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Come accennato in precedenza i vertici G8

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Academic year: 2021

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CAPITOLO II

La costruzione dello scenario

Come accennato in precedenza i vertici G81 sono una delle conferenze di carattere internazionale in cui si danno appuntamento i leader delle maggiori potenze del pianeta dal punto di vista industriale, economico e politico. Non si tratta di un organo elettivo,ma ha carattere informale, anche se le decisioni prese in quell’ambito dal punto di vista politico e gli esiti delle discussioni trattate hanno inevitabili ripercussioni a livello planetario anche su quei paesi che non vi partecipano attivamente.

Insieme alle riunioni di WTO, Banca Mondiale, NATO ed altri organismi sovrannazionali, il G8 costituisce un appuntamento importante sia dal punto di vista istituzionale, sia dal punto di vista della contestazione, infatti è uno dei vertici che più rappresenta, agli occhi del popolo di Seattle, l’illegittimità delle scelte e degli effetti che esse hanno sul panorama geopolitico ed economico internazionale.

Ogni anno la conferenza G8 viene presieduta a turno da ciascuno degli Stati membri2, nel 1994 era stato il turno dell’Italia e la conferenza aveva avuto luogo a Napoli. Nel 2000 in Giappone, sull’isola di Okinawa3

e nel 2001 nuovamente all’Italia e venne individuata la città di Genova come sede della conferenza.

La scelta fu dettata probabilmente anche da questioni economiche. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Massimo D’Alema, la motivò definendola una “contropartita per la perdita dei fondi europei da parte della Liguria”4.

E in effetti all’individuazione della sede per un vertice internazionale consegue necessariamente un notevole afflusso di denaro, finalizzato all’adeguamento delle strutture e dell’urbanistica. Il comune ed il territorio ne avrebbero quindi tratto giovamento anche in seguito.

Come accade per ogni appuntamento che preveda lo spostamento di personalità di grande importanza politica e istituzionale anche organizzare un vertice di tale livello comporta un impegno notevole da parte del Paese titolare della presidenza, impegno che come si vedrà coinvolge istituzioni, enti e apparati dal livello nazionale a quello locale. Non solo, un vertice che prevede come i suoi precedenti anche italiani una massiccia presenza di manifestazioni e conferenze in opposizione all’appuntamento ufficiale comporta per lo Stato l’organizzazione di misure capaci di garantire il corretto svolgersi della conferenza, ma anche un notevole sforzo da parte del mondo dell’associazionismo e della cosiddetta “società civile” per approntare l’accoglienza e l’agenda delle giornate che vedono avvicendarsi momenti di discussione, di divertimento e di forte contestazione.

Ci si trova quindi di fronte ad un evento in cui converge il lavoro di quasi due anni di attività organizzative volte a predisporre i piani di sicurezza e logistici, oltre ad una grande capacità di coordinamento degli uffici nazionali ed internazionali.

1

Acronimo di Group of eight industrialized nations, forum che riunisce i leader delle otto maggiori potenze industriali del mondo: Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti e Russia.(da Treccani online, Lessico del XXI secolo,

http://www.treccani.it/enciclopedia/g8_(Lessico-del-XXI-Secolo) )

2

Il G8, al cui vertice partecipa anche il presidente della Commissione europea, s'incontra annualmente per affrontare le grandi questioni dell’economia e della politica globale. A partire dal 1996 al vertice annuale sono stati sempre più spesso invitati, in relazione alle questioni discusse, rappresentanti di altri paesi e le organizzazioni internazionali. Il G8 si è formato e riunito per la prima volta nel 1997, quando la Russia si è aggiunta al precedente Gruppo dei sette (G7), nato nel 1977 e a sua volta erede del Gruppo dei sei (G6) che, formatosi nel 1975, non comprendeva il Canada.(ibidem)

3

Si cita Okinawa in quanto immediatamente precedente l’appuntamento italiano e, sotto diversi aspetti, modello organizzativo citato anche in sede di Commissione Parlamentare dal sindaco G.Pericu (ndr)

4

L’accenno è tratto dall’audizione del Presidente della Regione Liguria, Sandro Biasotti, presso la Commissione Parlamentare d’Indagine Conoscitiva: “il G8 fu organizzato a Genova per un fatto, credo, di compensazione, perché proprio in quel periodo (fine 1999) la Liguria

perse i fondi europei, circa 2 mila miliardi di investimenti - al riguardo ci fu un dibattito molto acceso sui giornali locali che durò alcuni mesi -, perdendo una grande occasione di sviluppo per i successivi sei anni. Su tutti i giornali si lesse allora che il Governo D'Alema compensava la città con la concessione del summit G8.”(Atti della Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta del 7

Agosto 2001, audizione del Presidente della Regione Liguria Sandro Biasotti, pag.137, da

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Vi sono diverse esigenze da soddisfare e nel farlo non possono però essere messi in discussione i diritti di chi abita nel capoluogo ligure e di chi vi accede per lavoro o per manifestare il proprio dissenso; è evidente come garantire le due cose presupponga una notevole capacità di gestione, tanto da sollevare il dubbio che la scelta di una città difficile come Genova per la sua conformazione geografica e la struttura urbanistica non sia adatta. Questi dettagli verranno analizzati in seguito, quando sarà preso in esame nei particolari il livello organizzativo locale ed il suo impatto sulla cittaadinanza; un livello organizzativo che si interseca con le esigenze dettate dalla sicurezza che per mesi ha previsto diverse azioni di carattere preventivo, dalle perquisizioni al censimento dei residenti,all’espulsione o all’arresto di soggetti considerati per diverse ragioni potenzialmente pericolosi.

La cronaca dei mesi precedenti il G8 ha posto un forte accento sulle misure di sicurezza, tendendo ad evidenziare i numerosi rischi legati a manifestazioni di carattere internazionale come quelle che si prevedevano in occazione del vertice genovese5, lasciando comunque spazio alle preoccupazioni dei cittadini rispetto a cosa avrebbe comportato per loro dover convivere con uno stravolgimento dell’organizzazione della loro vita quotidiana, dal percorso da poter fare per raggiungere i luoghi di lavoro, all’accesso ai servizi.

La stampa nazionale ha oscillato tra l’assunzione del ruolo di testimone meticoloso e mero informatore rispetto a rischi e disagi, a megafono di un’ansia collettiva che non poteva non avere riflessi sulla preparazione degli operatori delle forze dell’ordine o su chi aveva deciso di utilizzare le piazze di Genova per manifestare.

Questa sarà la chiave di lettura degli avvenimenti che hanno contribuito a costruire il G8 di Genova e di quello che si è verificato nei giorni di luglio del 2001. Avvenimenti concatenati tra loro e influenzati non solo dall’eco prodotta dagli organi di stampa, ma anche da altri appuntamenti della scena internazionale che hanno avuto pesanti ripercussioni sulle scelte determinate in ambito organizzativo.

Si vedrà come il tema della sicurezza abbia sovrastato quello della discussione interna al vertice e ai suoi contenuti, come abbia messo da parte le tematiche del movimento antiglobalizzazione (anche su questo tema verranno approfondite le diverse sfumature), come abbia condizionato il racconto delle giornate di Genova, determinandone l’importanza storica in virtù di ciò che è accaduto e delle ripercussioni sul lungo periodo che ancora attraversano il movimento, almeno quello italiano.

Si è trattato in definitiva di una spirale di timori, pregiudizi e diffidenze, che ha in qualche misura facilitato l’instaurazione di un clima ancora più teso di quello che ha preceduto altri vertici. Nelle pagine precedenti si è tentato di evidenziare come l’escalation dell’elemento violento nell’ambito delle manifestazioni antiglobalizzazione abbia influenzato la lettura non solo degli avvenimenti, ma anche l’immagine dello stesso movimento da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica. In più occasioni infatti la stessa idea di contestare i vertici è stata velatamente messa sotto accusa e additata come illegittima.6

Un altro tratto caratteristico dell’immagine della lotta alla globalizzazione, o a quel modello di globalizzazione proposto dai vertici, che si era fatta strada nell’opinione pubblica (l’informazione in questo senso ha una forte responsabilità) è stato più il timore cononnesso ai rischi derivanti dalla contestazione che non la vicinanza alle tematiche proposte dal movimento; caratteristica questa piuttosto comune a diversi movimenti di un passato più o meno recente (cosa è rimasto nella memoria collettiva dei movimenti degli anni ’60 e 70, se non la loro caratterizzazione violenta? L’epiteto “Anni di Piombo” definisce bene il posto che occupano nel racconto della storia recente del nostro Paese, una damnatio memoriae che riduce la storia di più di un decennio a semplice delirio violento determinato dagli estremismi, dimenticando volutamente una partecipazione alla vita politica ed un’affezione rispetto alle problematiche sociali senza precedenti che lo hanno invece segnato positivamente).

5

Su “La Stampa” all’indomani degli scontri che si sono verificati in occasione del Global Forum di Napoli, il sindaco G.Pericu espone in un trafiletto le proprie preoccupazioni rispetto al problema della sicurezza della sua città per il G8. (La Stampa, 18 Marzo 2001, pag.3).

6

All’indomani dell’approvazione alla Camera dei Deputati della legge speciale (la legge n. 149 dell’8 Giugno 2000) l’allora Ministro degli Esteri Lamberto Dini dichiarava: “il G8 non è un generatore di povertà, e per questa ragione non comprendo come il vertice possa

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Per riprendere le fila del discorso quindi si possono individuare alcune problematiche principali che accompagnano l’organizzazione del vertice del 2001: lo sforzo della macchina organizzativa dello Stato, che ha dovuto fare i conti con notevoli difficoltà date anche dalle contingenze (dall’idea iniziale di tenere il G8 a Genova nell’anno della presidenza italiana al momento del suo reale svolgimento trascorre un anno e mezzo, l’idea nasce quasi in concomitanza con Seattle, la legge viene approvata alla Camera poco dopo le turbolenze legate alla contestazione di Tebio proprio a Genova, gli scontri di Napoli precedono di poco le elezioni per il rinnovo del Governo, un mese prima del vertice si verificano a Goteborg vilenti scontri e la sicurezza della conferenza viene pesantemente messa in discussione) e che ha lavorato, come si vedrà, a volte con tempi stretti dettati da cambiamenti improvvisi del piano organizzativo; una definizione negativa dell’evento nell’immaginario collettivo da parte della stampa nazionale: gli articoli di giornale che hanno posto l’accento su possibili disordini, sui rischi per la città, sulla violenza dei Black Bloc vengono più volte citati dai vertici delle Forze dell’Ordine nella rilettura del periodo antecedente la conferenza, come motivo di ulteriore preoccupazione; i timori reciproci di movimento e forze di polizia rispetto al rischio di scontri, attori importanti nell’ambito di quelle giornate che nei mesi precedenti si sono vicendevolmente influenzati, malgrado tentativi maldestri di placare gli animi e allentare la tensione; infine l’importanza costituita dall’occasione della piazza genovese per il movimento per la quale prospettava un’affluenza senza precedenti, considerando anche lo spessore rivestito dal contributo italiano alla costruzione della mobilitazione al livello internazionale (già in occasione di Napoli si disse che la componente italiana del movimento antiglobalizzazione rivestiva un ruolo particolare, data la sua peculiare organizzazione ed il suo apporto numerico e qualitativo alle mobilitazioni).

Si vedrà dall’analisi più dettagliata di tutti questi fattori, come il tema della sicurezza sia stato a tutti i livelli il filo conduttore nei dibattiti e nelle dichiarazioni preparatorie. Sicurezza del vertice, delle delegazioni, dei capi di stato e della cittadinanza residente, sicurezza dello svolgimento della conferenza senza interferenze legate all’ordine pubblico , sicurezza dei manifestanti e garanzia del diritto di manifestare. Da un lato c’è stata un’indubbia determinazione a garantire tutto ciò, dall’altro un diffuso timore che le preoccupazioni potessero tradursi in rischi reali. A rendere plausibile il concretizzarsi di pericoli non bene identificati hanno contribuito i numerosi attentati susseguitisi nei mesi immediatamente precedenti, tra i quali gli ultimi nella stessa settimana del vertice (il 16 Luglio come si vedrà più avanti).

Alle minacce e agli attentati si sono aggiunte diverse informative dei servizi segreti che trattavano più specificatamente delle strategie che sarebbero state adottate dal movimento, o meglio dalle sue frange più radicali, in occasione di eventuali scontri con le forze dell’ordine.

L’evento mediatico, organizzativo e politico ha avuto quindi una durata ben maggiore delle tre giornate previste per l’incontro istituzionale; il racconto di questi livelli, che sarà l’argomento delle prossime pagine, ha avuto comunque il merito se non altro di riservare uno spazio anche se periferico, alla discussione sulla o contro la globalizzazione. Se Seattle ha facilitato l’emergere del movimento al livello di opinione pubblica mondiale e ha gettato le basi per la sua organizzazione formale realizzatasi a Porto Alegre, Genova ha comunque indotto nella cittadinanza (almeno in quella italiana) un processo di interiorizzazione del dibattito, di necessità di confronto con un fenomeno di portata mondiale, di presa di posizione rispetto alle numerose istanze promosse.

Con le giornate di Genova e anzi già dalla loro organizzazione è sembrato saltare ogni tentativo di mediazione e di dialogo, nonostante fosse previsto anche al livello formale (incontri preparatori, disponibilità all’ascolto, concessione di spazi per il dibattito pubblico). La contraddizione era strutturale: il confronto diretto delle istituzioni con quella parte del movimento ritenuta “attendibile e affidabile” era stato affidato principalmente al Prefetto, seppur delegato in qualche momento ad una figura meno istituzionale come l’Architetto Margherita Paolini individuata come mediatrice tra le esigenze del movimento e delle istituzioni, ed ha avuto come tema principale la trattativa sul rispetto dell’ordine e della sicurezza pubblica.

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Le ordinanze prefettizie, l’approntamento delle misure di sicurezza, l’allarmismo e tutto ciò che si è realmente concretizzato hanno determinato il condensarsi di un duplice schieramento, fino a quel momento solo virtuale, da una parte o dall’altra delle barriere protettive, per poi nuovamente sublimare e ritornare argomento di discussione nei mesi e negli anni successivi.

2.1 La trasformazione urbanistica e i problemi dell’accoglienza

Il primo livello di annalisi riguarda la preparazione della città, ed insieme del Governo, all’accoglienza del vertice e di ciò che avrebbe comportato.

La sistemazione di una città, in particolare una città come Genova, rispetto ad un avvenimento di questo calibro significa essenzialmente renderla capace di sopportarne l’impatto. Si tratta non solo di problemi di sicurezza collettiva o individuale (nel caso dei capi di Stato e di Governo), ma di capacita ricettiva delle strutture, di modifica della viabilità cittadina, autostradale e ferroviaria (Genova rappresenta un importante snodo, sia nel collegamento con il nord-ovest del Paese, sia con la costa meridionale della Francia), organizzazione dei trasporti interni, delle strutture ospedaliere, calcolo dell’impatto economico sulle attività legate al turismo. La necessità di far fronte a questi problemi emerge dal racconto del Sindaco rispetto alla partecipazione dell’istituzione comunale alla preparazione della Città per il vertice. L’analisi di Pericu pone l’accento sul tema, accennato poco fa, di come esista una distanza tra l’evento ufficiale e lo spazio occupato nel dibattito pubblico ben prima della sua realizzazione:

“Già prima dell'approvazione della legge[n.149, ndr], si era cominciato a lavorare, a discutere e a vedere che cosa significasse il vertice per la nostra città. Sono subito emersi, in realtà, diversi livelli di attenzione o di intervento[...]Un primo livello era quello della sistemazione urbana della città, alla quale è dedicata principalmente la legge approvata nel giugno del 2000 da tutte le forze politiche, sia al Senato sia alla Camera. Tale livello restava affidato prevalentemente ad una commissione speciale presieduta dal prefetto. Riguardo a tale aspetto abbiamo sostanzialmente aperto in città oltre 100 cantieri e abbiamo operato attraverso un insieme di interventi, sulla base di un input di fondo che ci aveva dato il Governo di allora e che era indirizzato su due punti specifici: il Palazzo ducale come luogo degli incontri, e i magazzini del cotone del porto antico, come sede della sala stampa. Il collegamento tra i magazzini del cotone ed il Palazzo ducale diventava il percorso principale intorno al quale operare. Dal punto di vista spaziale si tratta di luoghi vicini - distano meno di un chilometro l'uno dall'altro - e, quindi, la preparazione di tutto ciò rappresentava il compito principale.

Il secondo elemento era costituito invece dal secondo livello di accoglienza per la delegazione dei giornalisti e per gli eventi collaterali dei Capi di Governo. Tale competenza era affidata ad una struttura di missione presieduta da un diplomatico scelto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Il terzo elemento era costituito dalla sicurezza del vertice affidata al Ministero dell'interno in base alla legge istitutiva di giugno, in cui si accenna ad un importante stanziamento per la sicurezza. Venne subito in rilievo un quarto elemento, che era quello del fronte anti G8: l'esigenza di farsi carico dello svolgimento di manifestazioni provenienti da una pluralità assai diversificata di movimenti, di associazioni ed altro, che avevano come oggetto i grandi temi del vertice (povertà, guerra e globalizzazione).”7

Già nell’analisi del Sindaco esistono diversi livelli di riflessione, sui quali si rende necessario per le strutture coinvolte nell’evento, soffermarsi. La prospettiva secondo cui il primo cittadino genovese guarda al G8 è quella di chi deve preoccuparsi comunque non solo dello specifico di un breve periodo di tempo verso il quale tendono tutti gli sforzi organizzativi, ma anche della quotidianeità dei propri cittadini. Per l’adeguamento urbanistico, la manutenzione ed altri lavori necessari lo Stato stanzia, tramite la citata legge speciale, 6 miliardi di Lire

7Dall’audizione del sindaco di Genova Giuseppe Pericu presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta del 7 Agosto

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espressamente dedicati ai lavori pubblici, più altri 4 dedicati all’organizzazione della sicurezza8

. Oltre ai lavori straordinari in vista del vertice è prevista anche la realizzazione di un grande monumento, la “Biosfera” realizzato da Renzo Piano e finanziato da numerose sponsorizzazioni9 Lavori di riorganizzazione urbanistica a parte, il flusso di denaro previsto rende appetibile per il territorio ligure ospitare un evento di tale importanza nonostante i rischi connessi all’affluenza di migliaia di manifestanti.

Il finanziamento delle opere per il G8 permette di creare posti di lavoro, di rinnovare l’arredo urbano, di intervenire con opere di manutenzione che diversamente ricadrebbero, come è naturale, sulle casse delle amministrazioni locali.

In un primo momento, stando alle dichiarazioni del Presidente della Regione, del Presidente della Provincia e del Ministro Plenipotenziario responsabile della struttura di missione, sembrava che il vertice non dovesse ricadere interamente solo sulla città di Genova, ma anche su altri centri della costa ligure che avrebbero dovuto ospitare delegazioni e personalità. Nel frattempo però si fa più allarmante il tema della sicurezza e si decide di accantonare l’idea di un’eccessiva delocalizzazione a favore di un accentramento più gestibile e controllabile, al di là dei costi.

La questione sicurezza, come evidenziato dal Sindaco nel corso della sua audizione, non ha riguardato solamente l’isolamento delle porzioni della città interessate direttamente dalla presenza di eventi istituzionali, ma un ruolo di prima importanza, perlomeno fino al mese precedente il summit, lo ha rivestito anche il dialogo col movimento. Pericu si preoccupa da subito di cercare il confronto con la rete di associazioni che si fa avanti in quanto promotrice di eventi di divulgazione e sensibilizzazione rispetto ai temi della globalizzazione e dei suoi effetti economici e sociali. Non si tratta, sia chiaro, di una rete di associazioni onnirappresentativa della galassia del movimento, ma almeno a livello locale, solo successivamente nazionale, questa rete si propone come referente unico e attendibile.

Questa parte del movimento andrà poi allargandosi fino ad accogliere al proprio interno oltre 700 sigle di associazioni o altri soggetti politici e di volontariato, e a definirsi come interlocutore privilegiato nel confronto con le istituzioni: il Genoa Social Forum.10

L’importanza da esso rivestita ha comportato soprattutto per il Comune di Genova la necessità di organizzare non solo la “gestione” della componente movimentista nel corso del summit, ma anche di contemplare un livello di dialogo politico. La notizia della scelta di Genova come sede del G8 per il 2001 ha dato vita a numerose richieste di spazi per dibattiti pubblici, strutture per l’accoglienza, sottoscrizioni e patrocini delle istituzioni locali per iniziative di carattere culturale e sociale. Se ne ha notizia anche dall’audizione dell’Architetto Paolini, che come accennato rivestiva il ruolo di mediazione politica tra istituzioni statali e soggetti del movimento italiano:

“In questa sede [il tavolo di coordinamento tra movimento e istituzioni, ndr], da parte delle istituzioni locali e della regione, che in un primo tempo si era dimostrata piuttosto refrattaria a questa ipotesi, venne dichiarata la disponibilità a sostenere una serie concordata di eventi che desse visibilità al dissenso in forme pacifiche, escludendo tuttavia la settimana precedente il vertice.”11 [sulla necessità di affidare l’incarico del confronto con la società civile, col movimento e con le O.N.G. all’Architetto Paolini da parte del Governo si tornerà più avanti].

Ancora il sindaco Pericu sottolinea come la controparte acquisisse un sempre maggiore rilievo come protagonista degli eventi, a partire dalla loro progettazione ed organizzazione:

8

Legge 149/00 da www.camera.it (cit)

9

Da “La Repubblica” del 7 Giugno 2000

10

In un primo periodo il Genoa Social Forum si è denominato “Patto di lavoro per Genova”, raccoglieva associazioni di respiro soprattutto cittadino o regionale e solo dopo il Forum di Porto Alegre verrà rinominato Genoa Social Forum (ndr).

11

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“Dal momento stesso in cui si decise il vertice - siamo ancora nella primavera-estate del 2000 - contemporaneamente si costituirono associazioni che spingevano affinché si trattassero temi che dovevano essere oggetto di considerazioni, separatamente dal vertice. Abbastanza velocemente si formò una rete anti G8, fatta di associazioni locali, la quale chiese anche l'appoggio dell'amministrazione comunale (in consiglio comunale si svolsero dibattiti approfonditi su questo argomento). Affermammo allora il principio, a cui ci siamo sostanzialmente attenuti in tutta la nostra azione, che dovesse essere garantita la libertà di manifestazione del pensiero, anche in contrasto, da parte di chi dubitasse della legittimità del vertice o la contestasse, peraltro con due vincoli specifici: ciò non doveva in alcun modo incidere sulla sicurezza del vertice e non doveva essere accompagnato da manifestazioni violente.”12 La visione del sindaco e le preoccupazioni dell’Architetto Paolini trovano riscontro nei comunicati e nei resoconti di quella che viene definita Rete anti G8, che da ottobre del 2000 si chiamerà “Patto di Lavoro” e successivamente Genoa Social Forum (Gsf).

Già nel testo del Patto si può leggere infatti:

“[...] le organizzazioni firmatarie si impegnano in un patto di lavoro comune che prevede di:

1. attivarsi pienamente per la sensibilizzazione della cittadinanza attorno ai temi che rappresentano il portato specifico di lavoro di ciascuna delle organizzazioni, rispettando anche modalità e percorsi autonomi;

2. chiedere alle Pubbliche Amministrazioni locali e nazionali che siano garantiti ampi spazi per tutta la società civile per l'espressione di attività, progetti e manifestazioni che in questi mesi e nei giorni del Vertice si potranno organizzare. E soprattutto che il diritto a manifestare non subisca restrizioni immotivate.

3. coordinarsi al fine di favorire il massimo passaggio di informazioni al fine di rendere più efficaci le iniziative da programmare.

4. rispettare tutte le forme di espressione, di manifestazione e di azioni dirette pacifiche e non violente dichiarate in forma pubblica e trasparente.”13

Nonostante queste ed altre rassicurazioni (si consideri che tra le oltre 700 firme aderenti al costituendo Genoa Social Forum compaiono gran parte dei centri sociali, sindacati e soggetti politici che, si vedrà in seguito, venivano seguiti con maggiore attenzione dai servizi di intelligence perchè ritenuti particolarmente radicali e disposti allo scontro) la preoccupazione rispetto alle reali intenzioni del movimento restava invariata e vista la situazione che si concretizzava nel contesto di ogni vertice internazionale, le misure di sicurezza restavano uno degli obiettivi principali per il comitato nazionale e provinciale per l’ordine e la sicurezza e per la struttura di missione.

In questo senso la città ha visto la propria fisionomia mutare radicalmente nelle settimane precedenti il 20 luglio 2001 (giorno dell’apertura ufficiale del G8, le iniziative denominate “Public Forum” in realtà si aprirono già il 16); il passaggio fondamentale riguardo l’organizzazione urbana è stata l’ordinanza del Prefetto di Genova Di Giovine, datata 2 Giugno, in cui veniva resa attuativa la divisione del territorio urbano in due zone caratterizzate ciaascuna da un determinato livello di attenzione, di controllo e di sicurezza: la Zona Gialla e la Zona Rossa. Di Zona Rossa si parlava già un anno prima14, non tanto per allarmare la cittadinanza, ma per consentire di effettuare una serie di passaggi burocratici che ne avrebbero reso efficace il funzionamento. La Zona Rossa,

12

Audizione del Sindaco G.Pericu, seduta del 7 Agosto 2001, pag. 14, ibidem.

13

Dal sito ufficiale del Genoa Social Forum sezione “Documenti” in www.processig8.org . Sul sito sono disponibili i testi integrali del comunicato “Un mondo diverso è possibile” cui fa seguito il citato “Patto di lavoro”.

14

In un articolo del 22 Dicembre 2000 comparso su “La Repubblica” si legge: “Il colonnello(Giorgio Tesser, Comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri, ndr) spiega anche come i vertici di queste ore con le altre forze dell'ordine non abbiano ancora portato al

piano definitivo di controllo della cosiddetta zona rossa, ovvero l'area in cui si terranno gli incontri dei capi di stato. Ma a grandi linee, settori a rischio e posti di blocco e di controllo sono già stati individuati.”

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circa otto chilometri di perimetro, recintati da barriere di metallo alte quattro metri, avrebbe insistito soprattutto sulla parte del centro storico a ridosso del porto, comprendendo ovviamente la sede ufficiale del summit: il Palazzo Ducale. Sulla particolare attenzione delle Forze dell’Ordine per la Zona Rossa e la Zona Gialla (una porzione di città contigua alla prima utile a garantire un maggior controllo sull’accesso ai varchi e sul perimetro fortificato) si tornerà più avanti. In questo paragrafo interesserà maggiormente capire come l’esigenza di isolare fisicamente i luoghi del vertice avesse una ripercussione sull’urbanistica. Sia il sindaco che il prefetto insistono su questi temi. Per Giuseppe Pericu era fondamentale infatti che la Zona Rossa fosse il più possibile ristretta, a causa della struttura quasi lineare del centro urbano. Genova infatti si sviluppa su una striscia di territorio di circa 30 km, chiusa da un lato dal mare e dall’altro da monti. Recintarne il centro storico avrebbe comportato l’isolamento delle due parti di città a levante e a ponente.

”Se in realtà il Palazzo ducale e i magazzini del cotone, dove è situata la sala stampa, si trovano nel centro della città ed occupano una piccolissima porzione di questa, sono però situati in un passaggio fondamentale per i trasferimenti tra levante e ponente. Grosso modo su cinque percorsi di attraversamento della città, due venivano automaticamente esclusi: quelli più frequentati, quelli che portavano al mare; ne restavano così altri tre, uno dei quali fu poi successivamente escluso.”15

Quella del sindaco non era una preoccupazione legata solamente ad una questione di vivibilità per i genovesi che avrebbero deciso di restare a Genova (furono tanti quelli che approfittarono dell’occasione per prendersi una vacanza), ma si interessava soprattutto dei servizi, primi fra tutti gli ospedali, situati tutti nella parte di levante. L’ordinanza prefettizia, come spiega Di Giovine, ha previsto l’istituzione di una Zona Gialla proprio per garantire il minimo collegamento indispensabile fra le due porzioni della città.16

Si prefigurano quindi due città: una interna, fortificata ed estremamente protetta, ma difficilmente accessibile anche agli stessi abitanti; l’altra esterna alle recinzioni, ma ugualmente militarizzata e controllata.

La cittadella, per così dire, fortificata viene dedicata interamente all’accoglienza delle delegazioni, alla sala stampa, alla sistemazione dei capi di Stato e di Governo ed alle iniziative ufficiali del vertice. Tutto ciò implica la localizzazione al suo interno di strutture predisposte, controllate ed attrezzate. Se in un primo momento la scelta era stata quella di dislocare l’accoglienza anche su centri limitrofi della riviera ligure per sfruttare la disponibilità di strutture alberghiere adeguate (Genova disponeva di circa 2000 stanze, considerando solo le strutture che potevano vantare dalle tre stelle in su)17; fu anche valutata, poi scartata, l’idea di dislocare una parte dei giornalisti in arrivo sulle strutture di Milano, predisponendo un servizio di navette.

A queste opzioni venne preferita quella di alloggiare parte delle delegazioni, delle Forze dell’Ordine e dei Giornalisti a bordo di navi appositamente noleggiate per l’occasione; l’operazione ha comportato per la struttura di missione un’opera di forcing, come la definisce il Ministro Vinci Giacchi, per convincere le numerose

15

Dall’audizione del Sindaco di Genova Giuseppe Pericu presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva cit.

16

Sulle scelte relative alla struttura della Zona Gialla Di Giovine nella sua audizione presso la Commissione Parlamentare dichiara: “Genova è lunga 38 chilometri, quindi è chiaro che attorno ad una zona rossa si può solo creare una zona cuscinetto, altrimenti

avremmo dovuto chiudere tutta la città[...]la zona gialla, che ha uno sviluppo lunghissimo, di 13 chilometri, ha svolto, effettivamente, la funzione di cuscinetto. Non è accaduto nulla;[...]vorrei togliere di mezzo l'equivoco che una zona gialla potesse essere di protezione. Una zona gialla sarebbe stata di protezione se avesse avuto le stesse caratteristiche della rossa! Allora, avremmo avuto 13 chilo metri di sbarramento, ma, in questo caso, tanto valeva chiudere Genova.”(Dall’audizione del Prefetto di Genova Antonio Di Giovine presso la

Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta del 9 Agosto 2001, pag.94, cit).

17

“Il problema principale - come mi resi conto dopo i primi sopralluoghi era Genova dispone di 2000 camere di albergo in tutta la città

(mi riferisco a quelli con tre o quattro stelle, adatti quindi ad accogliere gli ospiti, inclusi i giornalisti). In tutta la riviera, da Sanremo fino a La Spezia, vi sono sei o sette mila camere complessivamente. Pertanto, l'idea di sparpagliare gli ospiti su un territorio così vasto con il problema dei collegamenti, cioè di consentire loro di arrivare a Genova in tempo per lavorare, è stata immediatamente considerata come uno dei problemi principali. Avevamo, addirittura, ipotizzato di spostare un numero rilevante di giornalisti a Milano, organizzando una navetta ferroviaria; ciò, tuttavia, sembrò alle autorità locali un chiaro segno di inadeguatezza di una citt à che desiderava presentarsi come città di accoglienza e di interesse turistico. Tale ipotesi, pertanto, l'abbiamo immediatamente scartata.”

Dall’audizione del Ministro Plenipotenziario Achille Vinci Giacchi presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta del 30 Agosto 2001, pag. 67, cit.

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delegazioni e i gruppi di giornalisti ad accettare di essere sistemati a bordo delle navi (sei in tutto solo per giornalisti e delegati)18, solo il Presidente americano Bush e i suoi collaboratori (in pratica l’intero personale della Casa Bianca) insistettero per essere alloggiati all’interno di un albergo. L’operazione è stata possibile anche grazie alla decisione di chiudere l’intera area portuale e ha compreso, oltre gli alloggiamenti fin ora citati, anche l’impiego di altre navi e la riconversione dell’area della Fiera di Genova per la sistemazione del personale delle Forze dell’Ordine.

Questi i dati che riguardano, per così dire, gli ospiti della città per quei giorni, a cui vanno sommati i circa 35.000 residenti e lavoratori del centro cittadino cui venne fornito il pass, tramite accreditamento presso la Questura, per poter accedere alla Zona Rossa da esibire ai diversi check point predisposti lungo il perimetro. All’esterno dell’area protetta erano stati previsti, al di fuori della Zona Gialla19

, una cittadella dedicata agli uffici del Genoa Social Forum e spazi che avrebbe dovuto soddisfare le esigenze organizzative del movimento, dalle aree per i dibattiti e i concerti, ai centri di informazione, convergenza, sedi per i numerosi giornalisti free lance e per il Legal Forum, oltre a diverse aree adibite a dormitorio o campeggio; a questo scopo varie strutture vennero messe a disposizione dagli enti locali20.

Le trattative per la predisposizione del piano di accoglienza tra le organizzazioni del movimento e le amministrazioni locali erano state avviate già nel Dicembre del 2000, ma la concessione degli spazi venne procrastinata per mesi (una richiesta ufficiale e dettagliata venne inoltrata al Prefetto già l’11 Aprile del 2001, quando iniziavano a delinearsi le dimensioni dell’affluenza alle iniziative del Gsf) fino ad arrivare all’immediata vigilia del vertice. Alcuni lavori di adeguamento terminarono nella stessa settimana e alcune strutture vennero ufficialmente consegnate addirittura il 19 Luglio.

Lo sforzo organizzativo del movimento si è dovuto necessariamente scontrare con un accentramento burocratico che prevedeva, per qualsiasi tipo di concessione, l’avallo del governo centrale (limite messo in evidenza anche dal Sindaco stesso).

La gestione dell’accoglienza da parte del Gsf era affidata agli operatori del Convenrgence Point di Piazzale Kennedy, dal quale venivano smistati i gruppi o i singoli attivisti verso i vari campeggi. Presso tale struttura era possibile inoltre ricevere informazioni relative al funzionamento dell’accesso ai varchi, all’agenda delle attività e luoghi adibiti a dibattiti e manifestazioni.

Dal punto di vista dell’apertura (o chiusura) della città al mondo esterno si mettono a confronto quindi due modelli organizzativi in cui comunque quello del movimento deve sottostare alle norme previste da quello

18

I dati numerici riportati dall’Ambasciatore Umberto Vattani parlano di circa 2000 delegati e 4700 giornalisti ( Dall’audizione dell’Ambasciatore Umberto Vattani presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta del 30 Agosto 2001, pp.7-8, cit.)

19“All’interno dell'area denominata "zona gialla" meglio delimitata nei suoi confini nel richiamato allegato e che sara' anch'essa

dettagliata da un provvedimento del Questore dalle ore dalle ore 7.00 del giorno 18 luglio 2001 e sino alle ore 20.00 della d omenica 22 luglio 2001 ;

1. il divieto di rilascio di nuove autorizzazioni di occupazione del suolo pubblico fatte salve le esigenze per interventi urgenti ai fini della tutela della pubblica incolumita'.

2. il divieto di pubbliche manifestazioni di qualunque genere, compresa l'attivita' di volantinaggio.

3. il divieto di sosta, fermata e transito dei veicoli nelle adiacenze di alcuni obiettivi o aree particolarmente sensibili che saranno successivamente individuati dall'Autorita' di Polizia ;

4. la chiusura della Stazione Metropolitana di Principe e la sospensione delle attivita' ne ltratto Di Negro – Principe” (dall’Ordinanza Prefettizia del 2 Giugno 2001).

20“Furono predisposti a cura del comune e della provincia 9 siti per l'accoglienza tutti nel Levante della città così come prescritto dal

Ministero degli Interni:

Stadio Carlini: Tendoni collettivi, Stadio Sciorba: Tendoni collettivi; Campo sportivo Via dei Ciclamini: Tendoni collettivi; Se.Di(Sezioni Distaccate) Area grigia, Area verde, Palestra:Tendoni collettivi, Campeggio per tende individuali; P.le Rusca-Quinto: Campeggio per tende individuali; Valletta Cambiaso: Campeggio per tende individuali; Villa Gambaro: Campeggio per tende individuali; Palestra Via Cagliari: Dormitorio; Parchi di Nervi: Campeggio per tende individuali. Accanto a questi furono allestiti quattro siti destinati a: Via C. Battisti scuola Diaz/ Pascoli e Scuola Pertini: Centro stampa e uffici GsfPeople's House; P.le V. Veneto e M.L. King: Convergency center e spazio spettacoli; Scuola G.Govi: Laboratorio teatrale; Giardini G. Govi: Public Forum.” Dal memoriale del GSF depositato presso la Commissione Parlamentare, sito ufficiale del GSF all’interno di http://www.archivioantimafia.org/www.processig8.org

(9)

23

istituzionale. Modelli e necessità organizzative che si influenzano a vicenda in quanto la dimensione dell’afflusso e della partecipazione dei manifestanti costringe, si vedrà tra poco, l’apparato difensivo istituzionale a rivedere costantemente le proprie misure di sicurezza e precauzione, anche a scapito della vivibilità cittadina.

2.2

Dibattito politico ed escalation della tensione.

Si è detto che la decisione di ospitare a Genova il vertice fra gli otto Capi di Stato e di Governo delle principali potenze del pianeta risale alla fine del 1999 e viene formalizzata da una proposta di legge speciale del successivo Gennaio, approvata l’8 Giugno del 2000.

Rispetto a quanto è stato sottolineato nella sommaria cronologia del ciclo di protesta del movimento antiglobalizzazione, il periodo che separa il Novembre-Dicembre del ’99 e lo svolgersi del G8 nel Luglio del 2001 è stato caratterizzato da un crescendo di partecipazione alle mobilitazioni e di una loro particolare capacità di incidere sulle agende istituzionali.

Genova viene scelta, si potrebbe dire, in un periodo “poco sospetto”21, quando cioè il movimento si sta affacciando sulla scena mediatica internazionale e solo poco dopo a Seattle dimostrerà di meritare particolare attenzione non solo da parte della stampa, ma soprattutto da parte delle forze di polizia. La successione di eventi particolarmente importanti dal punto di vista politico segnati dai disordini ha reso necessario ripensare, di volta in volta, misure di sicurezza che fossero capaci di prevenire, arginare o reprimere le mobilitazioni. Genova da questo punto di vista costituisce un caso “senza precedenti” come sottolinea il Questore Francesco Colucci nel corso della sua audizione in Commissione Parlamentare, sia per le dimensioni assunte dalle manifestazioni e il loro peso politico, sia per la tipologia di misure di sicurezza. Ma questo livello, che unisce l’aspetto militare dell’ordine pubblico con quello di raccolta di informazioni e prevenzione, sarà oggetto di analisi più avanti. Quello che invece ha caratterizzato l’evento politico-mediatico, nel corso dei mesi precedenti, è stata la campagna preparatoria alla conferenza. Basterebbe scorrere in ordine cronologico i titoli delle principali testate giornalistiche e degli articoli a riguardo per avere una percezione del clima che ha costituito la premessa degli avvenimenti legati al vertice.

Si è già parlato di come le vicende di Napoli abbiano da subito fatto nascere nell’opinione pubblica, nel movimento e nelle istituzioni, la preoccupazione rispetto a ciò che da quel momento in poi diventava un rischio reale; già un anno prima22, dopo il congresso sulle bio-tecnologie (Tebio) tenutosi proprio a Genova, era stato sottolineato come ospitare un vertice internazionale come il G8, in un momento in cui qualsiasi riunione internazionale era oggetto di contestazioni anche pesanti, avrebbe quasi sicuramente potuto comportare alcuni rischi.

Ma i mesi successivi, fino alla fine del 2000, trascorrono soprattutto nell’attesa e nell’avvicendarsi di appuntamenti prettamente organizzativi. L’allarme cresce con l’avvicinarsi di Luglio 2001 attraversando tutti i mesi precedenti.

I giornali nazionali ed esteri offrono ampio spazio alle notizie più allarmanti, riservando comunque una parte delle discussioni all’aspetto politico. É la costruzione dell’immaginario legato all’evento e delle aspettative (o paure) ad esso connesse finalizzata in parte ad assicurare vendite o numero di ascolti.

21“La scelta di Genova avvenne qualche tempo prima rispetto ai fatti di Seattle e ciò fece sì che le preoccupazioni legate ai disordini e

all'ordine pubblico non fossero poste al centro dell'attenzione fin dall'inizio, ma solo successivamente; mentre, fin da subito, fu avvertita l'esigenza di creare strutture e di organizzarsi affinché il vertice dell'anno italiano del G8 vedesse davvero la presenza di un possibile dialogo.”( Dall’audizione della Presidente della Provincia di Genova Marta Vincenzi presso la Commissione Parlamentare d’indagine

conoscitiva, seduta n.1 del 7 Agosto 2001, pag.91, cit.)

22

“Il G8 dev'essere, per Genova così com'è stato per Napoli, un'occasione di crescita e di rilancio della città: puntare l'attenzione sui

(10)

24

Il movimento stesso impara ad utilizzare il palcoscenico offerto dai media, oltre a gestirne direttamente di propri, come i numerosi siti internet sviluppatisi intorno alle tematiche specifiche relative alla critica alla globalizzazione.

Il G8 come vertice istituzionale e la sua contestazione sono due facce di un momento politico importantissimo. Nel corso di gran parte delle audizioni presso la Commissione Parlamentare di indagine, più volte citata, uno degli aspetti messi in evidenza da quasi tutti i soggetti che hanno ricoperto incarichi istituzionali (Sindaco, Presidenti di Provincia e Regione, Ministri, ecc.) è stato quello della volontà di offrire uno spazio anche alla componente critica verso il summit e ciò che rappresentava. Non solo quindi garantire il diritto di manifestare il proprio dissenso, ma accogliere le argomentazioni, prenderne in considerazione i contenuti. I mesi che hanno preceduto quelle giornate sono stati densi di confronti, accuse vicendevoli, comunicati stampa, dibattiti politici. Un livello quindi di primo piano è quello del confronto “ideologico”, permeato però da un forte timore per presunti rischi di disordini e, nella peggiore delle previsioni, di attentati terroristici.

Si può intuire quale fosse lo stato d’animo delle istituzioni che da un lato avevano comunque ricevuto il mandato o l’invito ad assecondare e garantire una qualche forma di dialogo con il movimento, ma dall’altro confrontarsi con quelli che in ogni caso si erano delineati come contestatori poteva creare un certo disagio. Sono indicative a questo proposito le ricostruzioni ad esempio del Sindaco Giuseppe Pericu che sostiene: “Nel mentre si preparava tale impostazione complessiva, continuavano a giungere notizie di manifestazioni di carattere internazionale collegate ad altri tipi di eventi, a Praga e a Nizza, dove erano accaduti incidenti”23, riferendosi all’impostazione della nuova organizzazione urbanistica che doveva garantire,una volta sciolte le ultime riserve con l’insediamento del nuovo governo, la coesistenza dei due eventi: quello istituzionale e quello di contestazione. La necessità di tenere una linea di apertura verso le istanze del movimento è messa in evidenza anche dalla Presidente della Provincia di Genova, nel corso della sua audizione del 7 Agosto. Emerge però anche una maggiore riserva della Presidente Vincenzi rispetto al dialogo, ma bisogna tener conto che la relazione si svolge dopo i fatti del Luglio, quindi è plausibile che lo sguardo retrospettivo abbia influenzato negativamente la valutazione del percorso di preparazione politica del forum non ufficiale.

”La linea che scegliemmo e condividemmo [...] era quella di lavorare perché si potesse realizzare un vertice di tutti (così lo definimmo) e non certamente un controvertice. Ci sembrava, infatti, sbagliato che le istituzioni potessero appoggiare in qualche modo manifestazioni o iniziative che si collocassero contro un evento internazionale che le stesse sostenevano ed avevano voluto [...] durante il quale sarebbe stato possibile agli otto grandi ragionare sulle grandi questioni internazionali ed in cui anche agli altri - ai popoli e a coloro che, a vario titolo, ritenevano di avere un punto di vista critico, aggiuntivo o diversificato rispetto al livello di compromesso e di negoziazione cui i grandi sarebbero arrivati - fosse permesso esprimersi.[...] Si voleva permettere la partecipazione di tutti al vertice, favorire quei movimenti che non si ponevano in contrasto con esso e valutare con gli organi preposti in quali termini - soprattutto di sicurezza - sarebbe stato possibile consentire - e fino a che punto - lo svolgimento di manifestazioni che, espressamente, si dichiaravano contro l'iniziativa, e di conseguenza non sostenibili politicamente dal punto di vista delle istituzioni e degli enti locali. Questo fu l'atteggiamento. Per quello che mi riguarda segnalo che presentai, ricevendo anche il patrocinio da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali, un'ipotesi di manifestazioni, di incontri, di dibattiti tesi ad utilizzare i mesi precedenti al vertice al fine di aiutare il formarsi di opinioni sui diversi contenuti di un movimento che, come sappiamo, risulta essere magmatico e poco leggibile a livello politico ed istituzionale. Bisognava fare in modo che il territorio della Liguria - in particolare della provincia di Genova, essendo stata io ad avanzare la proposta - fosse costellato, nel periodo compreso tra il mese di maggio ed il 18 di luglio, di una serie di

23

Dall’audizione del Sindaco Giuseppe Pericu presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta n.1 del 7 Agosto 2001, pag.13, cit.

(11)

25

eventi che sostituissero attraverso la multimedialità - quindi la virtualità - l'esigenza della presenza fisica, contestuale allo svolgimento del vertice.”24

Un importante livello di confronto si è tenuto quindi all’interno degli uffici, se non altro per permettere agli organi preposti di valutare la natura dei propri interlocutori, quali fossero le loro ragioni e le loro intenzioni. Rischiando di fare un errore di valutazione con un ragionamento induttivo, si può avere l’idea che la preoccupazione reale degli organi politici istituzionali non fosse tanto quella di capire quali poessero essere i pressupposti per la realizzazione di un confronto costruttivo in ambito politico, quanto quella di rintracciare all’interno del movimento una qualche forma di garanzia rassicurante25

rispetto ai rischi di disordini. C’è da ricordare in ogni caso che gli incontri tenutisi tra esponenti del movimento, delle istituzioni e delle Forze dell’Ordine hanno avuto più una finalità pratico-organizzativa. Una relazione di stampo più prettamente politico, con un’attenzione anche alle istanze promosse dal Gsf e dalle sigle in esso rappresentate, è stata tenuta dall’Architetto Margherita Paolini cui si è già accennato. La scelta di una figura in grado di mediare fra le richieste del movimento e le esigenze degli apparati statali è stata di per sè una scelta politica26, dettaglio che emerge dalle stesse dichiarazioni dell’Architetto nel corso della sua audizione. Margherita Paolini vantava infatti nel suo curriculum una lunga esperienza come responsabile di numerose attività di cooperazione internazionale, per conto del Ministero degli Esteri, specialmente nel periodo immediatamente successivo alla guerra nei Balcani. Il mandato dell’Architetto era quello di facilitare la preparazione di un secondo livello del vertice, dedicato all’accoglienza delle tematiche promosse dal movimento, per la costruzione di un forum “parallelo a quello ufficiale”. Tale facilitazione passava attraverso il contatto delle associazioni o soggetti politici e dell’individuazione fra queste di quelle ritenute in qualche modo più affidabili; segnali chiari di una disponibilità al dialogo e della possibilità di inserire in agenda anche i temi cari al movimento no-global.

Dall’altra parte del tavolo il Genoa Social Forum raccoglieva, come si è detto, più di 500 sigle, molte di esse articolate poi a loro volta in Social Forum locali nel resto d’Italia. La scelta del GSF come interlocutore non era solo una garanzia di moderazione ed affidabilità rispetto agli impegno presi, ma anche certezza di comunicare con la quasi totalità del movimento antiglobalizzazione (tra i sottoscrittori del GSF compaiono anche numerose sigle di reti ed associazioni internazionali o comunque provenienti dall’estero).

Dal punto di vista del movimento la “piazza” di Genova offriva un ulteriore occasione di esporre con determinazione le proprie ragioni ed anzi, forse per la prima volta, sembrava poter disporre dello spazio politico necessario ad acquisire ulteriore legittimità e addirittura potersi rapportare quasi come soggetto esterno alla conferenza degli Otto grandi del pianeta.

2.2.1 Genoa Social Forum: una mappa della forma assunta dal movimento per il G8 di Genova e suoi

obiettivi principali

Per quanto riguarda la relazione tra istituzioni e movimento si è fatto cenno più volte al Genoa Social Forum, che oltre a rappresentare una voce importante all’interno del fronte della mobilitazione costituiva il contenitore cui gran parte delle realtà era confluita ed all’interno del quale era possibile confrontarsi per arrivare all’appuntamento genovese con una forma unitaria.

24

Ibidem, audizione della Presidente della Provincia di Genova, Marta Vincenzi, pag. 92-93.

25

In realtà l’impressione è parzialmente confermata da alcuni “incisi” del Questore Colucci che nel corso della sua audizione a ccuserà il GSF (in pratica unico interlocutore delle istituzioni) di scarsa affidabilità ed atteggiamento omertoso (cfr. Audizione del Questore, Francesco Colucci, seduta n.4 del 28 Agosto 2001, pag 30, cit.)

26“I motivi della scelta dovrebbero essere richiesti a chi l'ha compiuta, posso, tuttavia, riferire come la stessa mi è stata motivata, e cioè

in ragione della mia pluriennale esperienza istituzionale. Uso il termine «istituzionale» perché il ministro Vinci Giacchi ha dichiarato che era necessaria una persona «non istituzionale» (probabilmente intendeva dire «non di apparato»)” (Dall’audizione dell’Architetto

Margherita Paolini presso la Commissione Parlamentare d’indagine conoscitiva, seduta n.7 del 4 Settembre 2001, pag 15, cit.) si intende cioè che era necessaria una figura non immediatamente riconoscibile come organica alle istituzioni, in quanto vi era all’interno del movimento una frangia più radicale che si era sempre posta in contrasto con queste.

(12)

26

Sebbene sia stata utilizzata in queste pagine in funzione sinonimica la sigla Gsf identifica una larga parte del movimento, si potrebbe dire la quasi totalità di esso e in occasione del G8 di Genova ne era il principale rappresentante. Ci si può quindi riferire quasi indistintamente al movimento e al Social Forum genovese solo relativamente agli eventi del 2001, senza contare inoltre che al di fuori della sua rete quasi onnicomprensiva esistevano alcune realtà che consapevolmente avevano deciso di rifiutare le forme e i contenuti sviluppati all’interno di quel modello di coordinamento.

Si cercherà ora di delineare al meglio e in maniera sintetica quella che era la composizione del movimento raccoltasi sotto la sigla Genoa Social Forum e quella che ne restò a vario titolo esclusa, premettendo che, dopo questa doverosa analisi che fornirà elementi utili alla lettura di alcuni fatti di quelle giornate, nel nominare movimento e Genoa Social Forum si intenderà il medesimo soggetto politico, dato che i fatti analizzati hanno riguardato principalmente quel protagonista. Esaminandone l’organizzazione si intende inoltre dare atto del lavoro svolto da tutte le realtà rappresentate per la realizzazione di un evento come il controvertice.

Quello che inizialmente si era costituito come “Patto di Lavoro per Genova” all’indomani della scelta formale della città, si era poi allargato cambiando nome27 e costituendosi di fatto come luogo di incontro nazionale ed internazionale fra tutte le realtà che intendevano contribuire al vertice alternativo.

Analizzando quella che è stata definita spesso come “galassia” del movimento no-global si può notare come siano stati in grado di coesistere associazioni senza una particolare storia di analisi ed attività politica, organizzazioni nate esclusivamente intorno alla critica ad aspetti ben precisi della globalizzazione (si è ricordato Attac, Drop the Debt, Lilliput), soggetti politici che si richiamavano ad una tradizione di associazionismo cattolico (le Acli soprattutto). Oltre a questi elementi di novità rispetto alla presenza nelle piazze e sulla scena della protesta, rivestono un ruolo di primaria importanza (in particolare mediatica) organizzazioni politiche interne al Gsf con una forte tradizione di militanza attiva (distinguendosi spesso per il tipo di rapporto con le istituzioni) e un’ideologia di base ben definita: si tratta dell’area vastissima ed eterogenea dei Centri Sociali e di alcune organizzazioni giovanili legate ai partiti della sinistra parlamentare più radicale.

Si tratta di una differenza profonda nella lettura del contesto geo-politico mondiale e nell’individuazione delle sue cause, una differenza che è stata messa da parte nella fase preparatoria, ma che è poi esplosa nelle dinamiche di piazza. Alla stessa conclusione giungono gli autori di “Global, No Global, New Global”, un lavoro che si prefigura l’obiettivo di analizzare con gli strumenti della sociologia gli avvenimenti che hanno caratterizzato le giornate delle contestazioni al Vertice:

“Il GSF si è configurato quindi come una rete di reti a cui, per la prima volta in Italia, anche una parte delle organizzazioni che in prcedenza avevano rifiutato questo tipo di “cartelli” ha deciso di aderire. L’operazione di coordinamento del GSF può ritenersi riuscita se consideriamo che esso ha riunito soggetti che fino a pochi mesi prima avevano polemizzato fra loro. Pur non rappresentando ancora un soggetto relativamente omogeneo, il GSF non si è limitato a funzionare come un coordinamento, ma ha anche fissato alcune regole cui il fronte della protesta avrebbe dovuto dovuto sottostare ed è riuscito a tenere insieme questa realtà adottando un programma che prevedeva una serie di manifestazioni unitarie (public forum, manifestazione dei migranti, manifestazione internazionale), ma anche momenti in cui le singole componenti avrebbero potuto decidere liberamente, nel rispetto delle indicazioni del patto di lavoro, le modalità della protesta di piazza, salvaguardando la propria specificità (giornata dell’assedio alla zona rossa).”28

27

Nel Febbraio del 2001, precisamente al termine di un’assemblea nazionale tenutasi il 27 del mese, il Patto di Lavoro decide di cambiare nome in Genoa Social Forum per richiamarsi ai contenuti e alle istanze emerse nel corso del Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre (cfr. Cap. 1).

28

M.Andretta, D. Della Porta, L. Mosca, H. Reiter, “Global, No Global, New Global. La Protesta contro il G8 a Genova”, Laterza, Bari, 2002.

(13)

27

L’obiettivo principale del movimento nei suoi momenti di incontro con la controparte istituzionale è diventato, dai primi mesi del 2001, quello di fare chiarezza sulla possibilità di tenere le manifestazioni in contemporanea agli eventi ufficiali legati al G8. In questo senso si svilupparono, nell’attesa della risposta definitiva, diverse iniziative nella Capitale e in altre città per sollecitare una presa di posizione a favore o comunque una risposta definitiva.29

Dalle istituzioni infatti non arrivarono da subito segnali chiari rispetto a questa possibilità e la linea tenuta in un primo momento fu quella di collocare le manifestazioni in un periodo di tempo precedente o successivo al vertice, ma non consentirne in alcun modo la contemporaneità; in alcuni casi era stata ventilata anche l’ipotesi di dislocare le iniziative di contestazione in altre città lontane da Genova. Queste ipotesi vennero poi riconsiderate e con l’insediamento del secondo Governo Berlusconi a Giugno 2001 venne chiarita la totale disponibilità a garantire il diritto di manifestare e di poterlo fare nel corso della stessa settimana del vertice.

Se la linea dell’analisi costituiva un forte trait d’union per il movimento, l’equivoco maggiore e maggiormente strumentalizzato si era creato intorno alle dichiarazioni relative alle modalità di assedio del vertice. In una delle interviste che hanno costituito una delle fonti di questo lavoro, il momento della dichiarazione della volontà di violare, ciascuno con la propria simbologia o modalità, la Zona Rossa viene indicato come uno degli strumenti principali per la criminalizzazione del movimento e la conseguente “repressione preventiva”30

. Non si tratta in questo caso di azioni repressive preventive vere e proprie, come quelle che si concretizzarono realmente e riguardarono più l’attività di intelligence, ma di una campagna mediatica che ha avuto l’effetto, se non l’obiettivo, di criminalizzare la piazza al di là della sua composizione o pratica adottata.

Ci si trova quindi di fronte ad un duplice sforzo organizzativo: quello principale dato dal ruolo di interlocutore delle istituzioni e punto di riferimento per l’opinione pubblica e per quella parte della società civile più o meno interessata alle tematiche della globalizzazione e che avrebbe potuto partecipare a titolo individuale, senza essere inquadrata in nessuna delle sigle presenti in piazza, alle numerose manifestazioni; e quello dato dal dover organizzare la convivenza e la collaborazione tra le diverse componenti del movimento, facendo da mediatore al proprio interno e riuscendo a dialogare con le forze non rappresentabili dal Social Forum o che ne avevano rigettato le linee guida.31

Per ragioni esclusivamente sintattiche e compiendo un’eccessiva semplificazione ci si riferisce al movimento con vari aggettivi e perifrasi (antiglobalizzazione, no-global, popolo di Seattle, ecc.) utilizzati in funzione sinonimica. In realtà esistono differenze anche sostanziali tra le diverse analisi che ciascun appellativo sottintende. La forma politicamente più corretta sarebbe quella di “movimento per una globalizzazione dal basso” o “new-global”, che riassume meglio l’approccio costruttivo e propositivo al dibattito. Già nella sua prima caratterizzazione, cioè quella di critica radicale alla nuova economia e politica mondiale, non tutte le

29“Il Patto di lavoro è impegnato in questi mesi(Febbraio-Giugno 2001, ndr) proprio nello sforzo, lungo e fino alle ultime settimane

infruttuoso, di confrontarsi con i rappresentanti istituzionali sul problema degli spazi di accoglienza, sul diritto di manif estare, sulla libertà di partecipazione, nel creare cioè le condizioni perché le iniziative di luglio si svolgano nel modo più sereno possibile.Questo lavoro, caratterizzato da numerose richieste alle autorità competenti e da una serie di incontri che però non producono mai risultati concreti, va avanti per mesi. In particolare dal 9/2, con l’incontro in prefettura con il Tavolo interente sul G8 (v. comunicati stampa) fino a tutto aprile, passando per l’indizione di sit-in in tutta Italia e anche davanti al Viminale nei giorni 4-5 aprile, per sollecitare risposte che non arrivano.” Dalla relazione del GSF presso la Commissione Parlamentare, sito ufficiale del Genoa Social Forum, cit.

30

“Cioè, questa condivisione eterogenea, cioè che più o meno era condivisa da tutti gli articolati del Social Forum, di violare la Zona

Rossa diciamo che, se vogliamo, furono ben strumentalizzati poi dalla campagna repressiva, che possiamo dire preventiva, per cui a Genova ci fu una grossa campagna repressiva preventiva, più che in altri momenti di piazza...storici, che ci sono stati e anche successivi.” Intervista a Michele Spinelli, militante del C.S.A. Newroz di Pisa e del Network per i diritti globali a Genova, per il testo

integrale vedi l’Appendice.

31

Sul piano contenutistico e per il differente metodo di lotta restarono al di fuori del coordinamento del GSF il Campo Antimperialista, la rete degli “Anarchici contro il G8” e l’area Anarco-insurrezionalista/Black Bloc. (Global, No Global, New Global, pp. 50 e seguenti, cit.)

(14)

28

componenti del movimento scelgono di avere una posizione dichiaratamente contraria32, ne consegue anche una diversa localizzazione ed intenzione nel tipo di presenza che esse vogliono adottare nel corso del controvertice. Si è già parzialmente detto di come poi all’interno del GSF siano diverse le anime e di come ciascuna provenga da un retroterra culturale con una storia di lotte o di associazionismo pacifista ed anche qui si possono sottolineare differenze sostanziali nella lettura del fenomeno “globalizzazione”, ad esempio tra chi pur contestandone gli effetti non ne riconosce il necessario antecedente storico nelle politiche liberiste o capitaliste. Sul versante dei Centri Sociali, anche con un passato che si potrebbe definire piuttosto comune e trasversale a tutti, quello dell’Autonomia degli anni settanta, le parole d’ordine cambiano. Ed ecco quindi che il fronte più radicale presenta una divisione sostanziale: chi aderisce alle nuove categorie teorizzate da Toni Negri come l’Impero, con il suo centro e le sue periferie, e le moltitudini che si vanno a sostituire al concetto di classe che sembra ormai superato, è il caso del movimento delle “Tute Bianche” e dei centri sociali del Nord-Est che utilizzano pratiche tipiche di quella che viene definita “disobbedienza civile” (non uno scontro aperto e teorizzato con le Forze dell’Ordine, utilizzando anche strumenti di offesa, ma una violazione simbolica dei limiti e delle regole ritenute in qualche modo illegittime, utilizzando sopratutto tecniche di resistenza passiva); e chi invece è più legato ad una lettura Marxista-Leninista del presente, ritenendo che lo stato di cose, globalizzazione inclusa, sia la necessaria conseguenza delle politiche capitaliste e liberiste, criticando la visione del mondo come Impero, ma considerandola piuttosto come una tendenza, quella dell’imperialismo capitalista appunto, strumentale non all’espansione non dei confini di Stato, ma all’egemonia delle imprese multinazionali. È il Network per i diritti globali, in cui confluiscono i centri sociali del Nord-Ovest e della fascia Tirrenica e la Confederazione Cobas. Fino al Global Forum di Napoli il Network si presenta costituito anche dal Movimento del Sud Ribelle, che raccoglie numerosi centri sociali del sud Italia. Nei mesi prima di Genova una parte di questa organizzazione confluirà all’interno dell’area delle Tute Bianche, che insieme ai Giovani Comunisti ed altre sigle costituiranno l’area della Disobbedienza Civile. Come Napoli stesso ha dimostrato questa componente del movimento ha una posizione diversa rispetto alla violenza di piazza, più assimilabile alle pratiche di scontro tipiche degli anni 60 e 70, in cui l’impatto con le Forze dell’Ordine può essere previsto e in qualche misura provocato (tratto questo comune anche alle modalità della disobbedianza civile); si parla comunque anche in questo caso di auto-difesa33, seppure non esclusivamente passiva.

Infine si tiene apertamente all’esterno di questa compagine l’area anarchica in quasi tutte le sue connotazioni, anche se non dichiarando mai l’intenzione di utilizzare metodi violenti o di sabotaggio, ma non condividendo le regole interne del Patto di Lavoro, nè la struttura organizzativa che punta troppo alla visibilità di alcuni leader o portavoce rendendola assimilabile ad un’organizzazione di tipo verticista.

Un discorso a parte meriterà il cosiddetto Blocco Nero, cui si è accennato in precedenza relativamente alla Battaglia di Seattle, che non sembra caratterizzarsi da un punto di vista ideologico e i cui attivisti sono accomunati soprattutto da un “metodo” di protesta, una particolare forma di guerriglia urbana.

32

Un caso è ad esempio quello dei gruppi cattolici del Manifesto ai leader del G8 che decisero di mantenere una posizione di cr itica, ma non opposta all’esistenza stessa del vertice, sostenendo di esserne comunque rappresentati: “Noi siamo qui per ricordarvi che voi siete

noi. Voi, responsabili delle nostre nazioni, siete i nostri rappresentanti. Voi avete una grande responsabilità. Voi non siet e il governo del mondo, ma quanto decidete ha inevitabili ripercussioni su molti, anche al di fuori dei confini dei nostri paesi. Noi siamo qui perché anche noi abbiamo un sogno da realizzare: non vogliamo più essere i ricchi che guardano ai poveri da aiutare. Vogliamo essere cittadini di un mondo e di una comunità solidale che diano a tutti lo stesso diritto di avere necessità e offrire opportunità. Noi siamo qui perché vogliamo realizzare il nostro sogno. Per questo facciamo a voi, che siete i nostri rappresentanti, le richieste che riteniamo punto di partenza perché ogni persona di oggi e di domani possa vivere autenticamente libertà, solidarietà e dignità.”dal Manifesto delle

associazioni cristiane per i G8, da www.reteblu.org .

33

“Andiamo a Genova con rabbia e determinazione ma assolutamente pacifici, purchè ci venga garantito il diritto a manifestare liberamente. Non accetteremo divieti, [ci doteremo di strumenti difensivi per garantire un servizio di sicurezza che permetta a tutti di venire in piazza con tranquillità” comunicato dei Cobas alla vigilia di Genova, da www.cobas.it citato in Global, no global, new global, cit..

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