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1 Crisi della maschilità e sviluppo dei men’s studies 1.1

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III

1 Crisi della maschilità e sviluppo dei men’s studies

1.1 La caduta del virilismo: industrializzazione, modernità, femminismi, società dei consumi.

A partire dall’ultimo decennio del XIX secolo, la maschilità, nella sua formulazione patriarcale, iniziò un percorso di progressivo dissolvimento, a fronte di un femminismo in ascesa. La rivoluzione industriale mutò per sempre il volto della società civile in Occidente. Nei primi decenni del XX secolo i movimenti femministi delle suffragette imperversarono in occidente mettendo in discussione la struttura patriarcale della società e reclamando spazi pubblici sempre maggiori. Alle prese con una società che apriva progressivamente le porte del lavoro e delle libertà civili alle donne, e nonostante le femministe reclamassero solo maggiore equità, l’uomo, divenuto improvvisamente visibile, sentì di avere tutto da perdere, in termini di diritti e privilegi, da questa situazione.1

L’apocalisse tanto millantata era, strano a dirsi, legata soprattutto al cambiamento della condizione femminile e la reazione maschile fu, con cadenza ciclica, anche di tipo violento, lasciando emergere i tratti identitari più conservativi e reazionari della maschilità (misoginia e omofobia). Si moltiplicarono infatti gli sberleffi misogini, le rappresentazioni caricaturali della donna, e si intensificò l’intolleranza nei confronti dell’omosessualità (il caso Oscar Wilde lo dimostra), sintomo di un profondo malessere identitario maschile a cui si tenta di dare risposte eteronormative.2 Non è un caso che proprio in quegli anni l’omosessualità venne formandosi

1

Per una trattazione esaustiva dell’argomento si vedano: S. Bellassai, La mascolinità

contemporanea, Roma, Carocci Editore, 2004 e dello stesso autore L’invenzione della virilità. Politica e immaginario maschile nell’Italia Contemporanea, Roma, Carocci Editore, 2011.

2

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IV

as a historically specific phenomenon, and the fact that it is socially organized becomes clear once we distinguish between homosexual behavior and a homosexual identity.3

La reazione violenta del maschile si ripropose ciclicamente come reazione al cambiamento dei tempi, a quel progresso percepito dai maschi come spaventoso e distruttivo. Si arrivò persino a invocazioni, da parte degli uomini, all’estinzione della società civile, dell’ordine naturale e di conseguenza della razza umana, quasi che l’intero universo dipendesse dall’identità maschile, garante di tutto.4

Il culmine dei movimenti femministi si ebbe attorno agli anni Venti, con la lotta in molti paesi occidentali per il suffragio universale. L’emergenza delle due guerre mondiali, però, fu destinata a sconvolgere l’esistenza di intere generazioni. Sino al secondo dopoguerra anche il femminismo venne, di necessità, accantonato. La guerra sancì un deciso ritorno al virilismo, soprattutto con i fascismi5. La guerra fu occasione di rinnovamento di quel tipo di maschilità e gli uomini, in guerra, tornarono a essere “veri uomini” (anche se non mancò il fenomeno delle donne guerriero, si pensi alle partigiane della resistenza). Ma di fatto la guerra lasciò campo libero alle donne nella società civile e nei mestieri.

Durante e dopo il secondo conflitto mondiale, i posti di lavoro tradizionalmente maschili furono man mano occupati dalle donne. Il focolare domestico, dove l’uomo era stato pater familias indiscusso, nonché unico

breadwinner,6 diventò ambito esclusivo del femminile. La riconversione dell’industria del dopoguerra (la nascita della società dei consumi) necessitava di manodopera allargata e non disdegnava quella femminile. Dopo l’attacco al voto,

3

Harry Brod, The Making of Masculinities: The New Men’s Studies, London, Allen & Unwin, 1987, p. 86.

4

S. Bellassai, L’invenzione della virilità, cit., p. 110. 5

Ivi, p. 63. 6

Letteralmente, il termine identifica “colui che porta a casa il pane”, ovvero chi sostiene economicamente il nucleo familiare. Indica cioè un percettore di reddito, inderogabilmente maschio, l’unico che detiene la facoltà di guadagnare qualcosa all’interno del nucleo familiare, e che dunque ha la responsabilità, ma anche il privilegio, di mantenere economicamente l’intera famiglia.

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l’ulteriore depredazione di un ambito esclusivamente maschile come il lavoro rappresentò l’ennesimo passo avanti del femminile verso l’abbattimento di una frontiera millenaria: la divisione delle sfere di competenza, pubblica e privata, tra uomini e donne. E se si pensa a quanto radicata questa convinzione fosse ancora sino a pochi decenni prima si comprende la svolta epocale.

L’uomo conobbe inoltre la malattia mentale: lo shell shock procurato dalla guerra perseguitò le vite di molti ex combattenti fino a livelli di totale irrecuperabilità. Il ritorno a casa risultò dunque per i più difficoltoso. Spesso il maschio partito per la guerra lasciava posto a un individuo senza punti fermi, né identità.7

Di fronte a un tale scenario, emerse per forza di cose una (super)donna, il cui potenziale appariva ora illimitato: accudiva e cresceva i figli, all’occorrenza lavorava, e la modernità stava riservandole sempre più spazio e margine di manovra in termini di consumi. Lo spettro della modernità nemica dell’uomo era più che mai “vivo e vegeto”. Ma paura, forza delle convenzioni e una società, consumistica sì, ma pur sempre abituata a ragionare con schematismi tradizionali, o perlomeno a inglobare in tali schematismi anche il potenziale cambiamento, seppero tramutare una tendenza innovatrice in un conformismo da supermercato,8 sebbene la donna godesse ora di libertà e possibilità sino a quel momento non solo inarrivabili, ma persino inconcepibili. I valori mercificati, le buone maniere e il giusto mezzo dominarono la scena degli anni Cinquanta, almeno sino all’inizio del movimentismo degli anni Sessanta.

1.2 La grande rivoluzione globale: femminismo second-wave e nascita dei men’s studies

È nel corso degli anni Sessanta che si sviluppò la seconda ondata del femminismo (second-wave feminism), che ebbe un impatto dirompente e

7

S. Bellassai, La mascolinità contemporanea, cit., p. 80. 8

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VI

radicale, anche perché traeva origine da un uragano culturale rappresentato dal movimentismo di protesta. Se l’obiettivo globale era una rivoluzione radicale della società, improntata su valori quali l’amore, l’equità, il pacifismo e la solidarietà, il movimento femminista aveva come obiettivo principale l’emancipazione femminile, quel senso di generale costrizione che Betty Friedan chiamava La mistica della femminilità,9 il titolo del libro-denuncia divenuto in brevissimo tempo il testo fondamentale del femminismo second-wave.

Anche se questa seconda ondata era destinata a non avere gli effetti pratici sperati, la profondità delle sue idee aprì un dibattito reale sulla disparità di genere. La generale ostilità delle femministe verso lo studio del maschile fu superata in seguito, quando da un lato si comprese che esso si inseriva di necessità nella visione femminista, e dall’altro se ne comprese il potenziale sovversivo nei confronti del sistema patriarcale.10 Sono gli albori del concetto di relazionalità tra i generi, per cui a ogni modifica dello status di uno, corrispondeva un sussulto nell’altro.11

Il concetto di genere venne introdotto in quegli anni ed entrò ufficialmente nel discorso scientifico nel 1975, con il saggio di Gayle Rubin, The Traffic in

Women12. Esso permetteva una profondità interpretativa nell’analisi tanto del femminile quanto del maschile. Due furono gli obiettivi fondamentali che l’analisi di genere permise di raggiungere secondo Bellassai: in primis, andare al di là delle concezioni dei due generi su base biologica, o nel migliore dei casi socio-biologica, per abbracciare definitivamente un approccio che concepisca il genere come costrutto insieme storico, sociale e culturale (relatività13). La messa

9

B. Friedan, The Feminine Mystique, New York, W. W. Norton & Co., 1963, trad. it. La

mistica della femminilità, Milano, Edizioni di Comunità, 1976.

10

J. Tosh, Come dovrebbero studiare la mascolinità gli storici, in S. Piccone Stella e C. Saraceno (a cura di), Genere, La costruzione sociale del maschile e del femminile, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 68.

11

S. Bellassai, La mascolinità contemporanea, cit., p. 28.

12

S. Piccone Stella e C. Saraceno, Genere, cit., p. 7. 13

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in discussione della naturalezza e immutabilità dei sessi comportava mettere in discussione un immobilismo sociale pressoché atavico. Secondo, mettere in evidenza gli specifici significati assunti dai fenomeni sociali a tutti i livelli nell’esperienza maschile e femminile. Cosa che un approccio neutro nascondeva perché non vedeva (invisibilità del maschile).14 Il genere era una categoria di analisi portata in auge dagli studi femminili per mostrare lo squilibrio esistente tra i due sessi:

nominare il genere significa immediatamente evocare il potere […] la disuguaglianza tra i sessi, e della distribuzione del potere, era l’immagine originaria con la quale il femminismo fotografava politicamente il suo bersaglio.15

Dal 1969 prende le mosse, parallelamente all’ondata femminista, il movimento di liberazione gay, che avrà un impatto forte sugli studi di genere.16 Sono di primaria importanza in questi anni anche gli studi sulla discorsivizzazione della sessualità di Michel Foucault.17

Gruppi di autocoscienza maschile sorsero negli Stati Uniti già a fine anni Sessanta e videro una rapida diffusione oltreoceano: in Europa, soprattutto Gran Bretagna e Germania furono investite da questa ondata di autocoscienza maschile; in Italia nacquero alcuni gruppi a partire dal 1974.18 Furono le premesse per lo sviluppo, nei paesi anglofoni e non prima della metà degli anni Settanta, dei men’s studies, sorti inizialmente in reazione alle sfide e accuse lanciate al maschile dagli studi femministi. Innegabile dunque che in essi vi fosse un influsso marcatamente femminista. Il debito verso gli studi femministi era

14

Ivi, p. 29. 15

S. Piccone Stella e C. Saraceno, Genere. La costruzione sociale del maschile e del femminile, cit., p. 11.

16

Vedi voce Gay Liberation Movement in M. Kimmel e A. Aronson (editors), Men And

Masculinities. A Social, Cultural, and Historical Encyclopedia, Santa Barbara, ABC-CLIO,

2004, p. 336. 17

M. Foucault, Histoire de la sexualité.La volonté de savoir, aris, allimard, 1976, trad. it. Storia della sessualità 1, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1997.

18

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VIII

enorme: è da questi ultimi che proveniva infatti il concetto di genere, filtro imprescindibile attraverso cui analizzare il vero significato della maschilità.19 Edwards riassume così questa primissima fase:

The first phase or wave of critical studies of masculinity refers to the development of the sex role paradigm in the 1970s to apply more directly to questions of masculinity […] Though varied to some extent, the key emphasis of these studies was, first, to demonstrate the socially constructed nature of masculinity and its reliance on socialisation, sex role learning and social control; and second, to attempt to document how these processes were limiting and perhaps even harmful to men in terms of their own psychological and even physical health (Goldberg, 1976).20

La prima ondata dei men’s studies era dunque improntata al paradigma del ruolo sessuale ma tali studi ebbero modo di svilupparsi in seguito per strade nuove e indipendenti, alla luce di modelli più radicali e improntati a un’analisi di genere vera e propria.

I primi a cimentarsi in questa nuova disciplina furono uomini coinvolti nei movimenti di protesta. L’interesse improvviso per questa materia era quindi, da un lato, culturale, poiché forma di curiosità spontanea a interrogarsi sulla propria identità di genere; dall’altro era anche un interesse più puramente scientifico, poiché si tratta di un allargamento del campo degli studi di genere. Lo spirito militante e poco profondo delle prime opere andò, nel primo caso, affievolendosi, nel secondo, approfondendosi.

1.3 La maturazione: gli anni Ottanta

Gli anni Ottanta furono il periodo di maturazione della questione maschile. I

men’s studies assunsero in primis una natura critica rispetto ai precedenti. Ancora

Edwards ci indica il cammino:

The second phase or wave of critical studies of masculinity emerged […] primarily out of immense criticism of the first wave. More particularly, the sex role paradigm was now commonly seen to be both dubious politically in implying some kind of level playing field between the sexes and limited

19

S. Bellassai, La mascolinità contemporanea, cit., p. 20. 20

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theoretically in its purchase on masculinities in the plural sense rather than in the singular sense of one, often white, Western and middle-class, model. Fundamental in this was the work of Connell in developing the concept of hegemony to apply it to questions of masculinity.21

Non sorprende dunque che gli studi sul maschile in questa fase fossero soprattutto interessati alla questione del potere tra i sessi e che di fondo vi fosse un approccio politico e profemminista alla materia.22 Le tematiche approcciate aumentarono in modo esponenziale: corpo, sessualità, rapporti di coppia, omosocialità, arte, storia, letteratura sono alcune delle materie rivisitate in chiave maschile.23

In più, a segnare la maturazione della disciplina, abbiamo anche la progressiva divaricazione sul piano dell’orientamento politico degli scritti sul maschile. Lungo il decennio comparvero scritti dichiaratamente antifemministi, reazionari, solitamente connessi ad ambienti e vedute destroidi, tanto che si arrivò a parlare di corrente neomaschilista. E in questo contesto apparve più evidente l’ulteriore divaricazione tra i men’s studies e quelle opere che, con metodi discutibili e finalità ideologiche, svelavano un’impostazione contraria a quella di genere.24

Comparvero le prime opere collettive sul maschile e si registrarono le prime valutazioni sulla disciplina dei men’s studies. Allo stesso tempo, la materia acquisì interesse: nei soli USA oltre duecento università attivarono corsi sul maschile.25 Si iniziò a comprendere, inoltre, che anche i maschi erano condizionati dal significato che assumeva l’essere uomo in una determinata cultura. 21 Ivi, p. 2. 22 Ibidem. 23

S. Bellassai, La mascolinità contemporanea, cit., p. 20. 24

Ivi, pp. 20-21. 25

S. Bellassai, Riders on the Storm. Uomini dentro la storia, in S. Bellassai et al., Vivencia.

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X

Nel 1989 comparve Riscoprire la mascolinità,26 il libro del sociologo Victor Seidler. Alla base del lavoro di Seidler vi è la convinzione che il tipo di maschilità imperante in occidente fosse sorto con l’avvento della società moderna e che da subito la maschilità sia stata orientata verso caratteristiche quali durezza emotiva e ricusazione delle forme sentimentali, in totale sintonia con una società che andava sviluppandosi secondo criteri razionali quali il progresso e l’individualismo. Questa serie di nuovi valori andò ad associarsi al maschile divenendone, secondo Seidler, una componente identitaria imprescindibile: “abbiamo ereditato un’identificazione storica della mascolinità con la ragione e la morale.”27 La maschilità è indubbiamente per Seidler un costrutto socio-culturale e come tale non un ha origini naturali. Seidler contesta l’idea secondo cui questo tipo di società sarebbe una stata costruita a immagine e somiglianza dell’uomo; si tratta piuttosto di una società castrante nei confronti della maschilità. L’esistenza maschile sarebbe confinata ad ambiti in cui “finiamo col parlar per gli altri prima di aver davvero imparato a parlare per noi stessi.”28 Attraverso tali valori “innaturali” il maschile si arroga il diritto di parlare all’intera maschilità, proposito insensato se il presupposto di partenza è una disconoscimento della propria natura su basi artificiali. Si tratta dunque per Seidler di un discorso retorico pre-impostato. L’ambito sessuale, ad esempio, dimostrerebbe quanto di taciuto e inespresso vi sia nell’esistenza maschile. Seidler rafforza l’analisi con l’aiuto del dato etnografico, raccontandoci le proprie esperienze di ragazzo “maschio” (a partire dagli anni Quaranta) alle prese con, ad esempio, la sessualità e l’affermazione di una maschilità virile. Il discorso retorico imperante è impostato in modo da prediligere l’inespresso e, con la pretesa di parlare per tutti gli uomini, segue le linee tracciate da una

26

V. J. Seidler, Rediscovering Masculinity. Reason Language and Sexuality, London, Routledge, 1989, trad. it. Riscoprire la mascolinità. Sessualità, ragione e linguaggio, Roma, Editori Riuniti, 1992.

27

Ivi, p. 5. 28

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XI

ingannevole neutralità: “questo fa della mascolinità un potere invisibile perché la regola che vale per gli uomini è considerata semplicemente l’espressione della ragione e della normalità.”29 Per Seidler, l’associazione tra società e razionalità e quella tra razionalità e mascolinità vigevano sin dall’Illuminismo; di conseguenza la legge maschile corrisponde a quella della società civile razionale. Il maschile è così spinto a esprimersi nei termini “neutrali” della ragione, che però non gli appartengono. Saremmo dunque in mancanza di una reale maschilità poiché essa non riesce a trovare la sua vera natura. Se il femminismo aveva avuto il merito di mostrare l’assenza della donna nella sfera pubblica, l’obbiettivo primario degli studi maschili forse era quello di dimostrare l’invisibilità del maschio a se stesso.

1.4 La definitiva esplosione: gli anni Novanta

Gli anni Novanta videro una vera e propria moltiplicazione degli studi sulla maschilità, in particolare in campo sociologico, con la pubblicazione di oltre cinquecento volumi stampati, riviste specializzate e la comparsa di siti web dedicati alla disciplina.30 L’interesse storiografico si allargò alle mitologie della virilità, alle rappresentazioni del maschile e ai passaggi critici della virilità, primi fra tutti “i decenni fra Otto e Novecento, dove l’edificio identitario della mascolinità tradizionale ha mostrato le sue crepe più vistose.”31 È solo in questa fase matura che si raggiunse una consapevolezza più piena di ciò che la maschilità era davvero. Si diffusero i concetti di relazionalità, relatività socio-culturale e invisibilità del maschile. Lo studio del genere si allargò alla relazione con altri tratti dell’identità, come ad esempio razza e classe sociale. Edwards descrive con queste parole la terza ondata degli studi maschili:

29

Ivi, p. 6. 30

A. De Biasio, Studiare il maschile, “Allegoria”, 61, 2010, p. 10. 31

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XII

The third wave of studies of masculinity, rather like the potential third wave of studies of femininity, is clearly influenced by the advent of post-structural theory, particularly as it relates to gender in terms of questions of normativity, performativity and sexuality. As is also the case with feminism, it is less easy to define, often slipping across interdisciplinary lines and invoking literary, cultural and media studies alongside the work of social scientists […] A common theme, however, is the importance of representation and its connection with wider questions of change and continuity in contemporary, and in some more historical, masculinities and identities. In addition, many of these studies of cultural texts are relatively positive in their emphasis, whether more overt or covert, on the sense of artifice, flux and contingency concerning masculinities.32

Un testo canonico dei men’s studies apparso in questo periodo è L’immagine

dell’uomo33

di George Mosse, in cui l’autore si occupa di tracciare la storia dell’ideale maschile moderno, lo stereotipo che fece da collante della società occidentale. A rappresentare però uno dei veri punti di svolta degli studi maschili furono gli scritti di Robert Connell. Negli anni Novanta, l’apporto fondamentale e più innovativo ai men’s studies arrivò proprio con il sociologo e professore universitario australiano, che si sottopose in età avanzata a un’operazione di cambio di sesso, cambiando il nome in Raewyn Connell. Nel 1987 scrisse

Gender and Power, una revisione delle teorie di genere che attraversa

femminismo, psicoanalisi, teoria del ruolo sessuale e sociobiologia. In questo scritto faceva inoltre una mappatura delle relazioni di genere nella vita contemporanea e proponeva un nuovo approccio alla femminilità e maschilità, analizzando la politica sessuale e le dinamiche di cambiamento. Ma l’opera di maggiore levatura e innovazione, nonché popolarità e attestazione accademica, arrivò nel 1995, quando comparve Masculinities.34 Come riassume Anna De Biasio, l’opera ha sostanzialmente tre nature:

32

T. Edwards, Cultures Of Masculinity, cit., p. 2. 33

G. L. Mosse, The Image of Man: The Creation of Modern Masculinity, New York, Oxford University Press, 1996, trad. it, L’immagine dell’uomo, Lo stereotipo maschile nell’epoca

moderna, Torino, Einaudi, 1997.

34

R. Connell, Masculinities, Cambridge, Polity Press, 1995, trad. it. Maschilità. Identità e

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XIII

è innanzitutto un bilancio delle teorie scientifiche e sociologiche del maschile […] è una storia dell’“organizzazione sociale” del genere e della maschilità moderna […] infine, è una raccolta di dati etnografici, che comprende interviste a decine di uomini impegnati a ragionare sulla propria identità sessuale e di genere.”35

In materia di scientificità del maschile, Connell considerava oltrepassati e troppo rigidi gli insegnamenti della psicologia freudiana, e si discostava sia dal sociobiologismo degli anni Settanta che dalla classica teoria sociale del “ruolo sessuale”. La sua analisi abbracciava le maggiori fasi degli studi sul maschile dall’epoca moderna a quella contemporanea. Il titolo ci suggerisce immediatamente la modernità dell’opera: Connell indicava come molteplice il possibile numero di maschilità, inserite in una piramide gerarchica (da qui l’idea di una maschilità egemone) soggetta a modificazioni interne e sussulti. I capitoli centrali del testo ci mostrano il dato reale, ovvero una collezione di casi (case

studies) invitati a ragionare sul significato della propria maschilità. In Connell la

maschilità è, in definitiva, un prodotto storico-culturale interrelato con altri fattori di identità quali razza, religione, ceto sociale, ecc. La maschilità ha varia non solo da cultura a cultura, ma anche all’interno di una stessa società possiamo trovare, ad esempio, una mascolinità “bianca” (in senso razziale) ed egemone, e altri modelli maschili subordinati. Parlare di maschilità (al plurale) significa allora parlare di potere. In un dato contesto socio-culturale esistono allora più maschilità, che formano tra di esse una gerarchia in continua trasformazione. Ed è inoltre un libro che parla di prospettive future: le crepe del sistema patriarcale, così eterogeneo, non hanno ancora portato a una vera liberazione maschile dal patriarcato, che deve essere prima di tutto mentale, culturale, basata sull’alleanza piuttosto che sulla divisione.

In realtà fu Harry Brod, una delle figure più importanti nel campo degli studi maschili ancora oggi, il primo a inserire il termine maschilità al plurale come

35

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XIV

titolo di un suo libro,36 The Making of Masculinities,37 un volume a più voci in cui vengono riepilogate le maggiori teorie sul maschile in ambiti quali sociologia e psicoanalisi (la teoria del ruolo sessuale) e in cui la riflessione si apre poi a nuovi possibili approcci di genere alla maschilità. Brod coeditò un altro importante testo insieme a Kaufman nel 1994, Theorizing Masculinities,38 che ha un approccio multidisciplinare e vede anche il contributo di Robert Connell. Nello stesso periodo viene pubblicato in Francia un altro importante testo, XY.

L’identità maschile,39 di Elisabeth Badinter. Frutto di una serie di seminari tenuti dall’autrice al College Polytechnique, il testo è una riflessione sulla costruzione dell’identità maschile e abbraccia in modo interessante tutti gli aspetti della maschilità. Da segnalare vi è sicuramente anche la corposa bibliografia edita da Eugene August nel 1994.40

Altro protagonista dei men’s studies è Michael Kimmel,41 sociologo, scrittore e accademico, che si è occupato di maschilità su tutti i fronti. Kimmel è editore della rivista accademica Men and Masculinities,42 di una serie di libri sulla maschilità per la University of California Press e per la casa editrice Sage. Ha scritto e coeditato svariati testi fondamentali, tra cui Changing Men,43 The Politics of Manhood44 e Manhood in America.45 Più di recente ha scritto The

36

http://www.harrybrod.com/ 37

H. Brod, The Making of Masculinities, cit. 38

H. Brod e M. Kaufman (a cura di), Theorizing Masculinities, Thousand Oaks, Sage Publications, 1994.

39

E. Badinter, XY. De l’identité masculine, Paris, Odile Jacob, 1992, trad. it. XY. L’identità

maschile, Longanesi editore, Milano 1993.

40

E. R. August, The New Men’s Studies: A Selected and Annotated Interdisciplinary

Bibliography, Englewood, Libraries unlimited, 1994.

41

http://creativepromotionsagency.com/mk/index.htm 42

http://jmm.sagepub.com/ 43

M. S. Kimmel, Changing Men: New Directions in Research on Men and Masculinity, Newbury Park, Sage Publications, 1987.

44

M. S. Kimmel (a cura di), The Politics of Manhood: Profeminist Men Respond to the Mythopoetic Men's Movement (and the Mythopoetic Leaders Answer), Philadelphia, Temple

University Press, 1995. 45

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XV

History Of Men46 e Guyland,47 un viaggio all’interno del mondo dei teenager attraverso concetti di crescita e maturità. Kimmel è portavoce della NOMAS (National Organization for Men Against Sexism).48

Oggi un database molto aggiornato sugli studi maschili si trova sul sito dell’American Men’s Studies Association,49 che contiene i collegamenti alle principali riviste e associazioni che si occupano di maschilità.

46

M. S. Kimmel, The History of Men: Essays in the History of American and British

Masculinities, Albany, State University of New York Press, 2005

47

M. S. Kimmel, Guyland: The Perilous World Where Boys Become Men, New York, Harper Collins, 2008.

48

http://site.nomas.org/leadership/ 49

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