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1.1. La produzione letteraria e la ricezione di J.-M.G. Le Clézio

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~ IV ~

1. LE CLÉZIO, “UN ÉCRIVAIN ERRANT”

1.1. La produzione letteraria e la ricezione di J.-M.G. Le Clézio

L’obiettivo di questa parte del commento è di presentare una breve panoramica relativa alla produzione letteraria di Le Clézio e di illustrare alcune delle ragioni della fortunata ricezione di questo scrittore. Il premio Nobel per la letteratura, assegnatogli nel 2008, può essere infatti considerato come la giusta consacrazione di una lunga e brillante carriera. Al momento dell’attribuzione di questa onorificenza, la giuria ha motivato la sua scelta definendo Le Clézio non solo uno scrittore ‹‹de l’aventure poétique et de l’extase sensuelle

1

›› ma anche come ‹‹l’explorateur d’une humanité au-delà et en-dessous de la civilisation régnante

2

››. In effetti questo giudizio sottolinea come la scrittura lecleziana sia una sorta di viaggio che trasporta il lettore in una dimensione che trascende le barriere delle singole realtà, dandogli la possibilità di esplorare altre dimensioni possibili. Senza ombra di dubbio, la storia personale dello scrittore, le sue origini mauriziane, hanno influito non poco sulla sua produzione letteraria, anche per quel che riguarda uno sguardo particolare rivolto all’ailleurs e a tutto ciò che è diverso.

J.-M. G. Le Clézio è nato a Nizza nel 1940, da genitori mauriziani; a parte un breve viaggio in Nigeria all’età di sette anni per raggiungere il padre, la prima fase della sua vita si svolgerà in territorio francese. Ciò nonostante, come si vedrà più approfonditamente, la sua educazione e la sua personalità risentiranno

1 P. Kéchichian , ‹‹Le Clézio, Nobel de la “rupture”››, Le Monde des Livres, 10 octobre 2008.

Consultato in http://www.lemonde.fr/livres/article/2008/10/10/le-clezio-nobel-de-la- rupture_1105439_3260.html, il 19/03/2014.

2 Ibidem.

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inevitabilmente dell’influsso della cultura mauriziana. L’aspetto che colpisce non poco è che Le Clézio seppur nel corso di molteplici occasioni abbia sempre definito se stesso ‹‹plutôt médiocre dans mes études

3

››, in realtà mostri sin dalla prima infanzia non solo un marcato interesse per la lettura di grandi classici della narrativa, ma anche una particolare attitudine alla scrittura; nel corso di una intervista rilasciata a Jean-Louis Ezine, a proposito delle opere precedenti al suo primo romanzo Le Procès-Verbal, pubblicato nel 1963, lo scrittore dichiara infatti:

A sept ans, j’ai commencé par un récit de voyage – j’aimais beaucoup les voyages. Ensuite, j’ai écrit une histoire qui se passait chez les mouettes, où il n’y avait pas d’être humain ‒ c’était déjà un livre écologique! Aujourd’hui, je peux imaginer tout ce qui animait ça. Et puis j’ai écrit un autre roman d’aventure, qui se passait en Inde. […] Tout ces livres, que j’ai écrits entre sept et vingt-deux ans, étaient assez différents les uns des autres; mais j’imagine que vous leur retrouveriez des points communs

4

.

Questa affermazione non fa altro che dimostrare una spiccata sensibilità per i temi che saranno sempre rilevanti nell’opera dell’autore, nonché testimoniare come la scrittura sia per Le Clézio una sorta di talento innato.

C’è da notare che sin dal suo debutto ufficiale sulla scena letteraria francese, le opere lecleziane hanno suscitato l’interesse dei critici nonché di un pubblico di vasta scala. La sua prima pubblicazione, il romanzo Le Procès-Verbal, apparso nel 1963, ha da subito riscosso, infatti, un notevole successo, consentendo a Le Clézio di ricevere il premio Renaudot nel corso dello stesso anno e di balzare sotto i riflettori del panorama letterario francese data la giovane età di ventitre anni. Come è stato rilevato da Bruno Thibault, ‹‹Le prix Renaudot vient révéler un jeune écrivain iconoclaste qui s’inscrit dans la mouvance du Nouveau Roman mais qui annonce aussi, par bien des côtés, l’esprit contestataire de Mai 68

5

››.

Sin dall’inizio, in effetti, Le Clézio si caratterizza come uno scrittore di rottura, richiamando l’attenzione del pubblico e della critica letteraria sui malanni che affliggono la società contemporanea quali il consumismo, il degrado

3 J.-M.G. Le Clézio in J.-L. Ezine, Ailleurs: Entretien avec J.M.G. Le Clézio, Paris, Arléa, 1995, p. 20.

4 Ibidem, pp. 16-17.

5 B. Thibault, J.M.G. Le Clézio et la métaphore exotique, Amsterdam -New York, Rodopi, 2009, p. 9.

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ambientale dovuto al dominio della tecnologia e, con particolare riferimento al Procès-Verbal, al senso di frustrazione e di alienazione dell’uomo moderno verso gli aspetti più opprimenti della società occidentale. A differenza tuttavia di altri autori dell’epoca del maggio francese, nonostante dalle sue opere trapeli una certa verve critica nei confronti della società, Le Clézio non è mai apparso come uno scrittore politicamente engagé; del resto, questo suo volersi mantenere estraneo da ogni sorta di impegno politico sarà una costante di tutta la sua attività letteraria.

Nonostante la sua volontà di rimanere ai margini, tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta, l’attenzione della critica resta costantemente rivolta allo scrittore soprattutto perché, nelle opere di questo periodo, Le Clézio affronta altre tematiche molto in voga in quegli anni negli ambienti letterari francesi, quali il problema del linguaggio e della materia.

Pertanto, da un punto di vista critico, si può individuare una prima fase della produzione letteraria di Le Clézio, corrispondente al decennio 1963-1973, che comprende appunto titoli quali Le Procès-Verbal (1963), La Fièvre (1965), Le Déluge (1966), Terra Amata (1967), L’Extase matérielle (1967), Le Livre des fuites (1969), La Guerre (1970), Les Géants (1973). Questi primi scritti si contraddistinguono oltre che per un sostanziale tono di rottura anche per la presentazione di scenari talvolta apocalittici. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, esiste un consistente numero di opere critiche che analizzano la scrittura profetica che caratterizza la prima fase della produzione dello scrittore, accanto ad opere che evidenziano i legami dell’immaginario lecleziano di questo periodo con motivi mitologici o biblici. Questo filone critico sarà sviluppato a partire dagli anni Settanta da studiosi statunitensi e ciò dimostra come già all’epoca l’opera di Le Clézio avesse valicato i confini nazionali francesi.

In un’intervista rilasciata a Claude Cavallero, a proposito del linguaggio da lui utilizzato nella scrittura nel decennio 1963-1973, Le Clézio afferma:

Ma première tentative fut de nature agressive: il s’agissait de briser des

moules afin de déboucher sur un langage nouveau motivant l’élément

sonore, ou bien utilisant une accumulation, créant une tension électrique, ou

bien modifiant le vocabulaire par référence aux écritures subliminales, c’est-

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~ VII ~

à-dire l’impact que peuvent avoir des mots martelant sans relâche le subconscient d’un lecteur

6

.

Indubbiamente questo tentativo aggressivo da parte di Le Clézio, misto a tematiche capaci di suscitare l’interesse della critica e di conquistare le simpatie di un pubblico su vasta scala, è la ricetta del successo della prima fase di produzione dello scrittore.

Per quanto riguarda i temi peculiari degli scritti lecleziani di quegli anni accanto a quello dell’exotisme, ovvero del viaggio come unica possibilità di fuga dalle pressioni a cui l’uomo è sottoposto dalla società occidentale, compare la tematica del primitivismo come ulteriore cura ai mali di un mondo ormai in declino. Il primo testo che vede la comparsa di una delle tematiche più caratterizzanti dell’immaginario lecleziano quale quella del primitivismo è Haï (1971), un saggio che si configura come una vera e propria celebrazione della cultura e dell’arte delle civiltà indigene del Messico.

A partire dal 1973 la situazione varia: si registra, infatti, un affievolimento nell’interesse della critica letteraria almeno fino al 1980, l’anno della pubblicazione di Désert, un romanzo che riporta Le Clézio sotto i riflettori regalandogli un vasto successo di critica e di pubblico nonché il premio Paul Morand. A proposito di questa sorta di eclissi dell’autore sulla scena del panorama letterario francese di quegli anni si può notare che:

Sa notoriété connaît une certaine éclipse durant les années 70. Il est vrai qu’il ne se mêle d’aucun des débats qui agitent la conscience intellectuelle. Il continue pourtant de publier à un rythme soutenu: Les Prophéties du Chilam

Balam (1976), traduction d’un livre sacré du peuple maya; L’Inconnu sur la terre (1978), qui n’est pas à proprement parler un essai, mais quelque chose

comme un ‹‹traité des émotions appliquées››

7

.

Come si può constatare, quindi, gli anni che seguono il decennio 1963-1973 fino al rinato interesse dei critici negli anni Ottanta vedono ampliare la produzione lecleziana, arrivando ad includere generi letterari diversi dal romanzo, dal racconto breve e dal saggio, come testimoniato ad esempio dal lavoro di

6 J.-M.G. Le Clézio in C. Cavallero, ‹‹Les Marges et l’origine: entretien avec J.M.G. Le Clézio›› in Europe, 765-66 (janvier/ février 1993), p. 167.

7 B. Visage, ‹‹Le Clézio Jean-Marie Gustave››, in J.-P. De Beaumarchais, D. Couty, A. Ray, Dictionnaire des Littératures de Langue Française, Paris, Bordas, 1994, p. 1350.

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traduzione in francese delle profezie del Chilam Balam. Questa può essere considerata un’ulteriore dimostrazione della grande sensibilità e dell’enorme ammirazione che lo scrittore nutre verso le altre culture, in particolare verso quelle maya e azteca.

Altre due opere fondamentali dal punto di vista dell’evoluzione della produzione lecleziana sono Voyage de l’autre côté (1975) e Mondo et autres Histoires (1978).

Voyage de l’autre côté può essere considerato come una vera e propria svolta nella scrittura lecleziana: i tre racconti che costituiscono l’opera vedono infatti per la prima volta protagonista una figura femminile, quella del personaggio di Naja- Naja, un’adolescente a metà tra una normale ragazzina degli anni Sessanta e un essere capace di vedere al di là delle apparenze e di esplorare l’autre côté. A tal riguardo, pare illuminante l’osservazione fatta da Bruno Thibault a proposito di quest’opera:

Dans ce livre Le Clézio invite le lecteur à explorer ‹‹l’autre côté››. Que faut- il entendre par ces mots? Tout simplement que l’intellect n’est qu’une fonction psychique parmi d’autres qui sont aussi fondamentales que lui, comme par exemple l’intuition, le rêve, l’inconscient ou le sentiment. Le Clézio cherche à présenter dans son livre l’ébranlement produit par ‹‹l’autre côté››: à renouer contact avec le versant intérieur de l’âme et avec les données inconscientes de la psyché

8

.

Come rileva lo stesso Thibault, ‹‹il est clair que Le Clézio établit dans Voyage de l’autre côté une association très étroite entre la voix de l’inconscient et la voix chamanique

9

››. Senza dubbio, da questo punto di vista si può affermare che l’esperienza del Messico e la formulazione del primitivismo cominciano a mostrare un peso sempre più dominante sull’immaginario dello scrittore.

Un’altra opera degna di attenzione in quanto segna un ulteriore mutamento nella produzione lecleziana è Mondo et autres histoires (1978), una raccolta di racconti brevi che vedono per la prima volta un avvicinamento dell’autore all’universo della letteratura per l’infanzia. Quest’opera mostra la presenza di tematiche già ricorrenti in Le Clézio, quali la ricerca di una felicità tramite

8 B. Thibault, J.M.G. Le Clézio et la métaphore exotique, cit., p. 55.

9 B. Thibault, J.M.G. Le Clézio et la métaphore exotique, cit., p.59.

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l’estraniamento del personaggio dalla dimensione quotidiana attraverso il viaggio;

si segnala inoltre la comparsa della figura dell’enfant roi: i protagonisti sono tutti adolescenti che si caratterizzano per la volontà di ricercare una felicità e una libertà che nel nostro mondo sono negate agli adulti. Questa sorta di inversione di tendenza che si rintraccia nella produzione letteraria lecleziana proprio a partire dalla pubblicazione di Mondo et autres histoires e dal contemporaneo saggio l’Inconnu sur la terre (1978) viene segnalata da numerosi critici. In un interessante studio dedicato alla visione del mondo di Le Clézio, Teresa Di Scanno sostiene:

Il est certain que dans ces deux livres l’univers n’est plus représenté par des évocations grandioses et métaphysiques, mais qu’il se réduit à ce que nous voyons: la lumière, la mer, la montagne, le ciel. Il n’y a plus l’angoisse existentielle – toujours présente dans les œuvres précédentes ‒ mais la recherche du bonheur, le bonheur quotidien, l’allégresse de tous les instants, la plus simple qu’il soit possible de connaître

10

.

Di conseguenza, si può constatare che, proprio a partire da queste pubblicazioni, la scrittura lecleziana vede il venir meno degli scenari apocalittici che contraddistinguono la prima fase della produzione dell’autore e l’introduzione di personaggi adolescenti, ‹‹à la fois réels et magiques

11

››, come protagonisti del testo narrativo.

Gli inizi degli anni Ottanta, con la pubblicazione di Désert (1980), segnano un’ulteriore evoluzione nella narrativa di Le Clézio. Questo romanzo otterrà enormi consensi di pubblico e di critica, nonché permetterà all’autore di ricevere il prix Paul Morand attribuitogli dall’Académie Française. L’opera ha come protagonista una giovane ragazza marocchina costretta a lasciare la sua terra per approdare nelle metropoli di Marsiglia e di Parigi, dove diventerà modella di professione prima di ritornare nella sua terra alla ricerca del désert, ovvero delle sue origini e di quelle del popolo touareg. Quel che di innovativo c’è in questo romanzo, come ha segnalato Madeleine Borgomano, è appunto che da Désert in poi la complessità del mondo è espressa tramite una ricca polyphonie narrative:

10 T. Di Scanno, La vision du monde de Le Clézio. Cinq études sur l’œuvre, Napoli- Paris, Liguori- Nizet, 1983, p. 53.

11 Ibidem, p. 54.

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‹‹Les voix multiples, en s’entrecroisant, constituent un résaux complexe de significations où se laissent entrevoir non des messages, mais des questions et des incertitudes.

12

››

Un’altra caratteristica innovativa di Désert è, ad esempio, l’introduzione di una nuova tematica quale quella dell’immigrazione; questo aspetto viene evidenziato da molti studiosi dell’autore, fra i quali Bruno Thibault che sostiene:

A une époque où l’on ne parle pas encore ouvertement des problèmes soulevés par les flux migratoires en Europe, ni du malaise des banlieues, Le Clézio, sensibilisé à l’expérience de la marginalité par ses voyages (et sans doute aussi par son épouse Jemia), en fait l’une de ses thématiques de prédilection , notamment dans deux de ses romans, Désert et Poisson d’or, ainsi que dans deux de ses recueils de nouvelles, La Ronde et autres faits

divers et Printemps et autres saisons13

.

Tuttavia l’aspetto che più colpisce dal punto di vista letterario è che, proprio a partire da Désert, la critica rileva un mutamento radicale nella scrittura di Le Clézio. Se in quella che viene definita la prima fase della produzione letteraria lecleziana l’autore stesso si serve di strumenti paratestuali quali avant-propos o delle autocritique di Le Livre des Fuites per evidenziare una sorta di mise en question della capacità del linguaggio di poter veicolare la realtà seppur fittiva propria di un testo narrativo, queste preoccupazioni vengono del tutto a mancare nella seconda fase della sua produzione determinando quella che da molti critici è stata interpretata come una vera e propria semplificazione nella composizione delle opere successive. Questa sorta di metamorfosi nella scrittura viene interpretata da Claude Cavallero in questi termini:

Les romans publiés par l’auteur à partir des années quatre-vingt assument le choix d’une lisibilité qui outrepasse les interrogations formelles du début.

[…] À partir du roman Désert, l’écriture leclézienne, comme libérée des soucis normatifs, se garde d’ajouter aucun commentaire au vécu immédiat des personnages, tout en souscrivant à la tendance moderniste du roman ‹‹de se concevoir lui-même comme profondément apparenté à la poésie et à la musique››

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.

12 M. Borgomano, ‹‹Voix entrecroisées dans les romans de J.M.G. Le Clézio››, in Le Français dans Tous ses États 35, 1997, p. 10.

13 B. Thibault, J.M.G. Le Clézio et la métaphore exotique, cit., p. 11.

14 C. Cavallero, Le Clézio, témoin du monde, Paris, Calliopées, 2009, p. 82.

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~ XI ~

Nonostante il cambiamento che contraddistingue la scrittura, la seconda fase della produzione lecleziana continua ad essere prolifica e a vedere la comparsa di opere che continueranno ad appassionare sia il grande pubblico, sia il mondo dei critici. Gli scritti successivi agli anni Ottanta si caratterizzano per la riproposizione di tematiche che già emergevano nella fase precedente, soprattutto per quanto riguarda quella dell’exotisme, ovvero il viaggio come metafora di una ricerca interiore. Da una rassegna delle opere successive a Désert, inoltre, si nota chiaramente come nell’immaginario dell’autore due elementi naturali già presenti nella sua scrittura si carichino di un valore fondamentale. In effetti, si può rilevare come, a partire da Mondo et autres histoires e dal saggio L’Inconnu sur la terre, l’elemento del mare assuma una funzione rivelatrice per il protagonista dell’opera;

in Désert,invece, è appunto il deserto, la mer de sable, che sembra essere un elemento rivelatore capace di fornire le risposte esistenziali alla quête della protagonista del romanzo.

Accanto a questa sorta di funzione rivelatrice che gli elementi naturali

acquisiscono nella scrittura lecleziana e che creano in qualche modo quella che

può essere considerata una sorta di “mitologia personale” dell’autore, un’altra

tematica centrale nelle opere dello scrittore è quella del primitivismo. Come si

approfondirà in seguito, soprattutto la scoperta della grandezza delle civiltà

indigene del Messico avrà un ruolo determinante su questo aspetto. Al momento

preme sottolineare che,senza dubbio a partire dalla metà degli anni Settanta, la

tematica del primitivismo, ovvero la scoperta dell’universo culturale e sociale

delle società indigene, si configura come una delle poche alternative possibili per

rifuggire i mali che affliggono la società occidentale. Sicuramente questa

tematica, che l’autore sviluppa già a partire dal 1971 con Haï, è legata

all’interesse suscitato dagli studi di antropologi quali Levi-Strauss risalenti

all’incirca allo stesso periodo in cui si segnala la comparsa di questo tema in Le

Clézio. Quel che è particolarmente rilevante, però, è notare che questo interesse

antropologico dell’autore ha un influsso diretto sulla sua produzione letteraria; le

già citate Prophéties du Chilam Balam, nonché la successiva opera Relation de

Michoacán (1984), non sono altro che traduzioni che Le Clézio realizza di testi

storici relativi alla cultura indigena mesoamericana. Un’altra conseguenza è

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~ XII ~

l’intensificarsi della sua produzione saggistica: accanto al già citato Haï et L’Inconnu sur la Terre, sono opere degne di considerazione altri saggi quali Le Rêve mexicain ou la pensée interrompue (1988) e La Fête chantée et autres essais de thème amérindien (1997), testo pubblicato nell’anno in cui l’autore vince il prix Prince Pierre de Monaco. Come già si può desumere dal titolo di questi ultimi due saggi, la società primitiva protagonista di questi scritti è quella indigena del Messico; ma, per il momento, è interessante notare come il pensiero di Le Clézio circa il problema della conquista europea del Messico mostri negli anni un tono più moderato. Questo aspetto viene messo in rilievo da Claude Cavallero:

L’écriture débridée des années soixante-dix se mue dans La Fête chantée…

en une analyse plus pondérée. Ce qui autrefois formait contradiction, antithèse virulente, antinomie, fait l’objet d’une lecture plus souple et nuancée. Pour Le Clézio désormais, le message des civilisations amérindiennes, leur cohérence mythique, leur harmonie, gardent toute leur signification à l’époque moderne, mais le vent de révolte qui trouvait dans

Le Rêve mexicain… une forme d’exutoire circonstancié, prenant appui sur

les grands textes canoniques de la Conquista, cette verve provocatrice s’est apaisée

15

.

Un altro elemento che caratterizza la seconda fase della produzione letteraria di Le Clézio è il peso sempre più crescente della ricerca delle proprie origini. Già come viene dimostrato dalla trama di Désert, il protagonista dell’opera lecleziana non potrà più fare a meno di individuare l’inestricabile legame che sussiste tra il viaggio e la ricerca del sé. L’aspetto innovativo di Désert, e a partire da esso di tutti gli scritti successivi dell’autore, è che il viaggio viene concepito come uno strumento per acquisire consapevolezza non solo di un ailleurs possibile, ma anche come conoscenza di se stessi, delle proprie origini e delle proprie radici famigliari. Questo schema di fondo si ripresenta in varie opere quali Onitsha (1991) e Étoile errante (1992) nonché nel cosiddetto “ciclo mauriziano”, composto da romanzi quali Le Chercheur d’Or (1985), Voyage à Rodrigues (1986), La Quarantaine (1995) et Révolutions (2003). Come si vedrà nel successivo paragrafo, è indubbio che questa tematica centrale nell’opera di Le Clézio sia legata indissolubilmente all’importanza sempre maggiore delle sue vicende biografiche nel processo di scrittura; in tal senso, l’opera che forse più di

15 C. Cavallero, Le Clézio, témoin du monde, cit., p.300.

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tutte mette a nudo il vissuto esistenziale dell’autore, nonché il suo rapporto con la figura paterna, è l’Africain (2004).

Come sottolineato da molti critici, un altro aspetto degno di considerazione è il ruolo della figura femminile in Le Clézio. All’inizio della sua produzione, le figure femminili che compaiono nell’opera dell’autore sono infatti presenze per lo più secondarie, in quanto raramente svolgono un ruolo primario e il più delle volte si limitano a rappresentare un ostacolo per il protagonista maschile. In seguito, già nella novella Lullaby contenuta in Mondo et autres histoires, ma soprattutto da Désert in poi, i personaggi femminili iniziano ad acquisire un ruolo sempre più centrale nella narrazione, fino ad arrivare ad essere talvolta le uniche vere protagoniste della fiction lecleziana (come nel caso del racconto Cœur Brûle).

Per concludere questa panoramica sulla produzione dell’autore, è opportuno spendere qualche parola sul successo riscosso da Le Clézio nel corso della sua attività letteraria. Prima ancora di ricevere il Premio Nobel, Le Clézio veniva già considerato nel 1994 come uno dei più grandi scrittori viventi di lingua francese dai lettori della rivista letteraria Lire; inoltre, non si può ignorare il fatto che già da allora il suo nome compaia all’interno di manuali di letteratura o non tener conto dell’enorme successo di vendite e del numero di ristampe dei suoi testi. Di certo, riguardo a questo successo, ha avuto un peso rilevante anche l’immagine dello scrittore che la critica giornalistica ha sempre fornito al pubblico; a tal proposito Claude Cavallero segnala:

La critique journalistique a longtemps présenté Jean-Marie Gustave Le Clézio comme un écrivain secret, un homme de silence toujours soucieux de se tenir à l’écart des modes et des mondanités littéraires, et cultivant par une sorte d’atavisme le goût d’une solitude essentielle

16

.

Effettivamente, quel che Cavallero definisce ‹‹le cliché de l’écrivain secret

17

›› è stato in parte costruito dai media ed ha giocato un ruolo di non poco conto sul successo dell’autore. Tuttavia, al di là delle macchinazioni mediatiche, non si può non prender atto del fatto che Le Clézio meriti di essere considerato uno dei più grandi scrittori contemporanei del panorama letterario francese. Il grande valore

16 C. Cavallero, Le Clézio, témoin du monde, cit., p. 331.

17 Ibidem, p. 333.

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~ XIV ~

della sua opera, a mio avviso, risiede nel fatto che lo scrittore è riuscito a farsi portavoce di un reale disagio nei confronti della società occidentale a partire dagli anni Sessanta, denunciando attraverso i suoi scritti narrativi delle piaghe sociali quali gli eccessi del consumismo, l’urbanizzazione che degrada il paesaggio naturale, il senso di alienazione dell’uomo moderno di fronte al dominio tecnologico e il problema dell’emarginazione del diverso, con particolare attenzione alla questione dell’interculturalità.

Un’altra caratteristica della figura di questo scrittore che continua ad affascinare è la sua attenzione costante nel dar voce, tramite l’infinita varietà dei suoi personaggi, a tutta una cerchia di figure di emarginati nonché un impegno costante nel suscitare l’interesse del lettore verso altre culture. A mio parere, una considerazione estremamente interessante riguardo alla produzione lecleziana viene fornita da Claude Cavallero:

L’œuvre romanesque de Le Clézio témoigne par là une écriture très consciente d’elle-même et qui épouse depuis près d’un demi-siècle l’histoire des formes et des idées, du Nouveau Roman et du Nouveau Réalisme au récit mythique et à l’auto-fiction, de la contestation et du tiers-mondisme des années soixante aux questionnement de la mémoire collective et aux valeurs éthiques liées à la francophonie et au métissage des cultures

18

.

Indubbiamente, però, l’aspetto che più ha sedotto il grande pubblico risiede nelle sua scrittura, in quello che è stato più volte definito il tono poetico e ritmico dei suoi testi che, unito alle tematiche già presentate, si è rivelato un connubio vincente. Riguardo l’aggettivo “poetico” che caratterizzerebbe il tono della scrittura di Le Clézio, Sophie Jollin sottolinea che:

It designates certain themes in Le Clézio’s work such as a communion with nature and the imaginary world. The notion of poetry also alludes to a certain style of writing, based on repetition and images, which is sometimes close to poetic prose when the sentence develops perceptible rhythms

19

.

In ultimo, la grande abilità di Le Clézio è stata quella di intendere la scrittura come un tramite verso l’ailleurs, alla stregua di un veicolo che trasporti il lettore

18 C. Cavallero, Le Clézio, témoin du monde, cit., p. 349.

19 S. Jollin, ‹‹From the Renaudot Prize to the Peterbaugh Conference: The Reception of J.M.G. Le Clézio››, in World Literature Today, Vol. 71, No. 4, Autumn 1997, p.737. Consultato in http://www.jstor.org/stable/40153296, il 18/10/2013.

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in un'altra dimensione; in tal senso, l’innegabile capacità di questo autore è stata quella di riuscire, attraverso la scrittura, a far immedesimare pienamente il suo pubblico con il personaggio principale, in modo che la quête dell’eroe implichi in maniera quasi automatica una quête del sé da parte del lettore. In fondo, nelle sue opere Le Clézio non fornisce mai risposte date una volta per tutte, ma spinge colui che lo legge ad una continua riflessione. Come sottolinea Cavallero, a proposito dell’atto creativo di scrittura in Le Clézio: ‹‹[…] écrire pour Le Clézio ce n’est pas chercher à transmettre une vérité unique et démontrée du monde, mais plutôt mettre en œuvre une vérité du dévoilement où jamais la question posée ne se referme définitivement.

20

››

Si è pertanto rilevato come le ragioni della fortunata ricezione di Le Clézio siano in realtà svariate e diverse fra loro; in merito a questo aspetto, sembra alquanto illuminante la riflessione fatta da Sophie Jollin:

Le Clézio’s success can be partly explained in terms of his modernity, which is visible on more than one level and which can be defined in terms of cultural and ideological representativity. His great strenght is to be found in his writing strategy, which allows him to reach both a cultured audience and a less-cultured readership. His modernity can also be seen in the mythical image of the writer which goes beyond the anecdotal level: the mythification which operates within the texts is allied to the image of an “intermediate”

writer who is neither an intellectual nor an explorer of language and who remains on the edge of literary life. This indefinable profile which shapes his writings makes him the epitome of a writer, a pure writer

21

.

1.2. J.-M.G. Le Clézio: portrait d’un écrivain

L’obiettivo di questo paragrafo è delineare un ritratto della figura di J.-M.G.

Le Clézio; in particolare, l’intenzione è quella di mettere in evidenza come la formazione e le vicende biografiche dello scrittore abbiano avuto un influsso diretto sulla sua produzione letteraria. Seppure sia innegabile che per qualsiasi autore le vicende biografiche influenzino i propri scritti, per quel che concerne Le Clézio analizzare i legami fra la sua storia personale e le sue opere è un atto inevitabile.

20 C. Cavallero, Le Clézio, témoin du monde, cit., p. 348.

21 S. Jollin, ‹‹From the Renaudot Prize to the Peterbaugh Conference: The Reception of J.M.G. Le Clézio››, cit., p. 740. Consultato in http://www.jstor.org/stable/40153296, il 18/10/2013.

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~ XVI ~

J.M.G. Le Clézio nasce a Nizza il 13 aprile 1940, nel pieno svolgimento della seconda guerra mondiale. Circa sei mesi dopo, a causa del timore dell’invasione tedesca, la madre di Le Clézio decide di rifugiarsi in Bretagna, in quella stessa terra che il nonno di Jean-Marie Gustave aveva abbandonato per far rotta sull’isola di Mauritius. Un legame profondo sussisterà sempre tra lo scrittore e questa terra che è stata un rifugio sicuro durante la terribile esperienza bellica nonché luogo di reminiscenze famigliari; la bellezza selvaggia della regione e la storia famigliare che questi luoghi recano in sé permettono a Le Clézio di instaurare un paragone con il deserto, e la Bretagna diviene così luogo di quête interiore. Come rileva lo stesso Le Clézio a proposito di questo argomento:

La Bretagne est pour moi un pays intérieur avant d’être une réalité. Toutes les fois où cette Bretagne intérieure est rejointe par celle que je vois, je suis étonné de constater qu’elle est bien comme je l’avais imaginée. Finistère:

terre sans fin. Voilà ce que je ressens ici, où tout finit mais surtout semble pouvoir commencer

22

.

Senza alcun dubbio, gran parte di questa connessione ai limiti dello spirituale tra lo scrittore e questa regione francese è data dal fatto che la Bretagna serba in sé in qualche modo la storia e le radici della famiglia Le Clézio. È proprio dalle coste bretoni, infatti, che agli inizi del XVIII secolo l’armatore François Alexis Le Clézio parte alla volta delle Indie per poi approdare e stabilirsi definitivamente a Mauritius. Questa fuga, dettata da motivi politici e da una generale disillusione verso la Francia, fa sì che l’isola mauriziana diventi la seconda patria del bretone Le Clézio; a proposito della traversata dell’armatore Le Clézio, De Cortanze sottolinea come:

Alors qu’il touchait à la côte, défiant la chronologie, bouleversant l’ordre du temps et son déroulement, il pouvait déjà s’écrier, ou penser au fond de lui- même, comme le héros de La Quarantaine le ferait, plus d’un siècle plus tard: ‹‹Maurice est le dernier endroit au monde où je pourrais être un touriste.

23

››

22 J.-M.G. Le Clézio in G. De Cortanze, J.M.G. Le Clézio. Le nomade immobile, Paris, Éditions du chêne, Hachette Livre, 1999, p. 11.

23 G. De Cortanze, J.M.G. Le Clézio. Le nomade immobile, cit., p. 15.

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~ XVII ~

In effetti, i Le Clézio si stabiliranno in maniera definitiva su quest’isola per oltre un secolo fino ai primi anni del Novecento, quando una parte dei numerosi discendenti della famiglia decidono di compiere un viaggio inverso a quello del loro antenato, ritornando in Europa alla ricerca di migliori condizioni economiche.

In particolare, Léon Le Clézio si stabilirà a Londra, mentre Alexis Le Clézio finirà per approdare a Milly-la-Forêt, un piccolo centro a qualche chilometro da Parigi.

Nel 1933 avrà luogo il matrimonio tra Raoul e Simone Le Clézio, rispettivamente figli di Léon et Alexis, da cui nasceranno Yves-Marie e appunto Jean-Marie Gustave.

Ripercorrere le tappe della genealogia della famiglia Le Clézio è di importanza capitale per tratteggiare un ritratto dello scrittore: lo stesso Le Clézio, nel corso di numerose interviste, ha sempre affrontato di buon grado l’argomento, fornendo di volta in volta sempre nuovi dettagli per completare questa sorta di saga familiare. Quel che si può definire l’eredità mauriziana dello scrittore è un lascito evidente sia per quel che riguarda la formazione del piccolo Jean-Marie Gustave, sia per quel che caratterizzerà la materia dei suoi scritti. Per quanto riguarda la produzione letteraria dell’autore, l’isola di Mauritius nonché il significato che questa terra ha acquisito nell’immaginario di Le Clézio, diviene materiale costante dei suoi scritti a partire dagli anni Ottanta del XX secolo, quando l’autore inizia appunto a compiere i primi viaggi alla scoperta di questa terra. In un’interessantissima tesi relativa al rapporto tra Le Clézio e l’isola di Mauritius, si mostra la significazione di questa terra per lo scrittore: ‹‹Capace di essere allo stesso tempo paese fisico e paese interiore, l'isola può realizzare i due grandi sogni lecleziani: quello di trovare la terra perfetta (rêve utopique) e quello di ritrovare se stesso (rêve des origines).

24

›› In effetti, Mauritius avrà per lo scrittore questo doppio beneficio di conciliare le tendenze che da sempre hanno caratterizzato la produzione lecleziana, ovvero il primitivismo e la quête interiore del sé; nello specifico, questa ricerca acquista i risvolti di una vera e propria scoperta delle proprie radici famigliari. Sono una dimostrazione di questa affermazione numerosi romanzi quali Le Chercheur d’Or (1985), Voyage à Rodrigues (1986), La Quarantaine (1994), Révolutions (2003), Ritournelle de la

24 F. De Luca, Jean-Marie Gustave Le Clézio e l'isola di Mauritius: ritorno alle origini tra viaggio e letteratura, tesi di laurea specialistica, Università di Pisa, 2011, p. 4.

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~ XVIII ~

faim (2008); aventi tutti come scenario l’isola di Mauritius, i personaggi che compaiono nelle pagine di queste opere narrative sono dei travestimenti più o meno espliciti dei diversi “antenati mauriziani” di Le Clézio.

Accanto alla rilevanza di Mauritius sulla produzione letteraria lecleziana, c’è da sottolineare anche la centralità che questa terra ha sempre avuto nella storia personale dello scrittore. Oltre a dover considerare che Le Clézio effettivamente gode ancora oggigiorno della doppia cittadinanza franco-mauriziana, come egli stesso sottolinea l’educazione che ha ricevuto risente profondamente delle usanze di quest’isola. Nel 1952 quando il padre di Jean-Marie Gustave, medico coloniale ormai in pensione, tornerà a Nizza a vivere con la famiglia, gli influssi della cultura mauriziana sull’educazione dei figli saranno ancora più evidenti; secondo quanto confessa Le Clézio a De Cortanze a proposito di questa educazione che controllava persino gli aspetti più ordinari del quotidiano quali l’alimentazione:

‹‹Ma mère acceptait sans broncher. Son père étant mauricien, elle ne semblait pas troublée par l’extrême parcimonie et la rigueur de cette éducation patriarcale à la mauricienne!

25

»

Un altro aspetto rilevante legato alle vicende biografiche di Le Clézio è il ruolo che il padre dello scrittore ha giocato sul vissuto esistenziale e indirettamente sulla produzione letteraria di suo figlio. Dopo la guerra e il rientro a Nizza, all’età di sette anni il piccolo Jean-Marie Gustave lascerà per un anno la Francia alla volta della Nigeria, proprio per incontrare per la prima volta quel padre che fino ad allora non aveva conosciuto. Questo soggiorno offrirà inoltre allo scrittore la possibilità di entrare in contatto con un ambiente ancora lontano dai ritmi di una società urbana e di usufruire di una libertà sconfinata; in breve, forse proprio questa esperienza, fatta all’età di otto anni circa, instillerà nel piccolo Jean-Marie Gustave la voglia di ricercare quell’ ailleurs che è da sempre un tratto caratterizzante del suo immaginario letterario. A proposito del suo soggiorno in Nigeria, Le Clézio confida a De Cortanze:

Nous étions en plein brousse. Les nuits étaient habitées. On entendait les chats sauvages crier absolument partout. Il y avait des serpents et des

25 J.-M.G. Le Clézio in G. De Cortanze, J.M.G. Le Clézio. Le nomade immobile, cit., p. 54.

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scorpions. C’était physiquement très dur. Ici, on découvrait un autre soi- même: un soi sauvage et violent

26

.

Questa esperienza di un’Africa selvaggia, nonché il ritratto della burbera figura paterna, è il materiale di base di uno dei romanzi più autobiografici scritti da Le Clézio, L’Africain (2004). Il rapporto tra lo scrittore e suo padre è centrale anche per un’altra ragione, ovvero per l’interesse che sin da piccolo l’autore ha mostrato nei confronti della letteratura e della lingua inglese. In effetti, suo padre era cittadino britannico e durante il periodo passato in Africa, Le Clézio tiene a precisare come suo padre ‹‹essayait de donner à son entourage une marque anglaise. La langue anglaise, les livres anglais, tout ce qui était anglais était valorisé…

27

››.

Dopo il viaggio e la permanenza in Africa, che segneranno lo scrittore a tal punto da indurlo a rivendicare anni dopo l’importanza di questa esperienza anche sulla sua produzione letteraria, Le Clézio e la sua famiglia si stabiliranno definitivamente a Nizza, città in cui l’autore risiederà in maniera fissa, esclusa una parentesi di tre anni a Londra, fino quasi alla fine degli anni Sessanta. Lontano ormai da quella libertà estrema che aveva assaporato in Africa, Nizza diviene per Le Clézio un luogo quasi claustrofobico, un luogo che arriva a simboleggiare il tormento di un giovane adolescente. Da quanto afferma l’autore, infatti:

J’y vois une certaine dramatisation, excessive mais présente. Ce monde de la Méditerranée de mon adolescence était étouffant. Je veux dire : j’ai véritablement étouffé à Nice. Je me souviens d’avoir écrit : Nice, une image de l’enfer. J’étais vraiment confronté à un enfer sartrien dans lequel j’étais moi-même enfermé. Un enfer de palmiers, de bâtiments rococo, d’immeubles aux façades roses. Ce qui sortait de moi, ce que j’avais envie de dire, se heurtait à cette forteresse, mélange de décor de théâtre et d’indifférence. J’éprouvais un sentiment étrange: celui de ne pas appartenir foncièrement à ce monde, d’y être un étranger

28

.

L’unica via di fuga dell’autore in questo contesto è la spiaggia sulla quale si rifugia nei suoi primi tentativi di scrittura e dalla quale può contemplare il Mediterraneo, quel mare che lo separa fisicamente dall’autre côté dell’Africa.

26 Ibidem, p. 49.

27 J.-M.G. Le Clézio in G. De Cortanze, J.M.G. Le Clézio. Le nomade immobile, cit., p. 20.

28 Ibidem, pp. 75-76.

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Nizza diventa così il simbolo del disagio dell’uomo moderno, vittima di una società meccanizzata che tende a schiacciare e a reprimere ogni forma di individualità. Proprio questa tematica del malessere dell’individuo causato dal contesto urbano caratterizzerà sin dall’inizio l’immaginario lecleziano; in particolare, la città di Nizza sarà lo scenario di romanzi quali Le Procès-Verbal, o ancora di novelle di Le Livre des Fuites e della novella Villa Aurore contenuta in La Ronde et autres faits divers. In effetti a proposito del contesto urbano, in un intervista a Pierre Lhoste Le Clézio sostiene:

Je suis fasciné par la ville par les agressions de la ville. Une ville c’est un amoncellement d’êtres humains qui se battent les uns les autres qui cherchent à se dominer les uns les autres et mon regard s’accroche à tous les détails de cette domination. Domination par le mépris, domination par la violence, domination simplement par les rites: le rite de l’automobile, le rite de la promenade, de l’achat dans les magasins. Ces choses-là me troublent et m’exaspèrent et cela crée cet état d’anxiété dont j’ai besoin aussi

29

.

Questo senso di oppressione che la città provoca all’uomo moderno sarà una delle prime tematiche caratterizzanti dell’immaginario lecleziano, quella su cui si innesteranno altri punti fondanti quali il primitivismo o l’esotismo. Nella produzione letteraria di Le Clézio il contesto urbano di Nizza verrà rimpiazzato di volta in volta da altre realtà urbane, europee e non; tuttavia, non si può ignorare il ruolo centrale che questa città ha rivestito nella genesi e nell’evoluzione di una delle tematiche cardine dell’autore.

L’ultimo aspetto che si vuol prendere in considerazione nel tratteggiare questo ritratto dello scrittore è il rapporto che Le Clézio ha sempre avuto con la letteratura. Nel corso di numerose interviste, infatti, l’autore non ha mai fatto mistero e ha anzi voluto sempre evidenziare il rapporto che ha avuto sin dai primi anni della sua vita con i libri: ‹‹J’ai aimé immédiatement les livres […] dès que j’ai pu m’en approcher, j’ai trouvé les livres extraordinaires.

30

›› È interessante notare che, come per altri aspetti della sua vita, lo scrittore attribuisce un merito ai membri della sua famiglia in quanto avrebbero alimentato questa sua passione.

Senza dubbio, una persona che ha giocato un ruolo centrale è stata la grand-mère

29 J.- M.G. Le Clézio in P. Lhoste, Conversations avec J.M.G. Le Clézio, Paris, Mercure de France, 1971, pp. 54-55.

30 J.-M.G. Le Clézio in G. De Cortanze, J.M.G. Le Clézio. Le nomade immobile, cit., p. 34.

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Le Clézio. È proprio la nonna dello scrittore che lo avvicina alla lettura di opere quali Les Contes drôlatiques di Balzac, diversi Journal des voyages o ancora i volumi del Dictionnaire de la conversation. In quello stesso periodo, l’interesse alla lettura di un Le Clézio ancora bambino è alimentato inoltre dalle “biblioteche di famiglia” raccolte dal nonno e del padre, che comprendono numerose opere di genere differente. A tal proposito, Le Clézio precisa che:

Deux bibliothèques provenaient de mon arrière-grand père mauricien, qui était un bibliophile. Dans la première, je trouvais tous les grands textes classiques et de nombreux récits de voyages dont certains en anglais. La deuxième, qui provenait de ce même arrière-grand père maternel, comprenait des œuvres de la littérature française, notamment d’écrivains romantiques.

La troisième, enfin, venue d’on ne sait où, peut-être du côté de ma grand- mère maternelle, était composée de romans osés fin de siècle…Pierre Louÿs, Maupassant, des livres illustrés à la manière de la Belle Époque, avec des dessins libertins

31

.

Si può certamente affermare che la varietà di queste opere letterarie che l’autore aveva a portata di mano hanno stimolato non poco la fantasia di un Le Clézio ancora bambino; questo aspetto, unitamente ad una propensione innata per la scrittura, è uno dei fattori che può aver fatto la differenza. Del resto, Le Clézio ha conservato per tutta la vita questo suo profilo di lettore incallito di libri dai generi più disparati, sebbene abbia riconosciuto più volte, nel corso di diverse interviste, l’influenza impareggiabile che autori quali Michaux, Faulkner e Conrad hanno avuto sulla sua produzione letteraria.

1.3. La “métaphore exotique”: il caso del Messico

Nel seguente paragrafo ci si vuole soffermare sull’analisi del legame che sussiste tra J.-M.G. Le Clézio e una terra apparentemente a lui lontana quale il Messico. Questo paese è da sempre stato uno degli scenari prediletti per l’ambientazione di racconti e romanzi quali, ad esempio, la stessa novella Cœur Brûle; inoltre, la cultura delle popolazioni indigene ha detenuto da sempre un ruolo di rilievo per quanto riguarda i temi della produzione letteraria lecleziana.

31 J.-M.G. Le Clézio in G. De Cortanze, J.M.G. Le Clézio. Le nomade immobile, cit., pp. 34-35.

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~ XXII ~

Il primo contatto, seppur non fisico, tra il Messico e Le Clézio avviene quando lo scrittore è ancora bambino; sfogliando le pagine di una rivista della quale il padre era un fervido lettore, il piccolo Jean-Marie Gustave è attirato dalle foto di un vulcano recentemente formatosi proprio in Messico. Anni dopo, in un’intervista, lo scrittore interpreta quasi come un segno del destino questo episodio; alla domanda dell’intervistatore riguardante il luogo in cui l’autore risiede nei periodi in cui soggiorna in Messico, egli risponde:

[…] Je suis exactement au pied d’un volcan. Il est né en 1946. Je crois que c’est le plus jeune volcan du monde. Il s’appelle le Paracutin. J’ai été attiré par ce volcan. Mon père était abonné à la revue géographique anglaise Geographical Magazine, et je me souviens d’avoir vu ce volcan, en 1946, dans cette revue. En regardant les photos du volcan qui venait de naître, j’avait été frappé. Un jour, j’avais découvert que c’était au Mexique, alors je suis allé le voir et je me suis installé là

32

.

Questo episodio denota come il Messico sia stato in un certo senso una terra che ha permesso all’autore di far propria la dimensione selvaggia caratterizzante la natura stessa di quel territorio e di farla propria, in qualche modo, a livello interiore.

Il caso mette ancora una volta un Le Clézio ormai adulto sulle tracce del Messico. Nel 1968, lo scrittore si trova dalla parte opposta del mondo, precisamente in Thailandia, a effettuare il proprio servizio militare. Durante questo periodo, scrive un articolo per Le Figaro in cui si scaglia manifestamente contro la piaga della prostituzione minorile che affligge quel paese; nel tentativo di evitare un incidente diplomatico, il giovane soldato verrà inviato appunto in Messico in qualità di assistente presso la biblioteca dell’Istituto francese dell’America Latina. È quindi sul volgere al termine degli anni Sessanta che Le Clézio compie un’azione destinata a cambiare inevitabilmente la sua vita:

effettuare il suo primo soggiorno in Messico. Nel corso di numerose interviste, l’autore sottolinea che, durante le ore lavorative, al posto di redigere schede per la biblioteca preferiva impiegare il suo tempo a leggere libri riguardanti il Messico e la cultura delle civiltà indigene del Mesoamerica; è proprio in questo periodo, infatti, che si avvicina alle opere di Artaud relative alle civiltà precolombiane o si

32J.-M.G. Le Clézio in J.-L. Ezine, op. cit., p. 72.

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~ XXIII ~

accinge a leggere testi sacri o storici quali le profezie del Chilam Balam o delle relazioni del Michoacán (dei quali, come già segnalato, realizzerà una traduzione in francese.)

Accanto a questo interesse marcatamente letterario, se ne aggiunge uno di natura squisitamente antropologica: approfittando di una pausa dal lavoro in occasione delle vacanze pasquali del 1968, Le Clézio si reca nei luoghi abitati dagli Huichlos, una tribù indigena che pratica ancora riti sciamanici. Questo soggiorno sarà soltanto il primo di una lunga serie che l’autore compirà a più riprese presso tribù indigene con l’intento di conoscere a fondo una cultura e delle tradizioni così lontane dagli usi e costumi e dalla logica del mondo occidentale. È come se in qualche modo lo scrittore subisse una sorta di richiamo da parte di questa terra; in un’intervista, si legge infatti:

[…] Parce que je crois que pour moi, aller au Mexique, ce n’est pas fuir. […]

Au contraire, j’ai le sentiment que quelque chose m’appelle. […] Je crois que dans le cas du voyage comme je le conçois, je ne fuis pas du tout la France, je me sens aspiré vers le Mexique. Je ne suis pas porteur des vieux parapets; je suis tout simplement aspiré par le paysage du Nouveau-Monde

33

.

Indubbiamente, il soggiorno in Messico è stato per Le Clézio come egli stesso lo definisce uno ‹‹choc physique énorme

34

›› ma, al contempo, si è rivelato come una sorta di rinascita spirituale per l’autore. L’importanza che questa terra ha detenuto nella vita dello scrittore è testimoniata dall’irrompere improvviso del Messico, come dimensione spaziale e culturale, all’interno delle sue opere letterarie. Tornato in Francia nel 1969, Le Clézio pubblica Le Livre des Fuites: le vicende vissute dal protagonista del romanzo, Jeune Homme Hogan, rispecchiano in qualche modo la peregrinazione e la ricerca di un senso profondo dell’esistenza cui l’autore stesso cerca di giungere in questo periodo. Anche in Géants, romanzo da cui trapela una forte critica della società occidentale eccessivamente consumistica e meccanizzata, il protagonista François Besson per salvare se stesso dall’annientamento deve ricreare una propria dimensione esistenziale, una sorta di mondo alternativo. In qualche modo, c’è qualcosa di autobiografico in

33 J.-M.G. Le Clézio in J.-L. Ezine, op. cit., p. 55.

34 J.-M.G. Le Clézio in G. De Cortanze, J.M.G. Le Clézio. Le nomade immobile, cit., p.108.

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~ XXIV ~

questi romanzi: l’autore, infatti, seppur conservando un lucido distacco mancato ad altri scrittori francesi tra i quali il già citato Artaud, inizia a considerare le civiltà indigene mesoamericane quali culture degne di alta stima in quanto portatrici di potenziali risposte e cure ai mali della società occidentale. Con ottime probabilità anche per questo motivo, tra gli anni 1970 e 1974, Le Clézio continua ad effettuare soggiorni più o meno duraturi presso le tribù indigene panamensi Emberas e Waunanas. Nel ricordare le sue prime esperienze in Messico, Le Clézio ammette:

J’ai dû apprendre les recettes qui permettent de survivre. Et tant d’autres choses encore. Oui, cette réalité n’avait plus rien à voir avec celle de mon passé scout ou celle de l’entraînement militaire que j’avais subi: tout cela me paraissait désormais si tendre. Depuis mon adolescence, jusqu’à la période qui tourne autour des années soixante, celle du Procès-Verbal, je vivais cérébralement et intellectuellement. Je le répète: j’avais besoin d’un choc physique! Dès ce moment-là, dès que j’ai touché ce monde-là, cette société;

à partir de cette expérience, j’ai cessé d’être purement cérébral et intellectuel. Par la suite, j’ai nourri mes livres de cette non-cérébralité, de ce grand changement, de ce fait physique

35

.

Questa affermazione testimonia come l’incontro con il Messico e le culture indigene abbiano giocato un ruolo decisivo non solo sul vissuto dell’autore ma anche sui libri da lui scritti. Analizzando la produzione letteraria lecleziana dell’epoca, si può notare come l’opera che forse maggiormente testimonia l’importanza che l’esperienza del Messico ha avuto per Le Clézio sul piano personale è l’interessantissimo saggio Haï. Nelle prime pagine di questo scritto appare la celeberrima frase che tanto ha interessato gli studiosi di Le Clézio ‹‹Je ne suis peut-être pas un très bon Indien

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››. Si può notare come Le Clézio si avvicini alla popolazione Embera cosciente del suo bagaglio di valori di uomo occidentale; in seguito, infatti, l’autore stesso precisa che al giorno d’oggi non si può considerare l’incontro con una cultura indigena un lusso, ma che ‹‹c’est devenu une nécessité pour qui veut comprendre ce qui se passe dans le monde moderne

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››. Queste parole arrivano in qualche modo a sintetizzare l’attitudine con la quale Le Clézio si avvicina a questo universo culturale sconosciuto, ovvero

35 J.-M.G. Le Clézio in G. De Cortanze, J.M.G. Le Clézio. Le nomade immobile, cit., p. 108.

36 J.-M.G. Le Clézio, Haï, Genève, Albert Skira éditeur, 1971,p. 7.

37Ibidem, p. 11.

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quello di conoscere un altro mondo per imparare in qualche modo a conoscere meglio se stessi e rivalutare con occhi nuovi la propria cultura di appartenenza.

Solo se si tiene conto di questa prospettiva si può giungere a capire il senso di questo saggio lecleziano. La maggior parte delle pagine di questo libro sembrano essere una sorta di celebrazione alla cultura, alle credenze, alle donne e all’arte delle popolazioni indigene del Messico; ciò che più colpisce lo scrittore è che la bellezza che permea la realtà di questi popoli è insita nell’assoluta libertà con la quale essi si rapportano al mondo. Di conseguenza, ogni aspetto, perfino il silenzio, appare essere un’istanza portatrice e rivelatrice di una qualche verità. In opposizione a tutta questa armonia che caratterizza le società indigene si collocano quegli aspetti menzogneri e fallaci della società occidentale, in primis il linguaggio stesso. L’uomo occidentale ha perduto quel rapporto di equilibrio e di armonia con la natura, e la meccanizzazione non ha fatto altro che intaccare ancor di più questo legame che è invece ancora intatto presso le civiltà indigene. Da questo punto di vista, l’esperienza del Messico sembra essere per lo scrittore una possibile cura ai mali della società contemporanea occidentale.

En portant sur les Emberas un regard ‹‹charnel››, […] Le Clézio recherche au-delà des mots et du langage, et cela lui permet d’entrer de plain-pied dans les valeurs qu’il recherche précisément. Ainsi trouve-t-il dans le mode de vie amérindien une parfaite validation de ses intuitions concernant l’importance des sensations et de l’implication du corps comme matière dans l’espace – le fameux corps ‹‹parcelle de l’univers›› que l’on croise si souvent dans l’œuvre fictionnelle. Même confirmation s’agissant de la possibilité d’un rapport harmonieux de l’homme à l’environnement et d’une alternative à l’idée de téléonomie, de foi dans le progrès humain, comme d’ailleurs à toute pensée d’obédience messianique

38

.

L’incontro con le società indigene Emberas ha quindi una portata rivoluzionaria non solo sui temi stessi dell’immaginario lecleziano, ma anche sull’attenzione sempre maggiore che lo scrittore riporrà su aspetti della sua scrittura quali l’enfasi sulla centralità delle sensazioni dei suoi personaggi.

L’ interesse verso la cultura delle società indigene e della storia delle società precolombiane ha determinato inoltre un ampliamento dei generi letterari praticati dall’autore. Accanto ad opere esclusivamente narrative aventi come scenario il

38 C. Cavallero, Le Clézio, témoin du monde, cit., pp. 273-274.

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Messico e che presentano riferimenti più o meno espliciti al pensiero delle società indigene quali Mydriase (1971), Voyage de l’autre côté (1975), Trois villes saintes (1980) e il romanzo Ourania (2006), si ritrovano scritti quali Diego et Frida (1993), una biografia consacrata a due figure simboliche della cultura e dell’arte messicana quali Diego Rivera e Frida Khalo, la traduzione di un testo sacro azteco quale Les Prophéties du Chilam Balam o ancora una trasposizione in francese del testo storico Les Relations du Michoacán. L’interesse verso le civiltà precolombiane provoca anche un incremento della produzione saggistica dell’autore, come ben si deduce dalla pubblicazione di Le Rêve mexicain ou la pensée interrompue (1988) e, circa dieci anni dopo, di La Fête chantée et autres essais de thème amérindien (1997). Questi testi, in cui Le Clézio si presta a interpretare temporaneamente il ruolo di storico e di antropologo, testimoniano l’incessante volontà dello scrittore di dimostrare ancora una volta la grandezza di queste civiltà perdute e di rendere giustizia a quest’ultime relativamente alla questione della Conquista spagnola.

Ad ogni modo il Messico comparirà a più riprese nell’opera letteraria dell’autore, diventando una sorta di presenza silenziosa ma costante:

Ce glissement discursif de l’intérêt porté à la mémoire pré-colombienne et à l’épisode tourmenté de la Conquête vers un ancrage plus sensible dans la situation historique du Mexique contemporain se révèle également chez Le Clézio à travers une évolution concomitante du matériau romanesque. Si l’on néglige les notations fugitives des premiers ouvrages (cf. Le Livre des

Fuites), le Mexique actuel affirme sa présence dans le texte Cœur Brûle, où

il forme pour Clémence et Pervenche un item référentiel propice aux rétrospections tournées vers l’enfance. Puis il réapparaît dans la partie Rosa de Trois Aventurières, ainsi que dans Révolutions, et d’une façon plus nette encore, dans Ourania

39

.

Oltre ad aver fornito quindi del materiale che ha alimentato la già fervida curiosità e fantasia dell’autore, l’incontro col Messico ha decretato un ulteriore arricchimento di quelle tematiche che costituiscono l’immaginario lecleziano.

Soprattutto nella prima fase della sua produzione, ancor prima quindi di risolvere la quête interiore del sé tramite il viaggio nel deserto o il recupero delle proprie radici familiari tramite la scoperta di Mauritius, è proprio il Messico che ha

39 C. Cavallero, Le Clézio, témoin du monde, cit., pp. 302-303.

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costituito quel rifugio sicuro dello scrittore e quella soluzione possibile agli aspetti incomprensibili e problematici di quella società occidentale della quale, seppur lungi dal rifuggirla, Le Clézio si è sempre mostrato fortemente critico. Il Messico, pertanto, ha offerto all’autore la possibilità materiale di conciliare due elementi cardine del suo immaginario: quello dell’exotisme, del viaggio come ricerca e crescita interiore del sé e quello del primitivismo, ovvero della scoperta di una cultura altra al fine di meglio comprendere, confrontare e criticare costruttivamente la propria.

A livello letterario, non si può far a meno di notare un altro aspetto che Le Clézio stesso ha tenuto a sottolineare più volte. L’incontro con il Messico ha permesso inoltre all’autore di allargare i suoi orizzonti letterari; più precisamente, questa osservazione è da riferirsi all’interesse che lo scrittore ha mostrato nei confronti del Costumbrismo. Questo movimento letterario, nato negli anni Trenta del XX secolo, cercava di affermare l’identità nazionale attraverso una valorizzazione del patrimonio culturale e folclorico amerindo e regionale. Ancor prima di Le Clézio, il quale scopre questo scenario letterario alla fine degli anni Settanta proprio durante il suo soggiorno in Messico e a Panama, altri autori del Novecento che certamente non passano inosservati agli occhi di Le Clézio quali Jorge Amado, Juan Rulfo o Gabriel García Márquez vengono influenzati da questa stessa corrente letteraria. A riguardo, Bruno Thibault sottolinea come ‹‹Ce modèle latino-américain a fortement contribué à définir la seconde ‹‹manière›› de l’écrivain au seuil des années 80, à partir de Désert.

40

›› Come è stato rilevato da numerosi critici e ammesso più volte dallo stesso scrittore che non ha mai fatto mistero del suo interesse per questo tipo di letteratura, il ruolo che il primitivismo o realismo magico viene ad acquisire in questa fase della scrittura lecleziana diviene quasi l’elemento cardine della sua produzione letteraria e tale sarà destinato a rimanere in seguito. Come rileva Cavallero:

Ce rôle moteur du mythe, Le Clézio l’avait découvert dès avant de traduire les prophéties des anciens mexicains, lorsqu’il fuit initié au chamanisme à l’occasion de son séjour au Panama. Mais, nous confia-t-il en évoquant l’œuvre de Giono, c’est dans le mouvement costumbriste – école naturaliste

40 B. Thibault, J.M.G. Le Clézio et la métaphore exotique, cit., p. 68.

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des années 1930 – qu’il trouva l’expression littéraire la plus achevée des mythes amérindiens

41

.

Come è emerso quindi dalla trattazione di tutti questi aspetti, non si può far altro che rilevare come l’incontro tra Le Clézio e il Messico sia stato di capitale importanza; è infatti innegabile che questa terra, la sua storia, la cultura e la filosofia di vita delle civiltà indigene, abbiano lasciato un segno profondo e indelebile sull’immaginario lecleziano e alimentato copiosamente la produzione letteraria dell’autore.

41 C. Cavallero, Le Clézio, témoin du monde, cit., p. 283.

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