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La rinuncia dei creditori titolati ex art. 629, 1°c. cpc non estingue il processo esecutivo senza il consenso del subcreditore ex art. 511: un’implausibile presa di posizione della giurisprudenza di merito. - Judicium

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Clarice Delle Donne

La rinuncia dei creditori titolati ex art. 629, 1°c. cpc non estingue il processo esecutivo senza il consenso del subcreditore ex art. 511: un’implausibile presa di posizione della giurisprudenza di

merito.

T. Roma 4 agosto 2008- Pres. Gerardi- Rel. Battagliese-

Capitalia Service J.V. srl (Avv. Compagnoni) c. Tosto (Avv. Musto e Capponi)

Ove sia stata formulata istanza di sostituzione ex art. 511 cpc nei confronti di creditore titolato in fase espropriativa del processo esecutivo, la rinuncia agli atti da parte dei creditori titolati ex art.

629, comma 1, cpc, non estingue il processo in assenza di acquisizione della rinuncia anche da parte del subcreditore istante.

1.- Il caso e la questione giuridica sottesa

La sentenza in epigrafe è stata resa all’esito del reclamo avverso l’ordinanza di estinzione del processo esecutivo per effetto della rinuncia, tra gli altri, di uno dei creditori ai sensi dell’art. 629 cpc.

In particolare, la rinuncia era avvenuta dopo che un creditore del rinunciante (a quanto è dato comprendere creditore procedente) aveva formulato istanza di sostituzione ai sensi dell’art. 511 cpc.

Il giudice dell’esecuzione, sul presupposto della valenza solo satisfattiva e non anche surrogatoria di tale istanza, e ritenuto pertanto che la rinuncia del creditore procedente, debitore del creditore in sostituzione, privasse quest’ultimo del diritto di dare comunque impulso autonomo alla procedura esecutiva utendo iuribus del proprio debitore (ed in particolare avvalendosi dei poteri di impulso legati al titolo esecutivo del procedente), dichiarava senz’altro l’estinzione del processo esecutivo ai sensi dell’art. 630, comma 2.

Avverso tale ordinanza proponeva reclamo proprio il subcreditore, assumendo l’implausibilità della soluzione ermeneutica del giudice dell’esecuzione.

Argomentava in particolare, richiamando precedenti conformi della giurisprudenza di legittimità e lezioni diffuse in dottrina, la natura (non solo satisfattiva ma) anche surrogatoria della sostituzione esecutiva codificata dall’art. 511, in virtù della quale il sostituto, ove il creditore sostituito sia provvisto di titolo esecutivo, è, tra l’altro, abilitato a compiere atti di impulso processuale in sua vece.

Ciò in quanto la domanda di sostituzione ritualmente proposta si pone quale limite ai poteri del creditore sostituito, il quale non può più disporre del suo credito all’interno della procedura esecutiva, in particolare rinunciando all’azione e provocando l’estinzione del processo. A diversamente argomentare infatti, si priverebbero di tutela quelle situazioni giuridiche (segnatamente le ragioni del subcreditore) cui proprio con l’art. 511 il legislatore ha inteso invece fornire qualificata protezione.

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La tesi del reclamante è fatta propria dal collegio, che ritiene ostativa all’estinzione della procedura esecutiva la mancata acquisizione della rinuncia anche da parte del subcreditore. Quest’ultimo deve infatti ritenersi abilitato, in virtù della rituale presentazione della domanda, a compiere atti di impulso processuale in vece del sostituito e dunque anche ad impedire l’estinzione del processo esecutivo in presenza della rinuncia del creditore principale (e degli altri eventualmente intervenuti con titolo esecutivo). Il tribunale accoglie dunque il reclamo.

2.- I termini del dibattito come eredità della storia

Il caso risolto dal Tribunale di Roma ripropone la vexata quaestio della natura della cd. sostituzione esecutiva di cui all’art. 511 cpc e rimanda ad un dibattito i cui termini si appuntano sostanzialmente sulla natura solo satisfattiva o anche lato sensu surrogatoria della posizione acquisita dal subcreditore nel processo espropriativo in virtù dell’istanza ex art. 511.

La caratterizzazione del dibattito nei cennati termini di alternativa tra le due opzioni è essenzialmente figlia della storia, ed è pertanto da essa che occorre prendere, sia pure brevemente, le mosse. Ciò consentirà infatti, a tempo debito, di meglio inquadrare e comprendere le ragioni della pronuncia in commento e quelle del dissenso di chi l’annota.

Come da tempo approfonditi studi1 hanno evidenziato, l’odierno art. 511 è il diretto discendente dell’art. 715 del cpc del 1865, che al primo comma recita(va): “Qualunque creditore di un creditore interessato nel giudizio di graduazione può intervenirvi, sia per far valere e conservare le ragioni del suo debitore, sia per essere collocato sulla somma che spetti al medesimo”.

L’istituto oggi codificato dall’art. 511 trova dunque la sua originaria collocazione, nella previgente codificazione, tra le disposizioni dettate per la sola espropriazione immobiliare2.

In dottrina3 si era aggregato un significativo consenso intorno alla fisionomia dell’istituto, segnatamente caratterizzabile: a) per il riconoscimento del diritto all’intervento in capo a qualunque creditore, privilegiato o meno, titolato o meno; b) per la duplice natura dell’intervento.

1 Ci si riferisce, in particolare, a Capponi, La “sostituzione esecutiva” tra vecchio e nuovo codice, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1990, 95 ss, ora in Scritti sul processo di esecuzione forzata, Torino, 1999, 424 ss; ID., La cognizione sulla domanda di sostituzione del creditore nella distribuzione della somma ricavata, in Riv. dir. civ., 1987, II, 717, ora in Scritti, cit., 393 ss; ID., Ancora sulla “sostituzione esecutiva” ex art. 511 cpc, in Giust. civ., 1988, I, 2987, in nota a T. Verona 2 aprile 1988, ora in Scritti, cit., 419 ss. Una breve ricostruzione di origini e ratio dell’istituto anche in ID., Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, 278 ss.

2 L’art. 715 del cpc del 1865 era infatti inserito nella Sezione I, intitolata “Dello stato di graduazione”, del Capo II, intitolato

“Del giudizio di graduazione”, del Titolo III, intitolato “Dell’esecuzione sopra i beni immobili”.

3 V., per tutti, Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile italiano, VI, Torino, 1933, (rist.), 659. Ulteriori citazioni della dottrina dell’epoca in Capponi, La “sostituzione esecutiv”a tra vecchio e nuovo codice”, cit., 424 ss, cui si rinvia anche per ulteriori approfondimenti. V. altresì, per una puntuale ricostruzione anche storica dell’istituto, Picardi, La domanda di sostituzione nel processo esecutivo, in Riv. dir. proc., 1959, 575 ss.

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Quanto in particolare a quest’ultimo profilo, il riferimento normativo alla possibilità di far valere le ragioni del debitore (- creditore surrogato) consentiva di riconoscere all’intervento de quo natura anche surrogatoria, in quanto il subcreditore aveva il potere di promuovere, utendo iuribus del creditore principale e nella sua inerzia, la domanda di collocazione. Finalità latamente cautelari aveva poi l’intervento finalizzato solo a “conservare” le ragioni del debitore (-creditore surrogato), e quindi privo dell’istanza di collocazione. Comune esegesi4 ricostruiva infatti l’intervento de quo come equivalente, quoad effecta, al pignoramento presso terzi: la somma dovuta al creditore principale subiva cioè l’effetto di “arresto” tipico del pignoramento stesso.

Infine, l’intervento si colorava di connotazioni satisfattive, in quanto finalizzato anche solo ad ottenere il pagamento delle somme spettanti al creditore surrogato, previa collocazione nella graduatoria. Finalità, quest’ultima, tutto sommato percepita, dalla dottrina dell’epoca, come principale, avendo le altre la funzione di garantire comunque il buon esito della collocazione nel piano di riparto al posto del creditore principale, retaggio della codificazione francese5.

Occorre tuttavia anche rilevare come le diverse finalità di cui si è appena detto possano riguardarsi in modo atomistico a soli fini descrittivi, e come la vita reale dell’istituto fosse invece governata, nel diritto vivente, da dinamiche assai più complesse. In particolare, la cennata finalità cautelare apparteneva all’intervento ex art. 715 non in virtù di espressa previsione normativa, ma solo della comune interpretazione, che però riteneva necessario, affinchè si verificasse l’effetto di “arresto”

del credito nei confronti del subcreditore, la notifica dell’intervento stesso al debitore-creditore principale.

In sintesi, si riteneva generaliter che la semplice presentazione dell’istanza di intervento garantisse senz’altro la subcollocazione nel piano di riparto (tipica finalità satisfattiva), ma che la formalità aggiuntiva della notifica avesse l’ulteriore effetto di rendere il credito indisponibile per il debitore – creditore principale, cristallizzandolo a garanzia del subcreditore notificante6. Il tutto in applicazione analogica dell’artt. 6127, immediato precedente dell’attuale art. 546, e degli artt. 12448

4 Per tutti ancora Mattirolo, Trattato, cit., VI, 661.

5 V. amplius, su questi profili, Capponi, La “sostituzione esecutiva”, cit., spec. 427, ove anche ampi riferimenti a dottrina e giurisprudenza dell’epoca.

6 Ma sui profili di maggiore complessità di tale questione, e sul fatto che all’affermazione generale esposta nel testo (e comune sia in dottrina che in giurisprudenza) si contrapponessero poi soluzioni giurisprudenziali escludenti l’indisponibilità del credito a seguito della notifica dell’istanza ex art. 715, e quindi l’effetto del pignoramento pure in thesi postulato, v. amplius Capponi, La “sostituzione esecutiva”, cit., 429, ed ivi riferimenti alla dottrina e giurisprudenza dell’epoca.

7 L’art. 612 del cpc del 1865, inserito nel Capo V, “Del pignoramento di beni mobili presso i terzi, e dell’assegnamento di crediti in pagamento”, così disponeva: “Dal giorno della notificazione dell’atto suddetto (la citazione del debitore e del terzo a comparire: nda), il terzo, per gli oggetti mobili che presso di lui si trovano o per le somme da lui dovute, è soggetto a tutti gli obblighi dalla legge imposti ai depositari e sequestratari giudiziali”.

8 L’art. 1244 del c.c. del 1865, inserito nel Capo IV, “Dei modi con cui si estinguono le obbligazioni”, del Titolo IV, “Delle obbligazioni e dei contratti in genere”, del Libro III, “Dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose”,così recitava: “Il pagamento fatto dal debitore al suo creditore non ostante sequestro o atto di opposizione nei modi stabiliti dalla legge, non è valido riguardo ai creditori sequestranti od opponenti: questi possono costringerlo a pagare di nuovo , per ciò che riguarda le loro ragioni, salvo in questo caso soltanto il suo regresso contro il creditore”.

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e 12949 del codice civile del 1865, che regolavano rispettivamente l’inopponibilità al creditore sequestrante od opponente del pagamento e della compensazione operati dal debitore in loro pregiudizio.

Nel passaggio dalla codificazione ottocentesca a quella vigente la fisionomia normativa dell’istituto pare però subire una decisiva mutazione, atteso il tenore letterale della disposizione che la disegna, l’art. 511, e la sua collocazione sistematica.

Quanto al primo profilo, l’art. 511, eliminato ogni riferimento testuale alla possibilità di far valere e conservare le ragioni del debitore, menziona la sola possibilità, per il subcreditore, di (chiedere di) essere sostituito al creditore “avente diritto alla distribuzione”(comma 1). Il secondo comma, per parte sua, dispone che il giudice proceda alla distribuzione anche nei confronti del subcreditore.

Il secondo profilo sembrerebbe confermare la focalizzazione sul momento distributivo, atteso che l’art. 511 è collocato nella Sezione V del Capo I, Dell’espropriazione forzata in generale (del Titolo II, Dell’espropriazione forzata, del Libro III, Del processo di esecuzione) intitolata “Della distribuzione della somma ricavata”, e si riferisce ad ogni forma di espropriazione, non più solo a quella immobiliare come nel precedente storico.

A queste debbono poi aggiungersi, come rilevato dalla dottrina che ha approfondito il tema10, ragioni di ordine sistematico legate alla nuova concezione del processo esecutivo fatta propria dal legislatore del 1942. Com’è noto, si è infatti passati da una organizzazione della fase di formazione del progetto di distribuzione (nell’espropriazione immobiliare) del ricavato nelle forme del giudizio contenzioso di cognizione, che metteva capo al giudicato a tutti gli effetti, ad una organizzazione processuale priva in sé di sostanza e forma contenziosa, fasi autenticamente di cognizione sull’an e/o il quantum dei crediti e/o dei diritti di prelazione essendo solo eventuali e confinate in parentesi esterne alla procedura esecutiva in senso stretto (almeno nelle astratte intenzioni del legislatore)11. Il mutato contesto di riferimento non consente più la ricostruzione della domanda di partecipazione alla distribuzione del ricavato invalsa in costanza della previgente codificazione, e cioè quale vera e propria citazione per il pagamento, sia pure sui generis. Tale istanza si inserisce infatti, oggi, in un processo depurato delle forme e della sostanza della cognizione e diviene manifestazione di “azione esecutiva”, scomponibile nella duplice tipologia di “espropriativa” se esperita da creditore titolato, e solo “satisfattiva” se invece riferibile a creditore privo di titolo esecutivo.

Ciò non può che gettare nuova luce sulla figura, peraltro anche testualmente ridisegnata dall’art.

511, dell’istanza del subcreditore. Si è perspicuamente notato12 come il riferimento della

9 L’art. 1294 del c.c. del 1865, avente la medesima collocazione dell’art. 1244, così recitava: “La compensazione non ha luogo in pregiudizio dei diritti acquistati da un terzo. Quegli perciò che essendo debitore, divenne creditore dopo il sequestro fatto presso di sé a favore di un terzo, non può opporre la compensazione a pregiudizio di chi ottenne il sequestro”.

10 Capponi, La “sostituzione esecutiva”, cit. alla nota 1, ove anche riferimenti di dottrina.

11 Profili ormai “classici” degli approfondimenti dottrinali e degli interventi giurisprudenziali sono quelli relativi agli apporti

“cognitivi” presenti in innumerevoli occasioni in cui il giudice dell’esecuzione è chiamato a conoscere, appunto, dell’entità dei crediti nel corso della fase anche “espropriativa” dell’esecuzione, e che rende solo tendenziale l’aspirazione del legislatore del 1940 ad un processo esecutivo in cui non si accertano diritti, ma si attuano diritti (già aliunde) certi. Sufficit qui rinviare, ex multis, a Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile diretta da A. Proto Pisani, Torino, 1993, passim, ed a Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, passim, ove efficace sintesi di temi, riflessioni e soluzioni invalse prima delle riforme del 2005-2006, nonchè prima riflessione alla luce dei nova normativi.

12 Capponi, La “sostituzione esecutiva”, cit., 431 ss.

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disposizione alle forme dell’art. 499 per l’istanza di subcollocazione (…proponendo domanda a norma dell’art. 499, secondo comma) abbia più o meno consapevolmente portato gli interpreti ad assimilare la prima ad un intervento non titolato, e per questa via a riconoscere ad essa la natura di azione esecutiva speciale nei confronti del debitore principale, mutuando appunto la ricostruzione in tal senso dell’intervento non titolato13. Il che, evidentemente, ha mostrato le sue ricadute in ordine ad altri profili processuali del nostro istituto, come quello della prova del rapporto debitorio intercorrente tra creditore principale e subcreditore, e quello dei requisiti da riconoscere al credito, e ricostruiti in termini di certezza, liquidità ed esigibilità (ove richiesta) ad instar di quanto ritenuto appunto per l’intervento non titolato.

L’istanza ex art. 511 diviene allora, pur nella consapevolezza della difficile collocabilità in schemi processuali già noti14, una sorta di azione esecutiva speciale del creditor creditoris, che segue forme in parte diverse da quelle dell’intervento non titolato, ma che di quest’ultimo ha la medesima natura. Ciò soprattutto in ragione della circostanza, generaliter ritenuta dirimente, che come per l’intervento nell’espropriazione non è necessario il titolo esecutivo, così per la surrogazione non è richiesto il titolo né nei confronti del creditore –debitore, né maiori causa nei confronti dell’espropriato.

La ricostruzione dell’istituto di cui all’art. 511 in termini di autonoma azione esecutiva del subcreditore non trova dunque, nel mutato contesto normativo, la sua giustificazione teorica nella assimilazione al pignoramento presso terzi, come avveniva vigente la codificazione ottocentesca, ma proprio nell’apparentamento concettuale con l’intervento dei creditori privi di titolo esecutivo, e viene mantenuta in questi termini, stranezza puntualmente rilevata in dottrina15, persino quando da parte di alcuno si inizia a dubitare che l’azione dei creditori privi di titolo possa ricondursi alla medesima matrice di quella dei creditori titolati.

13 Questo è, almeno, quanto risulta leggendo le pagine di Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Milano, 1962, 277; di Denti, v. Distribuzione della somma ricavata, in Enc. Dir., XIII, Milano, 1964, 331 ss, per il quale l’intervento del subcreditore è assimilabile all’intervento spiegato dai creditori principali, dato che la domanda di sostituzione veicola un diritto prevalente rispetto a quello del creditore-debitore; con tale intervento si esercita dunque una vera e propria azione esecutiva, sia contro il creditore concorrente che contro il debitore; di Andrioli (cui lo stesso Denti si ispira nella ricostruzione dell’intervento de quo), Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 233 (v. di Andrioli anche la monografia del 1937, e dunque riferita al cpc previgente, Il concorso dei creditori nell’esecuzione singolare, Roma, 1937, 242 ss). Più aperto a riconoscere le differenze tra l’istituto dell’art. 511 e l’intervento non titolato nell’esecuzione sembra invece Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1966 (rist.), 210, per il quale non può sottacersi che i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità richiesti per l’intervento dall’art. 499 non sono invece menzionati dall’art. 511 per l’istanza del subcreditore, e dunque occorre riconoscere che nessuna condizione è posta all’intervento ex art. 511. Nella dottrina più recente, v. Monteleone, Profili sostanziali e processuali dell’azione surrogatoria, Milano, 1975, 410, per il quale anche l’intervento ex art. 511 deve riferirsi ad un credito certo, liquido ed esigibile, solo in tali circostanze potendosi ipotizzare quell’immediata soddisfazione del creditor creditoris cui l’istituto tende; secondo Acone, La domanda di sostituzione del creditore nella distribuzione del ricavato, in Riv. dir. proc., 1981, 234 ss, gli effetti dell’istanza ex art. 511 sono gli stessi dell’intervento non titolato dell’art. 499, ed il subcreditore ha i medesimi poteri processuali dell’interventore privo di titolo esecutivo. Riporta invece l’istanza ex art.

511, sia pure in senso lato, all’area concettuale dell’intervento adesivo dipendente, La China, L’esecuzione forzata e le disposizioni generali del codice di procedura civile, Milano, 1970, 354 ss.

14 “Imbarazzo” ricostruttivo espresso da Denti, v. Distribuzione, cit., 332.

15 V. ancora Capponi, La cognizione, cit., 395, in nota 5, ove anche riferimenti di dottrina.

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3.- La sostituzione esecutiva nella versione dell’art. 511 del codice del 1942: le (incidentali) prese di posizione della giurisprudenza

Il mutato quadro normativo di riferimento offerto dalla codificazione del 1942 e la diversa formulazione e collocazione dell’art. 511 vengono letti in modo non omogeneo dalla (in verità scarsa) giurisprudenza occupatasi del tema.

Nelle non frequenti né recenti pronunce della Cassazione16 il nostro istituto appare connotato delle medesime potenzialità surrogatorie che lo caratterizzavano in costanza della previgente codificazione, traendosene la conseguenza, consegnata alle massime, che se il creditore –debitore è munito di titolo esecutivo, il subcreditore può compiere atti di impulso processuale in sua vece.

Ma proprio le massime, tralaticiamente assestate su affermazioni generalizzanti del tipo di quella riferita, nascondono il mancato approfondimento dei presupposti teorici delle conclusioni (solo apparentemente) adottate. Come si più efficacemente altrove rilevato17, la lettura completa delle sentenze evidenzia al contrario come proprio tali massime incarnino non rationes decidendi, ma solo affermazioni incidenter tantum, a volte neppure rilevanti per la decisione del caso di specie.

Ad esempio, nella sentenza n. 5850/197918, la Corte era chiamata a sciogliere il nodo se il creditor creditoris potesse compiere, utendo iuribus del creditore principale, un atto di “rinuncia al pignoramento”. La risposta negativa riposava, del tutto condivisibilmente, sul presupposto della non configurabilità di siffatto potere neppure in capo al creditore principale, atteso che la legge consente la rinuncia all’intero processo esecutivo e non invece ad un singolo atto, quale appunto il pignoramento. Come è evidente, il profilo dell’esistenza di un generale potere surrogatorio risulta assorbito dall’altro, principale, della stessa non configurabilità, a monte, della potestas surroganda.

Ed il ragionamento della Corte, che giustifica invece la conclusione sul presupposto che il subcreditore abbia tutti i poteri processuali del creditore principale, non possiede alcuna reale capacità dimostrativa né si basa sulla ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

Nella successiva sentenza n. 2608/198719 il quid consisteva invece nello stabilire se la cessione del credito operata dal creditore principale con scrittura registrata, e perfezionatasi prima della

16 La più risalente pronuncia edita della Cassazione che in qualche modo interessa il nostro istituto è Cass. 6 marzo 1969, n.

735, in Foro It., 1969, I, 2671, con Nota redazionale, che tra l’altro doveva rispondere al quesito se il subcreditore dovesse partecipare al giudizio instaurato ex art. 512 tra creditori diretti. La Corte, premessa una breve ricostruzione storica dell’istituto oggi codificato dall’art. 511, rispose in senso positivo, ma ritenendo che la problematica relativa al subingresso dell’istante ex art. 511 nei poteri di iniziativa ed impulso processuale del creditore principale fosse estranea al caso di specie.

17 Capponi, La “sostituzione” esecutiva, cit., spec. 432 ss.

18 Cass. 12 novembre 1979, n. 5850, in Giust. Civ., 1979, I, 1128 ss.

19 Cass. 13 marzo 1987, n. 2608, in Giur. It., 1987, I, 1, 1739.

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presentazione dell’istanza ex art. 511, fosse opponibile al subcreditore. La soluzione positiva è qui fondata sul rilievo che l’istanza stessa è successiva alla cessione, e quindi priva di effetto in quanto è già venuta meno la posizione attiva nella quale dovrebbe avvenire il subentro. La fattispecie attiene dunque chiaramente ad una ipotesi in cui è venuto meno lo stesso presupposto legittimante l’istanza prima che questa venga presentata all’interno del processo esecutivo. La reale ratio decidendi prescinde dunque totalmente dal (preteso) principio generale, consacrato invece nella massima della sentenza, che l’istanza di sostituzione ha finalità sia satisfattiva che surrogatoria.

Per parte sua la giurisprudenza di merito20, anch’essa sporadica e abbastanza risalente prima della sentenza in commento, sembrava orientata in direzione diversa da quella della giurisprudenza di legittimità, facendo piuttosto propria la considerazione della sostituzione esecutiva come istituto dalle connotazioni solo satisfattive e non anche surrogatorie. In particolare, nel più recente tra gli interventi21 che hanno in qualche modo interessato il nostro istituto, il giudice di merito ha rilevato, sia pure ancora una volta incidenter tantum, come la sostituzione di cui all’art. 511 abbia lo scopo di aggirare la fase della costituzione di un vincolo di indisponibilità sul patrimonio del debitore (creditore principale) per fornire soddisfazione al subcreditore, ma che proprio per tale ragione il diritto di quest’ultimo a percepire le somme che spetterebbero al creditore principale matura solo in fase di distribuzione del ricavato22.

In sintesi, l’essere l’istanza ex art. 511 strumento più rapido rispetto al pignoramento (e basato su presupposti “minori”, occorre aggiungere) impone un prezzo in termini di dipendenza dall’utile collocazione in riparto del creditore principale-debitore.

4.- Le argomentazioni della sentenza in commento

In tale contesto si inserisce la pronuncia in commento. Essa è stata resa, come già accennato, in fattispecie in cui occorreva verificare se l’estinzione del processo esecutivo in fase ancora cd.

espropriativa potesse conseguire alla rinuncia da parte dei soli creditori titolati, pur in presenza di una istanza ex art. 511. Il problema cui occorreva principaliter trovare soluzione era dunque proprio quello della natura dell’azione disegnata da quest’ultima disposizione, id est dei poteri attribuibili, all’interno della procedura esecutiva in corso, al subcreditore sotto il profilo, ex multis, della

20 T. Modena, 28 luglio 1961, in Temi, 1961, 652; P. Barletta, 27 maggio 1970, in Giur. It., 1973, I, 2, 1426, con Nota di Castellano; P. Barletta, 27 febbraio 1971, in Rep. Foro It., 1973, v. Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, nn. 24-27; T.

Verona, 2 aprile 1988, in Giust. Civ., 1988, I, 2987, con Nota di Capponi, Ancora sulla cd. “sostituzione esecutiva” ex art. 511 cpc.

21 T. Verona, 2 aprile 1988, cit., la cui massima è la seguente: Qualora un creditore si sia sostituito ad altro, ai sensi dell’art. 511 cpc, l’assegnazione giudiziale operata in suo favore dal giudice dell’esecuzione dopo la dichiarazione di fallimento del creditore sostituito è inefficace, ai sensi degli artt. 42 e 44 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ed il curatore, pertanto, ha diritto di ottenere la restituzione della somma assegnata.

22 E’ questa la valutazione di Capponi, Ancora sulla cd. “sostituzione esecutiva”, cit., 421, che giudica positivamente l’intuizione in tal senso del Tribunale di Verona, che esattamente ricostruisce l’azione del subcreditore come rivolta non verso il patrimonio dell’esecutato, ma proprio del suo debitore diretto (creditore concorrente) il quale ha, per consequentias, diritto di opporsi alla distrazione a favore del primo delle somme dovute a se stesso.

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legittimazione ad opporsi all’estinzione. A differenza dei precedenti soprattutto di legittimità esaminati, la pronuncia odierna offre perciò risposte collocabili nel contesto di una ricostruzione del quadro normativo di riferimento piuttosto che nel tralaticio richiamo a massime stereotipate prive di reale capacità giustificativa delle conclusioni in concreto attinte.

Da tale punto di vista, il dibattito sul tema conquista perciò una nuova occasione di riflessione.

Non altrettanto è invece a dirsi quanto al merito della decisione, la quale trae dalle premesse adottate conclusioni non agevolmente sostenibili proprio alla luce delle prime.

Le articolazioni motivazionali cui il tribunale affida la soluzione del caso ruotano tutte intorno all’asserito (persistente) fine surrogatorio dell’istanza di cui all’art. 511, fine invece recisamente negato dal reclamato sulla base di una ricostruzione storico-sistematica della disposizione.

Anche il caso odierno appare dunque impostato, come i precedenti evocati, sulla collocabilità dell’istanza di surroga nell’ambito dell’area concettuale dell’azione surrogatoria piuttosto che come posizione giuridicamente rilevante solo all’interno della fase distributiva. Ed anch’esso vede dunque contrapporsi due diverse visioni dei poteri processuali del subcreditore e della loro esplicabilità anche nella fase espropriativa del processo esecutivo, oltre che in quella distributiva.

Ebbene, sostiene il tribunale che l’istanza ex art. 511 è espressione del generale potere surrogatorio che il diritto sostanziale riconosce al creditore per far valere ragioni ed azioni volte all’incremento e/o alla conservazione del patrimonio del suo debitore, che ne costituisce la garanzia patrimoniale.

La figura dell’azione surrogatoria disegnata dall’art. 2900 c.c. non è infatti una speciale (id est tipica) azione giudiziaria, ma un generale potere sostitutivo23, che la dottrina ha spesso individuato come legittimazione surrogatoria, estrinsecatesi in forme molteplici tra cui anche l’istanza ex art.

511, appunto.

Nè si pone in contrasto con tale ricostruzione la circostanza che generaliter il creditore agente in surrogatoria non può esigere per sé la prestazione, ma solo pretenderne l’esecuzione a favore del creditore-debitore surrogato: “(…) una volta che il creditore del creditore sia entrato nella procedura (esecutiva: nda) perché ve ne erano i presupposti, assume la veste di un legittimato in surrogazione che abbia il diritto di impedire che l’inerzia e, a maggior ragione, lo ius poenitendi che il debitore-creditore eserciti mediante l’atto di rinuncia, possa pregiudicare la ragione della sua pretesa a soddisfarsi in sede di ricavato”.

Sic stantibus, si tratta allora solo di verificare, prosegue la motivazione, quali siano i limiti operativi di tale legittimazione: ebbene, essi sono segnatamente rintracciabili nella necessità che il creditore principale sia intervenuto nel processo esecutivo, non potendo riconoscersi al subcreditore il potere di agire egli stesso in tal senso utendo iuribus del primo. Ciò perché l’azione surrogatoria non è un’azione esecutiva, ciò che del resto sostiene anche l’avversa tesi.

A diversamente argomentare si svuoterebbe l’operatività di un precetto “appositamente insediato nel sistema processuale per consentire la soddisfazione del diritto del subcreditore”.

Il che, a dire del tribunale, non equivale necessariamente a postulare l’esistenza di una funzione di

“arresto” del credito tipica del pignoramento (presso terzi), trattandosi al contrario di riconoscere in pieno il fine surrogatorio dell’istanza ex art. 511, consistente nel rendere inopponibili al creditore

23 Evidente appare l’eco della ricostruzione che della surrogatoria opera Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, (rist.), Milano, 1997, spec. 418 e ss. In tal senso v. tuttavia anche Patti, L’azione surrogatoria, in Trattato Rescigno, XX, Torino, 1985, 109, per il quale, in particolare, “(…) quando il creditore agisce giudizialmente fa valere, nei confronti dei terzi, un’azione di cui è titolare il debitore. Il contenuto dell’azione surrogatoria è quindi costituito dal conrenuto della singola azione di volta in volta esercitata dal creditore”. In senso conforme, nella dottrina più risalente, anche Giampiccolo, Azione surrogatoria, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 951.

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surrogante, una volta entrato nel processo esecutivo, gli atti di disposizione che arrechino pregiudizio al suo credito, oggetto di recupero proprio attraverso l’istanza suddetta.

Tra tali atti di disposizione rientra evidentemente anche la rinuncia al processo esecutivo, che il subcreditore può dunque inibire al creditore principale.

5.- L’art. 511 tra istanze surrogatorie e “satisfattive”: una ipotesi ricostruttiva

Per meglio comprendere i termini del dissenso di chi scrive rispetto alle conclusioni del tribunale occorre prendere le mosse dall’art. 511, allo scopo di individuare le coordinate normative della sostituzione esecutiva. Solo sulla base di esse è infatti possibile tentarne la collocazione sistematica e valutare le divergenti tesi del reclamato e del tribunale.

Ebbene, la disposizione si riferisce ai creditori di un creditore avente diritto alla distribuzione, conferendo loro il potere di chiedere di essere a lui sostituito.

Quanto al diritto alla distribuzione, le sue coordinate sono fornite dall’art. 500, per il quale l’intervento nell’espropriazione dà, ex multis, diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata.

In combinato disposto le due norme rivelano dunque che condizione legittimante l’istanza di surroga è un requisito sostanziale, l’esistenza di un rapporto debitorio tra creditore principale e subcreditore, ed uno processuale, lo status di avente diritto alla distribuzione che il creditore- debitore assume con l’intervento24 nel processo esecutivo.

Se a ciò si aggiunge il riferimento del secondo comma dell’art. 511 al giudice che provvede alla distribuzione anche nei confronti dei subcreditori, si delinea altresì l’ambito oggettivo della sostituzione. I subcreditori, proponendo istanza nelle forme dell’art. 499, secondo comma, chiedono cioè che la distribuzione delle somme, che per il creditore principale è situazione avente consistenza di diritto in virtù (dell’aver intrapreso o) dell’essere intervenuto25 nel processo esecutivo, avvenga in loro favore piuttosto che in favore, appunto, di lui. Il giudice dell’esecuzione provvederà dunque

24 La riflessione deve oggi, naturalmente, tener in debito conto i nova introdotti con la tecnica della novellazione dell’art. 499, per il quale da un lato l’intervento non è più aperto a tutti i creditori; e dall’altro la possibilità di soddisfazione previa collocazione a riparto è subordinata, per i creditori intervenienti non titolati, al riconoscimento da parte del debitore. In particolare, occorre riflettere sul significato da attribuire all’accantonamento a tempo, cui i creditori non titolati sono destinati, ex art. 510, comma 2, in caso di mancato riconoscimento del debitore. Occorre cioè verificare se esso possa considerarsi alla stessa stregua del diritto di concorrere alla distribuzione spettante ancora oggi ai creditori titolati (ed alle categorie assimilate: v. art. 2812 c.c.), o se debba inferirsene una natura di semplice aspettativa, quid minus rispetto al diritto alla distribuzione. Il tema è complesso e le sue sfaccettature non possono essere in questa sede che accennate. Nel rinviare, da ultimo, all’efficace illustrazione che ne dà Capponi, Manuale, cit., 227 ss, può qui solo osservarsi come anche l’accantonamento trovi la sua giustificazione logica in una previa, sia pure ideale (cioè subordinata all’ottenimento, nei termini di legge, di un titolo esecutivo), utile collocazione a riparto, in caso contrario il creditore non potendo beneficare affatto né della distribuzione attuale, né di quella possibile nella prospettiva futura dell’ottenimento di un titolo esecutivo.

Non avrebbe cioè senso disporre l’accantonamento a favore di un creditore che comunque non troverebbe alcuna utile collocazione a riparto. In tal senso v. oggi Luiso, Diritto, cit., III, 178.

25 Con le precisazioni, oggi, già effettuate supra, alla nota precedente. Su tali complessi temi si rinvia, per un orientamento generale, a Luiso, Diritto, cit., III, 170 ss ed a Capponi, Manuale, cit., spec. 215 ss.

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a distribuire le somme ai creditori concorrenti dell’esecutato, ed altresì ai creditori di uno dei concorrenti.

Il quadro non è tuttavia ancora completo. Occorre infatti rilevare come l’art. 511 faccia salve le contestazioni relative alle domande di sostituzione, statuendo che non possano ritardare la distribuzione tra gli altri creditori concorrenti. Il fenomeno regolato è quello del creditore principale che contesta la distrazione delle somme a lui dovute in favore dell’istante in surrogazione. E che sia esclusivamente il creditore principale ad avervi interesse e quindi legittimazione è conclusione difficilmente contestabile alla luce del fatto che la posizione del subcreditore appare perfettamente ritagliata sul quantum del credito del suo debitore (-creditore concorrente) come collocato in riparto.

Intanto cioè il subcreditore può ottenere soddisfazione in quanto (e nella misura in cui) il credito principale sia stato ammesso al riparto. Per gli altri creditori concorrenti e per lo stesso esecutato è quindi indifferente, sempre che la collocazione in riparto del creditore-debitore appaia inattaccabile in quanto tale, che le somme vadano, in tutto o in parte, a lui piuttosto che al subcreditore.

Il che appare perfettamente coerente con la circostanza che non è richiesto, per l’istanza di sostituzione, alcun titolo esecutivo nei confronti del creditore-debitore, né, almeno testualmente, alcuna prova del credito, unica condizione legittimante essendo l’affermazione dello status di creditore di un creditore avente diritto al riparto. La tecnica prescelta dal legislatore impone dunque che le contestazioni sull’an ed il quantum del credito del subcreditore trovino una sede utile in cui dispiegarsi successivamente alla proposizione dell’istanza, id est proprio in quella fase distributiva prescelta anche quale sede della distrazione del ricavato.

L’analisi del contenuto dell’art. 511 e del suo contesto normativo di riferimento consente dunque l’acquisizione di un primo risultato: la situazione giuridica del subcreditore, vale a dire la possibilità di vedersi attribuite le somme spettanti al creditore principale, appare ritagliata su quella di quest’ultimo. E ciò nel senso che rilevante non è soltanto l’esistenza di un rapporto debitorio, ma anche di un quid pluris di natura squisitamente processuale, ed esterno a tale rapporto: lo status di creditore intervenuto (nell’espropriazione intrapresa contro un soggetto che, rispetto al rapporto creditore-subcreditore, è terzo).

Se ne può ragionevolmente dedurre che, nella logica dell’art. 511, non è ravvisabile alcun rapporto diretto tra esecutato e creditor creditoris neppure sul piano astratto-processuale, il processo esecutivo a carico del primo configurandosi solo come una delle condizioni legittimanti l’istanza del secondo. Il processo esecutivo nei confronti dell’esecutato è infatti considerato dalla norma solo quale elemento costitutivo del particolare status (quello di concorrente) del debitore –creditore, assumendo pertanto un rilievo solo indiretto, strettamente funzionale a consentire al subcreditore il recupero di un una somma che sta per entrare nel patrimonio del primo.

Non sembra perciò possibile rintracciare addentellati testuali a favore della tesi, pure autorevolmente sostenuta in dottrina26, dell’esistenza di una azione diretta del subcreditore verso l’esecutato, nei confronti del quale il primo farebbe valere, con l’istanza ex art. 511, il proprio diritto.

In più, la distrazione delle somme non è certo automaticamente ascrivibile alla mera presentazione dell’istanza, essendo piuttosto subordinata all’assenza di contestazioni del creditore principale o al loro rigetto. Sintomo ulteriore, questo, che la partita della effettiva soddisfazione del subcreditore si gioca esclusivamente tra questi ed il suo debitore.

26 Si tratta della ben nota ricostruzione di Acone, La domanda di sostituzione, cit., 268.

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Sotto questo profilo, cattura dunque la sostanza del fenomeno la ricostruzione autorevolmente avanzata in dottrina, secondo la quale l’istanza ex art. 511, lungi dal configurare una sorta di azione esecutiva speciale del subcreditore nei confronti dell’esecutato o del creditore principale-debitore, ha una valenza di tipo “cognitivo”sommario (a struttura monitoria), nel senso che consente al primo il formarsi di un titolo nei confronti del suo debitore diretto, immediatamente posto in esecuzione all’interno dell’espropriazione in corso27. E tale titolo è in particolare il risultato della mancata o rigettata contestazione del creditore principale –debitore sull’an e/o il quantum del credito vantato dal subcreditore.

Le posizioni giuridiche soggettive ed i sottostanti interessi tipici28 che emergono nel ristretto visus della fase distributiva sono dunque stratificati dal legislatore su diversi livelli.

In primis occorre considerare la posizione dei creditori concorrenti, il cui interesse tipico è quello di ottenere la soddisfazione del credito verso il loro debitore (esecutato) nella misura più ampia possibile. Ne consegue la loro legittimazione a contestare, in sede distributiva, l’an, il quantum o la prelazione riconosciuta ad altri creditori concorrenti, (esclusivamente) nella misura in cui dall’accoglimento di tale contestazione derivi un vantaggio in termini di utile o migliore collocazione (id est di soddisfazione in percentuale maggiore) nel riparto finale29.

Vi è poi la posizione del debitore, il cui interesse tipico è quello di soddisfare solo crediti effettivamente esistenti ed al quale è perciò riconosciuta legittimazione a contestare an e/o quantum dei crediti dei concorrenti (ma non le loro ragioni di prelazione)30.

Vi è infine la posizione dei subcreditori, che con il debitore esecutato non hanno alcun diretto rapporto sul piano sostanziale perchè loro debitore è uno dei creditori concorrenti31. Sul piano processuale, il processo esecutivo a carico dell’esecutato, e lo status di concorrente ivi assunto dal loro debitore, rappresenta invece l’occasio per ottenere soddisfazione del loro credito attraverso la distrazione delle somme che spettano, secondo il piano di riparto, al loro debitore.

27 E’ questo l’approdo interpretativo degli studi di Capponi citati alla nota 1, i quali mettono in evidenza la natura

“cognitiva” dell’azione del subcreditore, escludendone ogni valenza esecutiva assimilabile a quella dei creditori diretti dell’esecutato.

28 In termini di “interesse tipico” dei vari soggetti coinvolti nell’espropriazione si esprime Vaccarella, La tutela del terzo proprietario, ora in Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile diretta da A. Proto Pisani, Torino, 1993, 360 ss, al fine della ricostruzione della loro legittimazione all’uso di determinati strumenti processuali in quanto funzionali proprio alla tutela di tali interessi.

30 Trattasi di conclusioni intorno a cui si aggregano significativi consensi: v, ex multis, Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano 2010, 185 ss; Verde, Diritto processuale civile, III, Bologna, 2010, 81 ss. L’impostazione, naturalmente, non risente del problema interpretativo affacciato all’indomani della riforma legislativa che ha affidato la risoluzione delle controversie ex art. 512 istituzionalmente al giudice dell’esecuzione, cui è demandato un accertamento sommario culminante in ordinanza impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi. In particolare, ci si è chiesti se tale mutamento normativo non abbia trasformato lo stesso oggetto della decisione giudiziale, da decisione appunto sull’an-quantum dei crediti a decisione sul diritto processuale a partecipare al riparto. L’interesse alle contestazioni è infatti sempre e comunque legato all’utilità consistente in una utile o migliore collocazione al riparto stesso. Sulla nuova problematica interpretativa si rinvia comunque, per approfondimenti, a

31 Così Capponi, La cognizione, cit., 405, in nota 24;

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Tale essendo il loro interesse tipico, ne deriva che non può ad essi riconoscersi una legittimazione autonoma a contestare an, quantum o prelazione degli altri concorrenti se non nei limiti in cui, pregiudicando la posizione del loro debitore –creditore concorrente nell’ambito del piano di riparto, tali profili incidano sulla loro possibilità di ottenere soddisfazione. Ne deriva allora ragionevolmente la loro legittimazione a partecipare in via solo adesiva dipendente ai giudizi che coinvolgano le ragioni dei loro debitori diretti (creditori principali) o da essi inaugurati contro gli altri concorrenti.

In sintesi. Come ha intuito parte della giurisprudenza di merito32, la possibilità concessa dall’art.

511 di ottenere soddisfazione con una tecnica diversa dal pignoramento nei confronti del debitore diretto paga un prezzo in termini di dipendenza permanente della posizione dei subcreditori, all’interno del processo esecutivo e segnatamente in fase distributiva, dalla posizione (id est dalla collocazione in riparto) del creditore principale. Il che, del resto, trova precisa rispondenza sul piano sostanziale, in cui i creditori, al di fuori delle regole del processo esecutivo del Libro III del cpc (e delle procedure concorsuali), restano generaliter esposti agli effetti degli atti di disposizione del patrimonio del debitore, salvo che ricorrano gli estremi della simulazione o frode legittimanti le azioni di simulazione e revocatoria, o dell’inerzia legittimante quella surrogatoria, per l’appunto.

Da tale punto di vista e sempre in riferimento alla fase distributiva, si profila allora una funzione senz’altro satisfattiva dell’istanza ex art. 511, ma con una precisazione. E’ consentito cioè al subcreditore di ottenere, con una tecnica diversa dal pignoramento a carico del debitore diretto, la soddisfazione del credito, ma per ciò stesso è esclusa, medio tempore, la protezione dall’alea della diminuzione o perdita della garanzia patrimoniale del creditore principale sub specie di possibili atti di disposizione del credito verso l’esecutato, sia sul piano sostanziale (cessioni o remissioni) sia su quello dell’espropriazione in corso (rinuncia). Il subcreditore, avvalendosi della tecnica dell’art.

511, opera cioè una scelta che, a fronte di minore gravosità e formalizzazione iniziale (l’assenza di titolo esecutivo sia verso il creditore diretto sia verso l’esecutato) non gli consente di beneficiare dell’effetto di inopponibilità relativa tipico dell’altra via riconosciuta dall’ordinamento, vale a dire il pignoramento33.

Ma proprio in questa stessa logica sembra altresì possibile riconoscere una portata anche surrogatoria all’istanza ex art. 511 per supplire all’inerzia del creditore principale nell’intraprendere la contestazione ex art. 512 o nel difendersi contro quella mossagli dagli altri concorrenti o dall’esecutato. In tal caso si ripropone infatti, sia pure all’interno del processo esecutivo a carico di un terzo, lo schema classico della surrogatoria disegnata dall’art. 2900 c.c. Al subcreditore compete cioè naturaliter il potere di impedire che l’inerzia del suo debitore pregiudichi le sue ragioni, quale che sia il contesto in cui l’inerzia stessa si manifesti. Allo stesso modo, come già rilevato, il subcreditore è legittimato all’intervento adesivo dipendente nei suddetti giudizi, e non a caso in dottrina34 si è proposta una ricostruzione di tale intervento in termini di surrogatoria applicata al processo già in corso.

32 T. Verona cit.

33 Al netto, evidentemente, della possibilità di ricorrere la sequestro conservativo se ve ne siano in concreto i

presupposti. Ciò che si vuol intendere nel testo è semplicemente che la proposizione dell’istanza ex art. 511, e l’esplicazione di legittimazione surrogatoria da parte del creditore, solo in quanto tali, non sono strumenti funzionalizzati alla protezione dall’alea della diminuzione patrimoniale.

34 Luiso, Diritto, cit., I, 319.

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Detto in altri termini, malgrado l’art. 511 non faccia più menzione, come il suo precedente storico, del potere del subcreditore di far valere e conservare le ragioni del suo debitore, siffatto potere pare competergli comunque non in virtù di tale lex specialis, ma della disposizione generale dell’art.

2900 c.c., applicata al processo esecutivo in cui uno dei creditori concorrenti sia anche suo debitore diretto35.

Occorre ora verificare se, alla luce della ricostruzione proposta, l’istanza ex art. 511 possa essere presentata anche in fase espropriativa, cioè fuori dalla sede in cui la posizione soggettiva del subcreditore diviene rilevante sub specie di concreta possibilità di soddisfazione, e se possano ipotizzarsi poteri processuali in capo a costui anche in tale fase.

La risposta positiva al primo quesito appare preferibile. Si è infatti già rilevato come la presentazione dell’istanza del subcreditore presupponga semplicemente l’acquisizione, in capo al debitore diretto, dello status di creditore avente diritto al riparto, e dunque possa ritenersi addirittura fisiologica proprio nella fase iniziale dell’espropriazione, in cui i creditori hanno l’onere di spiegare l’intervento tempestivo assumendo lo status di concorrenti.

Più complesso il secondo quesito, cui può forse però darsi risposta ricostruendo l’interesse tipico che si è creduto di riconoscere al subcreditore. Le ragioni che ci hanno indotto a riconoscere una finalità anche surrogatoria all’istanza ex art. 511 in fase di distribuzione sembrano militare a favore della medesima soluzione anche in fase espropriativa. La dipendenza permanente del subcreditore dalla posizione assunta dal creditore principale (sia sul piano sostanziale che) nel processo esecutivo a carico dell’esecutato consente cioè di riconoscergli anche l’interesse alla sua regolare prosecuzione fino alla distribuzione, perché da ciò dipende la possibile soddisfazione del suo credito.

La conclusione assume una maggiore evidenza se si considera che la prosecuzione del processo esecutivo fino alla fase distributiva (che ne rappresenta il fisiologico sbocco) altro non è che la conservazione, in capo al debitore, dello status di creditore concorrente, cioè della condizione legittimante l’istanza ex art. 511, che apre le porte alla (eventuale) soddisfazione del subcreditore.

Ci pare perciò che a quest’ultimo possa riconoscersi la legittimazione sia a compiere gli atti di impulso processuale che potrebbe compiere il creditore principale, in caso di sua inerzia, sia a dolersi, ex art. 617, della illegittimità della procedura quando ne derivi una lesione della sua posizione.

Il che non equivale a dire né che il subcreditore ha un interesse generalizzato ed astratto alla regolarità del processo esecutivo contro un terzo indifferente nei suoi confronti, né a generalizzare la rilevanza della sua posizione giuridica in fase espropriativa. Ai fini, ad esempio, delle valutazioni relative alla conversione o alla riduzione del pignoramento, la posizione del subcreditore è irrilevante, il giudice dovendo valutare solo l’ammontare dei crediti vantati nei confronti del debitore esecutato. Da tale punto di vista fotografa puntualmente la sostanza dell’istituto la dottrina che ricostruisce in termini di irrilevanza, sia quanto alle valutazioni che il giudice è chiamato a compiere, sia per gli altri creditori concorrenti e per l’esecutato, la posizione del subcreditore, che viene in rilievo solo in fase distributiva vera e propria ed esclusivamente nei rapporti con il creditore principale-debitore36.

35 V. in proposito Satta, Commentario, cit., III, 209, per il quale l’intima ratio dell’art. 511 è da rinvenire nel generale potere surrogatorio da riconoscere la creditore, anche se la particolare struttura del processo esecutivo ha reso necessaria una norma di adattamento; di rinvio alla ratio dell’azione surrogatoria discorre anche Luiso, Diritto, cit., III, 180.

36 Capponi, Op. loco ult. cit.

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I poteri processuali che è plausibile riconoscere al subcreditore non possono infatti che essere quelli strumentali a preservare lo status di creditore avente diritto ad una quota del ricavato del suo debitore, e quindi anche a contestare le irregolarità-nullità della procedura se (e solo nella misura in cui) in grado di pregiudicare direttamente tale status.

In dottrina37 si è tuttavia anche ipotizzato che il subcreditore sia legittimato all’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione di un bene al suo debitore (-creditore principale), se resa in assenza dei presupposti di legge. In tal caso infatti l’assegnazione, avendo ad oggetto un bene e non una somma di denaro, impedisce al subcreditore di fruire della distrazione in suo favore.

Ebbene, proprio tale ipotesi dà la misura di quanto la ricostruzione dei poteri processuali del subcreditore debba condursi non tanto in base ad astratte affermazioni, quanto piuttosto in riferimento all’interesse tipicamente riconosciutogli e che si assume concretamente leso. Nel caso dell’assegnazione appena evocato, ad esempio, l’opposizione agli atti esecutivi neppure pare colorarsi di connotati stricto sensu surrogatori, in quanto il subcreditore non agisce utendo iuribus del creditore, ma in proprio perché fa valere una nullità che pregiudica direttamente la sua posizione di possibile distrattario delle somme spettanti al primo.

Si è tuttavia autorevolmente sostenuto38 che l’interesse tipico che secondo l’ipotesi ricostruttiva qui avanzata fonderebbe la legittimazione surrogatoria del subcreditore, non assurge a dignità di posizione giuridicamente tutelata già in fase espropriativa, configurandosi piuttosto, per il momento, come mero interesse di fatto. La serietà dell’obiezione non va sottaciuta. Essa fotografa una circostanza difficilmente contestabile: che l’astratto “diritto a partecipare alla distribuzione”, tipico della fase espropriativa appunto, non è ancora l’utile collocazione nel piano di riparto. Di quest’ultima potrà parlarsi solo dopo la vendita ed in riferimento sia alla concreta composizione della somma da distribuire che ai creditori intervenuti. Così, combinando le due componenti, ben potrebbe verificarsi che un creditore in astratto avente diritto a concorrere alla distribuzione (in virtù dell’intervento) non sia collocato a riparto per la presenza di altri creditori di grado poziore la cui collocazione esaurisca le somme da distribuire.

In tale ipotesi correttamente si afferma la perdita di ogni posizione di vantaggio del subcreditore.

Ecco dunque emergere la ratio più profonda dell’asserita natura (solo) “satisfattiva” dell’istanza ex art. 511.

Potrebbe tuttavia anche sostenersi che la legge consideri rilevante ai fini della tutela del subcreditore già la posizione di semplice concorrente, senza la quale neppure il quid minus della utile collocazione a riparto potrebbe esistere. Se così fosse, potrebbe allora inferirsene anche la legittimazione del subcreditore a conservare già in fase espropriativa lo status di semplice concorrente del suo debitore, utendo iuribus di quest’ultimo esattamente come farebbe ex art. 2900 c.c. in un processo di cognizione. Il legislatore potrebbe cioè aver scelto una particolare tecnica di tutela del subcreditore, l’istanza di surrogazione appunto, consegnandogli altresì la legittimazione surrogatoria nella misura necessaria a conservare anzitutto lo status di concorrente, e poi anche la collocazione a riparto, del suo debitore, in quanto presupposti della sua soddisfazione39.

37 L’ipotesi è di Oriani, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 311, in nota 81.

38 L’obiezione è di Capponi, La cognizione, cit., 417, nota 44, che esclude la configurabilità di un danno giuridicamente tutelabile in capo al subcreditore in ipotesi siffatte.

39 Nega invece recisamente ogni valenza surrogatoria del nostro istituto Corona, In merito alla subcollocazione nel riparto ai sensi dell’art. 511 cpc, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1982, 1474 ss.

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La conservazione di quello status sarebbe cioè per il (sub)creditore l’equivalente dell’azione di cognizione necessaria per acquisire al patrimonio del debitore una posta attiva o per evitare allo stesso una perdita.

Che il contesto sia quello del processo esecutivo a carico di un terzo dunque, da un lato non trasforma tale potere surrogatorio in un’azione esecutiva nei confronti dell’esecutato o del debitore- creditore; e dall’altro rende plausibile l’esercizio di ogni potere processuale, nelle forme tipiche del processo esecutivo perché è questo il contesto processuale di riferimento, se ed in quanto strumentale alla conservazione dello status di creditore prima concorrente e poi collocato a riparto, perché da ciò dipende l’acquisizione, al patrimonio del debitore, di una somma su cui soddisfarsi.

In sintesi e concludendo, la rigida antitesi tra azione cognitiva ed azione esecutiva che il dibattito sul tema ci ha consegnato, e di cui è traccia anche nella sentenza in commento, potrebbe forse trovare una soluzione che potremmo definire trasversale.

Il subcreditore non appare titolare, ut supra, di azione esecutiva nei confronti dell’esecutato né del debitore diretto, la sua effettiva soddisfazione riposando solo sulla mancanza o il rigetto delle contestazioni di merito del creditore concorrente-debitore diretto. In tal senso si può discorrere di azione cognitiva sia pure speciale. Il fascio di poteri e facoltà processuali in cui tale azione consiste va tuttavia ricostruito alla luce della speciale tecnica di tutela che il legislatore ha apprestato al subcreditore e che consente a questi di agire acchè, nel un processo esecutivo a carico di un terzo, sia mantenuto lo status di creditore (in astratto concorrente e in concreto collocato a riparto) in capo al suo debitore, ciò rappresentando uno dei presupposti della possibile soddisfazione sul di lui patrimonio, in applicazione della ratio dell’art. 2900 c.c.

6.-“Arresto” del credito e fine surrogatorio dell’istanza ex art. 511: una convivenza impossibile.

Ciò detto quanto alla vexata quaestio della natura solo satisfattiva o anche surrogatoria del nostro istituto, può esprimersi un giudizio sulla soluzione fornita dal tribunale.

La premessa adottata è, come già detto, quella della natura surrogatoria dell’istanza ex art. 511, ritenuta espressione della generale legittimazione riconosciuta al debitore per conservare/incrementare il patrimonio del debitore su cui si esercita la garanzia generica. Il che, se appare condivisibile nei termini riferiti al precedente paragrafo, ci pare tuttavia escludere, già in thesi, il potere del surrogante di disporre del diritto del surrogato o, al contrario, di impedirne la disposizione. Il limite ultimo dei poteri processuali del creditore agente in surrogatoria, tradotto nella prescrizione dell’art. 2900 c.c. di citare in giudizio anche il debitore, è infatti proprio quello della disposizione del diritto sia sul piano sostanziale che su quello processuale40.

40 In senso conforme Patti, L’azione surrogatoria, cit., 132 ss, per il quale il potere surrogatorio estrinsecato con la proposizione del giudizio, subisce gravi limitazioni proprio per la presenza del debitore. Questi infatti, restando pur sempre il titolare della situazione soggettiva , ne può disporre anche nel corso del processo, facendo venir meno la legittimazione surrogatoria del creditore. Parimenti, il debitore può rinunziare all’impugnazione della sentenza che ha rigettato la domanda di tutela del suo diritto, in tal modo vincolano a quest’esito anche il creditore. Inoltre, il debitore può, in pendenza del giudizio, anche disporre del diritto in via stragiudiziale, di nuovo facendo venir meno la legittimazione del creditore.

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Ciò è il portato, lo si è già accennato, della permanente posizione di dipendenza assunta dal creditore nei confronti del suo debitore, il quale rimane libero di disporre totalmente del suo patrimonio anche vanificando del tutto, in limine, la garanzia generica dei suoi creditori.

Questi, per parte loro, potranno contare su un generalizzato effetto processuale di inopponibilità di eventuali atti di disposizione solo in presenza di pignoramento, che introduce tale regime a favore del creditore procedente e di quelli che spiegano intervento nella procedura in corso. Un regime, è bene ricordarlo, che si pone come derogatorio rispetto al generale vincolo agli atti dispositivi del patrimonio di cui il debitore resta pur sempre titolare esclusivo. In assenza di pignoramento, il creditore può lamentare la lesione della propria garanzia generica derivante dalla dismissione patrimoniale del suo debitore solo se dimostri gli estremi della frode o della simulazione in suo danno. Al di là di tale caso particolare, solo l’inerzia nel perseguimento della tutela dei diritti patrimoniali legittima il creditore ad agire in surrogatoria ex art. 2900 c.c.

Proviamo ora a calare queste affermazioni nel contesto del processo di cognizione iniziato o coltivato dal creditore proprio in esplicazione di legittimazione surrogatoria. E’ acquisizione consolidata l’impossibilità, da parte sua, di confessare o di deferire-riferire il giuramento decisorio, trattandosi di istituti processuali che sul piano sostanziale presuppongono la disponibilità del diritto in contesa, che è in thesi da escludersi in capo al surrogante. Del pari, se ne esclude il potere di conciliare o transigere la controversia, quantomeno in modo opponibile, sul piano sostanziale, al sostituito41. Quanto invece alla rinuncia agli atti, si è rilevato come, se non ne derivi alcun effetto dispositivo del diritto sostanziale in contesa per il maturarsi della prescrizione, il relativo potere competa anche al surrogante42.

Occorre ora fare il discorso inverso, e cioè verificare cosa accada in presenza di confessione, deferimento-riferimento del giuramento decisorio, conciliazione/transazione o rinuncia agli atti effettuate dal titolare della situazione dedotta in giudizio (e che al giudizio, è bene ricordarlo, deve ex necesse partecipare) dalla cui tutela dipende l’incremento del patrimonio del debitore surrogato.

Può il creditore surrogante, in virtù dell’interesse a conservare o incrementare tale patrimonio, impedire tali atti, assumendo che ne deriverebbe la perdita (id est la mancata tutela) del diritto e quindi la mancanza di incremento-conservazione suddetti?

La risposta deve essere negativa proprio in virtù delle premesse adottate: l’unico potere che il creditore ha, ex art. 2900 c.c., di influire sulla disposizione giuridica del patrimonio da parte del debitore è quello di supplire alla sua inerzia nel perseguimento della tutela dei suoi diritti (patrimoniali)43. Viceversa, in presenza di una precisa scelta in senso dispositivo di tali diritti, sia

41 Su questi profli, v. da ultimo Santagada, La conciliazione delle controversie civili, Bari, 2008, spec. 254 ss.

42 Così Verde, Diritto processuale civile, Bologna, 2010, 186, il quale rileva altresì come il potere di rinunciare agli atti, con i limiti già precisati, possa comunque riconoscersi al legittimato straordinario solo in primo grado e non anche in fase di impugnazione, in quanto qui si traduce, a ragione del passaggio in giudicato della pronuncia sfavorevole, in una sostanziale disposizione del diritto.

43 Inequivoco in tal senso ci pare Bianca, Diritto civile, cit., 425, il quale ribadisce l’importanza dell’inerzia del debitore per la valutazione della sussistenza della legittimazione surrogatoria del creditore. Quanto ai requisiti dell’inerzia, che la Relazione al Re (n. 1181) definisce trascuranza ricomprendendovi l’attività non semplicemente inesistente ma anche non diligente del debitore, si contendono il campo due opinioni. Secondo Patti, L’azione surrogatoria, in Trattato Rescigno, XX, Torino, 1985, 124, lo spirito e le finalità dell’art. 2900 c.c. inducono a ritenere che la legittimazione surrogatoria scatti non in caso di carenza qualitativa nella difesa del debitore, ma solo in assenza totale di essa. Secondo Nicolò, Azione surrogatoria e azione revocatoria, in Raccolta di scritti, I, Milano, 1980, invece, sulla scia di posizioni adombrate anche dalla Relazione al Re cit., 818 (in

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