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CAPITOLO II

«La fantasia è il mio sesso.» (A. Palazzeschi, 1971)

2.1 Sorelle Materassi: l’uscita del romanzo, il contesto storico e i

giudizi della critica

2.1.1 Quadro storico-culturale

Sorelle Materassi viene pubblicato per la prima volta in versione integrale1 presso la casa editrice fiorentina Vallecchi nell’anno 1934.

Il periodo storico di riferimento è quello del cosiddetto ritorno all’ordine che, come accennato in precedenza, si traduce, per quanto concerne Palazzeschi, nel recupero di moduli narrativi tradizionali e nella inaugurazione di una nuova fase produttiva, più matura e consapevole dei mutamenti sociali, politici e ideologici che coinvolgono la temperie culturale a lui contemporanea.

Gli anni Trenta sono infatti anni di intensi cambiamenti a livello socio-politico e culturale e finiscono, irrimediabilmente, col condizionare e stravolgere l’ambiente letterario nonché le scelte e la posizione degli intellettuali italiani di fronte al considerevole mutare degli eventi.

Dal punto di vista politico, a partire dal 1925 (anno in cui il Fascismo si afferma definitivamente come sistema di Stato), si mette in atto senza sosta nel Paese ad opera del Regime una strategia di persuasione volta ad ottenere consenso e mirata a un lento ma inesorabile processo di omogeneizzazione del popolo, grazie soprattutto all’uso sapiente dei cosiddetti mezzi di comunicazione di massa, quali la radio, il cinema e la stampa e al controllo della scuola e delle Università.

1 Si ricorda che con prima pubblicazione si fa anche riferimento all’uscita del romanzo in cinque

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Vengono, pertanto, approvati da parte del Regime, propagandati e largamente condivisi dalla popolazione provvedimenti come il protezionismo economico (a partire dal 1925), l’abolizione del diritto di sciopero e di libera associazione, il monopolio nell’amministrazione della giustizia, attraverso l’istituzione di un tribunale speciale per l’eliminazione e l’allontanamento immediato degli oppositori politici.

Mussolini e il Fascismo trasformano, così, lo stato democratico italiano in un regime illiberale e totalitario che poggia principalmente sul sostegno della borghesia e dei cattolici, specie dopo la firma del Concordato, e che tocca le corde del patriottismo, della romanità e del vigore fisico e morale.

Di fronte a questo contesto socio-politico, gli storici della letteratura riconoscono nella figura degli intellettuali italiani due tipi di atteggiamento, che saranno anche quelli degli intellettuali in genere a livello europeo al cospetto della grande “epoca dei Fascismi”: il letterato-letterato e il letterato-letterato-ideologo2.

Alla prima schiera appartengono coloro che, trovando un modello nel contegno di Benedetto Croce, assorbito principalmente dagli studi e dalla ricerca e lontano dalla politica attiva, decidono di opporre nei confronti del Regime un atteggiamento di distacco e di superiorità. La letteratura è da questi vissuta come una condizione esistenziale, una religione di vita che deve essere mantenuta pura e immune dai condizionamenti politici esterni.

Nella fascia opposta rientrano invece i cosiddetti intellettuali-militanti, coloro che, in virtù di un forte spirito rivoluzionario e di rinnovamento, decidono o di reagire tenacemente ai paradossi del Regime o di fornire ad esso un sostanziale appoggio se non addirittura un fondamento ideologico. L’impegno e la fede sono per essi due postulati inalienabili attraverso i quali contestare o sostenere il sistema fascista.

2 La scrittura e l’interpretazione. Storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civiltà

europea, a cura di Romano Luperini, P. Cataldi, F. Marchese, R. Donnarumma, vol. III, tomo II,

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Tra gli esempi illustri di intellettuali appartenenti alla cerchia del dissenso, solo per citare qualche nome, si ricordano Gramsci, Vittorini e Pratolini per quanto riguarda gli italiani e Brecht, Benjamin, Lukàcs, Cèline per quanto riguarda gli stranieri.

Dal punto di vista culturale, inoltre, i dibattiti e le discussioni incentrati sul problema del Regime trovano ampio respiro sulle pagine di alcune importanti riviste.

In particolare, gli intellettuali interventisti, specie giovani fascisti, scrivono articoli infuocati e provocatori sulle pagine dal taglio nazionalista de «Il Selvaggio», diretto dal pittore Mino Maccari o sul bontempelliano «900», più orientato verso il modernismo europeo ; al contrario, i letterati più radicali si riuniscono intorno alla rivista fiorentina «Solaria», sulla quale critici come Solmi, Debenedetti, Contini, si fanno promotori di una campagna di difesa della civiltà e della cultura contro la mediocrità e la volgarità della società di massa e di Regime.

Nel frattempo, nasce nel 1929 a Roma la Reale Accademia d’Italia, istituzione culturale largamente voluta da Mussolini con la finalità non solo di tutelare e conservare l’intero patrimonio scientifico e artistico italiano, in particolar modo letterario, ma anche di promuoverlo a livello nazionale e, soprattutto, europeo. Direttori illustri della Reale (sebbene il più autorevole e ricordato resti l’ideologo Giovanni Gentile, nominato alla guida dell’Accademia nel novembre del ’43) sono, tra i tanti, anche Marconi e D’Annunzio il quale, anche se ne è presidente per un breve periodo, porta al suo interno non pochi significativi mutamenti.

La regola, che impone la nomina degli accademici solo nel novero degli artisti che fossero ferventi sostenitori dell’ideologia fascista, impedisce l’ingresso nell’istituzione a molti intellettuali e letterati meritevoli di lode: tra questi anche a Palazzeschi che, a causa della sua indole fuori dai ranghi e del suo temperamento palesemente ostile all’interventismo, fu da subito escluso da Mussolini come ipotetico candidato.

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Per quanto riguarda invece la produzione letteraria durante gli anni del Fascismo, è anch’essa segnata da scelte che si adeguano o meno alle vigenti ideologie che si fanno significative proprio a partire dagli anni Trenta, ovvero quelli che riguardano la pubblicazione di Sorelle Materassi. Accanto alla narrativa celebrativo-propagandistica dei romanzetti di consumo, dei rotocalchi o delle biografie del Duce che, all’epoca, vanno per la maggiore3, si affianca la produzione di una cerchia ristretta di

scrittori accumunati dalla predilezione verso il racconto di storie semplici, fatte di abitudini quotidiane e familiari o incentrate su vicende legate a realtà ristrette, quali la vita nei campi o di paese.

L’interesse letterario di questi autori è quindi interamente proiettato al recupero di valori originari e genuini, a un’ideale di vita misurato e semplice in una dura lotta di opposizione al modello culturale borghese celebrato e promosso dal falso perbenismo fascista.

La loro ispirazione è guidata da una viva indignazione nei confronti del cieco populismo e del processo di massificazione imperante durante gli anni della propaganda fascista che provoca in loro un’istintuale esigenza di fuga e alienazione fantastica, nella ricerca di ambienti lontani e protetti dal fervore economico cittadino.

All’immaginario di grandezza fascista, rappresentato dal mito della polis romana e dal culto della personalità, preferiscono la rappresentazione ridimensionata di un ambiente ristretto di estrazione locale o regionale.

In linea con i contenuti, anche il loro linguaggio è ostinatamente semplice e lineare; pertanto, sia la parola ricercata, evocativa ed oratoria di stile dannunziano sia la retorica e l’artificiosità dei monologhi o dei dialoghi del Duce con le masse, giocati nella consapevolezza di persuadere e affascinare le folle, diventano inaccettabili per chi, attraverso la letteratura, cerca di dare risposta a una necessaria ricerca di verità.

3 SIBYL SIEGRIST STAUBLI, Palazzeschi romanziere: fra sperimentalismo e tradizione. Lettura semiotica

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In questo quadro culturale così genericamente accennato che prevede, da parte della narrativa, un avvicinamento e una maggiore attenzione alla realtà quotidiana e all’universale condizione umana, si distingueranno diverse personalità letterarie, ciascuna delle quali svilupperà una propria poetica e sensibilità destinata a caratterizzare i principali filoni narrativi della letteratura italiana dagli anni Trenta sino alla fase più intensa del successivo Neorealismo.

Al modello di romanzo appena delineato sono da ascrivere, tra i tanti, i capolavori di Elio Vittorini Il garofano rosso e Conversazione in Sicilia, le opere di Vasco Pratolini Il quartiere, Le amiche, Mestieri da vagabondo, come pure Canne al vento di Grazia Deledda o Paesi tuoi di Cesare Pavese nonché gli scritti di autori di tardo riconoscimento quali Un uomo provvisorio e Ladro di galline di Francesco Jovine o Gente in Aspromonte del calabrese Corrado Alvaro.

2.1.2 Percorso editoriale del romanzo, contenuto e giudizio della critica contemporanea e recente

Con Sorelle Materassi, anche Palazzeschi rientra in parte all’interno di questa schiera di scrittori. Lo accomuna ad essi la scelta per il suo romanzo di un’ambientazione ristretta come quella del quartiere fiorentino di Santa Maria a Coverciano, l’orientamento verso storie di vita semplice, come quella di due ricamatrici di provincia, Teresa e Carolina, oltre che la dichiarata polemica anti-borghese.

Il successo4 derivato dalla pubblicazione del libro è praticamente

immediato: l’opera raggiunge le 170.000 tirature5 e diventa un vero e

proprio best-seller, uno dei libri più venduti considerando il periodo 1918-1943.

4 Sul sicuro successo dell’opera, si pronuncia positivamente anche Antonio Baldini, alla vigilia della

pubblicazione a puntate del romanzo sulla rivista «N.A.» di cui è direttore. Scrive l’editore a Palazzeschi in una lettera datata 11 maggio 1934: «Carissimo Aldo, ho finito le Sorelle. […] Ha tutti i numeri per piacere a tutti, ai lettori semplici e a quelli raffinati, agli uomini e alle donne, ai grandi e ai piccini, ai formalisti e ai contenutisti. Sarà un successone. […]», Baldini a Palazzeschi in BALDINI, ANTONIO / PALAZZESCHI, ALDO, Carteggio (1915-1960), a cura di M. Bruscia, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 1989, p. 65.

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Il romanzo è ambientato nella periferia di Firenze e precisamente nel quartiere di Santa Maria a Coverciano; protagoniste sono due sorelle nubili e attempate, Teresa e Carolina, esperte ricamatrici e abili sarte che, presso la loro dimora «arsenale»6, lavorano instancabilmente giorno e

notte per mandare avanti un’impresa di produzione di corredi raffinatissimi ed eleganti per la più alta e benestante borghesia fiorentina. Nella loro casa vivono insieme ad altre due donne: la bella ma rancorosa Giselda, la sorella più piccola delle Materassi, accolta di nuovo in famiglia dopo essere stata abbandonata dal marito, e Niobe, la schietta e fedele domestica, espressione della popolarità più incontaminata e gioviale che da anni assiste affettuosamente le sorelle nella conduzione della casa. La vita quotidiana e lavorativa delle Materassi scorre tranquilla e abitudinaria fino all’arrivo del giovane Remo, loro nipote e unico figlio della quarta e ultima sorella, terza in grado di età, l’ «umile e incolore»7 vedova Augusta,

morta in Ancona a causa di un’improvvisa malattia. L’ingresso di Remo nella vita delle Materassi è come un fulmine a ciel sereno: bello, elegante, dai modi aggraziati, il nipote attira tutte le attenzioni delle zie che, affascinate e prese da lui, iniziano ad assecondare ogni sua aspirazione e a sottomettersi alla sua volontà. A poco a poco Remo diventa l’oggetto del desiderio affettivo ed erotico non solo delle vecchie sorelle zitelle, che nel nipote trovano la valvola di sfogo di vecchie passioni amorose ormai sopite e represse, ma anche di Niobe la quale, al contrario delle padrone, non perde mai occasione di esprimere il proprio entusiasmo e la propria attrazione per il giovane. Remo, dal canto suo, intuisce fin da subito il forte ascendente che possiede sulle zie e inizia così a trarne vantaggio, sperperando tutti i risparmi e i profitti familiari in belle auto e feste lussuose. La vita parsimoniosa, rigorosa e austera delle sorelle appartiene al passato: la produzione di ricami entra in crisi, la fama e la vecchia clientela si dissipano nel nulla, il vecchio benessere economico è ormai un ricordo e le sorelle sono costrette a vendere case e poderi e ad indebitarsi

6 Sorelle Materassi, p. 37. 7 Ivi, p. 62.

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a causa delle continue spese del nipote. Questi riesce, però, a sfug gire al declino della famiglia grazie a un fortunato matrimonio con una giovane ragazza americana di nome Peggy che lo porta con sé negli Stati Uniti. Povere, vecchie e abbandonate da tutti, perfino da Giselda, l’unica ad aver intuito la realtà della situazione, alle sorelle non resta altro che la compagnia di Niobe e la consolazione del ricordo dei tempi passati, testimoniati da vecchie foto di Remo. Il ragazzo viene celebrato e venerato come un dio, tanto che le due Materassi decidono di ricavare una gigantografia da un suo ritratto in costume da bagno e di appenderla nella stanza principale della casa dove anche le donne del vicinato entrano per ammirare la bellezza del giovane e per ordinare preziosi capi di biancheria che Teresa e Carolina confezionano nella speranza di una difficile ripresa economica.

La scelta del titolo «Sorelle Materassi» e il contenuto sono spiegati dallo stesso Palazzeschi in una lettera del 1933, inviata al redattore romano della rivista Nuova Antologia, Antonio Baldini:

«Il titolo è il seguente: Sorelle Materassi. E per tua tranquillità di direttore aggiungerò che Sorelle Materassi non è un casino, anzi tutto il contrario, sono delle piccole e brave ricamatrici di bianco alle quali per i casi della vita vengono a svilupparsi tardivamente e confusamente i sentimenti elementari della donna: maternità e amore. Una vicenda modesta con un po’ di colore»8.

Fin da principio, dunque, è lo stesso autore a mettere l’accento sul significato, letterale e figurato, del romanzo: «Sorelle Materassi senza articolo, a indicare non tanto le tre interessate […], ma il marchio, la griffe si direbbe oggi, dei loro finissimi lavori di ricamo, al cui contrasto risalta la lettera più grossolana e casalinga del cognome»9.

Lo scambio epistolare tra Palazzeschi e Baldini, negli anni in cui la rivista «Nuova Antologia» pubblica la prima edizione di Sorelle Materassi a puntate, è di notevole interesse non solo per seguire l’intera evoluzione editoriale del romanzo (dalle prime stesure, alle successive rielaborazioni

8 GIUSEPPE NICOLETTI, op. cit. 1996, p. 60.

9 ADELE DEI, L’ambiguità della nostalgia. Sull’onomastica di Aldo Palazzeschi in Il Nome nel testo.

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e correzioni in previsione della pubblicazione in rivista e in volume), ma anche per conoscere la crescita intellettuale e umana di Palazzeschi durante tutta la fase di produzione dell’opera, con annesse incertezze, dubbi e ripensamenti durante la sua complessa fase di elaborazione.

L’invito di Baldini a Palazzeschi per la pubblicazione del romanzo sulla sua rivista risale al 24 aprile 193310. La notizia che l’autore sta

lavorando ad un nuovo romanzo gli giunge pochi giorni prima da Papini, grande amico dell’autore fiorentino, che lo avverte circa il ritiro di Palazzeschi presso la villa di famiglia a Settignano e della sua ipotetica intenzione di pubblicare il romanzo su «Pegaso».

La risposta a tale invito da parte di Palazzeschi è affermativa: da tempo è infatti preoccupato delle sorti di «Pegaso», che sembra ormai vicina al fallimento11, e confida a Baldini non solo il suo timore di essere

stato dimenticato da scrittori ed editori, ma anche la gioia ritrovata e il grande entusiasmo per essere stato invitato a scrivere per «Nuova Antologia». Da qui, quindi, come da lui richiesto, Palazzeschi si premura di dare a Baldini alcune informazioni utili riguardo alla stesura di Sorelle, alla quale sta già lavorando da circa un anno12 e che ha da poco ripreso una

volta ritornato a Settignano nel ’34: «sarà un romanzetto piccante senza nulla che possa urtare la suscettibilità di nessuno, pur non essendo, s’intende, un pezzo per educande […]»13.

Tra accordi di tipo tecnico, relativi alla data di uscita delle prime puntate o al costo della pubblicazione14, e scherzosi ammiccamenti tra

10 In data 24 aprile 1933 Baldini scrive infatti a Palazzeschi: «[..] mi giunge da Papini una notizia

troppo ghiotta e non posso tenermi dal mettermi anch’io le mani avanti per accaparrare, se possibile, il frutto eventuale del tuo lavoro. Stai facendo un romanzo? Se ne potrebbe avere qualche notizia? Potresti darcelo per pubblicarlo a puntate? […]», Baldini a Palazzeschi, op. cit. 1989, pp.47-8.

11 «[…] In questi ultimi tempi però ne sono avvenute di cosette, e il cavallino alato ha le ali malate,

e in questi ultimi tempi si è temuto per la sua vita da un numero all’altro, […]», Palazzeschi a Baldini, 3 maggio 1933, Ivi, pp. 49-50.

12 «L’anno passato quassù, a Settignano, buttai giù molto rapidamente i primi tre capitoli di un

romanzetto che da un po’ mi girellava per la zucca, però ritornando a Firenze, di Novembre, non ho più saputo lavorarci […]», Ivi, p. 49.

13 Ivi, p. 50.

14 «[…] Parlando di quattrinelli: per far un romanzino della lunghezza che tu dici potresti avere da

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intimi amici15, arriviamo all’11 maggio 1934. Baldini ha appena terminato

di leggere per intero il manoscritto dell’opera. Con viva ammirazione ed entusiasmo si congratula con Palazzeschi e annuncia l’avvio della pubblicazione del romanzo per il 1° agosto del ’34.

Da questo momento in poi la corrispondenza tra i due amici è principalmente incentrata sul processo di correzione e revisione da parte di Palazzeschi delle bozze tipografiche delle puntate in procinto di stampa, intervallate qua e là, dalle riconferme da parte di Baldini riguardo alle impressioni positive dell’opera da parte sua e da parte dei suoi collaboratori16.

Terminata la pubblicazione in rivista nel settembre del ’34, in una lettera a Baldini dello stesso mese, Palazzeschi si mostra vivamente soddisfatto e commosso per l’insospettabile successo che la sua opera ha riscosso17 e quindi è sempre più convinto nella decisione di pubblicare il

romanzo in volume in seguito all’offerta di collaborazione della casa editrice fiorentina Vallecchi.

Anche Baldini stesso, questa volta più in veste di amico che di editore, incita amorevolmente Palazzeschi alla pubblicazione del romanzo e promette all’autore «un bell’articolone su “tutto Palazzeschi”»18 sulla

prima pagina della sua rivista in previsione del quasi certo successo editoriale del romanzo Sorelle Materassi che esce finalmente in volume nel dicembre del ’34 19.

15 «[…] l’abito della Signora Baldini era di crespo nero coi pallini gialli e non azzurri […], pallini della

grandezza di un nostro soldo attuale, e quello che mancava pareva che il controllore del treno lo avesse tolto di netto colla sua macchinetta. […]», Palazzeschi a Baldini , 25 settembre 1933, Ivi, p. 57.

16 «[…] Ti scrivo per dirti che quanti hanno messo gli occhi sulle tue Sorelle sono entusiasti, a

cominciare da Federzoni che addirittura non trovava parole per dirmi quanto quel principio gli fosse piaciuto. […]», Baldini a Palazzeschi, 3 agosto 1934, Ivi, p. 69.

17 «[…] Dunque il romanzo pare sia andato abbastanza bene, ho ricevuto molte buone parole e

gentili dalle più disparate persone, alcune delle quali non avevano proprio pressante ragione per scrivermi, ma nelle quali si sentiva soltanto il lettore soddis fatto, e in fondo, sono quelle che ci fanno più piacere. […]» e ancora rivolto a Baldini in persona, «[…] Grazie di cuore. Tanta gentilezza e bontà mi hanno profondamente commosso, troppo oltre il merito mio e del mio lavoro. [..]», Palazzeschi a Baldini, 30 settembre e 2 ottobre 1934, Ivi, p. 74.

18 Baldini a Palazzeschi, 2 ottobre 1934, Ivi, p. 76.

19 A questa data risale infatti una delle ultime lettere di Baldini a Palazzeschi del biennio 1933 -34,

nella quale ringrazia Aldo per il confezionamento del libro: «Ho avuto il tuo libro e ti ringrazio. Vedo con grande piacere che è il successo del giorno, e di stampa – e questo ha una importanza relativa

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L’articolista scelto da Baldini, su suggerimento di Palazzeschi, per dare un primo giudizio critico in rivista sull’opera è Alfredo Gargiulo20: «[…]

Il bene che dice del tuo libro acquista peso pel fatto che Gargiulo è notoriamente critico terribilissimo […]»21.

L’argomentare di Gargiulo insiste particolarmente sul carattere «palesemente umoristico […] caricaturale e grottesco»22 del racconto che

si fa evidente già a partire dalla lunga descrizione delle colline di Firenze del primo capitolo e si va via, via intensificando fino alla sensazionale caratterizzazione dei personaggi principali.

La tendenza allo «scherzo estroso»23 di Palazzeschi è, secondo il

nostro critico, già stata rivelata al pubblico molto tempo prima di Sorelle, in poesie riuscitissime quali Le beghine o Maria Riparatrice contenute nella raccolta Poemi (1909): pertanto, il romanzo in questione non è altro che da interpretare come la riconferma del suo genio fantasioso e creativo.

Gargiulo riconosce inoltre la grandezza della «tendenza all’essenzialità»24 palazzeschiana. Infatti, per quanto in alcune scene il

nostro sfiori addirittura l’eccesso caricaturale o di compiacimento mancando di misura, riesce miracolosamente a portare alla luce delle profonde verità: i difetti di Teresa e Carolina, pur essendo due personaggi per certi aspetti esasperati, sono in realtà i difetti di tutti, «nella loro totale concretezza»25.

Per quanto riguarda invece il personaggio di Remo, Gargiulo ne parla in qualità di figura sconcertante e avvincente, uno dei personaggi senza dubbio più riusciti della profondità d’ispirazione dell’autore.

Ma non mancano, tuttavia, da parte del critico dei contrappunti come quelli riservati, ad esempio, allo stile e all’uso del linguaggio, sì vivo

– e del pubblico più semplice e appassionato. A quanti l’ho fatto comperare, tutti ne dicono meraviglie.», Baldini a Palazzeschi, 29 dicembre 1934, Ivi, p. 81.

20 ALFREDO GARGIULO, Aldo Palazzeschi (a proposito di «Sorelle Materassi»), «Nuova Antologia», 1°

febbraio 1935 in Letteratura italiana del Novecento, Le Monnier, Firenze, 1958, pp.499 - 508.

21 Baldini a Palazzeschi, 29 gennaio 1935, op. cit. 1989, p. 87. 22 ALFREDO GARGIULO, op. cit. 1958, pp. 499-500.

23 Ivi, p. 500. 24 Ivi, p. 503. 25 Ibidem.

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e colorito ma «ammonitorio», anche se al servizio di un «realismo […] essenziale» e di un’umanità «necessaria»26 come si confà al periodo

maturo del poeta.

Palazzeschi sembra soddisfatto del disegno che questo ancora giovane ed emergente critico fa della sua opera, se si esclude quella sua bocciatura nei confronti dell’ambientazione ottocentesca del romanzo, che al contrario, lui sente in verità come punto di forza, intendendo l’Ottocento come epoca ricca di quel «colore di dramma» da sempre da lui insistentemente ricercato.

Da Gargiulo in poi, molti saranno i critici che si interesseranno alla recensione dell’opera che, ad oggi, risulta essere la più venduta dell’autore toscano.

2.1.2.1 La critica contemporanea

Tra i pareri più autorevoli e immediati pubblicati a cavallo tra il 1934 e il 1935, si ricordano qui quelli di Pancrazi, De Robertis e Solmi.

Nell’articolo dal titolo già di per sé significativo, Umorismo e umanità di Palazzeschi, Pancrazi27 riconferma la tesi già avanzata da

Gargiulo riguardo a una continuità di tono tra il vivace immaginario delle poesie e le colorite tipizzazioni delle Sorelle. L’anello di giuntura è però rappresentato dalla raccolta Stampe dell’Ottocento, nella quale per Pancrazi è già evidente l’intenzione dell’autore di far rientrare, all’interno di un progetto più vasto28, quella serie di «donnette, […] vecchie e

vecchine» che, «nei cori buffi delle Poesie»29 avevano già fatto sentire la

loro voce.

Insistendo sul carattere popolare dell’umorismo di Palazzeschi, Pancrazi ne celebra la peculiarità tutta sua di riuscire, nel modo di raccontare, a toccare anche punti coloritamente carichi di oscenità, ma

26 Ivi, pp. 507-8.

27 PIETRO PANCRAZI, op. cit. 1934, pp.30-36.

28 «[…] Dico davvero: leggendo le Stampe,e specie quelle più articolate, talvolta veniva fatto a noi

di pensare che lì c’era materia e sentimento per un quadro più grande; […]», Ivi, p. 30.

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come diremmo oggi, con classe, senza mai essere volgare e mantenendo quella lievità d’ingegno che riesce a velare con eleganza anche il commento più diretto.

Se dovessimo trovare un’immagine che sintetizzi l’opinione di Pancrazi riguardo al romanzo, questa sarebbe quella della parabola: dopo un inizio caratterizzato da un’ «introduzione topografica un po’ lunga» e dove le figure, a suo parere, faticano «a crescere, a diventare», segue il picco narrativo rappresentato dall’introduzione del personaggio di Remo30:

«Direi che l’invenzione di Remo ha avuto un effetto vivificante, oltre che sulle Materassi, anche su Palazzeschi che non aveva mai acceso tanti e così scoppiettanti razzi alla sua girandola, come adesso per lui»31.

Ma qui il Pancrazi va oltre e riesce ad intuire qualcosa nella simpatia particolare che l’autore prova verso questo suo incorreggibile personaggio che, forse, vorrebbe lasciar rivelare altro di più ma non può: bisognerà aspettare infatti la pubblicazione dell’Interrogatorio affinché chiarezza venga fatta:

«Ma nell’invenzione di Remo c’è qualcosa di più. Dire umorismo, non basta: quando Palazzeschi parla di Remo, a volte sorprendi in lui un altro sentimento: quel bel ragazzo, quel suo piacere sano e animale di vivere, quella gioia e quel riso che da lui si propagano, non solo gli piacciono, ma anche un po’ lo commuovono […]»32.

Se Remo rappresenta il punto più alto di questa parabola immaginaria, la sua partenza per Venezia e dunque la sua fattiva uscita di scena per un cospicuo lasso di tempo della storia, segna per il critico la fase discendente del romanzo, tanto del racconto, quanto dei registri dell’umorismo palazzeschiano. Quest’ultimo infatti si tramuta in «buffo» e «grottesco»33 e consuma, in una soluzione sbrigativa come l’escamotage

30 «[…] Quando improvvisamente entra Remo. Remo è la nuova creatura di Palazzeschi; ed è Remo

che fa il romanzo.», Ivi, p. 33.

31 Ivi, p. 35. 32 Ibidem. 33 Ibidem.

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del matrimonio tra Remo e Peggy, quel «piacere germinale e creativo» che aveva generato la «felice invenzione di Remo»34.

Come tale si comporta anche il linguaggio di Palazzeschi, tendendo al ripiegamento verso moduli narrativi già familiari nei momenti del racconto incentrati sulle Materassi, e ritrovando poi nuova carica inventiva quando si tratta di parlare del giovane nipote35.

In generale, dal tono partecipativo e dal trasporto che Pancrazi manifesta nel parlare del romanzo, si coglie subito l’affetto e la stima che il critico prova nei confronti dell’amico Palazzeschi e che fan sì che, a conti fatti, le mancanze del romanzo in rapporto alla riuscita generale dell’opera, risultino quasi inesistenti.

A simpatizzare per l’opera si aggiunge anche De Robertis36 che

ravvisa nella giocondità allusa da Palazzeschi nel primo capitolo, «la regola, il compenso, e quasi la morale, di tutto il romanzo»37.

Nella presentazione dell’opera, si ritrova a suo parere l’ «arida gioia» e la «smania d’allegrezza» dell’Incendiario che, però, in questo romanzo «fanno un più ricco impasto e offrono la prova forse più alta che l’arte di Palazzeschi abbia finora tentata»38.

Per l’autore egli parla di «compassionevole satira […] alleggerita dal riso», di abilità da regista nell’alternare partecipazione e distacco alle vicende narrate oltre che nel guidare il lettore a prendere le parti ora dell’uno, ora dell’altro personaggio.

La maturità autoriale per De Robertis è pienamente raggiunta e qua e là abilmente arricchita con la ripresa di quella «musicalissima potenza del riso»39 punto di forza dei suoi esordi da incendiario. Tale

sovrapposizione di elementi e di riprese dimostrano «la fedeltà di Palazzeschi a se stesso, la sua coerenza e il conseguente arricchimento

34 Ivi, p. 36.

35 «Quando invece c’è in primo piano Remo nei suoi momenti più felici, nel suo inventarsi, tutt’altro

è lo stile di Palazzeschi: ora tutto vivo della stessa gioia delle cose; ora un po’ dinoccolat o, un po’ molle […]», Ibidem.

36 GIUSEPPE DE ROBERTIS, op. cit. 1940, pp. 170-74. 37 Ivi, p. 171.

38 Ibidem. 39 Ivi, p. 173.

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dell’arte sua», la sua tendenza a non svelare mai le sue ragioni, elemento anch’esso presente nel romanzo, e a risolvere/non risolvere il tutto in una soddisfacente risata liberatoria.

Peccato che per il De Robertis la parte più riuscita dell’opera si concentri solo nell’ultima parte: egli infatti boccia inesorabilmente tutto il romanzo fino alla comparsa sulla scena di Remo, giudicandolo troppo lento, manieristico, eccessivamente rallentato anche a livello stilistico, per quell’ostinazione di Palazzeschi a «comporre per successioni»40 dovuta al

suo mancato coraggio di sperimentare moduli narrativi più impegnati. Non è dello stesso parere Solmi41 che invece, in relazione allo stile

delle Sorelle, parla di «sciolta musica del racconto» e di «esattezza leggera della notazione e del dialogo»42, invero ancora a uno stadio immaturo

rispetto a un’opera di già raggiunta maturità intellettuale come Senilità di Svevo, ma non per questo immeritevole di riconoscimento, tenendo in considerazione il fatto che, per i due autori, si parla di un differente uso di registro. Rispetto alla serietà di narrazione dell’autore triestino, Palazzeschi predilige il gioco e il riso, ma come il primo, mette a nudo gli «strappi e le dissonanze»43 che si avvertono tra volontà individuale e vita.

Se c’è un punto che in Palazzeschi sembra peculiare, quello è per Solmi il suo «fiorentinismo»44, da intendere non in un’ottica si svalutazione

nel senso di provincialismo, bensì come elemento distintivo di realismo e accentuata umanità.

Il problema del difficile equilibrio tra principio di piacere e principio di realtà che possiamo considerare il tema portante di tutto il romanzo è, in ultima analisi, rintracciabile per il critico nella figura di Remo: «si direbbe che in questo suo protagonista Palazzeschi abbia raffigurato, semplicemente la vita che insieme ci incanta e ci offende, e il dolore incessantemente traduce in illusione»45.

40 Ivi, p. 171.

41 SERGIO SOLMI, op. cit. 1963, pp. 153-162. 42 Ivi, p. 159.

43 Ivi, p. 162. 44 Ivi, p. 160. 45 Ivi, p. 161.

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47

Se c’è un punto però sul quale il parere, non solo dei critici appena citati, ma anche di altri studiosi coevi converge, è nel rimprovero a Palazzeschi di un incipit di romanzo troppo lungo e poco omogeneizzato al resto dell’opera, che ha creato non pochi pareri discordanti nella critica a venire: mentre De Robertis nota nell’intenzione palazzeschiana una passiva e non riuscita, seppur ambiziosa, «voglia di rifare (perdonate!) l’esempio di Quel ramo del lago di Como […]»46 e il Miccinesi47, in linea con

Borgese, giudica questo primo capitolo come «avulso» dal romanzo, Antonielli48, a ragione, vede nella digressione paesaggistica non un

semplice esercizio retorico, bensì un fondamentale ideologico che collabora all’intento espressivo dell’opera tutta.

Come evidenzia a ragione la Staubli49, nessuno, neanche la critica

recente, ha in seguito smentito tale parere, sbagliando in verità, in quanto anche Firenze è, se vogliamo, con la sua toponomastica fortemente caricata di valore affettivo e di suggestioni letterarie, una delle protagoniste del romanzo che ci aiuta a conoscere meglio il contesto nel quale si svolgerà la vicenda.

Ma questo discorso sarà ripreso più avanti nel momento dell’analisi dell’opera.

Tornando al parere della critica sul libro, un altro punto di convergenza di giudizio va a favore del personaggio di Remo, di comune accordo accettato come una delle creazioni più riuscite venute fuori dalla penna di Palazzeschi. Abbiamo visto come Pancrazi attribuisca il successo dell’opera quasi esclusivamente alla felice invenzione di questo personaggio, vero reggente dell’intero intreccio narrativo. Critici minori si sono invece interrogati a torto riguardo al valore morale che Remo all’interno del romanzo dovrebbe rappresentare. Dico a torto perché, leggere i singoli personaggi come l’intera opera sotto una luce puramente

46 GIUSEPPE DE ROBERTIS, op. cit. 1940, p. 171. 47 MARIO MICCINESI, op. cit. 1972, p. 67.

48 ANTONIELLI cit. in WILLI HIRDT, Superbia punita. Su Sorelle Materassi, in L’Opera di Palazzeschi. Atti

del Convegno Internazionale Firenze, 22-24 febbraio 2001, a cura di Gino Tellini, Leo S. Olschki,

Firenze, pp. 345-6.

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48

moralistica è un errore che bisogna guardarsi bene dal commettere e che, d’altronde, anche lo stesso Palazzeschi ci invita a non fare, intervenendo costantemente ad arte con la sua ironia in quei punti del racconto che, se non abilmente smorzati, scadrebbero in toni eccessivamente affettati e patetici. La riflessione deve sì seguire al riso, ma senza correre il rischio, anticipandolo, di negarlo del tutto così da bloccare in principio la funzione liberatoria: è questo il messaggio che bisogna sempre sottendere, seguendo la volontà di Palazzeschi, nella lettura dell’opera.

In ultimo, è da evidenziare un punto non meno importante di discussione all’interno dei pareri della critica, ovvero quello legato ad un’interpretazione realistica dell’opera.

Per quanto Palazzeschi faccia grande ricorso alla caricatura nella descrizione dei suoi personaggi, questi, insieme alle vicende e agli episodi narrati, poiché tendenzialmente verosimili, sono per molti critici50

facilmente interpretabili secondo una lettura realistica.

La potenza realistica dei protagonisti starebbe infatti nella loro essenzialità, nell’eccesso descrittivo che diventa lente di ingrandimento di difetti, vizi e paradossi appartenenti all’intero genere umano.

Qui, però, tocca piuttosto dare ragione al parere di Baldacci che giudica Teresa, Carolina e Remo, non come personaggi veritieri, ma come personaggi ideali, dei tipi inseriti non in un mondo reale, «bensì [in] un mondo ricostruito ed essenzialmente compromesso nella sua validità artistica e morale»51.

Questo giudizio è dovuto ad una convinzione di Baldacci, il quale vede in Palazzeschi un’umanità più teorica che pratica, in quanto la sua estrazione sociale lo rendeva di fatto incapace di comprendere a pieno le dinamiche di una dimensione, come quella borghese, alla quale lo scrittore fiorentino si diverte soltanto a far finta di appartenere:

50 Si fa riferimento nuovamente al parere del Pancrazi e a quello di Tonelli e di Sigillino, quest’ultimi

due critici coevi all’autore toscano, rispettivamente autori dei due articoli: Aldo Palazzeschi, Sorelle

Materassi, in «L’Italia che scrive», gennaio 1935 e In libreria. A. Palazzeschi – A. Gatto, in «Corriere

Padano», 30 marzo 1935.

(17)

49

«il fanciullino iconoclasta non dispone di vere esperienze di vita, e in quella ricostruzione già di per sé così precaria, le intenzioni di parlare un linguaggio realistico cozzano con una connaturata povertà di “esperienze”»52.

Per Baldacci si può parlare meglio di romanzo naturalista,53 se si

considera il fatto che i personaggi sono inseriti in un contesto di realtà apparentemente verosimile, ma questo non può risultare sufficiente a una definizione di Sorelle come esempio di realismo.

Su tale considerazione Baldacci si accosta all’unico parere critico discordante sul libro, quello di Elio Vittorini che, a poca distanza dall’uscita del romanzo dichiara: «[…] a me il romanzo non piace… il tono dell’opera è casalingo e i personaggi si impongono al lettore, dico si fanno sentire, per via soprattutto del puzzo che trasudano dalle gonne e dai piedi […]»54.

Parere questo alquanto duro e sprezzante che, però, non finisce coll’urtare la sensibilità di Palazzeschi, un po’ perché l’autore si mostra rincuorato dalla maggioritaria quantità di pareri positivi, un po’ perché di indole tendenzialmente aperta a ogni possibilità di giudizio.

2.1.2.2 La critica recente

La critica recente (si intende quella a partire dagli anni Sessanta in poi) si è invece maggiormente interessata alla periodizzazione della produzione letteraria palazzeschiana: è agli anni Settanta che dobbiamo la tendenza alla suddivisione della sua opera in due fasi e alla considerazione del periodo della prima guerra mondiale come spartiacque di due momenti letterari distinti.

Scendendo nel particolare, in riferimento al giudizio

esclusivamente sul romanzo di Sorelle e tralasciando i critici più corrivi, è bene ricordare in questa sede, come fatto in precedenza, il parere di alcuni tra i conoscitori più autorevoli di Palazzeschi della seconda metà del

52 Ibidem.

53 LUIGI BALDACCI in S. S. STAUBLI, op. cit. 2001, pp. 25-26.

54 ELIO VITTORINI, Il romanzo di Palazzeschi, su «Il Bargello», 17 marzo, 1935, cit. in GINO TELLINI,

(18)

50

secolo, come quello di Luigi Baldacci, di Giorgio Pullini, Mario Barenghi, Gino Tellini e il recentissimo Marco Marchi.

Sul pensiero di Baldacci si è già detto in precedenza ma, se si può ancora aggiungere qualcosa, sta bene precisare che si deve proprio al suo parere critico la sostanziale svolta di giudizio nei confronti del primo Palazzeschi. Possiamo infatti dire che egli non vuole svalutare totalmente l’opera delle Sorelle Materassi (giudicandola, senza dubbio, un’opera originale) insieme alla maggior parte della produzione matura dell’autore toscano, bensì rivalutare e riqualificare la prima produzione giovanile, in quanto veramente libera e spontanea, totalmente priva di quei condizionamenti di convenzione e di regolarità comprensivamente imposti dalla norma letteraria del primo dopoguerra.

Per quanto riguarda il parere di Pullini, tra l’altro autore della prima completa e rigorosa biografia del poeta fiorentino55, egli è convinto al

contrario che il cosiddetto periodo della maturità di Palazzeschi sia quello più riuscito dell’intera sua produzione letteraria e che Sorelle Materassi sia da considerare un gran romanzo, in quanto ritratto sintetico “a colori” di aspetti socio-culturali appartenenti a un’epoca di passaggio significativa della nostra storia italiana, come quella a cavallo tra l’ Ottocento e il Novecento.

Sono vicini poi i pareri di Barenghi e Tellini riguardo alla valutazione della cosiddetta seconda fase palazzeschiana intesa non come un ripiegamento su vecchi canoni di narrativa tradizionale, bensì come testimonianza di un tentativo di rinnovamento letterario in vista degli evidenti mutamenti storico-sociali provocati dalla guerra.

Per spiegare lo spirito letterario di Palazzeschi e il suo rapporto col clima culturale dell’epoca, Barenghi56 ricorre a due riferimenti

fondamentali da ritenere al pari di due linee-guida all’interno del percorso dello scrittore. Il primo è il motivo della vita, da non confondere né con il superomismo dannunziano né con l’aggressività dell’interventismo

55 GIORGIO PULLINI, op. cit. 1965.

(19)

51

futurista, bensì da intendere come vitalismo «incline a tingersi di populismo […] quello del fatalismo semplicistico e buonsensaio»57

conforme alla sua indole dichiaratamente pacifista; l’altro motivo fondamentale è rappresentato dal «correlativo e contrario […] principio di non-vita, di opposizione o di rinuncia alla vita»58. Tale contraddizione

interiore trova degna motivazione nella personalità tendenzialmente ambigua del nostro autore e si mostra in perfetta linea anche con quel principio di umorismo che sarà la chiave d’interpretazione principale di molte sue creazioni letterarie, specie della maturità e quindi anche delle Sorelle.

Per questo motivo, secondo Barenghi, nascendo l’umorismo dalla coscienza di tale contraddizione e dalla consapevolezza del limite, l’esperienza crudele e tragica della guerra porta finalmente Palazzeschi ad aprire gli occhi di fronte alla realtà dei fatti decretando, attraverso la ripresa di moduli narrativi tradizionali, lo smascheramento del giovanile «velleitarismo»59 e un mutamento di prospettiva che segnerà il definitivo

passaggio dalla poesia alla prosa:

«In altri termini, se lo choc della guerra e l’esperienza più largamente umana che ne consegue rendono Palazzeschi consapevole del carattere meramente letterario del suo rivoluzionalismo, le successive prove attestano non un piatto ritorno alla tradizione, ma uno sforzo di rinnovamento sulla base di quella stessa valutazione critica»60.

Venendo a Sorelle Materassi, egli dunque giudica il romanzo come esempio più concreto del passaggio dell’autore dalla «lirica teatralizzata» (Codice di Perelà) alla «teatralizzazione della narrativa», dal punto di vista della Vita a quello della Forma61.

57Ivi, p. 144. 58Ibidem.

59 Ibidem. 60 Ivi, p. 148.

61 «[…] la teatralizzazione è la forma specifica dell’umorismo di Palazzeschi. Per questo egli rimase

sempre, in qualche maniera, a metà strada. Come, sul piano biografico, pur non diventando attore di professione compì una svolta decisiva preferendo gli studi di arte drammatica a quelli commerciali, così, sul piano letterario, non fece mai del teatro ma ottenne dei risultati migliori quando seppe delineare nelle sue opere un’effusa atmosfera di teatralità», Ivi, p. 142.

(20)

52

Anche per Barenghi «madornale errore»62 è giudicare il romanzo

come esempio naturalista, ma è invece da intendere, proprio in virtù di questo spostamento verso il teatro, come rappresentazione scenica della realtà, in cui il narratore non è per niente impersonale, ma partecipa alle vicende narrate assumendo con saggia alternanza ora l’uno, ora l’altro punto di vista dei personaggi e praticando quel «rovesciamento ironico del sublime»63 che, con sommo dispiacere del critico e anche nostro, rimase

soltanto un atteggiamento del suo umorismo e non fece mai in tempo a tramutarsi in un suo reale interesse verso una scrittura seria per il palcoscenico.

«Di siffatta mutazione» verso il gusto della deformazione e del rovesciamento, dice Gino Tellini, «le Sorelle Materassi sono l’esempio più alto»64.

Se infatti il Codice di Perelà è la testimonianza più illustre della giovinezza palazzeschiana, le Sorelle Materassi lo sono, a suo parere, per quanto riguarda la fase matura.

In particolar modo, il critico si sofferma sull’aspetto linguistico del romanzo, parlando di una prosa «tagliente e colloquiale, franca e stralunata, lieve e corposa», ma soprattutto «intinta di colore locale»65.

Come Solmi anche Tellini riconosce nella «toscanità» l’elemento distintivo e caratterizzante della scrittura di Palazzeschi, depurata da tratti eccessivamente vernacolari e trattata dall’autore come garanzia di «schiettezza naturale»66.

62 Ivi, pp. 150-51. 63 Ivi, p. 142.

64 GINO TELLINI, Introduzione, op. cit. 2004, p. CXVI.

65 Ivi, p. CXVIII.

66Ibidem. Dice ancora Tellini a riconferma del concetto di toscanità in Palazzeschi: «Si tengano presenti le raccomandazioni (a Fabio Storelli) riguardo al copione dello sceneggiato televisivo tratto nel 1972 dal romanzo: “Questo il solo consiglio da parte mia svernacolare per quanto possibile pure restando il tono fiorentino al cento per cento”.», Ivi, p. CXVIII. Questa precisazione da parte del Tellini ci è molto utile in quanto testimonianza di una diretta partecipazione alla realizzazione della sceneggiatura del romanzo da parte dello scrittore fiorentino, oltre ad essere conferma di quanto Palazzeschi fosse particolarmente attento alla veste linguistica dei dialoghi come elemento caratterizzante dei suoi personaggi. L’argomento verrà affrontato più approfonditamente nei capitoli successivi.

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53

Al di là della veste naturalistica, la forza del romanzo è tutta concentrata nella serie di allusioni, lampi rivelatori, gesti inconsulti ed epifanie del represso che sottostà a un procedere narrativo apparentemente innocente e spensierato. Il romanzo di Palazzeschi è la celebrazione vitalistica della corporeità; egli più di altri ha saputo «leggere il linguaggio cifrato» del corpo, della femminilità attraverso l’assopita sessualità delle due zitelle attempate, per le quali il fatidico incontro con Remo rappresenta «la scossa» perturbante che risveglia i loro corpi e i loro impulsi verso la vita, che «s’impadronisce della loro volontà e delle loro sostanze», lasciandole prive di tutto, ma ricche di un amore mai conosciuto e finalmente assaporato.

Teresa e Carolina da un lato e Remo dall’altro mettono in scena a veduta del Tellini un attrito sconvolgente «tra due mondi distinti», l’Ottocento e il Novecento, e meglio ancora tra due facce della stessa medaglia-personalità di Palazzeschi, fatta di tradizione e rivoluzione, norma e anti norma, «allegrezza e dolore, comicità e violenza, ironia e pietà, dramma e melodramma, comprensione e sarcasmo» che si traduce, a livello narrativo, in «un’autobiografia coraggiosamente trasposta» come ben aveva saputo sintetizzare Gianfranco Contini nella sua Introduction à l’étude de la littérature italienne contemporaine nel 194467:

«Determinante per il significato complessivo, non è la vertenza sul naturalismo o meno. Determinante è il bifrontismo [..] Il dissidio non è in lui [Remo], ma nelle due zie, consapevoli e sgomente, ammaliate e umiliate, ridestate alla vita e travolte, sbattute tra l’euforia e le lacrime. Sul tema dell’eros […] si innesta il tema della ragione e della dignità sottomesse a impulsi emotivi che espropriano alla padronanza di sé, fino alla dissennatezza»68.

In ultima istanza si ricordano le recenti analisi del romanzo, giudicate «assai fini» dal Baldacci69, da parte di Marco Marchi, che nel suo

Palazzeschi e altri sondaggi pubblicato nel 1996, riesce a mettere a nudo alcuni aspetti salienti di Sorelle Materassi in maniera nuova e originale.

67 GIANFRANCO CONTINI, cit. in GINO TELLINI, Introduzione, op. cit. 2004, p. CXXIII. 68 GINO TELLINI, Introduzione, op. cit. 2004, pp. CXXIII-IV.

(22)

54

Secondo Marchi, il romanzo non è altro che una versione moralisticamente e culturalmente filtrata70 di un altro importante

romanzo palazzeschiano, composto quasi un decennio prima di Sorelle ma mai pubblicato in vita: l’Interrogatorio della Contessa Maria.

Sappiamo, infatti, che questo romanzo è uscito postumo nel 1988, anche se, secondo la critica, sostanzialmente concluso intorno agli anni Venti. La mancata pubblicazione subito dopo la stesura è da accreditare, giustamente, secondo il Marchi, da un lato al congenito atteggiamento autocensorio di Palazzeschi, da sempre portato, come aveva già fatto in precedenza con Kore e Perelà, a occultare i propri turbamenti interiori in figure «artisticamente formidabili» e stilizzate e dall’altro, ad un contesto storico che si stava avviando verso un processo di normalizzazione e perbenismo imposto dal Regime.

Egli, dunque, a quell’altezza storica, non ritiene né se stesso pronto a rivelare al pubblico questo suo «personaggio dell’anima in tutti i sensi estremo» come lo è quello della contessa Maria, né pronto il pubblico stesso ad accogliere l’opera, in quanto ormai pienamente intriso di convenzione e bigottismo.

Ne l’Interrogatorio Palazzeschi «si sdoppia: è il giovane poeta che interroga ed è la più matura contessa, disposta quanto le piace a lasciarsi interrogare e a rivelarsi»71.

I temi dello sdoppiamento, del rispecchiamento,

dell’interrogatorio sono tutti presenti in Sorelle Materassi, proiettati e riflessi sull’altro, ma in realtà interamente intrinseci alla persona dell’autore che, ancora una volta, non ha il coraggio di parlare di sé in prima persona ma preferisce nascondersi dietro le maschere dei suoi personaggi. In Sorelle Materassi confluiscono, secondo il Marchi, tutti i suoi precedenti lavori, sia poetici sia narrativi, tutti, in grande o in minima

70 «[Sorelle Materassi è] il risultato narrativo di una storia di degenerazione (sia pure

palazzeschianamente riscattata dal lieto fine) […] in chiave contaminata (potremmo anche dire di compromesso) molto proficua, pseudorealistica e pseudonaturalistica», MARCO MARCHI, op. cit. 1996, p. 65.

(23)

55

parte, incentrati sul grande tema dell’omosessualità che solo nell’Interrogatorio è finalmente affrontato con chiarezza, senza pudore e senza vergogna, un’opera coraggiosa che ha consentito alla critica recente di mettere al vaglio e di reinterpretare sotto una nuova luce l’intera produzione palazzeschiana.

Dopo un’attenta analisi della personalizzazione delle tematiche portanti di Sorelle (dal tema del travestimento, a quello della femminilità respinta o del vitalismo travolgente impersonato da Remo), Marchi arriva infine a domandarsi quanto Palazzeschi avesse consapevolezza delle implicazioni testuali legate al tema dell’omosessualità al momento della stesura dell’opera e quanto si sia lasciato condizionare nel processo di revisione del romanzo dalla propria tendenza all’ autocensura e dalle imposizioni moralistiche del contesto storico corrente.

Marchi, riscattando l’opera dalla superficialità di un giudizio che la aveva per troppo tempo definita «romanzo quant’altri mai romanzo», giunge alla conclusione che con Sorelle Materassi si realizza a livello letterario un tema quanto mai centrale e noto alla scrittura di Palazzeschi: il tema del «fascino della rinuncia»72. A sostegno del suo assunto il critico

fa riferimento a due considerazioni; la prima, di tipo editoriale, riguarda le correzioni che Palazzeschi, in occasione della pubblicazione in rivista, si preoccupa di apportare in alcuni passi del romanzo eccessivamente provocatori e lascivi su suggerimento dell’amico Baldini e la seconda, di tipo testuale, concerne il motivo dominante della femminilità straniante come spia di sentimenti ambigui quali l’amore e il sesso.

Come, quindi, dal mal d’amore nascono paradossalmente le storie letterarie d’amore più intense, così dalla rinuncia di Palazzeschi alla piena realizzazione della sua identità personale, incanalata nel mondo della finzione letteraria, si generano personaggi e situazioni densi di significati che ci rivelano la complessa e profonda natura di uomo e di poeta dell’autore di Sorelle.

(24)

56

2.2 Palazzeschi, gli anni del Regime e il mito della

giovinezza

Prima del recentissimo parere del Marchi, prima ancora che si arrivasse, con la svolta critica del Baldacci, ad un recupero d’interesse verso l’autore fiorentino e ad una riconsiderazione della sua opera, il romanzo Sorelle Materassi, in quanto scritto e pubblicato durante gli anni del Regime, è per lungo tempo annoverato tra la letteratura fascista d’evasione caratterizzata da un grande successo di pubblico ma tendenzialmente priva di un impegnato messaggio morale. Trae in inganno la quasi completa assenza del motivo storico all’interno del racconto73, in

parte semplicemente accennato o alluso in un contesto quasi a-spaziale e atemporale.

Questo parere senza dubbio affrettato e per nulla veritiero, va conseguentemente a influenzare il giudizio sull’autore, portando i critici ad avanzare addirittura dei dubbi riguardo al suo reale anti-fascismo e a scambiare l’esaltazione da parte sua del mito della giovinezza tramite il personaggio di Remo, come un’accondiscendente accettazione delle idee propagandate dal Regime fascista.

In realtà, come è facilmente ricavabile da altri testi dello stesso autore74, ma anche dalle sue pubbliche affermazioni, egli è da sempre

ostile tanto alle guerre, quanto alla dittatura e, per tale ragione, un’interpretazione filofascista di Sorelle Materassi è obiettivamente da escludere.

D’altro canto, per quanto, anche in questo caso, è impossibile stabilire fino a che punto e in che grado, possiamo ben dichiarare che

73 Il romanzo è infatti ambientato a cavallo dei due secoli, Ottocento e Novecento, e dunque, per

tale ragione, in un contesto ancora estraneo al periodo fascista.

74 Un esempio valido per tutti è il romanzo Due imperi…mancati (1920) nel quale Palazzeschi

esprime con toni polemici e di condanna il proprio disappunto verso i soprusi della guerra e l’insensatezza dell’interventismo bellico.

(25)

57

Palazzeschi, nei confronti del Regime, è da annoverare più nella schiera dei letterati-letterati anziché dei letterati-ideologi75.

Un personaggio come lui, da sempre avverso ai conflitti di qualsiasi natura, tendenzialmente pacifista e aperto più al confronto che allo scontro, non poteva certo fare del proprio romanzo uno strumento di sensibilizzazione dell’ideologismo fascista. Ma, anche se l’incapacità di cogliere di primo acchito messaggi ideologici chiari potrebbe venire facilmente scambiata da una lettura superficiale per silenzio assenso, non bisogna per tale motivo lasciarsi condurre verso interpretazioni errate.

Per quanto riguarda Palazzeschi, infatti, la scelta di “non-belligeranza” letteraria, non significa assolutamente assenza di giudizio; anzi, tecniche narrative quali l’ironia o la satira, come strumenti di lettura della realtà, rendono ancora più sprezzante e pungente il suo sottile tono polemico.

Ritornando al punto di partenza, l’unico elemento che potrebbe apparentemente legare Palazzeschi all’ideologia fascista è dunque il culto della giovinezza e della vitalità impersonati dal personaggio di Remo, figura che, in verità, rispetto alle altre, rimane incolume dal bonario sarcasmo palazzeschiano.

Ma questo personaggio, al contrario di quanto si possa pensare, non rispecchia il concetto di giovinezza inteso secondo la politica di regime, bensì secondo quel principio di giovinezza e di amore verso le giovani generazioni da sempre caro a Palazzeschi:

«È vero che in Sorelle Materassi Palazzeschi ha creato un eroe che, con il suo dinamismo e grazie alla sua virilità e vitalità giovanile, domina gli altri attori. Ma Remo è tutt’altro che un eroe di impronta fascista: non si batte né per l’avventura né per l’onore né per la gloria della nazione. In questo senso è piuttosto un antieroe della vita spontanea e del piacere individuale. […] è un vero profittatore, un perdigiorno»76.

75 Lo dimostrano gli stretti rapporti che Palazzeschi lega, durante gli anni del regime, con i letterati

del gruppo fiorentino di «Pegaso» (poi «Pan»), come De Robertis, Pancrazi, Ojetti, tutti accumunati dal medesimo spirito di opposizione al Regime e totale assorbimento nel mondo dell’arte.

(26)

58

L’ardimento, il vitalismo, la giovinezza, la bellezza, la forza fisica, la romanità sono senza dubbio qualità presenti tanto nel personaggio maschile principale, quanto nel modello di giovane propagandato dal Fascismo. Ma tale legame è piuttosto da intendere come inevitabile riflesso culturale di un prototipo di giovinezza ampiamente reclamizzato nel ventennio fascista che non mancò forse di condizionare in qualche misura anche la già orientata sensibilità palazzeschiana verso i giovani.

La coincidenza tra il mito giovanile palazzeschiano e il mito giovanile fascista giustifica anche, per certi aspetti, l’immediato successo che il libro registra a pochi mesi dalla pubblicazione.

Ma la sovrapposizione dei due modelli di vitalismo giovanile è solo frutto di una casuale coincidenza. Per chiarire meglio le motivazione alla base di questa idea, rimando all’analisi del personaggio di Remo affrontata nel capitolo III.

Qui basterà solo citare un punto di divergenza tra le due concezioni che chiarisca subito l’evidente distanza tra l’autore e l’ideologia fascista: il mito della giovinezza fascista instaura un legame inscindibile con il mito della guerra, celebrata come occasione che si offre alla gioventù per mettere alla prova il proprio spirito di eroismo e combattività. Ovviamente, come è stato ampliamente ripetuto in precedenza, la guerra non solo è dichiaratamente assente come tema all’interno del romanzo, ma non è neppure tra gli argomenti di interesse del personaggio di Remo.

Se però trasferiamo il concetto di lotta dal contesto militare alla dimensione quotidiana del sacrificio, della dedizione al lavoro e alla fatica, allora forse si può realmente considerare un’influenza dei valori della propaganda fascista nella vicenda personale delle due sorelle:

«[…] le due sorelle Materassi sembrano rappresentare in modo esemplare la cultura dell’ubbidienza, del sacrificio, dell’ordine e della sanità morale, propagata non solo dalla Chiesa Cattolica, ma anche sotto il Fascismo»77.

Ma fa bene la Staubli ad aggiungere che «dai commenti ironici del narratore sulla vita austera delle protagoniste si può desumere che

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59

l’istanza enunciante» vuole in realtà «distanziarsi da tale

atteggiamento»78.

Inoltre, le due protagoniste sfatano anche altri due punti saldi dell’ideologia fascista: lo stereotipo di donna moglie e madre esemplare e l’istituzione della famiglia. Teresa e Carolina sono entrambe nubili e senza figli e l’amore che provano nei confronti del loro nipote è per giunta un amore ambiguo che non esprime l’istinto materno e non è neanche amore spudoratamente erotico, poiché sarebbe in tal senso incestuoso e sconveniente.

Pertanto, il romanzo di Palazzeschi è tutt’altro che filofascista, anzi, propone il ribaltamento dei valori del Regime: basti considerare come lo scrittore affronta proprio il tema dell’amore e come ne analizza il potere deformante e deviante per capire quanto siamo più che mai lontani dall’idea di un amore ordinario e nello stesso tempo eroico vissuto da madri prolifiche e da figli virili e forti pronti a immolarsi per il Duce e la patria.

Sorelle Materassi, nato sotto il Fascismo, non è un suo puntello, ma appare l’apoteosi del disordine, della deviazione, della trasgressione che con la norma gioca al cane che si morde la coda, in particolar modo è la celebrazione della diversità, una diversità tollerata che non porta all’emarginazione, bensì devia coraggiosamente verso l’originalità, la specialità, che fa costantemente l’occhiolino a quel principio di omosessualità latente, fil rouge di tutto il romanzo, e che Palazzeschi gioca ad arte a svelare/velare come un bambino che lancia la pietra ma nasconde la mano.

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