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CAPITOLO 3 CACTUS KID E IL FANTASMA DELLA CARROZZA DI FUOCO: UNA PROPOSTA DI TRADUZIONE

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CAPITOLO 3

CACTUS KID E IL FANTASMA DELLA CARROZZA DI FUOCO:

UNA PROPOSTA DI TRADUZIONE

Als Kind war ich total in den Wilden Westen verschossen. Immer habe ich mit Cowboys und Indianern gespielt und mir Geschichten ausgedacht. Heute schreibe ich sie alle auf und fühle mich wieder wie ein Kind beim Spielen.

(Bradley Buxbaum,http://www.agenturscriptzz.de/buxbaum.html)

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Dopo un’approfondita riflessione teorica, il presente capitolo contiene una parte pratica che ha come obiettivo quello di affrontare concretamente le difficoltà che possono sorgere durante la traduzione di un testo per bambini. Per questo motivo, le seguenti pagine sono dedicate alla traduzione di alcune parti dell’opera di Bradley Buxbaum Kaktus Kid und die brennende Geisterkutsche. Il libro di Buxbaum è stato scelto grazie alle numorossissime recensioni positive fatte in rete dai genitori che lo avevano comprato per i loro figli. Molti di loro lo avevano letto ad alta voce insieme ai figli e oggi sottolineano come si siano divertiti a seguire le avventure di Kaktus Kid. Ritornano così due aspetti cruciali della letteratura per l’infanzia: l’atto di leggere inteso come una performance teatrale e il ruolo chiave giocato dagli adulti nella scelta e nella fruizione delle opere per l’infanzia.

Buxbaum è un giovane autore, nato in Austria nel 1981. Kaktus Kid è il suo primo libro ed è stato pubblicato dalla casa editrice berlinese Ueberreuter nel 2014. Il libro non è ancora stato tradotto in italiano. Per quanto riguarda la parte visiva, esso contiene moltissime illustrazioni le quali, però, hanno un’importanza secondaria rispetto alla parte verbale. Le immagini, create da Iris Wolfermann, contribuiscono fortemente a rendere il testo ancora più divertente, ma in rarissimi casi costituiscono un vincolo problematico per il traduttore.

Le avventure di Kaktus Kid sono suddivise in ventidue racconti, ambientati nel Selvaggio West. Il protagonista di Buxbaum vive infatti nel Texas, ancora poco colonizzato, e sogna di diventare un detective. Il suo primo caso consiste nello scoprire il mistero di una carrozza di fuoco che appare nel cuore della notte e che incute terrore ai cowboy e ai rancher. Il ragazzo verrà aiutato dagli amici: il fedele cavallo Trix, il pappagallo Peng Peng e la figlia dello sceriffo Gloria Goldstern.

Di seguito viene proposta una traduzione di cinque dei ventidue racconti di Kaktus Kid. Anche se essi rappresentano solo una parte dell’opera di Buxbaum, permettono comunque di vedere chiaramente quanto creativa essa sia e quante sfide presenti per il traduttore. La traduzione è stata fatta dopo numerose letture. Il traduttore, del resto, è prima di tutto un lettore. Esse hanno permesso di capire quanta importanza abbiano la musicalità, il ritmo e gli effetti sonori all’interno dell’opera di Buxbaum e quanta attenzione ai dettagli sia necessaria, dal momento che l’autore non smette mai di giocare con la lingua o, addirittura, con le lingue.

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Cappello di Cactus Kid:

- noccio- li di cilie-

gia

- lente

d’ingran-

dimento

- calzino-

salvada-

naio - 1 pezzo

di carbone

per scrivere

- flauto

- chiodo

da ferro di

cavallo

- candela

- cartina

geografica

- biscotti di

cactus - pol-

vere da

sparo

- blocco

note - -

-

- cannocchiale - ferro di Trix

porta fortuna!

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Sotto la sella di Trix:

- tazza di

latta

- borraccia - padella

- ombrello

- lampada

- canna da

pesca

- lazo

- patate

-bollitore per il cacao

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Billy Mirtillo

Buchi da sparo

Toppe

Nome: Billy Mirtillo

Soprannome: Cactus Kid

Occhi: blu mirtillo

Capelli: biondo sabbia

Professione: detective

Residenza: una capanna nella prateria

Hobby: collezionare tesori nel suo

cappello

Cibo preferito: toast texano

Caratteristiche: molto coraggio ha

questo selvaggio Trix

Nome: Trix

Soprannome: Compagno Occhi: marrone cioccolato Pelo: color ciliegia

Criniera e coda: nere

Professione: cavallo detective Cibo preferito: pizza Prateria

Caratteristiche: sono favolosi i trucchetti Trix

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Peng Peng

Nome: Pappagallo Peng Peng Soprannome: Piccolo Compagno Occhi: come due perle nere Piumaggio: sgargiante

Residenza: presso il cappello di Billy Professione: mascotte volante

Hobby: imitare perfettamente le voci degli altri Cibo preferito: biscotti di cactus

Caratteristiche: è un mattacchione

Gloria

Nome: Gloria Stelladoro Occhi: verdi

Capelli: neri

Professione: ragazza sceriffo

Residenza: l’ufficio dello sceriffo a Dry Cactus City Hobby: acchiappare i banditi con un lungo lazo Cibo preferito: fagioli salterini con la pancetta Caratteristiche: sa girare la fionda velocissimamente

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Toast texano con marmellata

Quando il west era ancora selvaggio, lontano nella prateria c’era una piccola capanna. La capanna, piantata nella sabbia, era storta e un po’ traballante. Era mattina presto e i primi raggi di sole battevano attraverso le assi del tetto. Ma di tutto questo Billy non sapeva un fico secco perché stava dormendo davanti al camino e russava come un orso:

“Esci dal letargo”, gridò zia Barbetta e diede a Billy uno

spintone con la scopa. Una spaventosa nube di polvere si alzò vorticosamente in aria.

“Sono già in piedi”, borbottò Billy e strisciò fuori dal sacco di patate, che lui usava come un sacco a pelo. Il ragazzo si strofinò con forza gli occhi e si affacciò alla finestra. In alto nel cielo galoppava una mandria di bianchi cavalli di nuvole. In basso, dalla capanna fino all’orizzonte, si estendeva l’arido deserto. Al sole, che si stava levando dietro alle gobbe

montagne, la sabbia luccicava come polvere d’oro. Un nuovo giorno iniziava nel Texas.

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La bandana di Billy sventolava come un drappello nel caldo vento del west e gli faceva il solletico al mento. Billy Mirtillo, era questo il nome del ragazzo.

Era un nome che gli si addiceva a meraviglia perché dietro ai suoi selvaggi capelli crespi scintillavano due occhi blu mirtillo.

“Vieni a fare colazione, piccolo Cactus Kid”, brontolò la zia.

“Come mai mi chiami Cactus Kid?” si meravigliò Billy.

“Guarda i tuoi capelli – sono pungenti come un cactus. Zia Barbetta rise e accarezzò Billy sulla sua testa scompigliata.

Billy non fece altro che annuire.

Cactus Kid gli piaceva. Era adatto ad un giovane detective. Il più grande sogno di Billy era infatti quello di aprire un giorno nel Selvaggio West uno studio di investigazioni. Con un cavallo veloce come una freccia e, naturalmente, con un lazo ed una lente d’ingrandimento.

Un altro mestiere non gli passava

nemmeno per l’anticamera del cervello.

Il bollitore del cacao fischiettò una divertente canzoncina quando la zia lo tolse dal camino e lo mise sul tavolo di pietra. Il centrotavola era fatto da una rosa della prateria ficcata in un vecchio stivale che ormai poteva essere usato al massimo come vaso da fiori. Nell’altro

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stivale, messo sul davanzale, cresceva un cactus rotondo. Zia Barbetta prese dallo scaffale il vasetto di marmellata e si sedette alla tavola apparecchiata. La sedia scricchiolò sotto il suo peso. Era una signora grassa con dei fianchi da bufalo.

“Buongiorno”, disse Billy sbadigliando così forte che per poco non inghiottì la zia Barbetta.

“Come mai siamo già in piedi?” chiese il ragazzo che, dopo aver dormito vicino al camino, aveva le guance nere di carbone.

“Ah, Billy. Non appena ci sediamo per fare colazione subito inizi a bombardarmi con le tue domande curiose. Lo scoprirai presto. Bevi il cacao e mangia il tuo toast texano. E poi mettiti i vestiti che ti ho preparato. Presto ci veranno a prendere”, annunciò la zia con una voce da trombone e ficcò il suo naso così profondamente nel giornale, che Billy riusciva a vedere solo una protuberanza che spuntava dai capelli grigio-topo.

“Perché zia Barbetta si comporta in un modo così strano?” iniziò a riflettere Billy. Ma presto si scosse di dosso la domanda come se si trattasse di una pulce fastidiosa.

Allegramente spalmò un cucchiaio di marmellata sul suo toast.

Voleva solo mandar giù, con un

sorso di cacao, un pezzo di pane bianco durissimo quando…

“Cactus!”, strillò Billy e risputò il beveraggio marrone nella tazza di latta. “Scotta come il fuoco dell’inferno!”

In un attimo la grassa zia riapparì da dietro il giornale e strizzò gli occhi attraverso i suoi grossi occhiali.

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“Quante volte ancora dovrò farti la predica? Non dire cactus!”, sbuffò la zia come un toro selvaggio. Quando si trattava di imprecazioni, era tremendamente severa.

“Mi dispiace, zia. Mi è scappato.” Billy si leccò il cacao dalle labbra e soffiò nella tazza.

Zia Barbetta scomparì di nuovo dietro al suo giornale.

L’ultimo numero parlava del festival del Selvaggio West, di rodei, lanci del lazo e tiri con arco.

Billy divorò il suo toast e si mise a ragionare a pieno ritmo. Perché ha dovuto svegliarsi così tremendamente

presto? E chi sarebbe venuto a prenderli? Mentre le domande attraversavano la testa di Billy come frecce indiane, il suo sguardò

scivolo sulle foto del giornale.

“C’è di nuovo qualcosa sulla carrozza-fantasma, zia?”, chiese Billy teso come un arco indiano.

“La carrozza-fantasma? Ma è solo una vecchia favoletta del west”, pensò la zia.

Ma Billy non ne era così certo. Nelle ultime settimane il giornale parlava spesso di una carrozza nera che nelle notti buie sfrecciava per la prateria sulle ruote infuocate e faceva tremare di paura gli stivali dei fattori.

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Un piccolo monello con un grosso cappello

“Che monello che sei!”, strillò la zia e tolse a Billy la bandana.

“Quante volte ti ho detto che non puoi giocare con il mio lungo fazzoletto di stoffa!”

“Ma zia, un vero cowboy ha bisogno di una bandana”, borbottò Billy e immerse la sua testa crespa in un pentolone con l’acqua fredda per lavarsi la faccia. Brrr, l’acqua era gelata e avrebbe risvegliato qualsiasi cowboy stanco. Il nero della fuliggine del camino stava gocciolando dalle sue guance.

Billy si infilò i vestiti che la zia aveva tirato fuori per lui e abbottonò la camicia e i pantaloni sopra il pigiama. I vestiti avevano un odore strano. Sì, puzzavano quasi come un bufalo, dato che erano appesi nell’armadio da così tanto tempo. Billy scivolò nelle sue scarpe. Per finire, la zia gli mise anche la cravatta, che gli penzolava dal collo come una colorata coda di serpente. Billy non capiva un accidente. Come mai ha dovuto mettersi i bei vestiti della domenica? Cosa aveva in mente la zia? Il giovane

detective per hobby lo doveva scoprire il prima possibile.

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“Vieni, ti aspettiamo davanti alla capanna”, canterellò zia Barbetta.

Billy si allungò per prendere il suo cappello da cowboy e guardò in alto fino all’armadio, dove c’era la biscottiera. Si accertò che la zia fosse davvero fuori e salì su una sedia. Aveva già la scatola in mano e si stava leccando le labbra quando da fuori rimbombò la voce della zia: “Dove sei finito, Billy? Togli le mani dai biscotti!”

“Mi ha beccato, cacca di bufalo!” Billy avrebbe sgranocchiato proprio volentieri uno di quei biscotti fatti con i cactus spinosi. Ma purtroppo zia Barbetta lo conosceva troppo bene. Billy saltò giù dalla sedia, si mise il cappello sulla testa spettinata e corse fuori dalla zia.

In qualsiasi direzione si volesse guardare, dappertutto si estendeva la vasta prateria. La capanna si trovava all’ombra di un albero di melo. Tra la capanna e l’albero era tesa una corda sulla quale veniva appeso il bucato

umido finché non si asciugava. I vestiti a fiori della grassa zia danzavano al vento. Un pochino più avanti si sentiva il gorgoglio di un fiume che si insinuava nella prateria come un lungo serpente d’argento. E se si guardava con molta attenzione, si potevano scorgere in lontananza perfino i binari della ferrovia.

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Zia Barbetta si appoggò sulla cassetta della posta. Di solito Freccia Fischiante, il magro postino che lavorava per la Pony posta, portava solo il giornale. Per lo meno così è stato fino alla settimana scorsa. Perché poi la zia ricevette

una lettera dalla nonna dell’Oklahoma. Chiaramente Billy aveva immaginato cosa poteva ben contenere quella lettera. Ad esempio, la storia di quando, seduto in alto sul melo, aveva mangiato un croccante coleottero.

O quando aveva nuotato nel fiume con i pesci. Billy però non riusciva a capire. Era la lettera il motivo per il quale oggi li dovevano venire a prendere?

La zia squadrò il ragazzo da capo a piedi e disse: “Il cappello rimene qui. Non so proprio cosa ci trovi di così bello.”

“Il cappello appartenva una volta a mio papà”, disse Billy e orgoglioso passo la mano lungo il largo bordo marrone. Il vecchio cappello da cowboy gli stava troppo largo, ma non gliene importava un fico secco. In questo modo poteva nasconderci sotto ogni genere di cose.

“Va bene, allora tieniti il tuo cappello. Ma non voglio vederti masticare la gomma né sputare i noccioli di ciliegia, niente dita nelle orecchie, niente imprecazioni

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e niente insolenza. E non ti venga in mente di fare le smorfie, alzare gli occhi al cielo, mostrare la lingua, acchiappare le mosche, catturare i serpenti a sonagli, fischiettare le canzoncine a voce alta o di inventare altri scherzetti mentre aspettiamo.”

“Non posso fischiettare nemmeno le canzoncine?” Billy abbassò la testa deluso. Il ragazzo aveva infatti non solo un naso curioso, pieno di lentiggini, ma anche un buco tra i denti, attraverso il quale poteva fischiare perfettamente.

“Hai in testa solo sciocchezze. Chi potrai mai diventare da grande?”. Zia Barbetta scosse la testa.

Billy fece un largo sorriso e si tirò su il cappello. “Lo vedrai presto. Un giorno, zia, diventerò un detective a tutti gli effetti. E ho già il cappello da cowboy adatto per l’occasione.”

“Un detective? Eh, no, non lo diventerai. Ci sono troppi banditi a cavallo nel selvaggio west”, protestò la zia e con

passo pesante tornò nella capanna.

Billy si guardò intorno. Non dovevano venirli a prendere? Non c’era anima viva da nessuna parte – tranne la mucca Molly che pascolava vicino alla riva del fiume e già da tanto tempo viveva la sua vita in questo isolato angolo del west.

La mucca maculata guardava Billy mentre stava masticando un ciuffo d’erba.

“Allora posso fare ancora un giro veloce sull’altalena”, decise Billy e corse verso il melo. Da un ramo

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pendevano due grosse corde. Alle loro estremità era legata una consumata sella di cuoio, che Billy poteva usare come altalena.

“Scendi subito! Guai a te se ti sporchi i pantaloni!”, avvertì la zia che era ritornata dalla capanna.

Aveva in mano una valigia.

Billy esitò. Cosa ci avrà messo lì dentro? Il ragazzo lasciò stare l’altalena e si allentò un pochino la cravatta quando scorse qualcosa in lontananza. Stavano per fargli visita…

Benvenuti nella Città del West

Diretto verso la capanna, veniva un carro trascinato da due cavalli da tiro.

Una suora ricurva, in una tonaca nera e in un grigio cappello da cowboy in testa tirava le redini. Altre due sorelle erano accovacciate dietro nel cassone.

“Buongiorno”, gracchiò la vecchia donna.

“Ehilà”, rispose Billy come un vero cowboy.

“Ah, sei tu allora il monello che deve andare

all’orfanotrofio?”

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“Dove?

All’orfanotrofio?” Billy si spaventò e con occhi grandi guardò sua zia.

“Sì Billy, ascolta un po’.

Come ben sai, la nonna mi ha mandato una lettera. Purtroppo ha la febbre bubbonica dalla testa fino agli stivali ed è a letto malata. Per questo

già oggi vado

all’Oklahoma per farle visita. Ma i soldi bastano solo per un viaggio. E dato che tu non puoi vivere qui fuori tutto solo, ti ho trovato un posto all’orfanotrofio. Lì ci sono molti altri bambini e le suore si prenderanno cura di te. Non ti preoccupare, sicuramente presto troverai amici!”

Billy era rimasto senza parole. Ecco il perché dei bei bestiti. Se lo avesse saputo prima, si sarebbe

arrampicato in alto sul melo e di certo non sarebbe sceso mai più. Ma per questo adesso era un po’

troppo tardi.

“Tornerò appena posso. Questo te lo prometto. Parola d’onore degli indiani.” Zia Barbetta pizzicò Billy sulla guancia sinistra. “Adesso devo preparare la mia borsa da viaggio. Il rancher Rudi presto verrà a prendermi e mi accompagnerà alla diligenza. Ce n'è di strada fino all’Oklahoma.”

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Billy conosceva il

rancher Rudi

Quantibovini. Era il loro vicino più prossimo dietro alle colline e possedeva un’enorme mandria di bovini a corna lunghe, per la quale era ammirato in tutto il Texas.

“Qui ci sono i vestiti di Billy.” La zia ansimò mentre sollevava la valigia sul carro.

“Ferma! Aspetta!

Non voglio andare all’orfanotrofio”, gridò Billy disperato.

Ma questo

lamentarsi e agitarsi non servì a molto. Le vecchie suore del convento afferrarono Billy con le loro

fredde mani e in un batter d’occhio il ragazzo era seduto con loro nel cassone. Billy si sentì come un miserabile bandito al quale il giudice aveva appioppato una reclusione a vita e che doveva giusto essere portato in prigione.

“Stammi bene; Billy! In un paio di settimane sarò di ritorno!”, gridò zia Barbetta partendo. La zia prese il suo lungo fazzoletto di stoffa e salutò Billy mentre le suore prendevano in mano le redini.

“Hop“, fiatò la suora. E subito il carro si mise, traballante, in moto.

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Billy deglutì e tirò su col naso. Lacrime di tristezza gli riempirono gli occhi. Il ragazzo rimase muto a guardare come la capanna, che finora è stata la sua casa, diventava in lontananza sempre più piccola. Il sole cocente batteva dal pallido cielo azzurro e le ruote di legno del carro facevano chiasso mentre attraversavano la sterminata prateria, schivando le rocce rugose e i cactus a forma di sfera.

Dopo un viaggio

accidentato nella natura selvaggia del west raggiunsero finalmente una piccola città.

L’orologio rotondo sul campanile segnava già mezzogiorno. Le dodici in punto. Nella sabbia era piantato un indicatore stradale. “Dry Cactus City” diceva la scritta disegnata sul cartello di

legno. Era una piccola città con solo poche case. Tuttavia molti cowboy attraversavano questa regione a cavallo e qualcuno rimaneva più a lungo e si comprava anche un cappello e una capanna.

Così, con tavole di legno e chiodi, venivano costruiti sempre nuovi edifici. La piccola città del west

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cresceva di settimana in settimana e gestiva un continuo numero di arrivi e partenze di muli, carri, cavalieri solitari e di rancher con le enormi mandrie di bovini. Insomma, per farla breve, qui ne succedevano davvero delle belle.

Il carro attraversò con fracasso la strada principale. Billy era seduto dietro con le due suore e aveva le gambe penzoloni. I suoi occhi diventavano ad ogni minuto più grandi per lo stupore e lui non sapeva proprio da dove cominciare a guardare.

Il battito degli zoccoli dei cavalli si mischiava al tintinnio degli speroni sugli stivali impolverati.

Gli spari veloci scoppiavano nell’aria e una divertente musica di pianoforte arrivava dal saloon. Da qualsiasi parte guardava Billy, dappertutto brulicava di cowboy e cowgirl, di cercatori d’oro con le barbe lunghe fino al suolo, di rudi pistoleri, di rugosi fattori e grasse signore. Lungo la strada principale, abbaiando ad alta voce, un randagio irsuto inseguiva un gruppo di galline. Sì, qui si rideva, si spingeva e si sparava.

Billy riconobbe nella folla anche alcune facce familiari.

Una di queste apparteneva a Jimmi Giovanecappello. Il ragazzo dei giornali veniva chiamato dagli abitanti della città “Piccola zanzara”.

Ricevette questo soprannome perché era

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fastidioso come una zanzara e ronzava intorno alla gente finchè qualcuno non comprava il quotidiano.

Stava in piedi su una pila di giornali, con un cappello da cowboy in testa, fatto a sua volta con la carta di giornale, e sventolava selvaggiamente l’ultimissimo numero, urlando: “Leggete tutti della raccapricciante carrozza nera che nel cuore della notte attraversa la buia prateria sulle sue ruote infuocate e insegna ai

fattori cos’è la paura! Una pagina extra!!!”

“Allora la carrozza fantasma esiste eccome”, mormorò Billy con una sensazione di disagio allo stomaco. E non era di certo dovuta alla sua fame di biscotti di cactus.

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Il circo itinerante del Selvaggio West

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Mentre Billy pensava ancora alla carrozza fantasma, venne bruscamente strappato dal suo fantasticare.

“Questo non ti serve più”, gridò la suora che era seduta alla sinistra di Billy e gli strappò dalla testa il cappello.

“Solo noi suore possiamo portare i cappelli da cowboy. All’orfanotrofio i bambini non possono metterseli” spiegò la sorella, e gettò in alto il cappello di Billy.

Il cappello volteggiò in aria e atterrò sulla sabbia in mezzo alla via centrale.

Billy rimase a bocca aperta quando vide come il cappello da cowboy, che una volta portava suo papà, scompariva tra la polvere della strada.

“Per prima cosa ti taglieremo i capelli”, disse adesso la sorella seduta sulla destra di Billy e gli fece un sorisetto. “Poi ti infiliamo in una tinozza da bagno e ti strofiniamo ben bene con la spazzola,

perché non è che profumi proprio di rose.”

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Questo però era vero.

Perché Billy era molto pratico a svignarsela quando c’era da fare il bagno settimanale.

Quando era ancora piccolo, la zia gli aveva sempre raccontato che i fiori dietro la capanna sarebbero cresciuti solo se venivano annaffiati. E da allora Billy pensava che fosse così anche per

i bambini. Anche loro crescevano solo se facevano regolarmente la doccia o il bagno. E appena Billy si accorse che era alto abbastanza, tipo circa cinque cappelli, si tenne volentieri lontano dalla vasca. Dopo tutto, non voleva mica diventare un gigante.

No, l’orfanotrofio non faceva per lui. Di questo era certo. Avrebbe preferito di gran lunga vivere delle appassionanti avventure come detective. Mentre se ne stava così accovacciato sul carro, sentì improvvisamente che il suo sogno si allontanava sempre di più. Esattamente come il cappello da cowboy di suo papà, che tra gli stivali e le zampe dei tori quasi non si vedeva più. In fine Billy prese tutto il suo

coraggio e saltò giù dal carro. E lo fece così velocemente che era come se avesse una vespa nei pantaloni.

“Fermo!”, gridarono le suore indignate.

Ma Billy si mise a correre come un fulmine

giù per l’impolverata via principale. Non sarebbe andato all’orfanotrofio neanche per tutto l’oro del west.

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“Attenzione, ragazzo!”

Facendo crepitare le ruote, la rossa diligenza postale riuscì a frenare appena in tempo, mentre Billy raccoglieva dalla polvere della strada il suo cappello.

I cavalli nitrirono e sbuffarono “Cos’hai, fagioli negli occhi, ragazzo? Fai attenzione dove corri! I miei cavalli per poco non ti calpestavano”, si infuriò il cocchiere Kurt Crepitio. Poi si voltò verso i tre cavalli e schioccò la lingua, al che la sua pancia traballò come un budino. “Yuhu, Tuono, Fulmine e Turbine, andate avanti!”

Billy si scosse di dosso lo spavento, superò con un balzo una staccionata e corse lungo una viuzza laterale. Se fino ad adesso il ragazzo poté respirare l’odore della libertà, qui i profumi iniziavano ad essere decisamente meno piacevoli.

“Bleah, che schifo, cacca di cavallo!”, si arrabbiò Billy e si coprì velocemente il naso con il cappello da cowboy.

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Più avanti, passeggiando per la città del west e oltrepassando la piccola chiesa del predicatore Holli Alleluia, il ragazzo si imbatté nella cappelleria di Bill Belcappello, nella sartoria di Zac Tagliacuci, nello studio del Dott. Sam Prestosan e nella banca di Matty Quattrini.

All’improvviso non riuscì più a proseguire. Infatti si trovò incastrato in una miriade di stivali di pelle.

Moltissimi cittadini si spintonavano davanti alla tenda del circo itinerante del Selvaggio West, che si trovava giusto in città. Incuriosito, Billy si arrampicò su un barile di polvere da sparo per avere una vista migliore.

A quel punto vide sua zia, che stava giusto salendo sulla diligenza postale di Kurt Crepitio. Il rancher Rudi Quantibovini consegnò al cocchiere la sua valigia e subito dopo la porta della carrozza si chiuse alle spalle della zia.

“Zia…”, sospirò Billy, mentre accompagnava con lo sguardo il rumoroso allontanarsi della carrozza.

Ma non c’era niene che potesse fare per fermarla.

Improvvisamente si sentì molto solo. La diligenza postale scompariva dietro una collina e con essa anche la zia, che pensava che Billy fosse già da un bel po’

all’orfanotrofio.

All’improvviso Billy sobbalzò.

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Il suo sguardo cadde sulle suore che, tutte prese dalla sua ricerca, si facevano strada a spintoni nel variopinto paesaggio montano costituito dai cappelli. Accidenti! Presto lo avrebbero scoperto. Billy doveva nascondersi. Si mise a spingere velocemente tra gli stivali dei cowboy e scivolò sotto il telo nel gigante tendone del circo.

Divertimento al saloon

Quando Cactus Kid e i suoi amici entrarono nel saloon, gli venne incontro un allegro brusio di voci. La stanza era stapiena

di rancher, pistoleri, guardiani di bestiame, ladri di bestiame, giocatori di carte e cowboy. L’aria era soffocante e puzzava peggio di un’intera mandria di tori.

Ma questo non disturbava affatto i tipi che erano seduti intorno al tavolo da poker e si divertivano a giocare a carte.

“Qui ne succedono proprio delle belle”, si rallegrò Cactus Kid. Sul suo cappello stava accovacciato il pappagallo Peng Peng che, divertito, sventolava le penne della sua coda.

Nessuno badava al cavallo

che si faceva strada tra le montagne dei cappelli e portava in sella un ragazzo.

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Davanti al bar Billy rivide il randagio irsuto della strada, sdraiato lungo il bancone. Il grasso oste del saloon stava giusto mettendo al quadrupede una ciotola con il mangime davanti al muso.

“Ecco qui, Pelodipulce, buon appetito”, urlò l’oste e si mise a ridere forte. Il nome Pelodipulce si addiceva al cane perfettamente, perché sulla sua pelliccia saltellavano allegramente le pulci.

Cactus Kid scivolò giù dalla schiena del cavallo. I robusti uomini, appoggiati al bancone vicino a lui sembravano in confronto come dei giganteschi alberi su due gambe.

˶Due succhi di cactus, per favore˝, odinò Cactus Kid.

L’oste pescò due bottiglie da sotto il bancone e le pulì contro il suo grembiule. “Io sono Willy Whiskey.

Benvenuti al saloon”, disse l’uomo ridendo a singiozzi.

“I miei amici mi chiamano anche Willy il Selvaggio.

Ecco il tuo succo di cactus.”

“Grazie.” Cactus Kid lanciò all’oste una moneta d’argento. Poi tolse i tappi dalle bottiglie e ne ficcò una a Trix. Il furbo cavallo la prese con il muso, rovesciò la testa indietro e si scolò il dolce succo direttamente dalla bottiglia.

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Cactus Kid si guardò in giro. Sulla parete dietro a Willy era appeso un fucile da caccia. O meglio quello che ne restava, dato che era completamente arruginito. “Tacito” era inciso sul manico. Non appena al saloon qualcuno si azzuffava, Willy prendava dalla parete il suo Tacito e sparava un colpo di avvertimento. Così metteva subito fine a tutto. Vicino al fucile c’era un cartello: “Vietate le pistole fumanti”.

˶Allora dimmi, cosa ti ha portato in città?”, il vecchio Willy Whiskey voleva la verità.

“Mi chiamano Cactus Kid.

Sono un detective e voglio andare a fondo del mistero della carrozza fantasma.

Il sorrisetto sparì subito dalla faccia dell’oste. “Senti un po’, Kid. Non ti starai riferendo mica alla carrozza fantasma di Cappello di Fuoco, il terribile fantasma con il cappello in fiamme? Il quale, nelle notti buie sfreccia per la prateria sulla sua carrozza infuocata?”

“Mi riferisco esattamente a questa carrozza. Mi sai dire qualcosa di più?”, chiese il ragazzo e strinse gli occhi attraverso la maschera.

L’oste Willy lanciò

un’occhiata furtiva in giro e tirò fuori da sotto il bancone un grosso libro. Il libro sembrava molto vecchio ed era rilegato in pelle. Willy Whiskey soffiò con prudenza sulla copertina, ricoperta da uno strato di polvere alto un pollice, e tolse le ragnatele, in modo che Cactus Kid potesse vedere il titolo. “L’enciclopedia delle agghiaccianti leggende del Selvaggio West sui fuochi da campo”, c’era scritto sul volume.

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“Qui dentro ci sono tutte le storie di paura, che i cowboy, nelle sere freddissime, si raccontano intorno ai falò. Ho passato certe lunghe notti a lume di candela a leggerle”, sussurrò Willy Whiskey misteriosamente e aprì il libro.

Cactus Kid e il pappagallo Peng Peng si piegarono in avanti. La curiosità stava rosicchiando il ragazzo come i castori

rosicchiano gli alberi, mentre l’oste Willy sfogliava le pagine di un giallo marcio.

“Lo spettro con gli stivali… l’orribile orco dell’Oklahoma… la storia della strega grassa… la tribù terribile. Ah ecco qui:

le cronache sulla carrozza fantasma.

Secondo la leggenda c’era una volta un cocchiere che, durante un lungo viaggio notturno, si era appisolato sul suo

sedile. Mentre

dormiva, la sigaretta gli cadde dalla bocca e la sua barba prese fuoco.

Ma lui continuava a russare profondamente e rumorosamente. Poco dopo gli si incendiò non solo la sua folta barba, ma anche la

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carrozza iniziò a bruciare. L’insaziabile fuoco si mangiava tutto, dal tetto fin giù alle ruote. Finché la carrozza non fu completamente avvolta dalle fiamme. E quando il cocchiere finalmente si svegliò, stava già bruciando dal cappello fino agli stivali. Da allora continua ad apparire in giro come un fantasma fiammeggiante e ad ogni luna piena, allo scoccare della mezzanotte, corre per la prateria sulla sua carrozza di fuoco. La carrozza viene trainata da tre cavalli neri con le criniere di fiamme. E dato che il cocchire non trova pace a causa del fuoco, riapparirà fino alla fine dei tempi.

Questa è la sua maledizione. La maledizione di Cappello di Fuoco. Viene chiamato così per il suo cappello bruciante”, bisbigliò Willy il Selvaggio e con un colpo ricchiuse il vecchio libro pesante.

“Che bella storia spaventosa”, disse Cactus Kid e si aggiustò il cappello.

Riferimenti

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