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CAPITOLO 3 – IL SITO E LE IPOTESI PROGETTUALI

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3 – IL SITO E LE IPOTESI PROGETTUALI

3.1 – Descrizione generale del sito di intervento

L’ambito territoriale in cui ricade l’opera in esame è rappresentato dal tratto medio del fiume Magra, compreso tra i comuni di Pontremoli ed Aulla. Tale fiume, che nasce in Toscana dal monte Borgognone e sfocia nel mar Tirreno a Bocca di Magra attraversa l’intero territorio della Lunigiana ricevendo, durante il suo tragitto, le acque di innumerevoli corsi d’acqua, tra i quali i più importanti sono il fiume Vara ed i torrenti Màngiola e Teglia. Il carattere del fiume Magra e dei suoi affluenti e tipicamente torrentizio ed è condizionato sia dal particolare regime pluviometrico, in Lunigiana infatti le precipitazioni sono particolarmente abbondanti, con valori annui che possono far ascrivere tale area tra le più piovose d’Italia, sia dalla litologia dei terreni, tipicamente di natura alluvionale, e dalla loro conformazione morfologica.

Più nello specifico, l’area oggetto di studio si trova nella località di Stadano Bonaparte, comune di Aulla, situata lungo la Strada Statale 62 della Cisa appena prima del paese di Caprignola. Come indica il nome, secondo tradizione, nel paese nacquero gli antenati di Napoleone I Bonaparte, ma nulla si sa esattamente in merito.

In questa zona il fiume Magra, che scorre da sud-est verso nord-ovest e presenta un’ampia zona golenale sulla riva destra, compie una curva stretta attorno alla riva sinistra, generando correnti turbinose estremamente erosive per qualsiasi manufatto che interessi l’alveo.

Per quanto riguarda il paesaggio circostante, esso ha le caratteristiche tipiche della Val di Magra: ampie zone boschive e monti di altezza limitata a poche centinaia di metri circondano e si armonizzano con piccoli paesi e cittadine; ciò ci ha successivamente guidato verso una soluzione progettuale che contenesse l’altezza dei manufatti e il loro impatto visivo, al fine di perseguire un corretto rapporto tra il costruito ed il contesto ambientale, tutelando il più possibile il paesaggio.

3.2 – Tipologie di ponte prese in esame

Viste le caratteristiche dell’area d’intervento, la scelta della tipologia dell’opera di attraversamento ha richiesto uno studio comparativo tra varie soluzioni, sulla base di principi quali: l’inserimento ambientale, la funzionalità, la sicurezza degli utenti, l’economia e la pericolosità idrogeologica del sito in esame (messa particolarmente in evidenza dagli eventi di piena verificatisi negli anni precedenti). Quest’ultimo punto ha posto come condizione di progetto quella di non costruire pile in alveo al fine di recuperare la massima sezione idraulica per il deflusso della portata di massima piena.

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Detto ciò, dobbiamo ricordare che l’intradosso del ponte deve rispettare un franco minimo di sicurezza di 2 metri rispetto all’altezza del livello di massima piena con tempo di ritorno di 200 anni pari a +45,79 metri s.l.m.m, Poiché il piano di campagna si trova mediamente a +42,00 metri s.l.m.m, avremmo a disposizione un’altezza di circa 5,8 metri per la costruzione della struttura portante compreso l’impalcato, considerando che parte di essa sarebbe comunque a contatto con le acque del fiume.

Tutto questo, compresa l’assenza di pile in alveo, comporta che è necessario escludere tutti quei tipi di ponte che abbiano la struttura portante al di sotto del piano viario, come, ad esempio, i ponti a cavalletto, i ponti ad arco a via superiore e tutti i ponti a travata.

Avendo così ristretto il campo delle possibilità, abbiamo esaminato soluzioni in cui la struttura portante stia tutta al di sopra dell’impalcato o sia tutt’una con esso, aventi luce di 122 metri circa e con sottostrutture poste al di fuori della zona principale di deflusso idrico.

Più precisamente si analizzeranno le seguenti tipologie: - Ponti sospesi o strallati;

- Ponti a struttura reticolare a via inferiore;

- Ponti ad arco a via inferiore (sistemi combinati arco – trave).

Per ciascuna delle soluzioni si eseguirà un’analisi qualitativa, definendo in via preliminare le dimensioni caratteristiche delle membrature principali e valutandone l’impatto estetico e paesaggistico.

3.2.1 – Ponti sospesi o strallati

In fase preliminare la nostra valutazione ha interessato il tipo di sospensione: a cavi parabolici, secondo lo schema tradizionale dei ponti sospesi, oppure a cavi rettilinei, ovvero un ponte strallato. La prima tipologia è stata immediatamente scartata, se non altro, per l’elevatezza del costo non giustificato dalla luce in gioco: infatti il ponte sospeso è ormai destinato a luci maggiori, o poco minori, di 1000 metri. Le soluzione strallata invece, seppur trovi giustificazione economica per luci oltre i 300 metri, è stata presa in considerazione per il suo elevato valore estetico. Gli elementi che maggiormente condizionano l’aspetto di un ponte strallato sono rappresentati dalla geometria dei piloni, del sistema di sospensione (stralli) e dall’impalcato. La soluzione proposta prevede l’adozione di un solo pilone sulla riva desta inclinato verso la medesima ed esternamente ancorato. La lunghezza dell’impalcato risulta quindi pari a circa 122 metri. Il sistema di sospensione è doppio e ha distribuzione degli stralli ad arpa - ventaglio con la zona di attacco estesa su un certo tratto della cima del pilone in modo da facilitare l’esecuzione dei dettagli costruttivi. L’impalcato è di tipo chiuso a cassone per assorbire gli sforzi normali trasmessi dagli stralli e favorirne la stabilità. Per la definizione dell’altezza del pilone e dello spessore d’impalcato si è fatto riferimento a valori tipici del

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rapporto luce-altezza riportati in letteratura e desumibili dall’analisi delle strutture esistenti. Per questa tipologia si hanno in genere i seguenti rapporti di forma:

- Rapporto tra la luce e l’altezza del pilone sopra l’impalcato: L/H = 3÷4; - Rapporto tra la luce e l’altezza dell’impalcato: L/h = 60÷80;

- Interasse degli stralli compreso tra 6 e 15 metri.

Fig. 3.1 – Soluzione strallata per l’attraversamento.

3.2.2 – Ponti a struttura reticolare a via inferiore

In questo caso abbiamo ipotizzato una campata unica in semplice appoggio lunga 122 metri circa, formata da due strutture reticolari poste ai lati di un impalcato con soletta in cemento armato di 20 cm e collegate in sommità da opportuni controventi volti a ridurre i problemi di instabilità. Ne abbiamo stimato il peso proprio ed il carico accidentale di esercizio in base ad una larghezza di 13 metri, ottenendo un’azione complessiva distribuita di circa 100 KN/m. Il massimo momento flettente varrebbe dunque Mmax = q L

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/8 = 199000 KNm. Anche ammettendo di impiegare per i correnti composizioni saldate in acciaio S355 di sezione pari a 150 cm2, in mezzeria occorrerebbe un’altezza totale di almeno 5 metri. Le travature reticolari risulterebbero quindi eccessivamente “pesanti” dal punto di vista estetico, non soltanto per un osservatore lontano, ma anche e soprattutto per un utente del ponte, che si troverebbe “ingabbiato”, circondato da tutti i lati da elementi metallici di dimensioni certamente non trascurabili, come invece possono essere i cavi di sospensione di un ponte ad arco o strallato. Tutte queste considerazioni, unite a problemi di trasporto e montaggio nonché ad un costo eccessivo, ci hanno fatto ritenere poco adatto questo tipo di struttura.

3.2.3 – Ponti ad arco a via inferiore

Questo genere di ponti offre da sempre soluzioni interessanti ed economicamente competitive per il superamento di luci fino a 250 metri.

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In via preliminare, è possibile definire le dimensioni dei diversi elementi strutturali in funzione della luce, basandosi su rapporti geometrici disponibili in letteratura tecnica e di seguito riportati:

- Rapporto tra la luce e l’altezza dell’arco: L/H = 4÷8;

- Rapporto tra la luce e l’altezza dell’impalcato: L/hi = 50÷70;

- Rapporto tra la luce e l’altezza della sezione dell’arco: L/ha = 50÷100.

All’interno di questa tipologia possono essere racchiuse più soluzioni considerando geometrie con doppio o singolo arco. La diversa conformazione del ponte nei due casi ha importanti conseguenze sulla statica generale della struttura. Nel caso in cui la trave d’impalcato sia supportata da due archi gemelli si può impiegare un impalcato di tipo aperto: l’impegno torsionale si traduce in un incremento di compressione di uno degli archi e della relativa trave irrigidente mentre la stabilità degli archi può essere vantaggiosamente ottenuta attraverso un controventamento superiore di tipo reticolare o vierendeel, portalizzando la struttura, oppure riunendo i due archi in mezzeria. Nel caso in cui la trave sia sostenuta da un singolo arco, l’impegno torsionale deve essere assolto dalla trave d’impalcato che deve quindi essere torsiorigida. Si possono allora utilizzare per la realizzazione della trave d’impalcato, soluzioni con graticci di travi controventate inferiormente o soluzioni con cassoni torsiorigidi, mono o pluricellulari. Il diverso impegno a torsione della travata nelle due soluzioni orienta verso spessori maggiori dell’impalcato nell’ipotesi di arco singolo.

Nel caso di travata supportata da un singolo arco la stabilità fuori dal piano dell’arco stesso, viene in genere ottenuta utilizzando sezioni dotate di notevole inerzia fuori piano; in questi casi, infatti, l’arco è solitamente più largo che alto.

In tutti i casi, il comportamento complessivo è quello di una trave Langer, ossia un sistema combinato arco – trave, con arco sottile e travata irrigidente, in cui la spinta è assorbita dall’impalcato stesso che funziona da catena per l’arco.

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3.3 – Confronto tra le soluzioni proposte e scelta definitiva

La realizzazione dell’attraversamento attraverso la soluzione strallata, anche se di indubbio valore estetico, presenta alcuni problemi dal punto di vista tecnico. Infatti, avendo escluso la tipologia autoancorata, perché prevedrebbe l’antenna all’interno dell’alveo di piena, l’unica ulteriore possibilità sarebbe ancorare esternamente il ponte attraverso l’utilizzo di ancoraggi con fondazioni profonde e massicce, notevolmente costose. Per di più, date le scarse e poco conosciute caratteristiche geotecniche del terreno, sarebbe molto difficile raggiungere l’adeguato livello di sicurezza e affidabilità delle strutture di ancoraggio. Per questi motivi, principalmente di carattere idrogeologico, la tipologia strallata non è stata ritenuta quella ottimale. Per quanto riguarda la soluzione a travata reticolare, già nel paragrafo precedente, è stato evidenziato l’eccessivo impatto ambientale e la scarsa valenza estetica di questa tipologia di ponte. Dal punto di vista strutturale potremmo aggiungere che la rigidezza raggiunta con questa soluzione sarebbe eccessiva per un ponte stradale come quello in esame (tale schema, infatti, è tipico dei ponti ferroviari, dove le verifiche di deformabilità sono spesso più vincolanti di quelle di resistenza) e che lo sfruttamento del materiale non sarebbe ottimale.

In conclusione, quindi, la soluzione più convincente per l’attraversamento è apparsa quella in sistema combinato arco – trave a spinta eliminata che, come già accennato in precedenza, sfrutta la presenza dell’impalcato inferiore anche come tirante che collega le due imposte dell’arco in modo che le due spinte contrapposte si facciano equilibrio, trasferendo ai sostegni essenzialmente solo carichi verticali. Questo funzionamento è particolarmente favorevole in presenza di terreni di tipo alluvionale, che richiedono fondazioni su pali, notoriamente poco adatti a sopportare carichi orizzontali.

Quanto al numero di archi e alla loro disposizione, la soluzione con arco singolo presenta un ingombro trasversale minimo e una maggiore trasparenza del sistema di sospensione, di contro obbliga a dover sdoppiare la carreggiata e pone maggiori problemi per quanto riguarda la stabilità fuori piano.

Nel caso di doppio arco, la soluzione con archi gemelli a profilo parabolico riuniti in un breve tratto centrale (soluzione non frequente, ma non inedita) presenta indubbi vantaggi statici ed estetici, tra loro connessi, rispetto a quella che prevede l’utilizzo di controventi reticolari o vierendeel. Infatti, se il comportamento complessivo a trave Langer elimina praticamente l’instabilità dell’arco nel suo piano, altrettanto non può dirsi per l’instabilità fuori piano: a questa bisogna far fronte, con archi indipendenti, o con l’aumento notevole della dimensione trasversale dell’arco , o con la disposizione di un controvento, provvedimenti entrambi che appesantiscono l’aspetto estetico e l’onere economico dell’opera. Orbene, la soluzione ad archi inclinati uniti al vertice migliora notevolmente la stabilità d’insieme, consentendo di mantenere

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contenuta la sezione degli archi e di eliminare totalmente la presenza di controventi superiori, antiestetici ed oltre tutto non pienamente sfruttabili, non potendo ovviamente raggiungere le imposte. Complessivamente poi l’intera struttura del ponte appare meno ingombrante ed invadente.

Naturalmente l’inclinazione degli archi deve essere tale da lasciare sull’intera carreggiata stradale una sagoma libera di altezza pari a 5 metri, come richiesto dalle norme vigenti. Qui sta l’unico svantaggio della soluzione ad archi riuniti rispetto a quella ad archi separati, perché nel primo caso, per rispettare le sagome d’ingombro, l’impalcato deve essere più largo, necessitando di un maggior quantitativo di materiale, il quale verrebbe mal impiegato a causa degli effetti di shear – lag che riducono la collaborazione della lamiera o soletta all’aumentare della luce tra le travi principali.

In conclusione, quindi, esaminando gli aspetti positivi e negativi delle diverse tipologie di ponte in sistema collaborante arco – trave, si vede che la soluzione con archi gemelli riuniti in mezzeria presenta notevoli vantaggi statici ed estetici. Per di più, rispetto alla soluzione strallata, mantiene la stessa valenza architettonica ma, avendo bisogno di altezze di costruzione minori, appare fin da subito meno invadente ed impattante dal punto di vista paesaggistico.

Per quanto riguarda i materiali utilizzati, il diversi impegno statico degli elementi costituenti la struttura ci orienta verso la scelta più opportuna.

In riferimento all’arco, essendo soggetto prevalentemente a compressione, per la sua costruzione si possono utilizzare il cemento armato ordinario, il cemento armato precompresso e l’acciaio. Le soluzioni in c.a. e in c.a.p. presentano un miglior comportamento nei confronti dell’instabilità rispetto alla soluzione in acciaio, per via di una maggior dimensione e spessore delle sezioni che risultano quindi più tozze e rigide. Di contro, la soluzione che vede l’arco realizzato in c.a. o c.a.p. si presenta più pesante, di più difficile prefabbricazione e montaggio rispetto alla soluzione in acciaio. Per tali ragioni usualmente ci si orienta verso soluzioni con arco in acciaio che presentano un minor peso e maggior celerità di esecuzione, dovuta a un livello di prefabbricazione decisamente spinto. Il minor peso consente di utilizzare, per il montaggio, strutture provvisorie e macchinari per la movimentazione più leggeri. Per quanto riguarda i pendini, dato l’impegno esclusivamente a trazione, la scelta è obbligata verso le funi d’acciaio.

L’impalcato è soggetto a trazione e a flessione, la scelta più razionale ricade quindi sull’acciaio, anche se non mancano soluzioni in c.a.p. o addirittura in sistema misto. Queste soluzioni, senz’altro non ottimali, sono giustificate da una maggior resistenza alla fatica rispetto alla soluzione metallica. Tuttavia i vantaggi ottenibili rispetto alla soluzione metallica sono tutti fuorché discutibili. Se è vero che con la soluzione in c.a.p si ottiene una maggior durata alla fatica dell’impalcato, di contro l’aumento di peso aggrava l’impegno dei pendini e dell’arco che

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quindi necessitano di una maggior resistenza e quindi di più materiale, cosa che di fatto annulla in parte o del tutto la differenza di costo con la struttura ad impalcato metallico.

Nella soluzione con impalcato in sistema misto si hanno invece problemi sulla soletta che è soggetta a sforzi di trazione tali da metterla fuori servizio se non si adottano opportune strategie; una di queste può essere quella di sconnettere la soletta dall’impalcato, ma in tal modo si annulla, di fatto, la collaborazione di questa con la parte metallica della travata perdendo il beneficio della costruzione mista. Si potrebbe allora gettare la soletta ed eseguire la connessione con l’impalcato mediante connettori a ciuffi una volta disarmato il ponte dalle strutture provvisorie, di modo che la soletta reagisca nei confronti dei soli carichi mobili. Ad ogni modo, l’efficienza del sistema misto è parziale se non addirittura assente obbligando all’utilizzo di dimensioni maggiori degli elementi metallici che vedono la soletta solo come un elemento portato di maggior peso rispetto ad una lamiera collaborante in acciaio. La soluzione omogenea in acciaio, da un’analisi razionale, è la più adatta a questo schema strutturale, per cui l’impalcato sarà realizzato con una piastra ortotropa.

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