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CAPITOLO 6

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 6

DISCUSSIONE

6.1 Aspetti parassitologici

Il metodo di raccolta ed analisi delle feci messo in atto nella presente indagine, per lo studio dei parametri parassitologici di Lepus europaeus all’interno delle Riserve Biogenetiche casentinesi, è uno dei più comunemente utilizzati per ottenere il quadro preliminare dello stato sanitario di una data popolazione animale.

Pur avendo raggiunto una visione d’insieme sulle parassitosi presenti nella popolazione del lagomorfo, le risultanze ottenute si sono limitate ad una descrizione piuttosto qualitativa dei campioni raccolti.

Le tecniche utilizzate, di fatto, non hanno consentito di identificare né le specie di parassiti coinvolti nelle infestazioni né il numero esatto degli stessi, permettendo di tracciare un quadro importante, ma preliminare di questo aspetto della popolazione di lepre.

Un altro limite riscontrato è stato di tipo “operativo-pratico” legato alle difficoltà incontrate durante il campionamento per raggiungere tutti i siti di raccolta previsti dal disegno sperimentale. La conseguente mancanza di dati ha reso vieppiù difficile stabilire l’andamento della popolazione di parassiti sia nel corso delle stagioni in generale, sia all’interno delle categorie vegetazionali e nelle fasce altitudinali considerate.

Detto ciò, dai dati ottenuti si riscontra comunque un andamento parassitologico “anomalo” rispetto al consueto, cioè una maggiore positività nella stagione invernale piuttosto che nelle stagioni primaverile ed autunnale (Tabb 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3, 5.1.4). Va però ricordato che nessuna parassitosi segue schemi predeterminati, che la sua abbondanza non è necessariamente collegata ad un quadro fisiologico negativo dell’animale e che, per stabilire il benessere fisico reale sono necessari ulteriori elementi quali peso, presenza di patologie, stato nutrizionale, equilibrio ospite-parassita, età dell’animale, momento fisiologico (Ambrosi, 1995). Una dieta equilibrata infatti, può concorrere a ridurre le conseguenze negative legate alla parassitosi in corso, così come l’assenza di altre patologie consente una miglior gestione della infestione da parte del sistema immunitario dell’animale.

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Animali adulti inoltre sono fisiologicamente più resistenti di animali giovani così come la presenza o meno di gravidanza, prole, estro, rende l’individuo più o meno resistente ai patogeni.

Si ritiene inoltre che nel caso specifico descritto nel presente lavoro, abbia avuto un ruolo fondamentale l’andamento meteorologico stagionale dell’anno in cui si è svolto lo studio caratterizzato dall’inverno 2011 piuttosto mite, ma preceduto da un autunno con una temperatura inferiore alle medie stagionali e con una primavera in cui si sono registrate nevicate e gelate tardive (Lamma 2010, 2011).

Infine, un’ulteriore aspetto di cui tenere di conto in questa sede è la molteplicità di siti in cui sono stati raccolti i campioni successivamente analizzati: non sono stati, infatti, mantenuti dei siti fissi di raccolta, ma sono scelte località spesso diverse tra loro mantenendo però costanti gli intervalli altitudinali e le categorie vegetazionali previste. Ciò per massimizzare la raccolta di campioni, quindi avere più materiale per le analisi di laboratorio.

Da notare tuttavia un andamento parassitologico nella stagione estiva (con pochi campioni positivi) più conforme a quello comunemente osservato.

Per quel che riguarda la comparazione del quadro parassitologico della lepre con quello delle altre specie di cui sono state svolte le analisi coprologiche per flottazione, si può affermare che pur essendoci una ridotta infestazione per la specie Cervo, una costante positività della specie Daino e una positività riscontrata anche nella specie Capriolo, i dati a disposizione non sono sufficienti per una comparazione scientificamente valida (Tab. 5.1.9).

6.2 Conteggio notturno con sorgente di luce (Spotlight census)

In merito ai risultati dello spotlight census, è stato possibile ricavare da essi soltanto un indice di abbondanza pari a 0.13 capi/km (Tab. 5.2.2) .

L’indice ottenuto, il cui valore si può affermare piuttosto basso, ben rispecchia le difficoltà riscontrate nell’applicazione del metodo nell’Area di studio. Infatti, l’ambiente all’interno del quale erano dislocati i percorsi standardizzati era caratterizzato da vegetazione arborea ed arbustiva schermante, sovente da forti pendenze dei versanti, da una complessa morfologia ed idrologia, da una globale scarsità di superfici libere da vegetazione legnosa, ideali per la corretta applicazione del metodo.

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6.3 Conteggio dei gruppi fecali (Pellet group count)

Lo scopo fondamentale di tutte le operazioni di conteggio, riguardanti specie di fauna selvatica, è quello di fornire una stima il più possibile vicina alla reale consistenza della popolazione oggetto di studio. Il problema di tutte le tecniche, che impropriamente chiamiamo di “censimento”, sta nel fatto che tale valore “reale” non può essere conosciuto a priori. Di fatto ogni metodologia di stima demografica mostra una serie di “bias”, legati all’applicabilità della stessa, in modo uniforme e da parte di ogni operatore; tali errori intrinseci sono difficilmente limitabili e, influenzando anche in modo sostanzioso la precisione del metodo, tendono ad aumentare, sia in eccesso sia in difetto, la distanza tra il valore stimato ottenuto e il valore reale di consistenza della popolazione. La valutazione di fattori come la precisione della stima, l’applicabilità della metodologia e la replicabilità della stessa nel tempo, è quindi determinante nella progettazione di un buon conteggio.

L’aggiornamento e il perfezionamento delle tecniche di stima demografica è costantemente da ricercare, nel contesto del progresso delle conoscenze biologiche su specie ed ecosistemi, parimenti al continuo sviluppo e implementazione di nuove tecnologie sia elettroniche, sia informatiche che statistiche, che risultano di fondamentale importanza nella pianificazione della raccolta dati e nella loro successiva elaborazione. In particolare il monitoraggio quantitativo delle popolazioni di lagomorfi, attualmente finalizzato quasi esclusivamente alla loro gestione venatoria, deve essere sempre più supportato da modalità di conteggio che, pur nei loro limiti dichiarati, riescano a fornire stime il più possibile precise. Tali stime infatti costituiscono il dato propedeutico all’elaborazione dei piani di prelievo che, sia per ragioni biologiche, sia per ragioni più squisitamente deontologiche, devono essere commisurati al valore reale di consistenza della popolazione oggetto di gestione.

Nel presente studio l’importanza del conteggio della popolazione di lepre nelle Riserve Biogenetiche sta proprio nel dato “nuovo” che verrebbe ricavato in un contesto ambientale sicuramente peculiare per la specie stessa.

La finalità principale di un’operazione di conteggio di qualsiasi popolazione animale è principalmente la definizione dei suoi parametri demografici (Meriggi, 1989). Per giungere a tale risultato è necessaria l’individuazione, tramite rilevamento diretto o indiretto, dei diversi esemplari della popolazione indagata, mentre è superflua la loro precisa localizzazione sul territorio costituente l’area di studio, a meno di non utilizzare metodiche di elaborazione statistica che prevedano il posizionamento esatto dell’animale (come nel Distance sampling). Le elaborazioni dei dati grezzi raccolti in un censimento sono finalizzate ad evitare sovrastime

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o sottostime di tale popolazione. Uno dei principi basilari nel censimento delle popolazioni animali consiste nel limitare al massimo la sovrapposizione delle aree indagate, cercando di evitare registrazioni multiple per singoli esemplari o gruppi, in modo da ottenere una semplificazione delle elaborazioni, contestualmente ad una raccolta dati di campo eseguita dal minor numero di operatori possibile, quindi con minori costi di realizzazione.

Nella fattispecie del lavoro svolto per questa indagine, l’analisi dei dati relativi al pellet count è stata possibile solo su 3 stagioni in quanto la stagione invernale dell’anno 2012 è stata caratterizzata da un inverno eccezionalmente nevoso come riportato dai dati di seguito mostrati (Fig. 6.3.1, Graf. 6.3.1, Tab. 6.3.1).

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Graf. 6.3.1 Andamento delle temperature durante l’inverno 2012, prima stagione in cui è stato effettuato il campionamento tramite pellet count

Tab. 6.3.1 Neve al suolo registrata in Romagna nel periodo invernale 2012 (dati non ufficiali)

Le densità media di lepri complessivamente ottenuta tramite la tecnica del pellet group count è stata di circa 25 capi/km2, con valori inferiori nel periodo estivo e superiori nel periodo primaverile (Tab 5.3.1). Le densità calcolate in maniera disaggregata per fasce altitudinali e categorie vegetazionali si sono mostrate coerenti alla densità globale con una certa variabilità del campione rilevata da adeguate statistiche descrittive (Tab. 5.3.2, Graf. 5.3.1). Il calcolo dei

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parametri demografici effettuato per categorie vegetazionali e fasce altitudinali, mostra inoltre una maggiore densità annuale e stagionale nelle aree aperte e alle quote più elevate (Graff. 5.3.2-5.3.3). Gli elevati valori di densità medie ci fanno dedurre che la popolazione di Lepus

europaeus è ben adattata ad un ambiente forestale insolito considerando l’ecologia della

specie; di fatto la densità media considerata dalla Regione Toscana per identificare le “aree vocate” per il lagomorfo è pari a 10 capi/km2 , quindi molto inferiore a quella da noi registrata.

Alle densità media sopra citata corrisponde una Consistenza Minima Stimata per l’Area di studio (54,42 km2) compresa tra 1096 e 1650 capi (lim. fiduciali con α = 0,01, t = 9,925 e n = 3), si conferma quindi una certa “variabilità” nel campione di dati elaborato.

Il pellet count sembra essere, alla luce di questi risultati, una valida tecnica per la stima della demografia di una popolazione di Lepus europaeus in ambiente forestato, ove sussistono grandi difficoltà di avvistamento della specie.

L’utilizzo di aree di saggio circolari e di dimensioni ridotte piuttosto che aree di saggio rettangolari e di ampie dimensioni ha consentito una maggiore precisione della stima come da esempi noti in bibliografia: il ricorso ad aree circolari, infatti, è preferibile e consigliato nelle zone con ipotizzabili basse densità di popolazione ed elevati indici di boscosità (Krebs et al., 2001; Murray et al., 2002). Aree di saggio piccole e circolari consentono tempi di lavoro ridotti e limitano errori di campionamento legati alla variabilità dei micro habitat nei diversi siti, causando però una leggera sottostima della popolazione compensabile con un aumento del numero delle aree di saggio (Murray et al., 2002).

Da quanto detto, è facile evincere come uno dei punti critici nell’applicazione del metodo sia legato al numero delle aree di saggio. Nel presente studio tale numero è stato molto ridotto nel disegno di campionamento definitivo, per limitare al massimo lo sforzo operativo, in considerazione del basso numero di operatori di campo a disposizione. Oltre a ciò la difficoltà nel raggiungere i vari siti durante le stagioni autunnali e soprattutto invernali, ha decisamente influenzato la numerosità del campione atteso.

Un aumento del numero di punti casuali con una stratificazione più intensa avrebbe probabilmente fornito una consistenza di popolazione più precisa, con una variabilità inferiore intorno ai valori medi, rispetto a quella ottenuta.

Altri limiti del metodo sono poi legati ai parametri fondamentali nel calcolo della consistenza di popolazione: l’indice di decadimento dei pellet e il tasso di defecazione.

Le problematiche connesse alla precisa conoscenza e valutazione del tempo e del grado di degradazione dei pellet sono state ampiamente discusse in bibliografia (Murray et al., 2002;

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Flux, 1967): tale parametro infatti è suscettibile a moltissimi fattori, legati alla situazione ambientale in cui vengono deposti i pellet stessi.

Le precipitazioni molto intense (frequentemente osservate nell’area oggetto di studio) possono aumentare la velocità di degradazione degli escrementi causando un’ampia variabilità dell’indice di decomposizione al variare delle stagioni; così come aree riparate e con vegetazione fitta possono rallentare il decadimento dei pellet causando, anche in questo caso, una spiccata variabilità del parametro tra una zona e l’altra della stessa area di studio. Infine, il tasso di decadimento è soggetto anche ad una variabilità legata all’altitudine dell’area studiata (Flux, 1967). Tuttavia riteniamo che questo aspetto abbia influenzato solo in minima parte i dati ottenuti in quanto la variabilità legata al range altitudinale, è stata riscontrata solo in aree di studio con dislivelli estremi, non rinvenibili nelle Riserve Biogenetiche casentinesi. La stima del tasso di decadimento dovrebbe essere quindi affrontata in maniera specifica per i diversi siti in esame (o per un significativo campione di essi) e solo successivamente si dovrebbe passare al conteggio vero e proprio.

Per l’aspetto relativo al tasso di defecazione i limiti riscontrati sono quelli, facilmente intuibili, legati all’alimentazione della specie che varia con il variare della disponibilità alimentare e dello stato fisiologico dell’animale (piccolo, giovane, adulto, in gestazione, malato, defedato). A tale proposito si trovano indici stimati anche molto diversi tra loro, influenzati palesemente e comprensibilmente dalle caratteristiche ecologiche delle aree di studio.

In alcuni studi i dati raccolti ai fini della stima del tasso di defecazione, sono stati ottenuti da animali catturati e tenuti in cattività, la cui dieta è stata integrata con alimenti previsti per i conigli da allevamento (Cerri et al. 2015; Flux, 1967). Tali alimenti tuttavia, poco rispecchiano la dieta effettiva della lepre nel contesto delle Riserve Biogenetiche casentinesi, con ambienti pabulari che non presentano le varietà più comunemente apprezzate dalla specie ma che fornisce piuttosto una più ampia disponibilità delle specie meno appetite. Specie, come Brachypodium sp. e Seisleria sp., che prevalgono nelle limitate praterie secondarie di crinale molto frequentate dalla specie, sono Graminacee caratterizzate da una quantità di fibra molto maggiore rispetto a quella contenuta nei comuni mangimi, o nei prati-pascoli delle aree collinari o di pianura, e questo può influenzare enormemente il tasso di defecazione, in quanto l’ingombro della fibra può far aumentare notevolmente tale parametro e portare a sovrastime delle densità e delle consistenze. Da considerare anche l’influenza del clima che, nelle Riserve casentinesi, pur essendo caratterizzate da modeste elevazioni, è pur sempre tipicamente montano, con inverni lunghi e nevosi: ciò può far accrescere i ritmi di alimentazione nella

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specie, con conseguente ingestione di quantitativi fibrosi elevati per ragioni di termoregolazione, accrescendo di fatto il parametro in questione.

Proseguendo nella nostra analisi critica della tecnica di conteggio applicata nel presente lavoro di tesi, ci dobbiamo soffermare su un altro aspetto: la difficoltà nel rinvenimento degli escrementi legata alle caratteristiche ambientali. Nelle aree aperte entro i confini dell’area di studio infatti, i pascoli presenti mostrano un cotico erboso estremamente fitto e spesso, all’interno del quale il reperimento delle feci è piuttosto complicato. L’acclività di tali pascoli favorisce inoltre la dispersione dei pellet. Si riscontrano difficoltà di rinvenimento degli escrementi anche nelle aree incluse nella categoria “Boschi di Latifoglie” soprattutto nel periodo autunnale, momento in cui la caduta delle foglie può coprire i pellet, così come la loro rimozione per cause naturali (ad esempio vento o forti temporali) può favorirne l’allontanamento. Difficoltà analoghe si hanno anche per le categorie “Boschi di conifere”, in cui il terreno umido e ricoperto di aghi impedisce una facile individuazione degli escrementi e nei “Boschi misti”, dove si hanno contemporaneamente le problematiche delle due categorie forestali fin qui descritte. Come ulteriore aggravante, nel periodo invernale le precipitazioni a carattere nevoso possono coprire interamente i pellet deposti nel periodo intercorrente la pulizia e il controllo del plot. Cosa che è avvenuta nel periodo di studio, inficiando, di fatto, la sessione invernale del conteggio.

I risultati ottenuti tramite il pellet count nel periodo di studio sembrano in conclusione essere afflitti da una certa sovrastima: densità di circa 25 capi/km2, ovvero superiori a quelle di molte aree che presentano tipologie ambientali teoricamente più adatte alla specie, appaiono piuttosto elevate. Analizzate tutte le influenze ambientali, specie-specifiche, climatiche o i possibili bias di campionamento, l’ipotizzabile sovrastima può essere semplicemente legata alla distribuzione dei campioni fecali, dalla numerosità dei quali sono stati calcolati i parametri demografici, concentrata nelle aree aperte di pascolo che ci indicano elevate densità della specie su piccole superfici e che, in questo modo, sicuramente hanno influenzato notevolmente il dato globale, estrapolato proprio dai dati delle singole categorie ambientali.

6.4 Uso dell’habitat

Per quel che riguarda l’uso dell’habitat gli indici di Jacobs calcolati ci indicano che la categoria vegetazionale selezionata positivamente, ovvero al di sopra della sua disponibilità nell’Area di studio, è quella rappresentata dalle “aree aperte” e che la fascia altitudinale

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maggiormente “gradita” è quella compresa tra 1356 e 1628 m s.l.m. (Graff. 5.4.1, 5.4.2, 5.4.3, 5.4.4, 5.4.5, 5.4.6).

Da notare sono la costante selezione negativa per i boschi di conifere e la selezione debolmente positiva per i boschi di latifoglie nel periodo estivo. Tali dati si allineano con quanto riportato in bibliografia per la lepre europea (Paci et al., 2007) che sembra preferire le aree aperte non eccessivamente antropizzate, prive di vegetazione arborea. Tale comportamento è facilmente attribuibile, oltre che alla mera necessità trofica, alla necessità di tutelarsi dalle possibili predazioni: nelle aree aperte il maggior campo visivo può tutelare la specie in foraggiamento da “attacchi a sorpresa”. E’ altresì vero come le aree boscate garantiscano ad un animale di dimensioni contenute come la lepre, anche numerosi siti di rifugio e rimessa, utilizzabili in funzione anti-predatoria.

La selezione riscontrata per i boschi di latifoglie nel periodo estivo è attribuibile alla ricerca da parte della specie target di aree fresche in cui riposare, sfuggendo alle temperature elevate delle aree aperte.

Da fonti bibliografiche si evince che le aree forestate non sono sempre negativamente selezionate dalla specie, ma che i boschi molto giovani e scarsamente antropizzate possono essere utilizzate fino ad un certo sviluppo delle piante presenti (Roy, 2010). Tuttavia, all’interno delle Riserve casentinesi, tale tipologia ambientale appare piuttosto rara. Uno studio specifico sulle aree boscate selezionate dalla specie nell’Area di studio fornirebbe dati più precisi in merito al motivo di tale selezione.

Per quanto riguarda le fasce altitudinali, come già accennato, la zona positivamente selezionata è stata quella apicale (1354 – 1628 m s.l.m.), che è anche la più ricca di aree aperte utilizzate, come detto, per il foraggiamento. Dai grafici 5.4.4 – 5.4.6 tuttavia si può osservare come nei periodi autunnale ed estivo la specie abbia selezionato anche le quote all’estremo altitudinale opposto (540 – 812 m s.l.m.) evitando le altitudini intermedie.

L’ecologia comportamentale della lepre rispetto alle fasce altitudinali potrebbe essere legata ad interazioni interspecifiche con le specie di ungulati presenti nel parco: disturbo nei periodi riproduttivi, competitività alimentare, ecc. (Hulbert, 2001).

Viste le molteplici variabili in gioco, anche l’aspetto delle selezioni ambientali operate dal lagomorfo meriterebbe una trattazione specifica più approfondita.

Ipotesi interessante da vagliare, che in questa sede possiamo solo introdurre ed accennare, è quella che riguarda il possibile isolamento della popolazione di lepre delle Foreste casentinesi, rispetto ai nuclei presenti nelle zone esterne al Parco Nazionale e caratterizzate da boschi

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cedui, pascoli gestiti ed aree agricole, contesti ambientali inclusi nell’ambito territoriale di caccia AR1 ed in numerosi Istituti faunistici (Oasi di Protezione, ZRC, ZRV, Zone di protezione). Se tale isolamento fosse confermato da indagini specifiche, la popolazione delle Foreste casentinesi, potrebbe essere considerata una popolazione di “lepri di montagna”, situazione riscontrata in più parti dell’Appennino ove nuclei separati e ben adattati ad ambienti climaticamente difficili e molto boscati possono anche mostrare caratteristiche genetiche peculiari e diverse rispetto alle lepri presenti alle quote inferiori, comunemente gestite per scopi venatori (quindi anche sottoposta a ripopolamenti periodici).

Tuttavia, nell’ambito delle Foreste casentinesi, la distanza tra le suddette zone ed i confini delle riserve sembra rendere l’ipotesi di una piccola popolazione isolata improbabile, anche se sicuramente da indagare (Fig. 6.4.1).

Fig. 6.4.1 Distanza tra il centro delle Riserve Biogenetiche ed il territorio a caccia programmata (ATC AR1)

Quanto meno la verifica di tale ipotesi, presuppone la necessità di dati più specifici per poter fornire una risposta adeguata, tra i quali anche quelli relativi ad un eventuale indagine genetica della popolazione.

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