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1. Genesi del tumore

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Academic year: 2021

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1. Genesi del tumore

Il tumore (dal latino tumor, rigonfiamento) o in senso generale neoplasia (dal greco neo, nuovo, e plasìa, formazione) si presenta sia in forma benigna che in quella maligna (assumendo in questo secondo caso il nome di cancro), è una intera classe di malattie caratterizzate da una incontrollata riproduzione di alcune cellule dell'organismo, che smettono di rispondere ai meccanismi fisiologici di controllo cellulare a seguito di danni al loro patrimonio genetico. Tutti i tumori hanno origine da una cellula. [1]

Nei tessuti normali le cellule si riproducono dividendosi, in modo da sopperire alle varie necessità dell'organismo: far crescere l'organismo intero o una sua parte oppure rimpiazzare le cellule morte o danneggiate.

Nei tumori questo delicato equilibrio, governato dai messaggi chimici inviati da una cellula all'altra e dai geni che si trovano nel loro DNA, è compromesso. La cellula continua a riprodursi senza freni e vengono meno anche i processi con cui le cellule danneggiate vanno incontro a una morte programmata, detta apoptosi.

L’incidenza del tumore al seno rispetto agli altri tumori nella popolazione femminile italiana, in base ai dati riportati dall’AIRTUM (Associazione Italiana Registro Tumori) è la più elevata. Nella popolazione nel suo complesso (ed escludendo i tumori della cute), il tumore della mammella è diventato il tumore più frequente (14% del totale), seguito dal tumore del colon retto (13%); seguono il tumore della prostata (11%), il tumore del polmone (11%), e i tumori della vescica (7%).

Nella popolazione femminile, il tumore della mammella rappresenta il 29% di tutti i tumori diagnosticati, seguito dai tumori del colon-retto (13%), del polmone (6%), della tiroide (5%) e del corpo dell’utero (5%). La mortalità è in continuo calo: ogni anno diminuisce dell’1,4%, e questo si deve sia all'efficacia delle nuove terapie sia alla diagnosi precoce, che permette di individuare il tumore in una fase iniziale. Oggi la sopravvivenza media dopo 5 anni dalla diagnosi è di circa l'87%.

Ancora troppe, però, sono le donne che muoiono a causa di questa malattia, che si conferma la prima di causa di decesso per patologia oncologica nella popolazione femminile, con circa 12 mila vittime l'anno (dato del 2012, fonte: Istat). Il cancro al seno è la causa del 29% dei decessi nelle donne prima dei 50 anni, il 23% di quelle tra 50 e 69 anni e il 16% di chi ha oltre 70 anni.

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Tabella 1: Prime cinque neoplasie più frequentemente diagnosticate e proporzione sul totale dei tumori (esclusi i carcinomi della cute) per sesso [Pool Airtum 2006-2009]

All'origine di tutti questi fenomeni ci sono alterazioni geniche, dette mutazioni, che, sommandosi l'una all'altra, fanno saltare i meccanismi di controllo. Non basta, infatti, che sia difettoso un solo meccanismo, ma occorre che gli errori si accumulino su diversi fronti perché il tumore possa cominciare a svilupparsi. Alcuni di queste mutazioni sono ereditarie, mentre altre sono provocate da fattori esterni.

Figura 1: genesi del cancro

La figura 1 raffigura, in maniera schematica, la genesi del cancro, illustrando i fattori di rischio che portano a danni cellulari: le radiazioni, i cancerogeni chimici, i raggi UV, i virus portano ad un’alterazione dei meccanismi cellulare come un deficit di apoptosi, danni a livello del DNA, una incontrollata proliferazione cellulare e una mancata differenziazione.

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1.1 Il ruolo dei geni

Ci sono quattro tipi di geni che, se alterati, possono essere alla base del cancro: oncogeni, oncosoppressori, coinvolti nella apoptosi e quelli implicati nei meccanismi di riparazione del DNA.

1.1.1 Geni oncogéni (o geni oncògeni)

Sono i geni che in condizioni normali si attivano per spingere la cellula a replicarsi quando occorre, per esempio per riparare il tessuto di cui fa parte. Sono come un acceleratore, che nei tumori è bloccato e segnala quindi alla cellula di continuare a moltiplicarsi senza controllo.

1.1.2 Geni oncosoppressori

Sono i geni che fanno da freno: bloccano cioè la normale replicazione delle cellule quando questa ha raggiunto il suo scopo. In molte forme di tumore questi meccanismi di controllo vengono meno: uno dei più importanti è quello che codifica per la proteina p53 e che risulta difettoso in molte forme di cancro.

1.1.3 Geni coinvolti nel cosiddetto "suicidio cellulare" (o apoptosi)

Sono una sorta di meccanismo di autodistruzione che si innesca quando la cellula è danneggiata, per evitare danni maggiori all'organismo. Se vengono meno, la cellula alterata può continuare a riprodursi, ma in maniera anomala.

1.1.4 Geni implicati nei meccanismi di riparazione del DNA

La cellula è fornita di diversi sistemi di controllo e riparazione del DNA, capaci di individuare e correggere le mutazioni che avvengono continuamente, anche nei processi fisiologici nel corso della vita delle cellule. Quando questi stessi meccanismi protettivi sono compromessi, le mutazioni si possono accumulare e la cellula può diventare tumorale.

1.1.5 Altri geni

Altri geni possono determinare l'aggressività della malattia, per esempio interferendo con le risposte del sistema immunitario o modificando le proprietà di adesione delle cellule ai tessuti circostanti, in modo da favorire la formazione di metastasi.

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4 Studi degli ultimi anni hanno inoltre messo in rilievo l'importanza per la genesi del cancro di piccole molecole regolatorie dette microRNA (miRNA), frammenti di acidi nucleici che modulano l'espressione di diversi geni.

Figura 2: geni coinvolti nello sviluppo del tumore e ciclo cellulare [www.treccani.it]

Figura 2: in basso sono riportate le fasi del ciclo cellulare G1, caratterizzata

dall'attivazione dei geni da parte degli stimoli proliferativi; fase S, in cui il DNA è duplicato; fase G2, in cui si raddoppia il corredo delle altre strutture cellulari; fase M, la

mitosi, in cui la cellula, si suddivide in due cellule figlie, con ripartizione del codice

genetico. [2]

Il passaggio fra le varie fasi del ciclo, G1, S, G2 e M, è causato dall'attività di complessi

proteici formati da una subunità regolatrice, detta 'ciclina', e una subunità enzimatica, detta chinasi ciclina - dipendente (Cdk).

Durante la fase G1, i fattori di crescita stimolano la sintesi delle cicline D che si legano

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5 la proteina Rb, un potente inibitore di fattori trascrizionali. Quando Rb è fosforilata, i fattori trascrizionali vengono liberati e stimolano l'espressione di una serie di geni fra cui quello della ciclina E. La ciclina E, a sua volta, forma con la chinasi Cdk2 un complesso attivo, responsabile della transizione dalla fase G1 del ciclo a quella S, in cui avviene la

sintesi del DNA. Per il completamento della duplicazione del materiale genetico e la suddivisione in due cellule figlie, intervengono altri due complessi enzimatici ciclina - chinasi composti dalla Cdk1 con la ciclina A e con la ciclina B.

Questi complessi proteici, che stimolano il passaggio attraverso le varie fasi del ciclo, sono controbilanciati da proteine capaci di rallentare o bloccare l'attività dei sistemi ciclina - chinasi. Fra queste vi sono la p15, la p16 e la p27, che hanno la funzione di bloccare l'attività delle Cdk dipendenti dalla ciclina D, impedendo così il passaggio attraverso la fase G1; la p27, inoltre, inibisce il complesso ciclina E-Cdk2 specifico per il

passaggio da G1 a S. I fattori inibitori della proliferazione provenienti dall'ambiente

extracellulare, come i TGF-β, inducono l'espressione di queste tre proteine. Esiste anche un inibitore attivo su tutte le Cdk, chiamato p21, che può dunque bloccare la cellula in qualunque fase del suo ciclo. La p21 è indotta a livello trascrizionale dalla p53, la proteina oncosoppressore che sorveglia l'integrità del DNA cromosomico soprattutto durante il delicato momento della replicazione.

Uno dei punti critici è sicuramente il passaggio dalla fase G1 alla S.

L'attivazione degli oncogeni che mediano la trasduzione del segnale dei fattori di crescita è potenzialmente in grado di iperstimolare la sintesi della ciclina D, e dunque di attivare il complesso con la Cdk4 o 6, che stimola la progressione attraverso G1.

In alcuni tumori è stata evidenziata una sovrapproduzione spontanea di cicline D ed E. Per quanto riguarda i geni oncosoppressori, l'inattivazione del gene Rb, che si verifica in una percentuale elevata di tumori, causa l'attivazione costitutiva dei fattori trascrizionali che stimolano la sintesi della ciclina E e dei geni responsabili per l'inizio della sintesi del DNA. L'inattivazione di p15 e p16, riscontrata nei tumori della mammella e della cute, provoca la perdita dei due principali inibitori diretti del passaggio fra G1 e S.

Fra tutti i regolatori positivi e negativi del ciclo cellulare un'importanza cruciale è attribuibile alla p53, che è inattivata in un numero molto alto di casi di cancro. Questa proteina oncosoppressore è in grado di rilevare un danno fisico al DNA e di bloccare il ciclo cellulare in qualunque fase, attraverso l'induzione della p21. La p53 è anche un regolatore-chiave della morte cellulare programmata o apoptosi. La p53 induce una proteina, Bax, che a sua volta inibisce la proteina Bcl-2. Quest'ultima, prodotta in

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6 abbondante quantità da una linea di leucemia a cellule B, tiene a freno, in condizioni di normalità, i programmi genetici che conducono all'apoptosi.

1.2 Lo sviluppo del cancro

Per svilupparsi il tumore ha bisogno di ossigeno e sostanze nutritive. Per questo produce sostanze capaci di stimolare la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) che vadano a irrorare il nuovo tessuto in crescita.

Oltre alla complicità dei vasi sanguigni, il tumore in crescita riesce a ottenere l'aiuto di altre componenti del cosiddetto microambiente del tumore, cioè del contesto in cui si sviluppa.

Una condizione di infiammazione cronica, per esempio, induce la produzione di sostanze che lo favoriscono e ormoni come l'insulina, prodotta oltre il dovuto in seguito a eccessi alimentari, ne stimolano la crescita. Entrambe queste circostanze sono favorite dagli stili di vita.

L'infiammazione, in particolare, è ormai considerata dagli esperti il più importante filo conduttore che unisce tra di loro gli stili di vita nocivi (alimentazione scorretta, sedentarietà, fumo) e le più importanti malattie croniche tipiche della nostra epoca: non solo il cancro, ma anche il diabete, le malattie del cuore e dei vasi e probabilmente anche alcune forme di demenza come l'Alzheimer, tutte favorite dalle stesse cattive abitudini. Un ruolo fondamentale è poi svolto dal sistema immunitario, che in questi casi viene meno al suo dovere di proteggere l'organismo, ma spesso viene in un certo senso "reclutato" come complice dalle cellule tumorali per proteggere la massa tumorale in crescita. Talvolta invece può essere proprio un calo delle difese immunitarie a facilitare la comparsa della malattia.

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Figura 3: fattori tumorali [www.airc.it]

In figura 3 sono riportati i fattori di rischio e i vari meccanismi che inducono al tumore e le varie applicazioni per prevenire e limitare i processi come ad esempio il processo infiammatorio e l’utilizzo dei FANS, gli inibitori delle vie energetiche tumorali che vanno a incidere sul metabolismo, stimolatori delle difese immunitarie, inibitori dell’angiogenesi, molecole che stimolano la morte cellulare, inibitori per i fattori di crescita e inibitori degli oncosoppressori.

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2. Patogenesi del tumore al seno

Il tumore al seno si sviluppa a partire dalle cellule della mammella. La malattia colpisce

quasi esclusivamente le donne, ma in certi casi anche gli uomini.

La maggior parte dei noduli al seno non sono cancerosi, bensì benigni; in ogni caso alcuni di essi richiedono di essere valutati ed esaminati al microscopio per avere la prova della loro benignità.

È importante comprendere alcune parole chiave utilizzate per descrivere il cancro al seno: o Carcinoma: Con questo termine si indica un cancro che comincia a svilupparsi nello strato di rivestimento (cellule epiteliali) di organi come il seno. Quasi tutti i tumori al seno sono carcinomi (o carcinomi duttali o carcinomi lobulari).

o Adenocarcinoma: Un adenocarcinoma è un tipo di carcinoma che si sviluppa nel tessuto ghiandolare (tessuto che produce e secerne una sostanza). I dotti ed i lobuli della mammella sono di tessuto ghiandolare (producono il latte materno), così i tumori che si manifestano in queste aree sono spesso chiamati adenocarcinoma. o Carcinoma in situ: Questo termine viene utilizzato con riferimento alla fase

iniziale del tumore, quando esso è ancora confinato allo strato di cellule dove ha cominciato a svilupparsi. Nel caso del cancro al seno, il termine in situ sta ad indicare che le cellule tumorali restano confinate ai condotti (carcinoma duttale in situ) o ai lobuli (carcinoma lobulare in situ). Esse non si sviluppano nei tessuti più profondi del seno né si diffondono ad altri organi del corpo e per questo a volte tali tumori sono indicati come non- invasivi o come tumori al seno pre-invasivi. o Carcinoma invasivo (infiltrante): Un tumore è invasivo quando si sviluppa oltre

lo strato di cellule dove è nato (diversamente dal carcinoma in situ). La maggior parte dei tumori al seno sono carcinomi invasivi, sia che si tratti di carcinoma duttale invasivo oppure di carcinoma lobulare invasivo.

o Sarcoma: I sarcomi sono tumori che partono dai tessuti connettivi, come il tessuto muscolare, il tessuto adiposo o i vasi sanguigni. I sarcomi della mammella sono rari.

2.1 Il seno

Il seno è costituito da un insieme di ghiandole e di tessuto adiposo ed è posto tra la pelle e la parete del torace. In realtà non è una ghiandola sola, ma un insieme di strutture

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9 ghiandolari, chiamate lobuli, unite tra loro a formare un lobo. In un seno vi sono da 15 a 20 lobi. Il latte giunge al capezzolo attraverso piccoli tubi chiamati galattofori (o lattiferi). Il tumore al seno è una malattia potenzialmente grave se non è individuata e curata per tempo. É dovuto alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne.

Ciò significa che hanno la capacità di staccarsi dal tessuto che le ha generate per invadere i tessuti circostanti e, col tempo, anche altri organi del corpo. In teoria si possono formare tumori da tutti i tipi di tessuti del seno, ma i più frequenti nascono dalle cellule ghiandolari (dai lobuli) o da quelle che formano la parete dei dotti.

Figura 4: struttura del seno [www.linfaonline.it]

In figura 4 è possibile vedere la struttura del seno. Partendo dall’esterno verso l’interno il seno è formato dal tessuto ghiandolare è una ghiandola a secrezione esocrina, formata da un complesso di strutture simili ad acini (lobi) formati dalle cellule che producono latte sotto controllo dell’ormone ipofisario prolattina. Tale struttura detta “a fiore di mimosa” ha ogni lobo connesso a una rete di dotti galattofori, deputati ad incanalare le secrezioni verso il capezzolo.

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Tessuto connettivo costituito da fibre di sostegno, tessuto adiposo dove le strutture

ghiandolari vi si trovano inserite, la quantità di adipe nelle mammelle è fortemente soggettiva.

L’areola è la regione circolare pigmentata che circonda il capezzolo, del diametro di circa

3 – 5 cm. Le piccole sporgenze dell’areola sono determinate dallo sbocco superficiale delle ghiandole sebacee. Sia il capezzolo che l'areola sono dotati di fibre muscolari lisce che ne permettono la contrazione. La contrazione genera l'erezione del capezzolo ed il corrugamento dell'areola. Ciò permette, nel periodo dell'allattamento al seno, un agevole deflusso del latte.

Il capezzolo si trova all’apice della mammella, è di forma conica e presenta gli sbocchi

dei dotti galattofori, chiamati pori lattiferi, in genere 15-20. Il capezzolo può essere più o meno sporgente; può in alcuni casi essere depresso (capezzolo introflesso), ma se stimolato si estroflette. Anche questa rappresenta una condizione del tutto normale. Se, invece, il capezzolo rimane permanentemente introflesso, si parla di retrazione del

capezzolo. Questa condizione è anomala e va controllata.

2.2 Evoluzione del cancro

Il tumore al seno viene classificato in 5 stadi.

1) Stadio 0: è chiamato anche carcinoma in situ di tue tipi:

A carcinoma lobulare in situ: si intende una forma di carcinoma mammario della

donna. Spesso si evolve in una neoplasia infiltrante.

B carcinoma distale in situ (DCIS): colpisce le cellule dei dotti. É considerato una

forma precancerosa più che un vero e proprio tumore. Nella maggior parte dei casi, infatti, non si evolve verso un cancro vero e proprio ma regredisce spontaneamente per azione dei meccanismi di difesa dell'organismo (in primo luogo l’azione del sistema immunitario).

2) Stadio 1: è un cancro in fase iniziale, con meno di 2 cm di diametro e senza coinvolgimento di linfonodi.

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11 3) Stadio 2: è un cancro in fase iniziale di meno di 2 cm di diametro che però ha già coinvolto i linfonodi sotto l'ascella; oppure è un tumore di più di 2 cm di diametro senza coinvolgimento dei linfonodi.

4) Stadio 3: è un tumore localmente avanzato, di dimensioni variabili, ma che ha coinvolto già anche i linfonodi sotto l’ascella, oppure che coinvolge i tessuti vicino al seno (per esempio la pelle).

5) Stadio 4: è un cancro già metastatizzato che ha coinvolto altri organi al di fuori del seno.

Se il tumore viene identificato allo stadio 0, la sopravvivenza a cinque anni nelle donne trattate è del 98% anche se le ricadute variano tra il 9% e il 30% dei casi, a seconda della terapia effettuata. Se i linfonodi sono positivi, cioè contengono cellule tumorali, la sopravvivenza a cinque anni è del 75%. [1]

2.3 Cause e Fattori di rischio

Non esiste quasi mai, tranne in alcune rare forme ereditarie, un'unica causa che possa spiegare l'insorgenza di un tumore. Al suo sviluppo concorrono diversi fattori, alcuni dei quali non sono modificabili, come i geni ereditati dai propri genitori o l'età, mentre su altri si può intervenire per ridurre il rischio di andare incontro alla malattia.

In realtà circa una donna su otto negli Stati Uniti (in percentuale il 13% delle donne, quindi 13 su 100) può aspettarsi di sviluppare il cancro al seno nel corso della sua esistenza; negli Stati Uniti la vita media è di circa 80 anni, dunque sarebbe più corretto dire che negli Stati Uniti una donna su 8 può aspettarsi di sviluppare il cancro al seno al raggiungimento degli 80 anni. In ogni decade della vita il rischio di contrarre il cancro al senso è attualmente più basso del 13% per la maggior parte delle donne.

In genere le persone tendono a percepire il rischio in modi molto diversi: una probabilità pari ad una su otto di ammalarsi di cancro al seno potrebbe sembrare elevata, ma guardando le cose da un’altra prospettiva potreste invece pensare di avere 7 possibilità su 8 di non essere colpite dal cancro al seno, ciò significa una percentuale corrispondente

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12 all’87.5% di non sviluppare la malattia, anche al raggiungimento degli 80 anni di età. Il modo di percepire il rischio spesso dipende dalla situazione individuale,

Nonostante gli studi abbiano mostrato che la probabilità di essere colpiti dal cancro al seno si aggira intorno al 13%, questa probabilità può aumentare o diminuire da un individuo a un altro: il rischio individuale è influenzato da molti fattori diversi, come la storia della famiglia, lo stile di vita, l’ambiente in cui si vive e tanti altri fattori.

Sono diversi i fattori associabili ad un aumento del rischio di sviluppare un tumore al seno, i quali possono essere:

o Età: la probabilità di sviluppare il cancro al seno aumenta con l’invecchiamento della donna. Nella maggior parte dei casi il tumore al seno si manifesta nelle donne di età superiore ai 60 anni. Questa malattia infatti non è così comune prima della menopausa.

o Pregressa esperienza di cancro al seno: una donna che ha già sviluppato la malattia in passato ha maggiori probabilità di sviluppare il cancro nell’altro seno.

o Storia familiare: per una donna il rischio di sviluppare il cancro al seno è maggiore se la madre, la sorella o la figlia ne sono già state colpite. Inoltre il rischio aumenta se il soggetto ha avuto il cancro prima dei 40 anni di età. Avere altri parenti col cancro al seno (sia materni che paterni) può allo stesso modo aumentare il rischio per una donna.

o Cambiamenti al seno: in alcune donne le cellule della mammella possono apparire anomale al microscopio. La presenza di determinate cellule anomale (iperplasia atipica e carcinoma lobulare in situ) aumenta il rischio di cancro al seno.

o Variazioni del gene: i cambiamenti di alcuni geni presenti nel DNA aumentano il rischio di cancro al seno. Tra questi geni rientrano il BRCA1, il BRCA2 ed altri. Talvolta i test possono mostrare la presenza di alterazioni di un determinato gene in nuclei familiari con molte donne che hanno sviluppato il cancro al seno. Gli operatori sanitari possono suggerire alcuni modi per cercare di ridurre il rischio di cancro al seno, o per migliorare le modalità attraverso cui individuare la malattia nelle donne che presentano queste variazioni nei geni.

o Storia mestruale e riproduttiva: le donne che non hanno figli o che hanno avuto il loro primo figlio dopo i 30 anni hanno un rischio leggermente più elevato di sviluppare il cancro al seno. Sostenere molte gravidanze ed essere incinte in giovane età riduce il rischio di cancro al seno. La gravidanza riduce lungo tutto

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13 l’arco della vita di una donna il numero totale di cicli mestruali, che possono essere la ragione di quest’effetto. Quindi:

Quanto più adulta è una donna alla sua prima gravidanza, maggiore sarà il rischio di cancro al seno,

Le donne che hanno avuto la loro prima mestruazione prima dei 12 anni corrono un rischio maggiore di cancro al seno,

Le donne che vanno in menopausa dopo i 55 anni corrono un rischio maggiore di cancro al seno,

Le donne che non hanno mai avuto figli corrono un maggior rischio di cancro al seno.

o Razza: il carcinoma alla mammella è diagnosticato più spesso nelle donne bianche piuttosto che in quelle latine, asiatiche o afro-americane.

o Radioterapia al torace: le donne che hanno fatto la radioterapia al torace (compreso il seno) corrono un rischio maggiore di cancro al seno. Lo stesso vale per le donne che vengono trattate con radiazioni per il linfoma di Hodgkin. Inoltre è stato dimostrato che quanto più giovane è la donna che segue un trattamento con radiazioni, tanto più elevata sarà la possibilità di sviluppare il cancro al seno. o Densità del seno: il tessuto del seno può essere denso o adiposo. Le donne anziane

le cui mammografie (raggi x al seno) mostrano un tessuto prevalentemente denso, sono maggiormente esposte al rischio di cancro al seno.

o DES (dietilstilbestrolo): Il DES è stato somministrato ad alcune donne incinte negli Stati Uniti tra il 1940 ed il 1971 (oggi non è più somministrato alle donne in gravidanza). Le donne che assumono il DES durante la gravidanza possono essere maggiormente esposte al rischio di sviluppare il cancro al seno. I possibili effetti sulle figlie sono ancora in fase di studio.

o Essere in sovrappeso o obesi dopo la menopausa: la possibilità di avere il cancro al seno dopo la menopausa è più elevata nelle donne che sono in sovrappeso o obese.

o Mancanza di attività fisica: le donne che sono fisicamente inattive nel corso della loro vita possono essere maggiormente esposte al rischio di cancro al seno. Essere attive può contribuire a ridurre tale rischio prevenendo l’aumento di peso e l’obesità. È sempre più evidente che l’attività fisica riduce il rischio di cancro al seno. La questione principale è capire di quanto esercizio fisico si ha bisogno. In base ad uno studio del Women’s Health Initiative (WHI), bastano da 1,25 sino a

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14 2,5 ore a settimana di marcia rapida per ridurre il rischio di una donna del 18%. Camminare 10 ore a settimana riduce un po’ di più questo rischio. Per ridurre il rischio di cancro al seno, l’American Cancer Society raccomanda dai 45 ai 60 minuti di attività fisica per 5 o più giorni alla settimana.

o Alcoolici: studi scientifici suggeriscono che più una donna assume sostanze alcooliche, maggiore sarà il rischio di cancro al seno.

o Mancato allattamento al seno: alcuni studi suggeriscono che l’allattamento al seno può leggermente ridurre la possibilità di cancro alla mammella, specialmente se è continuato per un periodo variabile da un anno e mezzo a due anni. Questo però non è un aspetto facile da studiare, specie in paesi come gli Stati Uniti, dove l’allattamento al seno per un periodo di tempo così prolungato non è affatto comune. Questo effetto si può spiegare con il fatto che l’allattamento al seno riduce il numero totale di cicli mestruali durante il corso della vita di una donna (come se cominciasse il periodo mestruale in età avanzata o andasse precocemente in menopausa).

o Recente uso orale di contraccettivi: Gli studi hanno mostrato che le donne che usano contraccettivi orali (pillole anticoncezionale) hanno un rischio maggiore di sviluppare il cancro al seno rispetto alle donne che non ne hanno mai fatto uso. Questo rischio sembra però diminuire sino a ritornare alla normalità una volta che l’assunzione delle pillole viene stoppata. Sembra che le donne che hanno smesso di usare contraccettivi orali da più di 10 anni non riscontrino alcun aumento del rischio di cancro al seno. Quando si discute circa l’uso di contraccettivi orali, le donne dovrebbero specificare l’eventuale presenza di ulteriori fattori di rischio per il carcinoma della mammella con il loro team di assistenza sanitaria.

o Seguire una terapia ormonale menopausa: La terapia ormonale post-menopausa (TOS), nota anche come terapia ormonale sostitutiva, è stata usata per molti anni per contribuire ad alleviare i sintomi della menopausa e per aiutare a prevenire l’osteoporosi (assottigliamento delle ossa).

Altri possibili fattori di rischio possibili sono gli effetti della dieta, dell’attività fisica e della genetica. Si presuppone inoltre che sia possibile mettere in correlazione la presenza di alcune sostanze nell’ambiente ed il rischio di cancro al seno.

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15 Molti fattori di rischio si possono evitare, mentre altri, al contrario non possono essere evitati. Le donne possono comunque proteggersi cercando di limitare i fattori noti di rischio per quanto possibile.

È anche importante tenere a mente che non sempre le donne che presentano un qualche fattore di rischio si ammalano di cancro al seno e la maggior parte delle donne che sviluppa la malattia non ha precedenti familiari; fatta eccezione per le donne in età avanzata, la maggior parte di esse non presenta dei chiari fattori di rischio.

2.4 Fattori con effetti non provati sul rischio del cancro al seno

o Una dieta ricca di grassi: studi relativi ai grassi nella dieta non hanno chiaramente dimostrato che questo è un fattore di rischio di cancro al seno.

o Antitraspiranti: si è diffusa tramite internet ed e-mail la voce secondo cui le sostanze chimiche contenute negli antitraspiranti ascellari vengono assorbite attraverso la pelle, interferiscono con la circolazione linfatica, causano delle tossine che si sviluppano nel petto, ed eventualmente determinano il cancro al seno.

o Aborto indotto: diversi studi hanno fornito delle prove inconfutabili che né l’aborto indotto né quello spontaneo abbiano degli effetti collaterali sul rischio di cancro al seno.

o Protesi mammarie: diversi studi hanno mostrato che le protesi mammarie non incidono sul rischio di cancro al seno, anche se quelle di silicone possono provocare la formazione di un tessuto cicatriziale nel seno.

o Fumo di tabacco: la maggior parte degli studi non ha riscontrato alcun legame tra il fumo di sigaretta ed il cancro al seno.

o Lavoro notturno: le donne che lavorano di notte, ad esempio le infermiere che hanno il turno di notte, sono maggiormente esposte al rischio di cancro al seno. [3]

2.5 Sintomi

Il più comune sintomo del tumore al seno è la presenza di un nodulo mammario: se il nodulo è duro e indolore e presenta bordi irregolari è più probabile che sia cancerogeno,

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16 tuttavia il cancro al seno può anche essere soffice e rotondeggiante. Per questo motivo è fondamentale che ogni nuovo nodulo sia tenuto sotto controllo da un medico specialista esperto nella diagnosi delle malattie della mammella.

Altri possibili segni del cancro al seno sono:

- Gonfiore di tutto il seno o di una parte di esso (nonostante non si avverta nessun nodulo al tatto);

- Irritazione o increspatura della pelle; - Dolore al seno o al capezzolo;

- Retrazione del capezzolo (che si ripiega su sé stesso);

- Arrossamento o ispessimento del capezzolo o della pelle del seno; - Secrezione diversa dal latte materno;

- Cambiamenti nelle dimensioni o nella forma del seno; - Morbidezza del capezzolo

In certi casi il tumore al seno può diffondersi ai linfonodi ascellari e qui può causare un nodulo o un gonfiore, anche prima che il tumore al seno si sia abbastanza esteso per poter essere avvertito.

Nelle fasi iniziali il tumore alla mammella di solito non provoca dolore, ma una donna dovrebbe sempre consultare il suo medico specialista in caso di dolore al seno o di qualsiasi altro sintomo persistente. Il più delle volte questi dolori non sono dovuti a tumore, ma possono essere causati da differenti problemi di salute. Ogni donna che avverte questi sintomi deve informare il proprio medico così che il problema possa essere diagnosticato e trattato il prima possibile.

2.6 Diagnosi

Se si avvertono dei sintomi specifici o se il risultato del test di screening fa pensare che esista la possibilità di un tumore, il medico deve capire se sussiste l’effettiva possibilità che il paziente abbia contratto il cancro o se in realtà ciò sia dovuto ad altre cause. Il medico può porre alcune domande riguardanti la storia personale e quella della propria famiglia e può effettuare un esame fisico. Egli può anche decidere che il paziente debba essere sottoposto ad una mammografia o ad altre metodiche di imaging: questi test mostrano le immagini dei tessuti all’interno del seno ed al termine il medico può ritenere

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17 che non siano necessari ulteriori esami, oppure può suggerire di sottoporsi più avanti ad ulteriori accertamenti. Potrebbe essere anche necessaria una biopsia che riscontri la presenza di eventuali cellule tumorali.

2.7 Cura e terapia

Ad oggi, la scelta della terapia migliore si basa sull’analisi di diversi fattori: o l'età della paziente,

o la presenza di menopausa fisiologica, o le condizioni generali di salute, o le dimensioni del tumore,

o la localizzazione e lo stadio del tumore, o lo stato linfonodale e quello ormonale

Inoltre, dall’analisi dei dati di letteratura si evince che il 15-25% delle donne colpite da carcinoma della mammella, mostra un’amplificazione del gene che codifica per HER-2, un fattore di crescita epiteliale umano, e una conseguente iperpressione del recettore. Questa situazione è associata ad una malattia aggressiva, con un notevole rischio di metastatizzazione a distanza.

Numerose evidenze sperimentali indicano, infatti, che il recettore HER-2 è spesso direttamente coinvolto nel processo di cancerogenesi.

Nonostante la sua caratterizzazione debba essere contestualizzata in un quadro più complesso che preveda anche l’analisi dei recettori ormonali, la positività a HER-2 conferisce, da sola, un dato di aggressività elevato al carcinoma mammario in esame. Questo fattore di crescita epiteliale rappresenta, di fatto, un fattore di rischio notevole anche per le pazienti che, in base all’espressione dei recettori ormonali, dovrebbero mostrare una prognosi più favorevole.

Oggi è possibile definire una parziale carta d’identità del tumore mammario grazie alla valutazione dello stato di HER-2 attraverso l’impiego di un test immuno-istochimico (IHC) di sezioni tumorali fissate. L’amplificazione del gene HER-2 deve essere individuata mediante ibridazione in situ tramite fluorescenza (FISH) o ibridazione cromogenica (CISH) di sezioni tumorali fissate.

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18 In generale quasi tutte le donne con un cancro del seno, indipendentemente dallo stadio in cui si trova il tumore, subiscono un intervento chirurgico per rimuovere i tessuti malati, esistono tuttavia ulteriori approcci che possono essere classificati in grandi gruppi, in base a come funzionano e a quando vengono utilizzati.

La terapia locale è destinata al trattamento di una zona specifica senza influire sul resto del corpo, chirurgia e radioterapia sono esempi di terapie locali.

La terapia sistemica si riferisce invece ai farmaci che possono essere assunti per via orale o direttamente nel flusso sanguigno così da raggiungere le cellule tumorali in qualsiasi parte del corpo. La chemioterapia, la terapia ormonale e la terapia mirata sono terapie sistemiche.

I pazienti ai quali non viene più riscontrato il cancro dopo l’intervento chirurgico, vengono sottoposti ad una terapia sistemica adiuvante (addizionale). In alcuni casi le cellule di cancro possono staccarsi dal tumore primario della mammella per diffondersi in tutto il corpo tramite il flusso sanguigno, ciò avviene anche nelle fasi iniziali della malattia. Queste cellule non possono essere individuate attraverso un esame fisico o tramite radiografie o altri esami, per di più non generano alcun sintomo: possono svilupparsi sino a dar vita a nuovi tumori in altri organi del corpo o nelle ossa.

L’obiettivo della terapia adiuvante è quello di uccidere queste cellule nascoste.

Non tutti i pazienti necessitano di una terapia adiuvante, in linea generale se il tumore è più grande o se si è esteso sino ai linfonodi è più probabile che si sia diffuso attraverso il flusso sanguigno.

Alcuni pazienti vengono sottoposti a terapia sistemica, di solito la chemioterapia, prima dell’intervento chirurgico in modo da ridurre il tumore, nella speranza che ciò consentirà di sottoporre poi il paziente ad un intervento meno estensivo. In tal caso la terapia prende il nome di terapia neo adiuvanti.

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3. Ruolo dei recettori mTOR nel tumore al seno

3.1 Il recettore

In biochimica, un recettore è una proteina, trans membrana o intracellulare, che si lega ad un fattore specifico, chiamato ligando, provocando nel recettore una cambiamento conformazionale in seguito alla quale si ha l'insorgenza di una risposta cellulare o un effetto biologico.

Figura 5: il recettore

In figura 5 il legame ligando - recettore porta all’attivazione di un secondo messaggero. Alcuni recettori si trovano all'interno delle cellule. Questi rispondono agli ormoni steroidei e ad altri mediatori che possono attraversare la membrana cellulare. Come avviene per i recettori in superficie, i recettori intracellulari rispondono unicamente ai ligandi della forma appropriata.

Alcune molecole messaggere come gli ormoni peptidici attivano un messaggero secondario all'interno della cellula che generalmente avvia una reazione biochimica.

A livello farmacologico, invece, il recettore è una molecola qualsiasi, bersaglio del farmaco in questione. La definizione di recettore assume in ambito farmacologico un significato più ampio rispetto al campo biochimico. Viene infatti definito recettore

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20 qualsiasi struttura biologica che diviene bersaglio del farmaco. Tali strutture possono essere proteine, enzimi, lipidi ed acidi nucleici.

I recettori possono essere suddivisi in due grandi famiglie, a seconda della loro localizzazione cellulare:

o recettori trans membrana o recettori intracellulari

Il legame tra recettore e ligando è una reazione definita come equilibrio dinamico. Il ligando si lega al recettore libero, induce la risposta e di seguito vi si distacca, in accordo con la legge di azione di massa ed in accordo con la seguente formula:

[

𝐿𝑖𝑔𝑎𝑛𝑑𝑜

]

×

[

𝑅𝑒𝑐𝑒𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒

]

𝐾𝑑

⇔ [

𝑙𝑖𝑔𝑎𝑛𝑑𝑜 − 𝑟𝑒𝑐𝑒𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒

]

dove Kd indica la costante di dissociazione che rappresenta la capacità del ligando di

dissociarsi dal proprio recettore, ed è perciò un indice dell'affinità del ligando per il recettore.

Il sistema ligando-recettore è un equilibrio dinamico le cui condizioni sono continuamente regolate dalle stesse interazioni ligando-recettoriali. La carenza, l'eccesso o la sovraesposizione del recettore al ligando possono perturbare la risposta ed il segnale generato dal recettore.

La modulazione della trasduzione del segnale avviene a 4 distinti livelli di controllo:

1) Ricaptazione e feedback (retroazione): il ligando, una volta distaccatosi dal suo recettore, può essere ricaptato dalla cellula che lo ha rilasciato. La quantità di ligando ricaptato regola il rilascio successivo di ligando stesso: se la quantità ricaptata è insufficiente, verrà sintetizzato altro ligando; se invece la quantità ricaptata è eccessiva, verrà diminuito il rilascio di ligando.

2) Fosforilazione: questo segnale agisce a livello dell'interazione ligando-recettore. Le cellule, mediante processi di fosforilazione e defosforilazione recettoriale, sono in grado di modulare l'affinità del recettore per il ligando. Di solito, la

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21 fosforilazione del recettore induce una modificazione conformazionale nel recettore stesso il quale perde affinità per il proprio ligando. L'interazione è più breve, più difficile o meno duratura, perciò la risposta generata è minore.

3) Desensibilizzazione, downregulation (sotto regolazione) e upregulation (sovra regolazione). La desensibilizzazione è il passo che precede la downregulation. I recettori, ancora tutti presenti a livello della membrana, perdono la capacità di trasdurre il segnale. A questo fa seguito la sotto regolazione: i recettori vengono legati da proteine e inglobati in specifiche vescicole all'interno della membrana. Tale processo viene definito internalizzazione e ha la funzione di diminuire il numero di recettori che possono legarsi al ligando, senza distruggere il recettore stesso. Poi, all'occorrenza, senza che così vi sia il bisogno di sintetizzarne di nuovi, i recettori potranno essere velocemente esposti sulla membrana. All'opposto della downregulation, si definisce la upregulation: in mancanza o in difetto di ligando, la cellula espone tutti i suoi recettori nel tentativo di captare tutto il ligando possibile.

4) Ultimo livello di controllo è la modulazione di secondi messaggeri. Ciò è particolarmente importante nei recettori metabotropici. Variando l'attività di secondi messaggeri, è possibile regolare la risposta. L'adenilatociclasi sintetizza cAMP, che è un secondo messaggero. L'attivazione di fosfodiesterasi porta alla degradazione di del cAMP; diminuendo il cAMP diminuisce la possibilità di trasdurre il messaggio.

Molto spesso il farmaco è analogo al substrato di un enzima e si comporta come competitore, inibendo l'azione del substrato naturale in maniera irreversibile o reversibile. Le due concezioni quindi sono leggermente diverse:

- nel primo caso, il recettore sovente si trova inserito in una membrana cellulare, che sia quella plasmatica, mitocondriale o nucleare

- nel secondo caso può anche trattarsi di un enzima o di altre molecole solute (pensiamo, per esempio, alle molecole presenti nel sangue).

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3.2 mTOR

Un ruolo importante nella patogenesi del tumore al seno è svolto da mTOR, acronimo di “Mammalian target of Rapamycin”, identificato nei mammiferi come bersaglio dell'antibiotico macrolide rapamicina. É una proteina, serina treonina chinasi intracellulare, essenziale nella regolazione dei processi di crescita, proliferazione e sopravvivenza delle cellule, essa agisce attraverso la via di trasduzione del segnale che coinvolge P13K/AKT, a loro volta responsivi ai segnali inviati dall' attivazione dei recettori per gli estrogeni e dei recettori per i fattori di crescita. mTOR ha un ruolo di rilevanza nella regolazione del bilancio energetico del corpo e del suo peso. È attivata dagli amminoacidi, dal glucosio e dall’insulina e altri ormoni che regolano il metabolismo. mTOR funge da sensore ipotalamico in particolare per la leucina, ma anche per altri amminoacidi. Quando viene assunta della lecitina mTOR entra in azione e diminuisce la sensazione di appetito. Un’ anomala attivazione della via di mTOR si verifica spesso nel tumore della mammella, con conseguente coinvolgimento nei meccanismi di oncogenesi, angiogenesi e resistenza ai farmaci. Da ciò nasce l’impiego degli inibitori mTOR nelle pazienti con tumore al seno. [3]

3.3 Caratterizzazione di mTOR

mTOR è un sito catalitico composto da due complessi molecolari mTorc1 e mTorc2. [4]

mTOR Complex 1 (mTORC1) è composto da mTOR, dalla proteina G regolatoria di

mTOR chiamata Rheb, da una proteina simile alla subunità beta della proteina LST8/G dei mammiferi (mLST8/GβL) e da PRAS40 e DEPTOR, recentemente identificati. [5] Questo complesso è caratterizzato dalle classiche caratteristiche di mTOR poiché funziona da sensore per nutrienti, energia, livello redox e controlla la sintesi proteica. L’attività di questo complesso è stimolata da insulina, fattori di crescita, siero, acido fosfatidico, aminoacidi (in particolare la leucina) e stress ossidativo. In più la via PI3K/AKT è un importante mediatore del mTORC1, esercita i suoi effetti tramite l’attivazione mediata dai fattori di crescita. mTORC1 è inibito da un basso livello di nutrienti, da una carenza di fattori di crescita, da stress cellulare, dalla caffeina, dalla rapamicina e dalla curcumina.

I due bersagli di mTORC1 meglio caratterizzati sono la proteina chinasi 1 p70-S6 (S6K1) e 4E-BP1, ovvero la proteina che lega il fattore eucariotico di iniziazione 4E. mTORC1

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23 fosforila S6K1 su almeno due residui, causando per lo più la modificazione di un residuo di treonina (T389). Questo evento stimola la successiva fosforilazione di S6K1 ad opera di PDK1. La S6K1 attiva può stimolare l’inizio della sintesi proteica attraverso l’attivazione della proteina ribosomiale S6, un componente del ribosoma, e altri componenti trascrizionali. S6K1 può anche partecipare in un circuito di feedback positivo con mTORC1 fosforilando il dominio di regolazione negativo di mTOR su due siti, il che sembra stimolare l’attività di mTOR. È stato dimostrato che mTORC1 fosforila almeno quattro residui di 4E-BP1 in maniera progressiva. 4E-BP1 non fosforilato si lega strettamente al fattore iniziante la trascrizione eIF4E e previene il suo legame all’mRNA e il reclutamento al complesso di iniziazione ribosomiale. Sotto fosforilazione ad opera di mTORC1, 4E-BP1 rilascia eIF4E, permettendogli di svolgere la sua funzione.

L’attività di mTORC1 sembra essere regolata da un’interazione dinamica tra mTOR e Raptor, mediata da GβL. Raptor e mTOR condividono una forte interazione nella regione N-terminale e una debole interazione C-terminale vicino al domino chinasico di mTOR. Quando sono avvertiti segnali stimolatori, come alti livelli di nutrienti o di energia, l’interazione tra mTOR e Raptor a C-terminale è indebolita e in alcuni casi completamente persa, permettendo l’attivazione dell’attività chinasica di mTOR. Quando i segnali stimolatori sono rimossi, ad esempio se vi sono bassi livelli di nutrienti, l’interazione tra mTOR e Raptor a C-terminale è rinforzata, disattivando fortemente la funzione chinasica di mTOR.

In aggiunta agli aminoacidi ed al glucosio, anche gli acidi grassi possono regolare il complesso mTORC1. Nel cuore, ad esempio, gli acidi grassi liberi sono potenti attivatori della cascata che conduce alla sua attivazione. In questo caso l’attivazione di mTOR è la conseguenza dell’inibizione della proteina chinasi attivata dall’adenosina monofosfato (AMPKalpha), implicata nel controllo energetico cellulare. Nel tessuto cardiaco, un’aumentata ossidazione degli acidi grassi porta ad una riduzione della ratio AMP/ATP, il che inibisce la chinasi AMPKalpha. Questa a sua volta, può modulare la trasduzione TORC1-dipendente con almeno due modalità. Nel primo caso essa fosforila la proteina TSC2(tuberous sclerosis complex); nel secondo, fosforila direttamente mTOR. In ambedue i casi, si ha un’attivazione della funzione di queste proteine. [5]

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24 Nel caso dell’esercizio fisico, oltre alla stimolazione dovuta alla maggiore captazione di amminoacidi a livello delle cellule muscolari, il controllo di mTORC-1 potrebbe in parte dipendere dall’asse fosfolipasi D/acido fosfatidico (PLD2/PA). È riportato da uno studio, infatti, che la stimolazione meccanica di preparazioni muscolari ex vivo porta ad attivare la funzione enzimatica della PLD, accumulo di acido fosfatidico ed aumentato funzionamento del complesso mTORC-1.

mTOR Complex 2 (mTORC2) è composto da mTOR, da Rictor, da GβL e dalla proteina

1 che interagisce con le chinasi dei mammiferi attivate da stress (MAPK/APK-1). È stato mostrato che mTOR ha un’importante funzione regolatoria del citoscheletro attraverso la stimolazione di fibre di F-actina. mTORC2 inoltre sembra possedere l’attività che prima era attribuita a una proteina chinasi conosciuta come “PDK2” o seconda chinasi dipendente dai fosfoinositidi (Phosphoinositide-Dependent Kinase 2). mTORC2 fosforila la chinasi serina/treonina AKT/PKB sul residuo di serina S473. La fosforilazione di questa serina stimola la fosforilazione da parte di AKT su una treonina (T308) di PDK1 e comporta la piena attivazione di AKT. La curcumina inibisce entrambi prevenendo la fosforilazione sulla serina. mTORC2 sembra essere regolato da insulina, fattori di crescita, siero e livelli di nutrienti.

Originariamente mTORC2 fu identificato come un’entità non sensibile alla rapamicina, poiché un’alta esposizione alla rapamicina non influiva sull’attività di mTORC2 o sulla fosforilazione di AKT. Ad ogni modo è stato dimostrato che, almeno in alcune linee cellulari, l’esposizione cronica alla rapamicina, sebbene non dà effetti sugli mTORC2, può legare a mTOR libero, inibendo così la formazione di nuovi mTORC2. [6]

Il complesso mTOR raptor rapamicina sensibile controlla la crescita cellulare, regolando la sintesi proteica e, probabilmente, anche sopprimendo l’autofagia; in tal modo, mTOR raptor coordina i segnali di crescita, di disponibilità di nutrienti e di energia.

Il trattamento con la rapamicina non rappresenta una completa inibizione delle funzioni di mTOR. Le prime relazioni sul complesso mTOR rictor suggeriscono che una delle sue funzioni cellulari è quella di regolare il citoscheletro. Un indizio che mTOR ha un ruolo nella fosforilazione di AKT è stata l'osservazione che raptor, attiva AKT in ser473, presumibilmente rilasciando l'inibizione a feedback negativo al percorso IgF insulinico.

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Figura 6: organizzazione del segnale mTOR. [7]

Figura 6: vengono illustrati i due complessi molecolari mTORC1 e mTORC2. I loro componenti: mTORC1 composto da Raptor, mTOR, Mlst8; mTORC2 composto da rictor, protor-1, Mlst8. I substrati dove agiscono mTORC1: interagisce con la proteina chinasi 1 p70-S6 (S6K1), PRAS40 e 4E-BP1, ovvero la proteina che lega il fattore eucariotico di iniziazione 4E; mTORC2 interagisce con le chinasi dei mammiferi attivate da stress (MAPK/APK-1).

La loro attività: mTORC1 controlla la crescita cellulare, regolando la sintesi proteica, sopprimendo l’autofagia; fa da sensore per nutrienti, energia, livello redox e adattamento all’ ipossia; mTORC2: ha una funzione regolatoria del citoscheletro attraverso la stimolazione di fibre di F-actina. E infine Le molecole che li inibiscono come la

rapamicina, everolimus (RADOO1), ridaforolimus (AP23573).

3.4 Ruolo mTOR nel cancro

3.4.1 Funzioni biologiche

La via mTOR viene regolata ed integra gli stimoli provenienti da una grande varietà di segnali cellulari, tra cui i segnali mitogeni, fattori di crescita (come IGF-1 e IGF-2), ormoni come l’insulina, nutrienti (aminoacidi, glucosio), i livelli di energia cellulare, e le condizioni di stress. [7]

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26 Il percorso principale di trasduzione del segnale mTOR è il PI3K/AKT (v-Akt murino

Timoma Viral Oncogene omologo-1), che è coinvolta nella mediazione della

sopravvivenza e proliferazione cellulare. La segnalazione attraverso il percorso PI3K/AKT inizia da stimoli mitogeni, da fattori di crescita che si legano ai recettori della membrana cellulare. Questi recettori sono IGFR (Insulin-like Growth Factor Receptor),

PDGFR (Platelet-Derived Growth Factor Receptor), l’EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor), e la sua famiglia.

Il segnale dai recettori attivati viene trasferito direttamente alla via PI3K/AKT, o, in alternativa, può essere attivata tramite attivazione dei recettori del fattore di crescita, attraverso Ras oncogeni. Ras è un'altra proteina importante per la trasduzione del segnale e ha dimostrato di essere un attivatore cardine di un altro meccanismo trasduzionale la

MAPK (Mitogene-protein chinasi attivata) di trasduzione del segnale.

La via PI3K/AKT può essere attivata anche dall’ insulina tramite IRS - 1/2 (recettore insulinico Substrate-1 / 2).

mTOR modula anche la sintesi proteica attraverso la regolamentazione della RNA polimerasi I e III, che sono responsabili della trascrizione di RNA ribosomiale e transfert. In presenza di segnali di crescita appropriati come IGF1, mTOR, insieme ai percorsi di PI3K e MAPK, modula la trascrizione Polimerasi I del RNA ribosomiale.

Vi sono anche prove che mTOR può esercitare i suoi effetti sulla polimerasi attraverso la regolamentazione dello stato di fosforilazione di Rb (proteina del retinoblastoma) influenzando la stabilità e l’espressione della ciclina-D1 e p27. mTOR come un modulatore centrale di trasduzione del segnale proliferativo è il bersaglio terapeutico ideale contro il cancro.

Attraverso l’individuazione delle molte vie di trasduzione del segnale, è diventato chiaro che la chinasi mTOR partecipa a eventi critici che integrano i segnali esterni con i segnali interni, coordinando la crescita cellulare e la proliferazione. mTOR riceve i segnali che indicano se la trascrizione e i meccanismi traslazionali possono essere sovra regolati, quindi trasmette in modo efficiente questi segnali per le vie appropriate.

Lo sviluppo di inibitori mTOR è una strategia terapeutica razionale per i tumori maligni che sono caratterizzati da percorsi di deregolazione del segnale attraverso mTOR. Il pathway di mTOR appare alterato in diverse patologie umane, specialmente in alcuni tipi di cancro. La rapamicina è un antibiotico che può inibire mTOR associandosi col suo

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27 recettore intracellulare FKBP12 o ciclofilina A. Il complesso FKBP12-rapamicina si lega direttamente al dominio di legame per FKBP12-rapamicina su mTOR. Sembra che questo sia lo stesso sito di legame dove mTOR possa legare l’acido fosfatidico, un secondo messaggero derivato dall’idrolisi della fosfatidilcolina ad opera della fosfolipasi D.

Figura 7: il segnale mTOR nelle cellule. [7]

Nella figura 7 è illustrata l’attivazione del segnale mTOR.

In presenza di un opportuno ligando come ad esempio il fattore di crescita(insulina/igf) o aminoacidi si ha l’attivazione di un recettore tirosin-chinasico, tramite fosforilazione, della fosfoinositide 3-chinasi (PI3K). Questa incomincia a fosforilare vari substrati, anche se questi vengono normalmente defosforilati da PTEN.

Tra questi vi è il fosfatidil inositolo 4,5 bifosfato (PIP2) che viene fosforilato a fosfatidil inositolo 3,4,5 trifosfato PIP3 il quale rimane sulla membrana plasmatica ed attiva Akt che si libera nel citoplasma.

Akt, una volta attivata, fosforila disattivando vari bersagli proteici cellulari che producono come effetto finale netto l'induzione della crescita cellulare e la resistenza

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28 all'apoptosi. mTORC2 invece insensibile ai farmaci è regolato da Akt che richiede la fosforilazione nella ser473.

3.5 La via PI3K-AKT

3.5.1 PI3K

PI3K (sigla dell’inglese PhosphatidylInositol 3-Kinase) è un enzima della famiglia delle chinasi, fosfatidilinositolo 3-chinasi, implicato in una via di trasduzione dei segnali chimici attraverso la membrana cellulare (via di segnalazione PI3K). [8]

La famiglia fosfoinositolo-3-chinasi è divisa in quattro diverse classi: Classe I , Classe II , Classe III , e IV. Le classificazioni si basano sulla struttura primaria, regolamentazione, e in vitro specificità di substrato lipidico La PI3K agisce fosforilando un fosfolipide della membrana cellulare, il fosfatidilinositolo, che diventa fosfatidilinositolo-trifosfato; il fosfolipide così fosforilato attiva il reclutamento di proteine che consentono il trasporto attraverso la membrana. La via metabolica, che coinvolge l’oncogene PIK3CA e l’ oncosoppressore PTEN, è implicata nei fenomeni di insensibilità dei tumori all'insulina e di IGF1, in soggetti sottoposti alla restrizione calorica.

La PI3K è regolata per l’appunto da un importante fattore di "frenata" denominato PTEN (Phosphatase and tensin homolog). In diversi tipi di cancro sono state riscontrate delle alterazioni che coinvolgono con maggior frequenza il PI3K e il suo antagonista PTEN. Le mutazioni del PI3K danno inizio ad un aumento dell'attività enzimatica.

3.5.2 AKT

AKT (conosciuta anche come proteina chinasica B o PKB) è una proteina citosolica che svolge un ruolo chiave nel pathway PI3K\AKT. La sua attività consiste nella fosforilazione di vari substrati proteici nei residui serina e treonina, portando spesso alla loro inattivazione. Ciononostante, l'attivazione di Akt provoca come risultato effettivo l'attivazione di vie biochimiche che portano alla crescita cellulare ed alla resistenza all'apoptosi.

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29 1) Akt1: è coinvolta in percorsi di sopravvivenza cellulare, inibendo i processi apoptotici. Akt1 è anche in grado di indurre la sintesi proteica , ed è quindi una proteina di segnalazione chiave nei percorsi cellulari che portano all'ipertrofia muscolo scheletrica e la crescita dei tessuti in generale. Dal momento che può bloccare l'apoptosi, e quindi promuovere la sopravvivenza delle cellule, Akt1 è stato implicato come un fattore importante in molti tipi di cancro.

2) Akt2: è un'importante molecola nella via di segnalazione dell'insulina . È richiesta per indurre trasporto del glucosio. Le isoforme Akt sono iperespresse in diversi tumori umani, e, a livello genomico, sono amplificati nell’adenocarcinoma gastrico (Akt1), ovarico (Akt2), del pancreas (Akt2) e il cancro al seno (Akt2).

3) Il ruolo di Akt3 è meno chiaro, anche se sembra essere prevalentemente espressa nel cervello.

Pertanto l'attività PI3K è essenziale per la traslocazione di Akt alla membrana dal momento che nella sua forma inattiva è localizzata a livello citoplasmatico. L’interazione con PI3K provoca cambiamenti conformazionali e l'esposizione di siti di fosforilazione thr308 nel dominio chinasico e ser473 nel dominio C-terminale. Il reclutamento di Akt alla membrana cellulare provoca una variazione conformazionale della molecola che consente al suo residuo thr308 di venire fosforilato da PDK1. La piena attivazione richiede la fosforilazione sul residuo S473, che può essere catalizzata da più proteine, tra cui il fosfatidil-inositolo chinasi 2 (PDK2), integrina-linked chinasi (ILK), dal bersaglio della rapamicina (mTORC) e la proteina chinasi DNA-dipendente (DNA-PK). Dopo la stimolazione, i livelli di PI3K diminuiscono e l'attività Akt è attenuata dalla defosforilazione da parte di serina / treonina fosfatasi .

L’iperattività della via PI3K-AKT è una caratteristica della maggior parte, se non di tutti i tipi di cellule tumorali. Il gene PTEN è un gene oncosoppressore che viene inattivato e perde la sua funzione in un numero elevato di tumori tra cui neoplasie emopoietiche e solide. La perdita della funzione PTEN promuove pertanto un accumulo anomalo di PtdIns (PI3K fosfatidil inositolo 3 chinasi), e, a sua volta, l'attivazione della via di segnalazione multipla pre-oncogena, che comprende quella che coinvolge mTORC1. Anche se la perdita di funzione di PTEN è una via comune di deregolazione del segnale

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30 PI3K nei tumori umani, non è certo l'unico meccanismo per cui una neoplasia in via di sviluppo utilizza questa via di segnalazione cruciale.

Cellule trasformate possono esprimere un PI3K iperespresso e acquisire mutazioni attivanti nel PIK3CA, la subunità catalitica di PI3K come riportato nel colon-retto, nel polmone, nella mammella e nel cervello e nei tumori ovarici. Un esempio di strategia è stata scoperta durante gli studi di resistenza acquisita al fattore di crescita epidermico (HER) nel carcinoma polmonare.

La disponibilità di rapamicina come farmaco altamente specifico sulla funzione mTORC1 ha notevolmente facilitato gli studi per poter comprendere il ruolo di questo complesso mTOR nella malattia.

Un certo numero di agonisti mTOR compreso everolimus, temsirolimus, sirolimus o ridaforolimus sono stati studiati in diversi studi clinici in tutti i tipi di tumore, tumore al seno in monoterapia, in combinazione con la terapia ormonale, la chemioterapia o terapia mirata, in particolare agenti anti-HER-2. Inoltre è stato dimostrato che l'inibizione della via PI3K / AKT / mTOR è un modo promettente per migliorare l'efficacia del trattamento endocrino in pazienti con carcinoma mammario ER-positivo. La terapia combinata di everolimus più anti HER-2 migliora il risultato di HER-2 positivi. Inoltre l'attività antitumorale di everolimus è stata riportata anche in modelli di xenotrapianto. [9]

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31 In figura 8 vengono illustrate le differenze del percorso della via PI3K nelle cellule normali e nelle cellule tumorali. Nelle cellule normali il PI3K (fostatidil inositolo 3 chinasi) è regolato dal gene oncosoppressore PTEN. Il PI3K porta alla traslocazione di Akt (proteina chinasi B) alla membrana.

La via PI3k/AKT porta all’attivazione di mTOR che a sua volta aumenta la sintesi proteica e la crescita cellulare. In condizioni di malnutrizione e carenza di vitamine il gene oncosoppressore PTEN è l’unico ad essere attivo e porta ad autofagia con conseguente arresto della crescita cellulare.

Nelle cellule tumorali, invece, si ha la soppressione del gene oncosoppressore PTEN e di conseguenza un’aumentata attività enzimatica e nessun controllo della via PI3K/AKT come conseguenza si ha una crescita cellulare incontrollata, questa situazione resta inalterata anche in caso di malnutrizione, e come conseguenza si ha apoptosi e stress metabolico

Figura 9: PI3K/AKT [11]

In figura 9 viene illustrata l’attivazione della via PI3K/AKT.

I fattori di crescita portano all’attivazione di un recettore tirosin-chinasico tramite la fosforilazione del PI3K (fostainositide 3 chinasi) che è suddiviso in 4 classi.

Il PI3K viene defosforilato dal gene oncosoppressore PTEN. PI3K agisce fosforilando un fosfolipide della membrana cellulare, il fosfatidil 4,5 inositolo bifosfato (PIP2), che

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32 diventa fosfatidil inositolo-trifosfato (PIP3); il fosfolipide così fosforilato attiva il reclutamento di proteine che consentono il trasporto attraverso la membrana che a sua volta porta all’attivazione dell‘Akt (proteina chinasi b). Esistono tre tipi di Akt, e attraverso l’attivazione di processi biochimici portano alla crescita cellulare ed alla resistenza all'apoptosi.

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33

4. Terapie e farmaci

Per i tumori della mammella le terapie a bersaglio molecolare più utilizzate sono gli anticorpi monoclonali e gli inibitori della crescita tumorale. [12]

4.0.1 Gli anticorpi monoclonali

Sono farmaci a bersaglio, in grado di riconoscere selettivamente e in modo specifico una proteina presente sulle cellule tumorali. In questo modo permettono di limitare gli effetti collaterali della chemioterapia classica.

Per il trattamento dei tumori della mammella gli anticorpi monoclonali più utilizzati sono trastuzumab e bevacizumab, noti con i nomi commerciali di Herceptin® e

Avastin®.

o Trastuzumab (Herceptin®): è indicato nel trattamento di tumori della mammella che producono grandi quantità di una proteina specifica chiamata HER2(recettore per il fattore di crescita epidermico), presente sulla superficie delle cellule tumorali e in grado di stimolare la loro moltiplicazione. Il farmaco si lega alla proteina HER2 e in questo modo può arrestare la crescita delle cellule tumorali. Vengono definiti tumori HER positivi. L’indicazione alla terapia con trastuzumab, viene effettuata soltanto quando ci sono alti livelli di espressione della proteina HER2.

o Bevacizumab (Avastin®): è l'anticorpo monoclonale che ‘affama’ il tumore, che ha come bersaglio l'angiogenesi. I farmaci angiogenici inibiscono la formazione di nuovi vasi. Impedendo il collegamento del tumore con i vasi sanguigni circostanti, riducono o bloccano il rifornimento di sangue, elemento fondamentale per la crescita, sopravvivenza e diffusione delle cellule tumorali.

In particolare, bevacizumab è un anticorpo monoclonale anti-VEGF (fattore di crescita endoteliale vascolare), il più importante fattore di crescita con attività angiogenica.

4.0.2 Gli inibitori delle aromatasi

Gli inibitori dell’aromatasi agiscono “a monte”, impedendo la produzione di estrogeni da parte dell’enzima aromatasi. Si riduce così la quantità di estrogeni in circolo

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34 nell’organismo che possono raggiungere le cellule tumorali. Gli inibitori dell’aromatasi sono riservati alle donne già in menopausa, poiché in questa sottopopolazione la produzione di estrogeni da parte delle ovaie si riduce fino a scomparire. Ma gli estrogeni non sono del tutto assenti: nei muscoli, nel fegato e nel tessuto adiposo, c’è comunque una produzione di estrogeni e gli inibitori dell’aromatasi agiscono proprio in tali siti di produzione. Questi farmaci hanno dimostrato di essere superiori al Tamoxifene nelle pazienti con recettori estrogenici positivi.

Gli inibitori dell’aromatasi sono generalmente associati a effetti collaterali di natura lieve o moderata. Gli inibitori dell’aromatasi oggi utilizzati sono compresse che si assumano una volta al giorno, una sola compressa, e sono: Anastrazolo – Letrozolo –Exemestane. Oggi è stato convalidato l’uso anche nelle donne più giovani qualora la meno- pausa sia indotta farmacologicamente.

Questi farmaci sono utilizzati anche nella malattia metastatica ormone-responsiva, ovvero se le cellule presentano i recettori ormonali sulla superficie.

4.0.3 Gli inibitori della crescita tumorale

Costituiscono una nuova classe di farmaci antitumorali mirati. Molecole che agiscono in modo più selettivo rispetto alla chemioterapia tradizionale, in quanto riconoscono alcune proteine che si trovano sulla parete delle cellule tumorali o all’interno della cellula, bloccando i meccanismi con i quali le cellule si riproducono; siccome queste proteine si trovano solo in piccola parte anche sulle cellule sane, ne risulta che l’azione sia mirata verso le cellule tumorali. Gli inibitori della crescita tumorale possono uccidere le cellule tumorali o solamente impedire che si sviluppino.

4.1 Rapamicina e i suoi derivati

La rapamicina (sirolimus), è un composto naturale isolato dal batterio del suolo Streptomyces hydroscopius, è stato originariamente utilizzato come un antimicotico e agente immunosoppressore. [8]

La scoperta successiva di mTOR come bersaglio della rapamicina e le intrinseche proprietà anti proliferative del farmaco hanno portato a indagini di questo composto come agente anti-cancro.

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35 La rapamicina si lega irreversibilmente al dominio rapamicina FKBP12- di mTORC1 e inibisce l'attività chinasica e blocca l’attivazione delle cellule T.

I linfociti T sono un gruppo di leucociti appartenenti alla famiglia dei linfociti. Hanno un ruolo centrale nella immunità cellulo-mediata. Si distinguono dai linfociti B e le cellule natural killer per la presenza di uno specifico recettore presente sulla loro superficie chiamato recettore delle cellule T.

Diversi recettori dei fattori di crescita come il recettore dell’IL2 e dei linfociti T attivano mTOR attraverso la via PI3K-AKT, determinando la traduzione di proteine coinvolte nel ciclo cellulare.

L'interleuchina 2 è una citochina, necessaria al differenziamento e all'espansione dei linfociti T. Prodotta da alcune cellule del sangue, stimola la crescita di cellule del sistema immunitario. Pertanto inibendo mTOR la rapamicina blocca la proliferazione dei linfociti T.

Le combinazioni di ciclosporina (che inibisce la sintesi dell’IL2) e rapamicina ( che blocca la proliferazione indotta dall’IL2) sono potenti inibitori della risposta T. Le modifiche chimiche apportate nella realizzazione di farmaci come il tacrolimus, l everolimus mantengono comunque le interazioni con FKBP12 e mTOR, mantenendo così un meccanismo di azione simile alla rapamicina.

mTORC2 è generalmente meno sensibile ai farmaci,è stato dimostrato che l'esposizione prolungata al farmaco blocca mTORC2 e successivamente inibisce Akt. L’inibizione di mTORC2 è indiretta e può essere spiegata da un sequestro progressivo intracellulare di mTOR che si complessa con rapamicina-FKBP12, rendendo così disponibile la formazione di mTORC2.

I farmaci inducono a molteplici cambiamenti in diverse vie di segnalazione come nella proliferazione cellulare, la sopravvivenza cellulare e l'angiogenesi. Un potenziale meccanismo che può indurre al blocco della proliferazione con un effetto antiproliferativo è evitare la fosforilazione di 4E-BP1 e S6K1 da parte di mTORC1, che a sua volta inibisce la fase iniziale della traduzione dell'mRNA -dipendente. L'effetto dei farmaci sull'induzione di apoptosi varia a seconda della linea cellulare ed è correlata all’attività di Akt. L’'inibizione di mTORC1 porta all'attivazione di Akt, di conseguenza questi farmaci possono portare alla resistenza all’apoptosi. Dal momento che l’attivazione di mTOR è

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36 strettamente legata al percorso PI3K, il livello di attivazione di Akt può giocare un ruolo determinante nella sensibilità alla rapamicina.

In alcuni tipi di cellule, l'inibizione di mTORC1 sembra essere incompleta o almeno insufficiente a bloccare in modo efficace l'attività di mTORC1 chinasi verso il suo substrato 4E-BP1, che è necessaria per la soppressione della sintesi proteica.

Un'altra possibilità è che la resistenza sia legata alla incapacità del farmaco di inibire in modo efficace mTORC2.

Questo può consentire a mTORC2 di compensare/controbilanciare la perdita di attività di mTORC1, determinando così la resistenza alla rapamicina.

L’iperattivazione di PI3K si traduce anche in una sovra regolazione di mTORC2, che promuove un'ulteriore attivazione di Akt. Inoltre, l'inibizione della S6K1 attiva il ERK / MAPK data da alcuni farmaci, può anche indurre all'attivazione di questo percorso. Questo è stato confermato in un campione di pazienti con tumore trattati con everolimus, che ha mostrato un aumento dell’attivazione della via MAPK, inoltre l’inibizione della S6K1 può indurre l’attivazione del PDGFR (recettore per il fattore di crescita piastrinico) un recettore tirosin chinasico che si attiva attraverso la via PI3K e MAPK favorendo la proliferazione cellulare, la crescita e la sopravvivenza.

La rapamicina (Sirolimus, Rapamune) è stata approvato dalla FDA degli Stati Uniti per evitare rigetto nei pazienti sottoposti a trapianto di rene. Temsirolimus (Torisel) è stato approvato dalla FDA degli Stati Uniti e dal EMA per il trattamento del carcinoma delle cellule renali nel 2007.

Everolimus (AFINITOR) è stato approvato per il trattamento del carcinoma renale avanzato nel 2009 e per la prevenzione di rigetto dei trapianti d'organo dopo trapianto del rene. I farmaci Temsirolimus (TORISEL) e Everolimus (Afinitor) vengono utilizzati per il trattamento in pazienti affetti da cancro al seno e renali. L'identificazione di marcatori che possono predire la risposta alla terapia è importante. Inoltre, gli effetti di una combinazione di questi farmaci con altri farmaci antitumorali sono stati studiati in diverse condizioni sperimentali.

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