante non corrisponde la reale collocabilità del bene nel patrimonio dell’esecutato (o altra situazione di legittima soggezione all’espropriazione); nel secondo caso, al contrario, è solo l’invalidità/inefficacia attuale del vincolo a consentire all’opponente di sottrarvi un bene che altrimenti vi resterebbe senz’altro soggetto ai sensi degli artt. 2913 ss c.c.

L’ingiustizia dell’espropriazione per aver colpito un bene estraneo al patrimonio responsabile passa allora in quest’ultimo caso, e non nel primo, attraverso l’allegazione di vizi procedurali, rendendo l’interesse dell’opponente omologo a quello del debitore quanto alla contestazione di quelli idonei a chiudere il processo o ad inficiare in qualunque modo il pignoramento.

Erra dunque la sentenza in commento laddove da un canto qualifica l’opposizione come di terzo ai sensi dell’art. 619 e dall’altro esclude che possa fondarsi su vizi sopravvenuti del pignoramento.

Cade altresì, e per le medesime ragioni, l’asserto che le domande, sia dell’esecutato che del terzo, anche ove se ne ritenesse la legittimazione, sarebbero inammissibili perché “lamentano l’illegittimità dell’ordinanza con cui è stata disposta la vendita (…) non per i vizi propri di tale atto ma in quanto (…) il giudice dell’esecuzione avrebbe illegittimamente omesso di dichiarare l’estinzione della procedura (…). Orbene, com’è noto, avverso le ordinanze che accolgono o rigettano le istanze di estinzione della procedura esecutiva non è esperibile l’opposizione prevista dall’art. 617 cpc, ma unicamente il reclamo al collegio previsto dall’art. 630 cpc”.14

13 E stavolta il riferimento allo status sostanziale si giustifica perché necessario ad evidenziare che si tratta della variante dell’opposizione ex art. 619 relativa alla contestazione di vizi procedurali idonei ad inficiare la validità/efficacia del pignoramento.

14Inconferente appare dunque anche il richiamo a Cass. 26 luglio 2004, n. 14003, in Riv. es. forz., 2004, 809a sostegno della conclusione che al terzo sono preclusi gli strumenti di difesa del debitore. La decisione di legittimità era stata infatti originata da una fattispecie completamente diversa, sia pure coinvolgente un subacquirente dei beni pignorati. Questi aveva cioè proposto opposizione non per sottrarre il bene acquistato al pignoramento, ma solo per contestare l’attribuzione del privilegio ad uno dei creditori. In base a questi elementi la Corte, qualificata l’opposizione come agli atti esecutivi, correttamente aveva escluso l’interesse dell’opponente, cui l’accoglimento della domanda non avrebbe effettivamente in alcun modo giovato (come del resto non avrebbe giovato allo stesso esecutato per il quale il trattamento privilegiato o meno riservato ai creditori intervenuti è questione priva di rilievo, trattandosi pur sempre, dal punto di vista del suo interesse istituzionale all’interno della procedura, di distribuire il ricavato tra i creditori, a prescindere dalla collocazione nel piano di riparto: v., per tutti, Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 2009, 188). Il profilo giuridico emerso era allora un altro, vale a dire quello della legittimazione del subacquirente il cui acquisto sia (dichiaratamente) inopponibile alla procedura, all’esperimento dei mezzi reattivi propri del debitore, con cui condivide lo status di soggetto passivo dell’esecuzione.

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Qui infatti, per ammissione della stessa sentenza, l’estinzione non è stata né rilevata né dichiarata, di talchè ciò che assume in concreto rilevanza è il fatto processuale in sé, e non il provvedimento ricognitivo15.

L’estinzione opera infatti di diritto e si attesta perciò al momento in cui si verifica il fatto generatore, nella fattispecie la mancata allegazione della documentazione ipocatastale, impedendo la valida progressione del processo verso la vendita, ma anche comportando il difetto sopravvenuto del diritto di procedere ad esecuzione forzata, oltre che la sopravvenuta prevalenza del diritto del subacquirente rispetto a quello del creditore procedente. Non si tratta cioè di impugnare un provvedimento, ma di rilevare un fatto rilevante per l’opponente.

Insomma, proprio i vizi de quibus, rappresentando un nucleo fattuale comune non solo alle opposizioni esecutive del debitore ex artt. 615 e 617, ma anche a quella del subacquirente ex art.

619, legittimano questi soggetti ad attivare i diversi mezzi reattivi a ciascuno riconosciuti.

La loro legittimazione è cioè, secondo le regole generali, un dato formale ricavabile dall’affermazione di essere rispettivamente esecutato e subacquirente che chiedono la chiusura della procedura esecutiva, il problema spostandosi semmai sulla fondatezza nel merito delle domande.

Per concludere sul punto, il tribunale avrebbe dovuto allora, correttamente qualificate le opposizioni, deciderle nel merito (ed accoglierle, risultando per tabulas l’avvenuta estinzione della procedura esecutiva, secondo l’art. 567 cpc nel testo precedente alla riforma del 2005).

3.- Esecutato poi fallito e sua legittimazione all’opposizione ex art. 617 in caso di intervento del curatore nell’espropriazione ex art. 107 L. fall.

Passando la secondo profilo affrontato dalla sentenza, la legittimazione dell’esecutato alle opposizioni esecutive viene esclusa in base ad un ulteriore argomento indotto dalla peculiarità del caso, in cui ad esecuzione pendente era sopraggiunto il fallimento dell’opponente e nell’espropriazione singolare era intervenuto, ai sensi dell’art. 107 l. fall., il curatore.

Ebbene, sostiene il tribunale che l’esecutato è legittimato a difendersi in proprio solo se la cura dei suoi interessi, istituzionalmente demandata al curatore, da questi non sia adeguatamente

15 Cass. 26 settembre 2000, n. 12762, in www.cortedicassazione.it, aveva riconosciuto la legittimazione del subacquirente ad eccepire l’avvenuta estinzione del processo esecutivo, in particolare attraverso l’intervento nel procedimento di reclamo avverso l’ordinanza dichiarativa. Nel nostro caso la situazione è però diversa sotto il profilo processuale, perché appunto l’estinzione non è stata oggetto di declaratoria.

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salvaguardata. Ciò che però non si è verificato nel caso di specie ove il curatore si è opposto alle domande avanzate dall’esecutato ex artt. 615 e 617.

L’affermazione, nella sua lapidaria semplicità, fraintende completamente il fenomeno.

Qui infatti il curatore non agisce nella medesima veste del debitore, ad esso sostituendosi, ex art. 43 l. fall., nelle controversie patrimoniali pendenti al momento della dichiarazione di fallimento, ma subentra nell’espropriazione singolare al creditore procedente, e dunque istituzionalmente nella cura di interessi, quelli della massa dei creditori, confliggenti rispetto ai suoi. E’ per questo che l’art.

10716 prevede che si applichino in toto le disposizioni del codice di rito civile relative all’esecuzione singolare17.

Ne consegue che il curatore ha interesse a portare a compimento la liquidazione come un qualunque creditore procedente, anche se al fine, parzialmente diverso in ragione del contesto universale del fallimento, di ripartire il ricavato nella procedura concorsuale. Il debitore, per parte sua, non può dunque che mantenere intatto il suo status ed il relativo corredo di mezzi reattivi, in questo risolvendosi il chiaro richiamo dell’art. 107 all’applicazione della procedura singolare.

Che la procedura prosegua per impulso del curatore, e che questi contrasti le opposizioni dell’esecutato appare allora conseguenza naturale della posizione che istituzionalmente questi assume nell’espropriazione e perciò presupposto delle opposizioni dell’esecutato, non certo limite alle stesse.

L’evidenza che pare fatalmente sfuggire al tribunale di Roma è cioè che l’alternativa consentita dall’art. 10718 è quella tra confluenza dell’espropriazione nell’ambito del fallimento e continuazione della stessa secondo il suo naturale regime, a ciascun capo dell’alternativa corrispondendo uno specifico corredo di mezzi difensivi per (ciascun soggetto interessato ed in particolare per) il debitore poi fallito.

16 Chiaramente ispirato all’opportunità di mettere a frutto le complesse attività processuali già compiute al fine di liquidare i beni: così Cass. n. 4743/1997.

17 Ciò emerge chiaramente dalla giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di pronunciarsi sulla norma prima della riforma della L. Fall operata con D. lgs n. 5/2006, il testo previgente prevedendo comunque che il curatore intervenisse nell’espropriazione immobiliare pendente alla data di dichiarazione di fallimento. Ad esempio, secondo Cass. 3177/1985, la sostituzione del curatore non sottrae la procedura esecutiva individuale in corso alle ordinarie regole fissate dal codice di rito.

Cass. 3729/1999 ha poi chiarito che la sostituzione del curatore opera di diritto, senza che sia necessario né un intervento del curatore né un provvedimento di sostituzione del giudice dell’esecuzione e che se il curatore sceglie di non proseguire la procedura individuale ciò non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento.

18 Peraltro la giurisprudenza formatasi sull’art. 107 (sia pure nel testo precedente alla riforma del 2006) aveva avuto modo di chiarire che anche in caso di scelta del curatore di effettuare la vendita nella sedes fallimentare, il processo esecutivo non si estingue né viene definito in rito, ma continua, con conseguente permanenza degli effetti del pignoramento. Così, ad esempio, Cass. 24 settembre 2002, n. 13865, in Foro It., 2003, I, 1536; Cass. 15 aprile 1999, n. 3279, in Fall., 2000, 168.

18 Cass. n. 4743/1997 precisa che la sostituzione del curatore al creditore realizza un’ipotesi di sostituzione processuale del tutto peculiare, per il fatto di avere luogo a favore di un soggetto investito di funzioni pubbliche e di trovare la sua ragion d’essere nel divieto di azioni esecutive individuali di cui all’art. 51 l. fall.

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In alcun modo è invece sostenibile una terza via, quella cioè del mantenimento dell’esecuzione singolare e della negazione all’esecutato dei mezzi reattivi che in tale contesto gli competono, ciò risolvendosi, di fatto, in una “blindatura” della liquidazione di alcuni beni del patrimonio responsabile che, non contestabile nel fallimento perchè la procedura è per definizione esterna e governata dal giudice dell’esecuzione, neppure lo è, a dire del giudice capitolino, all’interno di essa.

Sicchè la scelta del curatore a favore del mantenimento della liquidazione individuale equivarrebbe ad una totale emarginazione dell’esecutato, posto in una posizione deteriore rispetto a quella riconosciutagli in quanto fallito.

Il che non solo contrasta palesemente con il tenore letterale dell’art. 107, c. 6, l. fall. e con la giurisprudenza di legittimità19 che ha chiarito le dinamiche dei rapporti tra fallimento ed esecuzione singolare disegnate dalla disposizione, ma si rivela eccedente allo scopo, che è quello di mettere a profitto le complesse attività processuali già compiute e che non potrebbero progredire, ex art. 51 l.

fall., senza l’impulso della procedura fallimentare, non certo di privare l’esecutato, solo perché fallito, dei mezzi di difesa che gli competono.

4.- Conclusioni: interessi istituzionali dei soggetti coinvolti nell’espropriazione e mezzi di tutela

In sintesi, la decisione in commento appare, sotto entrambi i profili che affronta, inaccettabile perché frutto di un totale fraintendimento delle norme che disegnano l’interesse dei soggetti a vario titolo coinvolti nell’espropriazione.

Della legittimazione del debitore poi fallito alle opposizioni ex artt. 615 e 617cpc nell’espropriazione proseguita dal curatore si è appena detto. L’insostenibilità delle conclusioni del tribunale risulta dall’abnormità delle sue conseguenze: inibizione delle difese del debitore ad onta del duplice status di esecutato e fallito, e correlata impermeabilità della posizione del curatore ad una intera categoria di difese (quelle afferenti ad an e quomodo della liquidazione singolare) che in nessuno di tali contesti gli compete.

19 V., a titolo meramente esemplificativo, la giurisprudenza citata alle 3 note precedenti.

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Merita invece qualche altra considerazione il profilo dei rapporti tra l’interesse dei soggetti a vario titolo coinvolti nell’espropriazione e mezzi reattivi riconosciuti, nel passaggio dalla delimitazione astratta all’identificazione concreta.

Occorre in particolare riflettere sul significato dell’affermazione, reiterata nella massime di legittimità e fatta propria anche dalla sentenza in commento, che al terzo sono sempre preclusi i mezzi di difesa dell’esecutato, ed in particolare le opposizioni ex art. 617, e ciò perché egli è indifferente alla validità della procedura esecutiva. Il che, a sua volta, ha quale corollario l’espunzione dall’ambito dell’unico strumento riconosciutogli, quello ex art. 619, di ogni contestazione che su tale (in)validità si fondi, sempre che non riguardi vizi genetici del pignoramento.

Sotto quest’ultimo profilo si è già rilevato come il solo dato rilevante sia il petitum: tutte le volte in cui esso punti alla liberazione dei beni acquistati dal pignoramento, la domanda deve intendersi formulata ex art. 619 e la sua causa petendi ben può fondarsi su censure dell’atto-vincolo in sé, ma anche di atti precedenti o addirittura di presupposti processuali, o, come nel caso deciso, sull’estinzione della procedura esecutiva20.

Il che, è bene ribadirlo, non contrasta punto con l’affermazione che l’opposizione del terzo ex art.

619 si concreta in una opposizione al pignoramento21, ma ne rappresenta anzi una applicazione perché si traduce nella contestazione della (in)giustizia dell’espropriazione sotto un profilo che resta pur sempre l’unico per lui rilevante, l’identificazione del suo oggetto.

Ciò deriva dalla circostanza che il rimedio disegnato dall’art. 619, sempre e costantemente funzionalizzato alla sottrazione di un bene dell’opponente al pignoramento, esibisce nella realtà applicativa un duplice ordine di causae petendi: quelle fondate sulla divergenza tra appartenenza e titolarità in capo al terzo di diritti prevalenti sul bene (ingiustizia di una espropriazione valida); e quelle fondate invece su vizi di procedura che, se in grado di inficiare la validità/efficacia attuale del vincolo, ne emancipano un bene altrimenti soggetto ad esso (espropriazione invalida e perciò non in grado di vincolare un bene del terzo). E’ quest’ultimo il caso del subacquirente dei beni staggiti, per il quale dunque tutta una gamma di vizi procedurali assume ben precisan rilevanza.

20 Il che mi porta a non condividere la ricostruzione di Cass. 14 aprile 1993, n. 4409, cit., che ha qualificato come opposizione agli atti esecutivi il giudizio instaurato dal subacquirente dei beni staggiti chiedendo che fosse dichiarata la nullità di alcuni atti del processo e l’inefficacia del pignoramento, con conseguente revoca dell’ordinanza di vendita. La Corte si è infatti basata sul solo status sostanziale dell’opponente, quello appunto di subacquirente, senza tenere in nessun conto che egli agiva invece per sottrarre i beni acquistati al vincolo e dunque non come soggetto passivo del processo esecutivo, ma come terzo estraneo e dunque ex art. 619. Qui si riscontra esattamente quel fenomeno che a me pare di confusione tra il piano sostanziale del trasferimento dei beni pignorati, sempre unico e costante, e quello della posizione assunta dal

subacquirente nel processo, che non è invece unica a costante ma variabile in ragione del petitum avanzato.

21 Così, da ultimo, Capponi, Manuale, cit., 358; Vaccarella, La tutela del terzo, cit., 352 discorre invece di “impugnazione” del pignoramento.

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Sotto un diverso ma connesso profilo, la medesima affermazione che, alla luce degli interessi tipici supra individuati, il terzo opponente ex art. 619 sarebbe, al contrario del debitore o di altri soggetti, indifferente ai problemi legati al corretto svolgimento del processo esecutivo, va confrontata con la constatazione che a volte la sola opposizione ex art. 619 si rivela inidonea a soddisfare proprio l’interesse cui è in astratto preordinata.

Ciò vale in entrambe le tipologie di opposizioni del terzo di cui si è detto, ed accade in particolare se la sospensione dell’esecuzione è negata e la disciplina sostanziale non consente all’opponente di recuperare il bene dall’acquirente in vendita forzata, sicchè il suo diritto si tramuta in diritto al ricavato. Qui la correttezza del modus procedendi diviene in concreto rilevante perché da essa dipende la giusta determinazione di quel ricavato, 22 ed all’opponente deriva dunque la legittimazione ad opporsi agli atti esecutivi ex art. 617, sempre che siano inerenti alla liquidazione di quel bene (ed in questo apprezzandosi la differenza con il rimedio riservato all’esecutato, che si estende alla liquidazione di qualunque bene pignorato, e ad ogni vizio della procedura che lo pregiudichi).

Sulla stessa lunghezza d’onda si pongono la dottrina e la giurisprudenza che legittimano l’opponente a chiedere, sempre in caso di mancata sospensione della procedura, la conversione del pignoramento, in base al rilievo che ciò consente medio tempore di sottrarre il bene al vincolo, mentre i diritti vantati si faranno poi valere sulla somma vincolata in luogo del bene stesso.23

Il terzo diviene cioè quantomeno “interessato”24 a tutte le attività direttamente riconducibili all’amministrazione e liquidazione del bene,25dal che gli derivano verosimilmente l’interesse ad essere sentito in sede di autorizzazione alla vendita o assegnazione,26 e la legittimazione

22 E’ la tesi di Vaccarella, La tutela del terzo proprietario, cit., 353.

23 E’ la posizione della non recente Cass. 12 luglio 1979, n. 4095, in Foro It., 1980, I, 109, su cui v. amplius Vaccarella, Op. loco ult. cit., e Capponi, Manuale, cit., 360. In tale ipotesi si può immaginare sia l’istanza di conversione da parte di chi ha già proposto opposizione ex art. 619, sia al contrario che il terzo chieda la conversione e poi si opponga ex art. 619. Nel primo caso non si verifica una cessazione della materia del contendere nel giudizio ex art. 619 perché l’accertamento della posizione del terzo è presupposto della consegna a lui (e non invece all’esecutato) della somma pignorata in luogo del bene.

Nel secondo caso la situazione è identica, perché il terzo potrà recuperare la somma pignorata solo previo accertamento che il bene era stato ingiustamente pignorato (v. Cass. 12 luglio 1979, n. 4059, in Foro It., 1980, I, 109).

24 Né deve destare stupore la convivenza tra terzietà ed interesse rilevante all’interno della procedura, tale ambivalenza rientrando nello stesso concetto di terzo che qui viene in rilievo, come correttamente rileva Miccolis, L’opposizione di terzo all’esecuzione, in Riv. es. forz., 2000, 181, ove anche bibliografia fondamentale di riferimento.

25 Capponi, Op. loco ult. cit. In applicazione di questa logica l’A. ritiene che il terzo possa evitare a monte il pignoramento attraverso il pagamento nelle mani dell’ufficiale giudiziario ex art. 494, con riserva di ripetizione. A me pare però che qui si sia fuori dalle dinamiche specifiche del processo espropriativo, trattandosi di pagamento di un terzo sempre possibile sul piano sostanziale e la cui ripetizione è regolata sullo stesso piano tra chi ha pagato ed il debitore.

Quanto invece all’ipotesi regolata dall’ultimo comma dell’articolo, il terzo si pone direttamente all’interno dell’espropriazione, ad essa sottraendo il bene sul quale vanta una posizione asseritamente prevalente, e dunque in tal caso il suo diritto potrà farsi valere sulla somma stessa ex art. 619.

26 Capponi, Manuale, cit., 360.

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all’opposizione ex art, 617 in riferimento ai vizi del subprocedimento di liquidazione che inficino una giusta determinazione del ricavato.

Le ipotesi considerate esibiscono la costante della previa proposizione dell’opposizione del terzo e della mancata sospensione della procedura ex art. 624 che, comportando l’alienazione del bene, rende in concreto rilevante ciò che in astratto non lo sarebbe, vale a dire la correttezza della procedura in quanto mezzo di giusta realizzazione della somma sulla quale per le più svariate ragioni27 troverà soddisfazione il suo diritto (se ed in quanto accertato nel giudizio ex art. 619).

Portando ad consenquentias questa logica, non mi pare possa escludersi la legittimazione a far valere sia l’eccessività del cumulo dei mezzi di espropriazione ex art. 483, sia la riduzione del pignoramento ex art. 496, in riferimento specifico alla liberazione dal vincolo del bene su cui con l’opposizione ex art. 619 ha vantato diritti (anche qui apprezzandosi la differenza con l’esecutato, il cui interesse riguarda indifferentemente tutti i beni pignorati).

E ciò in ragione della duplice circostanza che il suo interesse a sottrarre il bene al vincolo, in astratto non sovrapponibile a quello dell’esecutato, appare in concreto omologo a quest’ultimo, per il quale i rimedi sono pensati; e che (per l’effetto) l’esercizio di tali poteri gli consente il recupero in extremis del bene, che altrimenti sarebbe destinato alla vendita, ed il suo svincolo dal pignoramento nonostante la mancata sospensione della procedura.

Qui dunque lo status di opponente ex art. 619 e la mancata sospensione della procedura assurgono a fatti costitutivi della legittimazione ad una vera e propria opposizione agli atti esecutivi (in particolare quelli della procedura di liquidazione del bene) motivata dal fatto che i diritti prevalenti del terzo si faranno valere sul ricavato. Al contrario, la contestazione dei vizi di procedura effettuata con l’opposizione ex art. 619 serve invece allo scopo di contestare indirettamente la giustizia dell’espropriazione sotto il profilo dell’oggetto, e quindi viene in rilievo nella sua consistenza di naturale causa petendi.28

27 Può trattarsi di ragioni di diritto sostanziale che impongono la prevalenza della posizione dell’acquirente in vendita forzata sul terzo proprietario (ex artt. 1153 e 2919 c.c.) sempre e comunque; o di ragioni temporali, legate cioè al momento in cui è proposta l’opposizione ex art. 620 o in cui si verifica la chiusura del processo esecutivo ex art. 632 che, se successivo all’aggiudicazione o assegnazione, rende intangibili gli effetti traslativi dirottando i diritti sul ricavato (ma secondo altra lezione anche in ipotesi di espropriazione immobiliare estintasi prima dell’aggiudicazione/assegnazione il terzo potrebbe sempre scegliere tra la retrocessione dei beni o il loro ricavato: v. amplius Vaccarella, La tutela del terzo proprietario, cit., 349, ove anche riferimenti bibliografici).

28Anche in tal ultimo caso tuttavia la eventuale mancata sospensione dell’esecuzione mette l’opponente nelle condizioni di dover preservare la validità delle procedure di liquidazione, legittimandolo altresì all’opposizione ex art. 617. In tal ultima ipotesi il fenomeno fotografato è dunque quello del subacquirente che, per sottrarsi al vincolo, allega vizi di procedura a sostegno dell’opposizione ex art. 619 ed altresì, in ragione della mancata sospensione del processo e dell’impossibilità di recuperare il bene in natura, appare legittimato altresì ad opporsi agli atti esecutivi relativi alle procedure di liquidazione del bene su cui ha vantato diritti. Nell’un caso e nell’altro la differenza con l’interesse dell’esecutato si apprezza nella funzionalizzazione delle contestazioni del terzo al solo bene (o al suo ricavato), e non all’intero compendio pignorato.

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Queste considerazioni mostrano come ad una ricostruzione astratta dell’interesse del subacquirente lineare e consolidata, corrisponda una individuazione concreta dei mezzi reattivi e della latitudine delle contestazioni loro tramite spendibili complessa ed ancora incerta, che non può racchiudersi nella massima stereotipata29 che al terzo sono preclusi i mezzi reattivi dell’esecutato, ed in particolare le contestazioni relative al modus procedendi.

Ma di ciò il giudice capitolino non si avvede.

E siccome è su quest’ultimo terreno che si giocano davvero i destini dell’effettività della tutela dell’opponente, la formalistica ricostruzione della sentenza in commento finisce col negarla proprio sul suo stesso terreno di elezione.

29 Reiterata in varie pronunce di legittimità: v., ad esempio, Cass. 28 giugno 2010, n. 15400, in www.cortedicassazione.it; Cass. 23 gennaio 2009, n. 1703, ivi; Cass. 26 luglio 2004, n. 14003, cit., e Cass. 14 aprile 1993, n. 4409, cit. Il perno argomentativo intorno a cui ruotano le ultime due pronunce è quello della sentenza del 1993 cit., la quale individua le categorie di soggetti coinvolti nell’espropriazione legittimati a proporre opposizione agli atti esecutivi, e tra questi non annovera il subacquirente dei beni pignorati con titolo inopponibile all’espropriazione.

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