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CAPITOLO III

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Academic year: 2021

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CAPITOLO III

Cure per migliorare la qualità di vita

Attualmente non esiste una cura definitiva alla sclerosi multipla. I farmaci oggi

impiegati sono in grado di influenzare positivamente il decorso della malattia e di ridurne

l’attività, ma ancora non rappresentano una soluzione definitiva al problema. Forte limite a nuove prospettive terapeutiche è dato dal fatto di non essere ancora a conoscenza delle

cause prime della malattia; inoltre l’estrema variabilità della malattia comporta risposte altrettanto variabili alle terapie cliniche, con particolare riferimento ai farmaci

immunomodulatori ed immunosoppressori. Un ulteriore limite sta nel fatto che fattori di

previsione e di definizione della risposta clinica risultano ancora non ben definiti. Gli

obiettivi primari della terapia sono di impedire nuovi attacchi e di prevenire le disabilità.

Come per qualsiasi trattamento medico, i farmaci utilizzati per la sclerosi multipla hanno

diversi effetti collaterali ed alcuni pazienti seguono trattamenti alternativi, nonostante la

mancanza di studi scientifici affidabili a sostegno.

Per la maggior parte delle cure, i dati raccolti dopo la commercializzazione hanno

confermato un favorevole rapporto tra rischi e benefici. Sono a disposizione dei pazienti

diverse terapie con farmaci ad azione sul sistema immunitario (immunomodulatori o

immunosoppressori), capaci di agire sui processi patologici della malattia modificandone il

decorso. A questi si affiancano farmaci per il trattamento delle esacerbazioni e la gestione

dei diversi sintomi legati alla patologia, oltre a trattamenti di psicoterapia e fisioterapia.

Si può parlare di efficacia relativa delle singole terapie e dal momento che agiscono

con meccanismi d’azione differente, si è proiettati verso terapie multiple, cioè trattamenti terapeutici con più farmaci, in modo combinato o in sequenza. Ad ogni modo, la

somministrazione di farmaci e la messa in atto di strategie terapeutiche parallele

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da decubito, contratture), ritardando la disabilità e migliorando, quanto possibile, la qualità

di vita del paziente. Alcuni pazienti vengono stimolati a seguire gruppi di sostegno e

terapie psicologiche, mirate all'accettazione della malattia.

I farmaci più utilizzati in terapia per il controllo dei sintomi sono: interferoni,

immunoglobuline, steroidi, antispastici (spasmolitici), antidepressivi e farmaci colinergici

per ridurre i disturbi urinari.

Si distinguono due grandi classi di terapie in grado di modificare il decorso naturale

della malattia: immunomodulanti e immunosoppressori. A queste recentemente si è

aggiunta una terza categoria farmacologica, quella degli anticorpi monoclonali, dei quali

l’unico attualmente approvato è il natalizumab.

Ad oggi sono sette i farmaci modificanti la malattia, nella forma principale di SSRI,

che risultano approvati dalle agenzie di controllo di diversi paesi, tra cui la Food and Drug

Administration (FDA) statunitense e l’Agenzia Italiana del Farmaco (EMA) europea.

I farmaci approvati e disponibili in Italia sono:

 Interferone beta 1b

 Interferone beta 1a

 Glatiramer acetato

 Mitoxantrone (immunosoppressore usato anche in chemioterapia)

 Natalizumab (anticorpo monoclonale umanizzato come immunomodulatore che impedisce la migrazione delle cellule T dal torrente circolatorio al

sistema nervoso centrale)

 Fingolimod

 Teriflunomide

L’efficacia dei diversi trattamenti, oltre ad essere correlata alla molecola di riferimento, varia considerevolmente da individuo ad individuo, in quanto influenzata da molteplici

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fattori tra i quali spiccano quelli genetici. In tal senso studi di espressione genica,

proteomica o genomica, tentano di identificare biomarcatori con valore predittivo di

risposta ala terapia del singolo paziente, nell’intento di individualizzarne il rapporto

rischio-beneficio e proporre una gestione personalizzata.

Attualmente le terapie approvate controllano efficacemente solo la fase infiammatoria

della malattia, e non quella degenerativa, legata invece alla progressione del danno

neuronale e assonale. In fase iniziale tale danno è connesso con l’infiammazione, mentre con l’evoluzione della malattia , la componente neuro-degenerativa diventa predominante e potenzialmente indipendente da eventi infiammatori. Da qui la necessità di un trattamento

precoce che limiti , e possibilmente prevenga, l’istaurarsi del danno assonale irreversibile. Il trattamento delle forme progressive della sclerosi multipla presenta purtroppo

risultati insoddisfacenti. Nelle forme progressive e progressive recidivanti, il mitoxantrone

è risultato efficace nel ridurre la progressione della patologia, la frequenza e la comparsa di

nuove lesioni nel follow-up a breve termine.

In passato, il trattamento principale della sclerosi multipla era rappresentato da farmaci

antinfiammatori steroidei quali l’adrenocorticotropina (conosciuto come ACTH), il prednisone, il metilprednisolone, il prednisolone, il betametasone ed il dexametasone.

Attualmente il metilprednisolone, corticosteroide dalle proprietà antinfiammatorie,

viene impiegato nel trattamento delle riacutizzazioni della malattia in forma

recidivante-remittente, in quanto ha dimostrato efficacia nel ridurre la gravità e la durata delle

esacerbazioni. Alti dosaggi di metilprednisolone si sono dimostrati efficaci, inoltre, nel

migliorare la spasticità nelle forme di sclerosi multipla progressiva.

Ad oggi nessun trattamento è stato approvato per i pazienti con sclerosi multipla

primariamente progressiva. Diversi studi sono stati condotti per verificare l’efficacia di

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Ciclofosfamide e Rituximab; nessuno di questi è stato in grado di modificare sensibilmente

il decorso della malattia.

3.1 Quando iniziare

Alcuni recenti studi clinici hanno dimostrato che potrebbe essere utile iniziare la terapia

con gli interferoni beta già dopo il primo attacco riferibile da sclerosi multipla qualora,

all’esame di risonanza magnetica, siano rilevabili caratteristiche compatibili con la malattia.

In questa condizione, denominata sindrome clinicamente isolata (o CIS), gli interferoni

beta possono infatti ritardare in modo significativo la comparsa di un secondo attacco.

Questi studi clinici hanno inoltre dimostrato una significativa riduzione della comparsa

di nuove lesioni cerebrali valutabili con la risonanza magnetica. L’entità dei benefici ottenuti con il trattamento all’esordio della sclerosi multipla è risultata inoltre superiore a quella conseguita nelle persone con sclerosi multipla a decorso recidivante-remittente di

più lunga durata.

Questi risultati rafforzano l’indicazione a iniziare al più presto il trattamento nei casi di diagnosi accertata di SM, in particolare se sono presenti fattori associati a una prognosi

meno favorevole. Tuttavia, va nuovamente ricordato che il singolo individuo richiede un

programma di trattamento personalizzato. L’impiego dei farmaci immunomodulanti non può essere generalizzato, infatti la prescrivibilità degli interferoni è regolata dal Servizio

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3.2 Strategie di trattamento

Nonostante i progressi scientifici degli ultimi anni non esiste ancora nessuna terapia

definitiva, in grado di sconfiggere la malattia. Esistono comunque una serie di terapie

farmacologiche che dovrebbero rallentare la progressione della malattia e altre in grado di

tenere sotto controllo i sintomi più fastidiosi.

I meccanismi implicati nella sclerosi multipla sono assai complessi e mutano nel tempo

e proprio per questo la risposta ai trattamenti è molto variabile da individuo ad individuo.

Abbiamo già detto che i principali processi patologici della sclerosi multipla sono

infiammazione-demielinizzazione da un lato,in particolare nella fase iniziale della malattia

e la degenerazione assonale dall’altro, caratteristica invece delle fasi più avanzate. Le linee di strategia terapeutica principale sono cinque:

1. sopprimere l’infiammazione con immunosoppressori o immunomodulatori;

2. anticipare il trattamento alla fasi iniziali della terapia;

3. ottimizzare e personalizzare il trattamento;

4. disporre di farmaci ad azione più selettiva sul sistema immunitario;

5. testare l’efficacia di agenti ad azione neuro-protettiva.

3.2.1 Trattamento precoce

Le fasi iniziali della sclerosi multipla possono essere un periodo apparentemente

tranquillo, in termini di attività di malattia. Per esempio, si possono manifestare un numero

limitato di riacutizzazioni e, generalmente, appaiono pochi sintomi ed un basso grado di

disabilità. Ma, come spesso accade, l'apparenza inganna. Sebbene ci si possa sentire bene,

recenti studi hanno dimostrato che è proprio nelle fasi precoci che la malattia progredisce a

livello dell'encefalo e del midollo spinale. L'attività infiammatoria è presente anche nelle

fasi iniziali della malattia e continua durante le riacutizzazioni. Tale attività determina un

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Il danno assonale nella sua fase iniziale può essere reversibile, purché venga ridotta la

componente infiammatoria; la persistenza del processo infiammatorio, al contrario, porta

ad una stabilizzazione del danno assonale, che determina, così, una lesione irreversibile

dell'assone (la cosiddetta "perdita assonale").

Da studi di patogenesi è emerso che nella prima fase della malattia (es. all’inizio del

decorso SM-RR) avviene soprattutto la demielinizzazione infiammatoria, a questo primo

stadio già è presente la perdita assonale ma la funzione neurologica potrebbe essere

mantenuta grazie a un meccanismo compensatorio. In seguito, superato un determinato

punto critico, vi è ulteriore perdita assonale e progressiva neurodegenerazione che è la

causa dell’evoluzione continua della disabilità neurologica (ciò costituisce il quadro della forma secondariamente progressiva, fig.13).

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Con il termine CIS (Clinically Isolated Syndrome) o sindrome clinicamente isolata si

intende la comparsa di un episodio neurologico (sintomo o segno), che duri almeno 24 ore

e che sia compatibile con una malattia demielinizzante del sistema nervoso centrale.

Una persona con una CIS può avere un solo singolo sintomo neurologico come per

esempio una neurite ottica retrobulbare, causato da una singola lesione, o più segni o

sintomi contemporanei, causati da più lesioni cerebrali. Nel primo caso si parla di CIS

monofocale, nel secondo di CIS multifocale. I soggetti con una CIS non svilupperanno

necessariamente la SM. Tale rischio, infatti, dipende da molteplici fattori come per

esempio il tipo di CIS, infatti la forma multifocale ha un rischio di conversione maggiore,

dal numero di lesioni alla risonanza magnetica del cervello e del midollo spinale, al tipo di

lesioni ed alla loro sede.

Tuttavia, i pazienti che hanno presentato un primo episodio di disturbi neurologici

suggestivi di SM il rischio di un secondo attacco durante un periodo di osservazione di 2

anni varia dal 38% al 45% dei casi, mentre circa 85% dei pazienti presenta almeno una

nuova lesione alla RMN.

Il rischio di sviluppare un secondo attacco entro breve termine, aumenta se l’attacco di

esordio è multi sintomatico, con interessamento motorio o celebrale, se si è in presenza di

numerose lesioni encefaliche, di lesioni con enhancement alla RMN, di bande oligoclonali

liquorali e di alterazioni subcliniche dei potenziali evocati.

Una diagnosi accurata e precoce di Sclerosi Multipla deve avere implicazioni

immediate che non si limitano alla semplice comunicazione della diagnosi.

Al fine di ridurre l'estensione del danno assonale, prima che diventi una vera e propria

perdita assonale, l'attività infiammatoria cerebrale deve essere soppressa il più

precocemente possibile, mediante l'utilizzo di un trattamento con farmaci

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Diversi trial clinici randomizzati hanno documentato un significativo beneficio

conseguente ad un trattamento precoce con immunomodulanti, in grado di ridurre il rischio

di sviluppare un secondo episodio clinico, di presentare nuove lesioni asintomatiche, di

ridurre l’entità del processo degenerativo-atrofico encefalico e le probabilità di sviluppare una progressione irreversibile della disabilità a medio-lungo termine.

3.1.2 Escalation e induction therapy

Esistono due principali metodiche per iniziare una terapia precoce: l’escalation therapy

e l’induction therapy.

La prima, schematizzata in fig.14, è supportata da molti studi in America e in Europa e

rappresenta una strategia di trattamento che prevede come prima linea la terapia

immunomodulanti, interferone β e glatiramer acetato, trattamenti che solitamente mostrano

effetti clinici che superano gli effetti avversi. Tuttavia un terzo dei pazienti non risponde

alla terapia con questi farmaci, in questo caso aumentare il dosaggio dei farmaci citati o

passare dall’uno all’altro trattamento può mostrarsi un’utile strategia. Una seconda linea di trattamento prevede l’utilizzo di immunosoppressori, quali mitoxantrone e cilofosfamide, per pazienti con una risposta sub-ottimale alla prima linea di trattamento; sebbene risultino

efficaci il loro uso è limitato dalla tossicità e dal potenziale rischio a lungo termine. La

combinazione di agenti immunomodulanti e immunosoppressori rappresenta un ulteriore

passaggio nell’escalation therapy, soprattutto nella gestione dei pazienti non-responder. L’ultima ed estrema linea è rappresentata dal trapianto di midollo.

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Fig14 Modello di escalation therapy

Alcuni pazienti possono presentare, sia dall’esordi, aspetti clinici e neuro-radiologici indicativi di una forma particolarmente aggressiva di sclerosi multipla, con scarso recupero

di danni neurologici, estensione progressiva delle lesioni e comparsa di nuove lesioni. È

pertanto indispensabile saper cogliere gli aspetti clinici o neuro-radiologici indicativi di

una forma aggressiva di malattia.

L’induction therapy, invece, rappresenta un approccio molto più aggressivo al trattamento della SM. Questa strategia si basa sul trattamento intenso e di breve durata con

immunosoppressori, soprattutto mitoxantrone, seguito da un trattamento di mantenimento

con immunomodulanti, una volta che è stata raggiunta la stabilizzazione clinica della

malattia. Questa strategia di trattamento è particolarmente raccomandata per quelle forme

di SM aggressiva che, sebbene non codificate precisamente in letteratura, mostrano un

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3.3 Terapie disponibili

3.3.1 Immunomodulanti

3.3.1.1 Terapie di prima linea

Sono farmaci che regolano o modulano la risposta immunitaria pur senza diminuirla.

Comprendono glatiramer acetato (copolimero-1) ed interferoni (beta 1a o beta 1b), principi

attivi autorizzati per la cura nella SM:

Hanno avuto la loro ascesa agli inizi degli anni ’90. Tali farmaci esplicano la loro

azione su più livelli della complessa regolazione del sistema immunitario. Questi farmaci

sono caratterizzati dallo spostamento della risposta immunitaria da una condizione

pro-infiammatoria autoimmune (mediata dalle citochine TH-1 rilasciate dalle cellule T

autoreattive), verso un più benefico ambiente anti-infiammatorio (mediato dalle citochine

TH-2 rilasciate dalle cellule T regolatorie). In realtà il loro meccanismo d’azione non è

ancora del tutto chiaro e continua ad essere oggetto di studio.

Alcuni studi hanno dimostrato che alcuni di questi farmaci possono ridurre la

progressione della disabilità nel tempo ma, tuttavia, la loro durata (generalmente non

superiore a due anni) non consente ancora di esprimersi con certezza. La scelta del farmaco

adatto al singolo individuo si basa sul un’attenta valutazione di diversi fattori che includono, oltre alle caratteristiche della malattia (modalità di esordio, gravità e numero di

attacchi, tipo di lesioni evidenziabili alla RMN, risultati dei potenziali evocati), la presenza

eventuale di altre malattie concomitanti, l’analisi dello stile di vita, paure e preferenze del paziente e il bilancio tra efficacia e possibili effetti collaterali conosciuti.

Effetti collaterali sono spesso abbastanza grossi da indurre molti pazienti all’essere discontinui nell’assunzione degli interferoni o glatiramer acetato (GA), terapia incompatibile per questa malattia che richiede iniezioni regolari. Altri problemi sono

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rappresentati da risultati scarsi negli esami sul fegato e anormalità dei globuli rossi. Effetti

collaterali seri includono depressione, convulsioni o problemi al fegato.

Anche se questi farmaci migliorano i risultati di certi test diagnostici, questi non curano

la SM e molti pazienti non percepiscono alcun miglioramento e, anzi, solo effetti avversi

che sostanzialmente riducono la qualità della vita. Col passare del tempo, fenomeni di

tolleranza fisiologica e una ridotta efficienza possono manifestarsi per lo sviluppo di

anticorpi contro il farmaco e gli effetti avversi del farmaco possono persistere anche dopo

la sospensione dell’assunzione.

a) Interferone β (INFβ)

È un farmaco della famiglia degli interferoni usato per il trattamento della sclerosi

multipla ed è il primo trattamento dimostratosi in grado di modificare la storia naturale

della SM.

È una glicoproteina di 166 aminoacidi normalmente prodotta dall’organismo umano

e dotata di numerose proprietà immunomodulanti, tra le quali: inibizione

dell’attivazione delle cellule infiammatorie ed il loro passaggio dai vasi sanguinei al SNC, inibizione della formazione di ciochine pro-infiammatorie nel SNC e promozione

di un shift da un profilo TH1 pro-infiammatorio a uno TH2 antinfiammatorio.

Il dosaggio di interferone (IFN) può essere modificato a seconda della risposta

individuale. Si consiglia di iniziare il trattamento con basse dosi di interferone e poi

aumentarle progressivamente per limitare la comparsa di effetti collaterali. In caso di

gravi effetti collaterali dimezzare la dose somministrata e/o sospendere

temporaneamente il trattamento; se nonostante queste misure tali effetti continuassero a

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Sul mercato sono disponibili due formulazioni di IFN β ottenute con tecniche di ingegneria genetica: IFN β-1a, prodotto dalle cellule di mammifero ed IFN β-1b

prodotto da E. coli geneticamente modificato.

Fig.15: Struttura chimica di una molecola di beta-interferone umano (IFNβ)

IFN β-1a

 Siringhe o cartucce pre-riempite da 22 e 44 mcg, somministrabili sottocute 3 volte a settimana;

 Siringhe o penne pre-riempite da 30 mcg (6 milioni di U.I.), somministrabile intramuscolo 1 volta a settimana;

Ci sono due competitori principali sul mercato per questi farmaci, più un altro

biogenerico/biosimilare: Avonex (Biogen Idec); Rebif (EMD Serono); CinnoVex

(CinnaGen) (CinnaGen).

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IFN β-1b

 Due formulazioni in fiale de 8 milioni di U.I./m, somministrabile sottocute a giorni alterni.

In commercio Betaseron, Betaferon Extavia (fig.17).

Fig.17 Interferoni β 1b in commercio

In Italia, l’IFN β è prescrivibile a carico del SSN esclusivamente dai centri

ospedalieri autorizzati. Questi centri,stabiliti da un apposito decreto legislativo, devono

provvedere alla selezione dei pazienti da sottoporre al trattamento, al loro monitoraggio

clinico ed alla dispensazione del farmaco.

Gli interferoni hanno mostrato di dare una riduzione del circa 18-38% nelle ricadute

della sclerosi multipla, e di rallentare la progressione delle infermità nei pazienti affetti

da SM. Nessuno dei prodotti in commercio è una cura, ma i pazienti che oggi

cominciano presto ad usare gli interferoni potrebbero beneficiare dell’alterazione del naturale corso della malattia.

Si credeva che i farmaci basati sull'INF β dessero i loro effetti benefici sulla

progressione della sclerosi multipla tramite le loro proprietà anti-infiammatorie. Studi

hanno anche evidenziato come l’interferone β migliori l’integrità della barriera emato-encefalica (BBB, Blood-Brain Barrier), che di solito ne risente diventando meno

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sostanze indesiderate che raggiungono il cervello. Questo rafforzamento della BBB

potrebbe essere un fattore che contribuisce agli effetti benefici dell’Interferone β.

Nella pratica clinica l’interferone β trova applicazione nelle fasi iniziali della malattia, caratterizzate da un processo infiammatorio sul quale il farmaco è in grado di

esplicare al meglio la funzione immunomodulante.

L’INF β è stato autorizzato ed ha ottenuto la rimborsabilità anche per il trattamento della forma secondariamente progressiva in fase attiva. Studi dimostrano l’attività dell’IFN β nella SM secondariamente progressiva (SM-SP) nelle fase in cui è ancora presente attività di malattia, risultante da segni clinici e strumentali, mentre risulta poco

efficace sulla progressione di disabilità, generalmente associata ai processi

degenerativi.

Ad oggi non vi sono dati che giustificano l’utilizzo di INF β nella forma primariamente progressiva.

Gli interferoni hanno effetti collaterali, generalmente di lieve intensità e breve

durata ma che con il proseguire del trattamento tendono ad attenuarsi e scomparire. I

due principali sono quelli simili all'influenza, e le reazioni che avvengono sul sito di

iniezione. I sintomi simili all’influenza (con febbre, artralgie, cefalea e brividi), si manifestano subito dopo l’iniezione, e durano per una mezza giornata. In molti pazienti, questi sintomi diminuiscono col passare del tempo, ma alcuni pazienti

continuano ad averli per lunghi periodi e per controllarli vengono prescritti

paracetamolo o ibuprofene. Ciò che potrebbe mitigare questi sintomi potrebbe essere

l’iniettare queste dosi meno frequentemente, e prendendo il medicinale prima di andare a letto.

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Fig.18 Effetti collaterali locali dati dall’interferone

Altre reazioni sono dovute al sito di iniezione (fig.18), soprattutto con le

somministrazioni sotto cutanee, arrossamento,gonfiore, indurimento e dolore,sono in

genere transitorie e possono essere invece mitigate facendo una rotazione del sito di

iniezione, o usando uno di quei farmaci che richiedono iniezioni meno frequenti.

Sono periodicamente raccomandati controlli dell’emocromo e della funzionalità epatica, in quanto l’INF β può causare piastrinopenia, leucopenia o rialzo delle transaminasi ma raramente tali effetti hanno causato la riduzione o sospensione del

trattamento.

Può anche interferire con la funzione tiroidea, favorendo una tiroide autoimmune

con conseguente ipotiroidismo, rendendo così necessaria una terapia farmacologica

sostitutiva.

Gli interferoni possono provocare la formazione di anticorpi; l’incidenza è

maggiore con l’impiego della forma sintetica rispetto a quella biologica. Nei pazienti trattati con interferone β la concentrazione di anticorpi neutralizzanti (NAb) si

stabilizza dopo circa un anno di terapia e interessa fra il 3% e il 45% dei pazienti. La

variabilità della percentuale di pazienti NAb-positivi dipende in parte

dall’immunogenicità della formulazione farmaceutica di interferone β e dal metodo di analisi non standardizzato. È stato inoltre osservato che la concentrazione di NAb

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aumenta con l’aumentare della dose di interferone β fino ad un valore soglia, oltre al quale diminuisce e che sussiste una negativizzazione spontanea degli anticorpi NAb,

dipendente dal titolo (la presenza degli anticorpi persiste nei pazienti con titoli

anticorpali elevati) ma non dal tipo di interferone beta impiegato.

Nei pazienti con sclerosi multipla trattati con interferone β, la comparsa di anticorpi

neutralizzanti è risultata ridurre la risposta farmacodinamica all’interferone.

Nei pazienti NAb-positivi con titolo anticorpale alto e persistente la probabilità che

la terapia interferonica risulti inefficace è elevata e pertanto, in questi pazienti,

andrebbe valutata un’opzione terapeutica diversa dall’interferone β. Nei pazienti con negativizzazione del titolo anticorpale NAb, è possibile risomministrare il farmaco.

b) Glatiramer acetato (GA) – Copaxone -

Conosciuto anche sotto il nome di copolimero-1, è anch’esso un farmaco

immunomodulatore, usato nella terapia della sclerosi multipla.

Il suo nome deriva in parte dalla miscela di amminoacidi di cui è

composto:glutammina, lisina, alanina e tirosina. I quattro amminoacidi simulano la

composizione di una proteina basica della mielina, la sostanza che ricopre gli assoni e

che nella sclerosi multipla è oggetto dell'attacco immunitario. Il glatiramer sembra

attirare su di sé, per via della sua somiglianza, l'attacco delle cellule immunitarie,

distogliendole così, come un falso bersaglio, dal sistema nervoso centrale. Le cellule

immunitarie che attaccano il glatiramer producono inoltre alcune sostanze

antinfiammatorie e neuroprotettive.

Il farmaco deve essere assunto quotidianamente per iniezione sottocutanea, anche

mediante un autoiniettore. È indicato per pazienti con sclerosi multipla

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Analogamente all’INF β, il GA è rimborsabile per il trattamento dei pazienti con SM-RR. È in grado di ridurre la frequenza delle ricadute, la formazione di nuove

lesioni e di lesioni con enhancement, la percentuale di lesioni che evolve in buchi neri e

la progressione dell’atrofia celebrale. Il farmaco mostra influire positivamente sulla

frequenza di ricadute, mentre non appare del tutto certo il suo effetto sul ritardo

dell’accumulo di disabilità. L’utilizzo del GA non è indicato in forme di SM primariamente e secondariamente progressiva.

Fig.19 Glatiramer acetato (GA) Copaxone

Il GA è solitamente ben tollerato. Le reazioni segnalate più di frequente nella sede

dell’iniezione, sono: eritema, dolore, presenza di masse, prurito, edema, infiammazione e ipersensibilità. Come reazione immediata dopo l’iniezione è stata descritta una

reazione associata ad almeno uno o più dei seguenti sintomi: vasodilatazione, dolore

toracico, dispnea, palpitazione o tachicardia. Questa reazione può verificarsi entro

alcuni minuti dopo l’iniezione.

Va segnalata, sebbene rara, la cosiddetta “reazione sistemica”, associata

temporalmente all’iniezione di GA; essa può comprendere vasodilatazione, soprattutto al collo ed al volto, sensazione di costrizione toracica, palpitazioni o tachicardia,

dispnea ed ansia. La crisi dura generalmente pochi minuti e si risolve spontaneamente

(18)

Effetti collaterali più gravi sono stati riportati per glatiramer acetato, questi

includono effetti gravi sul sistema cardiovascolare del corpo, apparato digerente

(compresi fegato), ematico e del sistema linfatico, del sistema muscolo-scheletrico,

sistema nervoso, sistema respiratorio, sensi speciali (in particolare gli occhi), del

sistema urogenitale, disturbi metabolici e nutrizionali, tuttavia un legame tra glatiramer

acetato e questi effetti avversi non è stato definitivamente stabilito.

Infine, anche i pazienti in trattamento con GA possono sviluppare anticorpi

anti-GA. Tali anticorpi però non mostrano attività neutralizzante e, pertanto, l’efficacia del farmaco non ne risulta inficiata.

3.3.1.2 Trattamento di seconda linea

Negli ultimi 15 anni grazie all’avanzamento delle conoscenze sull’immunopatogenesi

della malattia sono stati individuati potenziali trattamenti farmacologici. Essi superano il

punto di vista tradizionale che la SM sia semplicemente una malattia del sistema nervoso

centrale mediata da cellule T CD4+ e agiscano a diversi livelli del sistema immunitario.

Tra le più recenti strategie terapeutiche per la SM, gli anticorpi monoclonali

(Monoclonal Antibodies – MAb) rappresentano la classe in maggiore sviluppo e sembrano

costituire il nuovo arsenale terapeutico per tutte le patologie con una componente

immunitaria.

Inizialmente, l’impiego terapeutico dei MAb era limitato a causa dei problemi di immunogenicità determinati dalla loro natura non umana. Successivamente, i ricercatori

hanno cercato di superare tale limite sviluppando composti umanizzati (struttura al 90%

umana e il 10% murina), chimerici (~66% umana e ~34% murina) o completamente umani

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Di seguito vengono descritti i meccanismi d’azione dei MAb per la SM attualmente

impiegati in clinica, o che rientrano in protocolli di studio di fase II e III (per un riepilogo

si veda Tabella 1).

Tab.1 Target ed effetti dei MAb per la SM

a) Natalizumab (Tysabri)

Natalizumab è un anticorpo ricombinante umanizzato anti-α4integrina prodotto

in una linea cellulare murina mediante la tecnologia del DNA ricombinante. Il

natalizumab (tysabri) è un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega

all’α4-integrina e previene la migrazione delle cellule del sistema immunitario dal torrente

vascolare al parenchima cerebrale.

Le integrine sono una classe di proteine coinvolte nell'interazione cellula-cellula

e cellula-matrice extracellulare. In particolare, nell'iniziazione del processo

immunitario, esse regolano l'adesione dei linfociti T alle cellule endoteliali e il loro

passaggio attraverso queste, nella matrice extracellulare. Una volta nella matrice,

regolano l'interazione fra i linfociti T e le APC (Antigen Presenting Cells, cellule

che presentano l'antigene, in genere cellule dendritiche). L'inibizione dell'integrina

impedisce al linfocita T attivato l'incontro con l'APC e la risposta immunitaria non

viene attivata. In questo modo, i linfociti T attivati vanno incontro ad apoptosi.

Farmaco Target Effetti

Natalizumab CD49d(VLA-4) Inibizione della migrazione delle cellule immunitarie nel SNC

inibizione del ricambio delle cellule presentanti l’antigene nel SNC mobilizzazione dei precursori dei linfociti (CD34+ e cellule pre-B) dal midollo osseo

Rituximab CD20 Deplezione delle cellule B

Alemtuzumab CD52 Deplezione delle cellule che presentano CD-52 (linfociti T e B.

cellule natural Killer, macrofagi, cellule dendritiche e alcuni granulociti

Daclizumab CD25(IL-2Rn) Inibizione del segnale di IL-2 lieve inibizione della

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Esistono diverse evidenze che dimostrano che il blocco di questo tipo di integrina

sia importante per il blocco della progressione dei modelli sperimentali di

encefalite autoimmune murina. Inoltre, il numero di integrine VLA-4 espresse sulle

membrane cellulari dei linfociti si correla con la severità della malattia. Infine, il

natalizumab avrebbe un'azione inibente l'osteopontina, una proteina a funzione

proinfiammatoria e antiapoptotica.

L’impiego di tale meccanismo, come possibile target per la SM, è emerso da studi condotti sul modello animale di encefalomielite autoimmune. Nel modello di

encefalomielite, lo stato infiammatorio determina un aumento dell’espressione VCAM-1, con conseguente migrazione dei linfociti nel sistema nervoso centrale.

Pertanto, un anticorpo che blocca le α4-integrine dovrebbe determinare una

riduzione della migrazione cellulare nel sistema nervoso centrale e un

rallentamento della progressione della malattia.

Oltre a mediare tale migrazione, le α4-integrine partecipano attivamente in altre

sedi dell’organismo, come mostrato nella Figura 20 e descritto nel tabella 2, quindi i farmaci che inibiscono le α4-integrine, oltre al trattamento della SM, potrebbero

in futuro trovare impiego in altre condizioni patologiche come il Morbo di Crohn,

la colite ulcerosa, l’artrite reumatoide, le vasculiti e l’asma.

(21)

Le due α4 integrine e i loro rispettivi ligandi, VCAM-1 e MAdCAM-1, sono implicate in svariati eventi fisiologici. Il legame α4β1-VCAM-1 regola il movimento e la ritenzione nel midollo osseo delle cellule ematopoietiche progenitrici e delle plasmacellule che producono IgG (riquadro A). Questo legame media anche l’interazione tra le cellule dello stroma del midollo spinale con le cellule B in sviluppo, necessarie per la maturazione delle cellule B. Inoltre esse partecipano all’interazione tra le cellule B mature e le cellule dendritiche follicolari all’interno dei follicoli delle cellule B degli organi linfoidi secondari, come ad esempio la milza, i linfonodi e le placche di Peyer (riquadro B). La comunicazione tra le cellule B e le cellule dendritiche follicolari è fondamentale per la generazione di anticorpi ad alta affinità contro i microorganismi patogeni. L’interazione α4β7-MAdCAM-1 è importante per il mantenimento dell’immunità della mucosa intestinale, soprattutto per il movimento dei linfociti, che aderiscono al MAdCAM-1 nelle venule endoteliali all’interno dei tessuti linfoidi associati all’intestino, e per la migrazione delle cellule immunitarie nella lamina propria. Una funzione patologica delle α4 integrine è rappresentata dal reclutamento all’interno del sistema nervoso centrale delle cellule T circolanti, monociti e macrofagi (riquadro C). Le cellule T attivate possono entrare nel sistema nervoso centrale anche in assenza di un processo infiammatorio, in quanto sui microvasi del sistema nervoso centrale sono espressi, in maniera costitutiva, bassi livelli di VCAM-1. L’espressione di questi è marcatamente incrementata nelle vicinanze di una lesione della SM e contribuisce al reclutamento di cellule che presentano α4β1. Nel morbo di Crohn (riquadro D) le cellule T sono reclutate nell’intestino attraverso il legame α4β7-MAdCAM-1, tuttavia anche il legame α4β1-VCAM-1 potrebbe contribuire a tale reclutamento.

Tab.2 Funzioni fisiologiche e patologiche delle integrine

Per quanto riguarda i dati sulla sicurezza del natalizumab, dagli studi clinici

registrativi è emerso che le reazioni avverse con un’incidenza >0,5% sono state infezioni urinarie, nasofaringiti, orticaria, ipersensibilità, mal di testa, vertigini,

vomito, nausea, artralgia, dolore alle estremità, piressia. Inoltre, dai dati derivanti

dagli studi clinici è emerso che l’interruzione del trattamento a causa di un effetto

avverso è avvenuta per la manifestazione di orticaria (1%) e per altre reazioni di

ipersensibilità (1%). L’incidenza di infezioni (urinarie, intestinali, polmoniti) è stata

maggiore nei trattati vs. placebo (40,4% vs. 35,8%).

Nonostante i dati emersi dagli studi registrativi abbiano fornito un quadro

rassicurante sul profilo di sicurezza del farmaco, l’impiego del natalizumab ha

portato alla luce diverse problematiche sulla sicurezza del farmaco. Infatti, appena

4 mesi dopo l’approvazione da parte dell’FDA, avvenuta nel novembre 2004, il natalizumab è stato ritirato dal mercato statunitense in seguito al manifestarsi di 3

(22)

preso parte ad alcuni degli studi clinici in cui era stato testato il farmaco. Più

precisamente i casi di PML sono comparsi in due pazienti con SM che avevano

ricevuto natalizumab in associazione all’interferone β-1a, secondo quanto previsto dal protocollo dello studio SENTINEL, e in un paziente con morbo di Crohn che

aveva partecipato allo studio ENACT 1 e 2 e che stava assumendo anche altri

immunosoppressori (infliximab e azatioprina). Per due di questi pazienti la reazione

è stata fatale, mentre per il terzo ha causato gravi danni neurologici con

conseguente marcata disabilità. Al fine di soppesare il rischio di PML è stata

costituita una commissione di esperti (Independent Adjudication Committee - IAC)

che, sulla base dei dati dei trial condotti, ha stimato l’incidenza della reazione pari a

1,0 casi di PML ogni 1000 trattati su una popolazione che aveva ricevuto il farmaco

per un periodo medio di 17,9 mesi. A seguito di tale stima, nel giugno 2006, il

natalizumab è stato riammesso sul mercato statunitense con l’obbligo di inserire i

pazienti trattati all’interno di un programma di monitoraggio creato ad hoc, il “TOUCH programme”, in cui il paziente viene mensilmente rivalutato per i sintomi compatibili con una diagnosi di sospetta PML. Nello stesso anno, l’EMEA ha

approvato il natalizumab sulla base dei risultati di un’analisi post hoc di un sottogruppo di pazienti dello studio AFFIRM e ha istituito particolari misure di

sicurezza. Sulla base di tale analisi, il natalizumab è stato approvato esclusivamente

come monoterapia nei pazienti affetti da SM recidivante remittente non rispondenti

alla terapia con interferone (seconda linea) e nei pazienti con SM recidivante

remittente grave a evoluzione rapida come terapia di prima linea. Nonostante le

restrizioni adottate, sono stati segnalati altri casi di PML da natalizumab e

attualmente sono in crescita. I casi di PML si sono sviluppati anche in pazienti che

(23)

immunosoppressione né farmacologico né di tipo patologico. Infatti, a fine luglio

2008 sono stati segnalati in Europa due casi di PML in pazienti in trattamento con

natalizumab nella fase post-marketing in monoterapia per circa 17 e 14 mesi

rispettivamente.

Un altro elemento degno di nota è rappresentato dalla quota considerevole di

pazienti inclusi nei trial registrativi che hanno presentato una persistenza di

anticorpi anti-natalizumab (6%). Tali pazienti hanno manifestato un peggioramento

delle loro condizioni cliniche.

In aggiunta al problema della PML, i dati post-marketing hanno evidenziato un

rischio di danno epatico in seguito alla somministrazione del natalizumab. Infatti,

dall’analisi delle segnalazioni spontanee relative al tysabri è emerso un elevato numero di casi di “danno epatico” (29 casi noti a marzo 2008).

Il Tysabri ha ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) tramite una procedura EMEA, pertanto l’Italia, in quanto stato membro della Unione Europea è tenuta e recepire le AIC autorizzate dall’EMEA mediante

l’apposita sottocommissione “Procedure Europee” della Commissione Tecnico-Scientifica (CTS) dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Tuttavia, le indicazioni dei farmaci autorizzati con procedura EMEA devono essere approvate

per l’ammissione alla rimborsabilità del medicinale tramite una determinazione e solo successivamente tali farmaci sono prescrivibili sul territorio nazionale e sono

rimborsati dal sistema sanitario nazionale. Proprio per garantire una maggiore

sicurezza di impiego del natalizumab, l’AIFA, con la determinazione del 7 dicembre 2006 ha limitato la possibilità di prescrivere il tysabri a centri con

specifici requisiti di idoneità. Inoltre, ha ristretto la dispensazione del farmaco a

(24)

subordinato la prescrizione dello stesso con l’inserimento dei dati del paziente in un apposito registro di monitoraggio.

L’indicazione principale per il natalizumab riguarda i pazienti considerati non responder alla terapia con interferone β.

Il farmaco, sul territorio italiano, risulta rimborsabile dal Servizio Sanitario

Nazionale e quindi prescrivibile, in due tipologie di pazienti:

gruppo A: come terapia di seconda linea in pazienti con SM-RR che hanno

fallito nella risposta ad un ciclo terapeutico completo ed adeguato con

interferone β;

gruppo B: come terapia di prima linea in pazienti con SM-RR grave ad

evoluzione rapida.

I criteri di eleggibilità al trattamento con tysabri sono schematizzati nelle figure

21 e 22.

(25)

Fig.23 Struttura chimica fingolimod

b) Fingolimod (Gilenya)

Il fingolimod è il primo farmaco orale per il trattamento della SM. È un

profarmaco che viene fosforilato in vivo dalla sfingosina chinasi a

fingolimod-fosfato, che è il composto farmacologicamente attivo. Esso si lega a 4 dei 5

recettori S1P (S1P1,2,3,4) ed agendo come antagonista di questi sottotipi recettoriali,

impedisce ai linfociti di spostarsi dagli organi linfoidi al sistema nervoso centrale.

Il legame in particolare con il recettore S1P1 blocca l'internalizzazione del

recettore, il farmaco inibisce la migrazione dei linfociti provocata dal S1P1; il

legame con S1P uno è di particolare importanza per il meccanismo di azione di

Fingolimod nella sclerosi multipla. Il S1P1 è altamente espresso sui linfociti T e B

ed è responsabile della regolazione della uscita di linfociti da tessuto linfoide. Il

legame di fingolimod-fosfato con il S1P1 porta alla down-regolazione del recettore

e la conseguente sequestro dei linfociti nei tessuti linfatici, prevenendo il loro

riciclo e riducendone la conta dei linfociti periferici. Si presume che il fingolimod

(FTY720), grazie al suo metabolita attivo(S)-FTY720-P, induca sequestro dei

linfociti per l'inibizione dell'espressione del recettore S1P/S1P1-dependente dei

linfociti dai tessuti dei linfoidi secondari e dal timo. Interessante il fatto che il

farmaco non distrugge nessuna popolazione linfocitaria.

(26)

essere ridotta o ritardata. Nella SM la teoria più accreditata ritiene che una

penetrazione autoaggressiva di linfociti nel SNC contribuisce all'infiammazione e ai

danni neurali che si creano nella malattia. Il fingolimod è capace di sequestrare i

linfociti nei tessuti linfoidi. Inoltre i recettori S1P1, soprattutto espressi nel sistema

nervoso centrale, hanno dimostrato di modulare la neurogenesi e la funzione

neurale. Fingolimod ha dimostrato di attraversare la BEE in modelli animali

accumulandosi nella sostanza bianca del sistema nervoso centrale. Pertanto, il

fingolimod può avere la capacità di facilitare il ripristino della funzionalità delle

cellule nervose e anche di una riparazione endogena come supplemento del SNC in

pazienti con SM.

Il fingolimod agisce sequestrando i linfociti nei linfonodi in modo selettivo e

reversibile, riducendone il numero di quelli che riescono a raggiungere il SNC,

dove possono scatenare una reazione infiammatoria che è causa della malattia.

Quando il trattamento viene interrotto il numero dei linfociti torna al valore iniziale.

Negli studi clinici, il trattamento con fingolimod ha determinato una riduzione

statisticamente significativa delle lesioni attive rilevate alla risonanza magnetica

(RMN), è questo un dato oggettivo.

È ad azione immunosoppressiva, indicato in monoterapia, come farmaco

modificante la malattia, nella sclerosi multipla recidivante-remittente ad elevata

attività nei seguenti gruppi di pazienti adulti:

 pazienti con un’elevata attività di malattia nonostante la terapia con interferone-β.

Questi pazienti possono essere definiti come coloro che non hanno risposto

ad un ciclo terapeutico completo ed adeguato (normalmente almeno un

(27)

almeno 1 recidiva nell’anno precedente mentre erano in terapia, e presentare almeno 9 lesioni iperintense in T2 alla RM cerebrale o almeno 1

lesione captante gadolinio. Un paziente non responder può anche essere

definito come un paziente che presenta, rispetto all’anno precedente, un tasso di recidive invariato o aumentato o che presenta recidive gravi.

 pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente grave ad evoluzione rapida, definita da due o più recidive disabilitanti in un anno e con 1 o più

lesioni captanti gadolinio alla RM cerebrale o con un aumento

significativo del carico lesionale in T2 rispetto ad una precedente RM

recentemente effettuata.

Questo derivato (fungal metabolita myriocin) ha proprietà immunoregolatorie e

agisce come antagonista non selettivo del recettore S1P presente sui linfociti T e

linfociti B, inducendo queste cellule a rimanere nel linfonodo e riducendo il loro

ingresso nel sistema nervoso centrale. È un farmaco innovativo, perché a differenza

degli immunosoppressori che causano distruzione delle cellule, in questo caso

l’attivazione dei linfociti T e B rimane intatta. Inoltre, ha dimostrato di ridurre il numero di lesioni evidenziate all’MRI e di rallentare la progressione della malattia.

È stata evidenziata per il fingolimod un'azione stimolante sul processo di

riparazione delle cellule gliali e delle cellule precursori dopo un insulto.

Il 22 settembre 2010 il fingolimod è diventato il primo farmaco orale approvato

dalla FDA con il nome Gilenya, capace di ridurre le recidive e la progressione della

disabilità nei pazienti con forme recidivanti di SM.Il 20 gennaio 2011 il Committee

for Medicinal Products for Human Use CHMP dell'EMA ha espresso parere

positivo all'approvazione di fingolimod, che così diventerà la prima terapia orale

(28)

si applica alla terapia dei pazienti con sclerosi multipla di tipo

recidivante-remittente (la più frequente) ad alta attività di malattia nonostante il trattamento con

interferone β o di pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente grave a

rapida evoluzione.Il 17 marzo 2011 la Commissione Europea, facendo seguito al

parere positivo espresso in data 21 gennaio 2011 dal comitato dell’agenzia europea del farmaco per i prodotti medicinali per uso umano, ha approvato definitivamente

il farmaco Gilenya (fingolimod) al dosaggio giornaliero di 0,5mg come terapia

della sclerosi multipla recidivante-remittente nei soggetti resistenti all'interferon-β o

nei soggetti con forme di malattia recidivante-remittente grave a rapida evoluzione.

In Italia a partire dal 7 dicembre 2011 il fingolimod, in confezione da 28

capsule, diventa prescrivibile con nota (nota n.65) e rimborsato dal SSN italiano,

con un prezzo per ogni confezione di 2970,72.€.

Il farmaco è stato studiato in due importanti trials sovranazionali (mega-trials),

che sono: il TRANSFORMS e il FREEDOMS. I risultati positivi dei due studi

hanno fornito una conoscenza completa dell’efficacia e tollerabilità di fingolimod. Il profilo di sicurezza e tollerabilità del farmaco è stato studiato in oltre 2.600

pazienti, alcuni dei quali sono arrivati al settimo anno di trattamento, per un totale

di oltre 4.500 pazienti/anno di esposizione al farmaco.

Dati preliminari prodotti da uno studio pubblicato nell'aprile 2010

suggerirebbero come il fingolimod può aver un ruolo nel rafforzare il processo di

rimielinizzazione nel SNC. Infatti, il trattamento con fingolimod somministrato

sperimentalmente successivamente alla demielinizzazione indotta su cellule (gliali)

del SNC con perdita di mielina e morte degli oligodendrociti, ha migliorato il

fenomeno della rimielinizzazione. In particolare l’attività del farmaco si è estesa alle cellule OPC e agli oligodendrociti maturi, inoltre ha svolto attività anche a

(29)

livello di altre cellule gliali. Il legame del fingolimod al suo recettore specifico,

S1P, spiegherebbe i suoi effetti rimielinizzanti essendo questi mediati

principalmente attraverso dei sottotipi del recettore S1P1 e S1P5.

Gli effetti collaterali più frequenti del farmaco sono:cefalea, incremento degli

enzimi epatici, influenza, diarrea, mal di schiena e tosse. Altri effetti del fingolimod

sono: riduzione della frequenza cardiaca e blocco atrio-ventricolare, transitori e

generalmente asintomatici all'inizio del trattamento, lieve aumento della pressione

arteriosa,edema maculare, e lieve bronco costrizione.

L'EMA detta le norme per l'uso del farmaco in un documento, dal

titolo:"Condizioni o restrizioni per quanto riguarda l'uso sicuro ed efficace del

medicinale che devono essere implementate in ciascun stato membro." In questo

testo ci dice che l'uso del farmaco richiede alla prima somministrazione un

controllo del soggetto per 6 ore in day hospital, in modo da verificare cambiamenti

della frequenza cardiaca sempre possibili con il farmaco; inoltre il soggetto va

preliminarmente studiato con: l'esecuzione di un ECG secondo Holter per 24 ore,

esami ematochimici, visita dermatologica e oculistica, ed altro.

3.3.2 Terapie immunosoppressive

Per farmaci immunosoppressivi si intende agenti che sopprimono le risposte

immunitarie. Essi vengono ad oggi impiegati in diverse condizioni cliniche tra cui anche le

malattie autoimmunitarie. Farmaci immunodepressivi sono stati impiegati per oltre 30 anni

nel trattamento della sclerosi multipla, pur essendo ancor oggi oggetto di studio.

Circa il 10% dei pazienti con SM sono attualmente in terapia con immunosoppressivi.

La ragione fondamentale che spinge a trattare la malattia con tali farmaci è l’ipotesi

secondi cui la SM sarebbe una malattia infiammatoria immuno-mediata che può trarre

(30)

Ciclofosfamide e Mitoxantrone, ed ultimamente il Rituximab sono gli agenti più utilizzati.

Molti di essi sono sicuri in combinazione all’interferone β e sono sottoposti a studi

controllati.

Sebbene i farmaci immunosoppressori sono più efficaci in una terapia di induzione, il

loro impiego è limitato dalla tossicità e dai potenziali rischi a lungo-termine. Prima di

iniziare una terapia immunosoppressiva è necessario escludere infezioni croniche che

potrebbero riattivarsi nel corso di un’immunosoppressione prolungata. È inoltre necessaria l’esclusione di un’eventuale gravidanza, non solo all’inizio ma durante tutto il trattamento, in quanto tali farmaci possono avere effetti deleteri sul nascituro. È inoltre necessario un

costante ed attento monitoraggio dell’emocromo, delle piastrine e della formula leucocitaria oltre che della funzionalità epatica, per possibili effetti collaterali. Inoltre l’uso di questa classe di farmaci è associato ad un maggior rischio di sviluppare tumori; tale

rischio è diverso da un farmaco all’’altro ed è correlato alla dose cumulativa somministrata.

a) Mitoxantrone

Il mitoxantrone è un antineoplastico in grado di legarsi al DNA producendo

rottura dei filamenti ed inibizione della biosintesi di DNA ed RNA. Questo farmaco è

attivo nella leucemia mieloide acuta del bambino e dell’adulto, nei linfomi non-Hodgkin e nel carcinoma mammario.

L’uso del mitoxantrone può portare a seri effetti collaterali, in particolare cardiotossicità, mielosoppressione e raramente leucemia. Gli effetti tossici a livello

cardiaco iniziano a manifestarsi quando si supera la dose cumulativa di 120-130

mg/m² o dopo 2 o 3 anni di terapia.

È un immunosoppressore; viene somministrato per via endovenosa ed agisce

(31)

ragione del suo meccanismo d’azione è indicato nel diminuire la disabilità neurologica e la frequenza delle ricadute in pazienti con sclerosi multipla secondariamente

progressiva, con SM recidivante progressiva, o in pazienti con forma

recidivante-remittente caratterizzato da un rapido accumulo di disabilità

Viene attualmente considerato come trattamento di terza linea dopo il fallimento

degli immunomodulanti e degli immunosoppressori selettivi (natalizumad e

fingolimod) oppure nello schema di trattamento dell’Induction Terapy, come trattamento di induzione, particolarmente intenso ma breve, al quale far seguire una

terapia immunomodulante.

b) Azatioprina

L’Azatioprina è il farmaco immunosoppressore più largamente usato nella sclerosi multipla, a ragione della sua relativamente bassa tossicità. L’azatioprina è un derivato della mercaptopurina e funziona come un analogo strutturale o “antimetabolita”. Gli

antimetaboliti possono operare con molti differenti meccanismi che vanno ad inibire la

proliferazione cellulare. L’immunosoppressione che si verifica in seguito a somministrazione di azatioprina o mercaptopurina, sembra sia dovuta ad una

interferenza o meglio ad una inibizione nella sintesi delle purine, del DNA e del RNA,

necessari alla moltiplicazione cellulare che segue ad una stimolazione da parte di

sostanze con potere antigene. In tal modo, l’azatioprina sembra ridurre,

principalmente, le risposte immuni umorali, anticorpali, mediate dal linfociti B.

Una recente meta-analisi di tutti gli studi controllati, pubblicati fino ad oggi, circa

l’impiego di questo farmaco nella sclerosi multipla, ne evidenzia una riduzione nella frequenza delle riacutizzazioni di malattia nelle forme recidivanti-remittenti.

L’efficacia dell’azatioprina sull’attività e sulla progressione della malattia non ha mai trovato riscontro da misure oggettive come i parametri di risonanza magnetica,

(32)

fino al 2005, quando Massacesi L. et all, hanno dimostrato che la somministrazione di

azatioprina, a dosaggi in grado di sopprimere i linfociti, risulta essere efficace nel

ridurre nuove lesioni infiammatorie cerebrali nei pazienti con SM

recidivante-remittente inclusi nello studio, oltre ad essere ben tollerata.

Gli effetti sulla forma primaria-progessiva appaiono meno chiari, mentre una

probabile riduzione dell’invalidità sembra essere documentabile in pazienti con malattia in fase secondaria-progressiva.

L’effetto tossico principale esplicato dall’azatioprina è rappresentato da una mieloinibizione (tossicità per gli elementi del midollo osseo); in seguito a dosi elevate,

sono anche possibili eruzioni cutanee, febbre, nausea e vomito, diarrea con

sintomatologia gastrointestinale. A confronto di altre malattie trattate con

l’azatioprina, nel caso della sclerosi multipla non sembra esservi la possibilità di sviluppo di neoplasie.

c) Methotrexate

Il metotressato (MTX) è un antitumorale antimetabolita molto potente, antagonista

strutturalmente completo dell’acido folico, che agisce inibendo la diidrofolato reduttasi (DHFR) umana, enzima che interviene nella sintesi di macromolecole

essenziali alla vita cellulare, quali DNA ed RNA.

Il metotrexate a dosi oncologiche è un potente agente immunosoppressore. Il suo

meccanismo d’azione, nell’ambito di patologie autoimmuni, è rappresentato da un’attività antinfiammatoria ed immunomodulante, nonché da un incremento del rapporto linfociti T helper/linfociti T suppressor.

Il metotrexate trova importanti indicazioni anche nel trattamento dell’artrite

reumatoide; tra i farmaci antireumatici in grado di modificare l’attività di malattia, è quello più comunemente usato attualmente in tutto il mondo. Tuttavia rimane ancora

(33)

sconosciuto il meccanismo specifico attraverso cui il MTX impiegato a basi dosaggi,

sia in grado di modulare l’infiammazione nell’artrite reumatoide. Diversi studi clinici lasciano pensare che fra tutti i farmaci antireumatici a lenta azione, il metotrexate

abbia il miglior rapporto rischio-beneficio, tant’è vero che i pazienti che escono dagli

schemi terapeutici con questo farmaco– per ragioni di tossicità o di assenza di

benefici– sono in numero notevolmente inferiore a quelli trattati con altri agenti

antireumatici a lenta azione.

Per quanto concerne la sua applicazione alla sclerosi multipla, il metotrexate

potrebbe, teoricamente, espletare un effetto benefico sulla frequenza delle ricadute e

nel ritardare la progressione della malattia. Diversi studi clinici sono stati condotti sul

metotrexate in pazienti con SM, al fine di identificare e riassumere l’evidenza che tal farmaco è benefico e sicuro per le persone con SM. Questi hanno dimostrato che bassi

dosaggi di metotrexate per via orale, assunti settimanalmente, rappresentano un nuovo

e relativamente non tossico nel gruppo di pazienti con SM cronico progressiva

accuratamente selezionato e monitorato.

Il metotrexate è un farmaco economico e a ragione della sua attività

antinfiammatoria e immunomodulante, potrebbe essere impiegato quale terapia

aggiuntiva in pazienti non rispondenti al trattamento con interferone β, nonostante il

fatto che uno dei suoi effetti a lungo termine sia una tossicità epatica.

L’effetto del metotrexate nella sclerosi multipla appare però modesto. Il suo impiego deve essere valutato, inoltre, tenendo in considerazione i suoi effetti avversi

quali fibrosi epatica, polmonite asettica e rischio di neoplasie.

d) Ciclofosfamide

Tra i farmaci immunosoppressori impiegati nella sclerosi multipla, la

(34)

antineoplastico e citostatico appartenente al gruppo delle mostarde azotate. La

ciclofosfamide non è attiva nella forma in cui viene somministrata, ma deve essere

convertita a composto citotossico attivo da particolari enzimi (microsomiali) a livello

del fegato.

Questo farmaco esplica degli effetti selettivi nella risposta immune, quali la

soppressione dell’attività dei linfociti T CD4+ di tipo Th1 (che mediano una risposta pro-infiammatoria) e l’incremento della risposta dei linfociti T CD4+ di tipo Th2 (che

mediano una risposta anti-infiammatoria); entrambi questi meccanismi d’azione sono

implicati nell’effetto benefico della ciclofosfamide nella SM.

Negli anni, specialmente con l’avvento della risonanza magnetica per immagini (MRI), è migliorata la conoscenza del profondo effetto antinfiammatorio della

ciclofosfamide, evidenziato dalla sua efficacia nelle riacutizzazioni della malattia e

dalle lesioni ipercaptanti gadolinio, in risonanza magnetica.

Essa può essere dosata sicuramente ed è generalmente ben tollerata nella forma

recidivante-remittente, caratterizzata da riacutizzazioni ravvicinate con rapido

accumulo di disabilità, o nei primi anni della forma secondaria progressiva, in casi che

non rispondono a terapie con beta-interferone e con glatiramer acetato.

Gli effetti collaterali a breve termine della ciclofosfamide sono alopecia, infezioni,

cistite emorragica, vomito, ecc; a lungo termine, invece, vi sono gravi rischi di

sviluppo di neoplasie, soprattutto della vescica. A fronte di questi importanti effetti

collaterali, l’uso della ciclofosfamide è limitato a pazienti con forme particolarmente aggressive di malattia, ed anche in questi casi l’uso di tale farmaco andrebbe sostituito da altre terapie immunosoppressive, più efficaci e meno tossiche.

(35)

3.3 Terapie combinate

Il razionale dell’uso di terapie combinate si basa sul fatto che, in alcuni casi di malattia

refrattaria ai singoli trattamenti, la combinazione di due farmaci con diverso meccanismo

d’azione possa apportare maggiori benefici, inibendo l’attività della malattia. Ovviamente il vantaggio nell’uso di uno schema combinato in termini di riduzione dell’attività della malattia, deve superare il rischio degli effetti collaterali dovuti ai due trattamenti.

Si possono utilizzare due tipi di approccio:

Combinazione sequenziale: prevede u primo intervento sul sistema

immunitario mediante trattamento con farmaci ad elevato impatto

immunosoppressivo, seguito da una terapia di mantenimento con

immunomodulanti (INFβ o GA);

Trattamento “add-on”: prevede l’aggiunta di un secondo farmaco quando il

primo risulta non sufficiente per ottenere un adeguato controllo della malattia

(immunosoppressore +INF o GA, metilprednisone e.v. a boli periodici, in

aggiunta a immunosoppressori o immunomodulanti).

Lo sfruttamento di una possibile sinergia d’azione tra due trattamenti con meccanismi

d’azione diversi rappresenta una strategia di trattamento che ha dato notevoli vantaggi in atre discipline (oncologica, infettiva, reumatologica) ma ad oggi priva di evidenze cliniche

definitive per quanto riguarda la sclerosi multipla. La strategia di combinazione può in

ogni caso rappresentare un’opportunità in casi refrattari a diversi tentativi di trattamento o in soggetti con caratteristiche cliniche o radiologiche particolarmente aggressive.

(36)

3.4 Terapia dell’attacco: gli steroidi

Molti pazienti con lievi disturbi neurologici correlati ad un recente attacco clinico

hanno un recupero completo anche in assenza di trattamento. Ciononostante è

atteggiamento comune trattare con steroidi i pazienti che hanno presentato una ricaduta,

cercando di iniziare al più presto tale trattamento per cercare di ridurre, e possibilmente

spegnere, il processo infiammatorio presente a livello del SNC, limitando l’entità dei danni e favorendo il recupero clinico-funzionale, e forse anche anatomico più veloce. Diversi

studi clinici hanno dimostrato che l’uso degli steroidi riduce significativamente la durata e la gravità dell’attacco clinico.

Tutte le sostanze che derivano dal cortisone e che sono utilizzate a scopo terapeutico

sono chiamate glucocorticoidi, corticosteroidi o, in breve, steroidi.

Gli steroidi inibiscono l’infiammazione presente in corso di SM, sopprimendo la migrazione delle cellule immunitarie all’interno del cervello e riducendo l’edema. Essi riducono, inoltre, la produzione di anticorpi da parte dei linfociti B.

In confronto, con il cortisone naturale, è stato documentato che il metilprednisolone ha

un effetto anti-infiammatorio 5 volte superiore, che persiste almeno due volte più a lungo.

Questo effetto porta ad un attacco meno acuto e di più breve durata, ma a lungo termine

non sembra avere una qualche influenza sul decorso della malattia nei pazienti affetti da

SM. L’effetto principale del metilprednisolone consiste nel ridurre la gravità e nell’accorciare la durata dell’attacco, così come nel diminuire lievemente la spasticità.

Pazienti che presentano recidive cliniche occasionali possono quindi essere gestiti

efficacemente solo con una modificazione dello stile di vita e consigli di riposo fino alla

scomparsa dei sintomi, mentre quelli con sclerosi recidivante significativa migliorano

sostanzialmente meno a seguito di episodiche fluttuazioni. Per questi ultimi si prevede una

(37)

steroidi equivalenti). Numerosi trial clinici hanno accertato come l’immediata somministrazione di corticosteroidi acceleri il recupero di recidive, pertanto un trattamento

iniziato precocemente nel corso della recidiva clinica suggerisce una migliore risposta da

parte del paziente. Tuttavia non esiste alcuna dimostrazione che la prolungata

somministrazione di steroidi sia di alcun beneficio nella SM.

I corticosteroidi operano tramite l’effetto immunomodulante e anti-infiammatorio a loro imputabile e per di più migliorano la conduzione assonale. Nonostante il meccanismo

degli steroidi nella SM rimanga incerto, tramite la tomografia computerizzata e l’MRI viene evidenziato il loro effetto immediato sulla permeabilità della barriera

ematoencefalica. Tuttavia questo beneficio è di breve durata (meno di 8 settimane) e con il

tempo i pazienti tendono a non rispondere più alla terapia, con conseguente sviluppo di

progressione clinica della malattia. Il meccanismo di mancata risposta non è stato chiarito,

ma potrebbe essere correlato alla progressiva degenerazione assonale di natura non

infiammatoria.

Per pazienti che non mostrano miglioramenti, anche in seguito a somministrazioni di

alte dosi di steroidi, sono in fase di studio trattamenti basati su plasmaferesi,

immunoglobuline endovenose e impianto di cellule di Swann, ma al momento nessuna di

queste opzioni si è dimostrata di efficacia superiore al trattamento con corticosteroidi.

Un trattamento continuativo con gli steroidi è, inoltre, gravato dalla presenza di

numerosi effetti collaterali come debolezza e dolori muscolari, demineralizzazione ossea

(osteoporosi), aumento dell’appetito ed obesità. Si manifestano, in genere, reazioni di intolleranza che possono talora portare ad aritmie (disturbi del ritmo della frequenza

cardiaca) e, occasionalmente, anche un aumento sostanziale della pressione arteriosa, nei

pazienti che già soffrono di ipertensione. Possono, inoltre, insorgere stati di agitazione,

(38)

necrosi ossea, sebbene spesso conseguenza delle alte dosi, è estremamente rara.

Globalmente, il trattamento con alte dosi di metilprednisolone può essere considerato

sicuro e utilizzato nelle fasi acute (riacutizzazioni) della SM. La somministrazione di alte

dosi di metilprednisolone non dovrebbe essere presa in considerazione in pazienti con

aritmia, disturbi renali gravi o epilessia.

Infine, gli steroidi hanno un effetto leggermente euforizzante. I pazienti riferiscono, in

genere, di sentirsi meglio dopo l’assunzione di steroidi, anche se gli effetti clinici non sono

chiari. Tali pazienti richiedono spesso la somministrazione regolare di steroidi, ma questo

atteggiamento non è consigliabile, per la frequenza degli effetti collaterali sopra citati.

Un trattamento a lungo termine con corticosteroidi dovrebbe essere impiegato soltanto

in quelle patologie che non usufruiscono di un trattamento migliore.

3.5 Nuovi trattamenti

3.5.1 Farmaci a somministrazione orare a) Dimetilfumarato-BG12

Un farmaco sperimentale per la sclerosi multipla, Dimetilfumarato (anche noto

come BG-12), ha dimostrato di essere efficace nel prevenire le recidive di malattia

in due nuovi studi. Dati clinici dimostrano che il BG12 possiede effetti

antinfiammatori (sopprime la produzione di citochine pro infiammatorie,

promuove lo shift delle cellule T helper da Th1 a Th2) e potenzialmente

neuroprotettivi (promuove un aumento della resistenza cellulare allo stress

ossidativo).

Due studi (DEFINE e CONFIRM) hanno valutato l’efficacia e la sicurezza di

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