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Capitolo 1 Introduzione

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Capitolo 1

Introduzione

1.1 I nanocompositi

I nanocompositi sono una classe di materiali che negli ultimi anni ha risvegliato l’attenzione sia del mondo industriale sia di quello accademico. I motivi principali per l’attenzione rivolta sono da ricercarsi nelle proprietà fisiche, chimiche e meccaniche di questa classe di composti; piccole quantità di carica inorganica, in questo caso argilla adeguatamente modificata, aggiunte ad una matrice polimerica, aumentano le potenzialità del polimero stesso. Le proprietà alle quali si fa riferimento sono:

• Proprietà meccaniche

Il modulo di Young esprime la rigidità del materiale e si può ottenere dalla pendenza iniziale di una curva di trazione tensile. In generale il modulo del materiale è fortemente aumentato in presenza di quantità anche limitate di argilla, purché sufficientemente esfoliata.

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nanocarica. In generale lo sforzo a rottura aumenta anche se in misura inferiore rispetto alla rigidità. In molti casi l’allungamento a rottura viene invece ridotto. Pur non essendoci una regola precisa, sembra ragionevole considerare che le proprietà ultime migliorino solo nel caso di interazioni interfacciali particolarmente favorevoli tra matrice e carica, e quindi ancora nel caso di polimeri polari. Un caso particolare è invece rappresentato dai nanocompositi a matrice elastomerica, per i quali si è frequentemente osservato un contemporaneo aumento sia dello sforzo che della deformazione a rottura, rendendoli quindi una interessante classe di materiali ad alte prestazioni.

Tra le altre proprietà termo-meccaniche degne di menzione si possono citare l’innalzamento, talora considerevole, del limite di stabilità dimensionale a caldo (HDT, una misura tecnologica del punto di rammollimento del materiale) e la resistenza all’impatto che rimane sostanzialmente inalterata anche a dosaggi relativamente elevati di argilla, al contrario di quanto avviene con cariche minerali convenzionali.

• Stabilità termica e resistenza alla fiamma

Numerosi studi basati essenzialmente su analisi termogravimetriche (TGA) hanno dimostrato un miglioramento della stabilità termica dei polimeri nanostrutturati con argille. Le cause di questo comportamento non sono del tutto chiare poiché i vari polimeri hanno meccanismi di degrado termico spesso specifici e non generalizzabili. In genere tali cause possono ricondursi ad una

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combinazione di più fattori, tra cui una ridotta mobilità termica delle catene macromolecolari “confinate” negli spazi interlamellari ed una minore diffusione sia dell’ossigeno che dei prodotti di degrado termico per l’effetto labirinto correlato all’esfoliazione delle nanocariche. Non sono infine da escludersi effetti catalitici, quindi chimici, di siti attivi dell’argilla. In alcuni casi la stabilizzazione termica ottimale è raggiunta a livelli di nanocarica del 2,5-5,0%. Al di sotto di questi valori non si osservano effetti di una qualche utilità, e per livelli superiori si può addirittura osservare una diminuzione di stabilità termica. Si può pensare che ciò corrisponda a differenze di morfologia del nanocomposito ottenuto. In particolare a più alti dosaggi di argilla l’equilibrio tra strutture esfoliate ed intercalate è spostato a favore di quest’ultima, meno efficace come stabilizzazione.

I fillosilicati stratificati sono anche stati studiati come candidati additivi ritardanti di fiamma. Il meccanismo di stabilizzazione in questo caso è dovuto prevalentemente alla formazione di strutture intumescenti derivati dal collasso delle fasi intercalate ed esfoliate, causato dall’azione del fuoco. Nonostante i promettenti sviluppi, a tutt’oggi non sembra comunque ancora possibile ottenere materiali nanocompositi in grado di superare i più severi test di resistenza alla fiamma, se non in combinazione con additivi ritardanti di fiamma convenzionali.

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• Proprietà barriera

La morfologia lamellare a “labirinto” ottenibile per esfoliazione delle nanoargille permette una notevole riduzione della permeabilità ai gas in film nanocompositi. Tale proprietà può essere convenientemente sfruttata per la produzione di film per packaging ed anche serbatoi (ridotta permeabilità agli idrocarburi).

• Aumento della Conducibilità ionica

• Riduzione del coefficiente di espansione termica

1.2 Struttura della nanocarica

La nanocarica è costituita da fillosilicati stratificati, strutture cristalline a base di silicati di alluminio o magnesio, costituiti da uno strato ottaedrico di ossido di alluminio Al3+ contenuto tra due strati tetraedrici di

composizione SiO44-, di spessore complessivo intorno al nanometro. La

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Figura 1

Struttura dei fillosilicati stratificati

Nel minerale naturale esistono poi dei “difetti” dovuti al fatto che alcuni ioni Al3+ nell’ottaedro sono sostituiti da altri ioni metallici a più bassa

valenza (generalmente Mg2+ o Fe2+ ), generando un eccesso di carica

negativa. Tale carica viene controbilanciata da cationi generalmente di sodio (Na+). La struttura complessiva di un fillosilicato stratificato

prevede quindi delle “pile” di ottaedri/tetraedri caricati negativamente; tali cariche negative sono controbilanciate da ioni Na+ che si posizionano

in “gallerie” di interstrato. Lo spessore delle lamelle è appunto di ca. 1 nm.

L’argilla sodica è idrofila (si rigonfia in acqua) e poco compatibile con i polimeri organici, sostanzialmente idrofobi. Tuttavia è possibile, ed

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idrofoba, riduce la sua energia superficiale e risulta più compatibile con la matrice polimerica, consentendo la nanostrutturazione del materiale. I nanocompositi possono essere ottenuti, come vedremo più in dettaglio nel seguito, per intercalazione/esfoliazione di tali fillosilicati da parte delle catene polimeriche (o eventualmente del monomero seguito da polimerizzazione) penetrate nelle “gallerie” interstiziali. Sono ormai disponibili commercialmente a basso costo una ampia gamma di argille organomodificate con diversi tipi di tensioattivo cationico.

I fillosilicati stratificati sono strutture lamellari tenute assieme come “aggregati” da forze elettrostatiche e di Van der Walls piuttosto deboli, e che pertanto possono abbastanza facilmente essere esfoliate o delaminate generando una grande numero di particelle submicroniche e nanometriche che offrono una grandissima superficie di interazione con la matrice ospite (il polimero nel nostro caso). La nanocarica di partenza è in realtà costituita da aggregati argillosi dell’ordine di 1-10 micron (10-6

m). Ciascuna di queste particelle contiene sino a un milione di lamine nanometriche, che devono essere correttamente disaggregate per ottenere il nanocomposito.

Proprio questa elevatissima superficie di interazione carica-polimero permette la modifica efficiente di una gran parte di proprietà fisico-meccaniche del materiale nanocomposito risultante anche con livelli limitati (in genere 3-6%) di argilla. Ciò consente l’ottenimento di materiali compositi di superiori proprietà meccaniche, maggiore leggerezza e più facile riciclabilità, elevata trasparenza.

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1.2.1 Modificazione dell’argilla

Un metodo relativamente semplice di modificare la superficie dell'argilla, che la rende più compatibile con la matrice organica, è lo scambio ionico. I cationi non sono strettamente legati alla superficie dell'argilla, così molecole cationiche possono sostituire i cationi presenti nell'argilla.

Se i cationi che sostituiscono gli ioni sodio sono ioni di ammonio quaternario con lunghe catene alchiliche, questa argilla sarà più compatibile con la matrice organica. Sostituendoli con diversi tipi di cationi organici, l'argilla montmorillonite può essere compatibilizzata con un gran numero di matrici polimeriche. Allo stesso tempo, questa procedura aiuta ad allontanare le lamelle di argilla incrementando la distanza basale della stessa in modo che sia più facilmente intercalabile ed esfoliabile.

Tra gli agenti modificanti più usati si annoverano gli amminoacidi, i silani e gli ioni alchilammonio. Dei tre, l’ultima categoria è la più diffusa.

N+

R1

R2

R3

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Nella figura riportata i gruppi R possono essere atomi di idrogeno, gruppi alcolici e catene alchiliche sature o insature costituite da un numero di atomi di carbonio compreso tra 1 e 18.

Le catene del sale di alchilammonio si dispongono all’interno delle gallerie del silicato in vari modi a seconda della densità di carica dell’argilla e della natura del sale stesso. In generale, quanto più il radicale alchilico è lungo ed elevata è la densità di carica dell’argilla, tanto maggiore è la distanza alla quale le lamelle sono spinte, perché entrambi i parametri contribuiscono ad accrescere il volume occupato dal modificante organico. All’aumentare della densità di carica dell’argilla, le catene alchiliche del modificante possono disporsi in vario modo:

• parallelamente alla superficie delle lamelle formando un monostrato o un bistrato;

• formando uno pseudo-tristrato;

• generando una struttura paraffinica inclinata;

In figura sono riportate le varie disposizioni ipotizzate [6] per il modificante.

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Figura 3

Disposizione del modificante organico nelle gallerie dell’argilla

Studi più recenti [7] hanno tuttavia portato ad ipotizzare, come più probabile, una conformazione disordinata delle catene idrocarburiche del tensioattivo presente all’interno delle gallerie.

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1.3 Struttura dei nanocompositi

In base alla compatibilità tra argilla e polimero si possono ottenere diverse morfologie dei nanocompositi.

Figura 4

Morfologia dei nanocompositi

In figura si possono vedere tre diverse morfologie:

a) Fase separata: caratteristica di un composito tradizionale nella quale non è presente nessuna interazione tra polimero ed argilla, la struttura è quella di un microcomposito.

b) Intercalato: le singole molecole di polimero di insinuano tra i piani cristallini dell’argilla modificata; questo porta ad un ulteriore allontanamento delle lamine del fillosilicato. La struttura finale è quella di un nanocomposito con lamelle più distanti ma che ancora mantengono il loro ordine a strati.

c) Esfoliato: le molecole di polimero riescono ad entrare molto meglio nelle gallerie del fillosilicato tanto da portarle ad una distanza tale da alterarne completamente l’ordine spaziale. La

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struttura finale consiste di un nanocomposito che non presenta strati ma una matrice polimerica nella quale sono disperse in ordine casuale lamelle singole di argilla.

Figura 5

XRD di a) un microcomposito; b) un nanocomposito intercalato; c) un nanocomposito esfoliato

Nella maggior parte dei casi non si ritrova una struttura perfettamente esfoliata o perfettamente intercalata; la struttura più comune è rappresentata da una struttura mista intercalata/esfoliata. Questa struttura alterna lamine di argilla perfettamente esfoliata a zone in cui le lamelle mantengono ordine stratificato; all’aumentare della concentrazione di argilla il rapporto tra la nanocarica intercalata e quella esfoliata cresce a favore dell’intercalazione. Si riportano le micrografie ottenute al TEM per nanocompositi intercalati ed esfoliati.

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Figura 6

Micrografie TEM di un nanocomposito intercalato ed esfoliato

1.4 Metodi di preparazione dei nanocompositi

Esistono diverse metodologie di produzione dei nanocompositi; attualmente le tecniche più usate sono le seguenti:

a) Miscelazione nel polimero fuso b) Miscelazione in soluzione c) Polimerizzazione in situ

d) Fusione di una miscela delle polveri di polimero e argilla in assenza di flusso

1.4.1 Miscelazione nel polimero fuso

Questa tecnica consiste nella miscelazione sotto sforzo di polimero e argilla ad una temperatura superiore a quella di fusione, o di rammollimento, del polimero stesso. Questo sistema di produzione è quello economicamente più vantaggioso perché non fa uso di solventi ed è compatibile con i processi industriali comunemente utilizzati come lo stampaggio o l’estrusione.

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1.4.2 Miscelazione in soluzione

Questa tecnica consiste nella dissoluzione di un polimero e dell’argilla in un solvente che li sciolga entrambi; il sistema è mantenuto sotto riscaldamento e sotto agitazione per alcune. Trascorso il tempo necessario si fa avvenire una precipitazione del nanocomposito con un non solvente adatto oppure evaporando il solvente sotto vuoto.

1.4.3 Polimerizzazione in situ

La polimerizzazione in situ prevede l’adsorbimento di una soluzione contenente il monomero o del monomero allo stato liquido, sulla superficie delle lamelle di argilla; una volta adsorbito il monomero la polimerizzazione si fa avvenire direttamente tra le lamelle di argilla intercalate. La polimerizzazione è attivata mediante una fonte di calore, con un opportuno iniziatore organico o ad opera di un catalizzatore fissato sulle lamelle di argilla prima che venga adsorbito il monomero.

.1.4.4 Miscela delle polveri

Il polimero in polvere è ottenuto per macinazione meccanica o per dissoluzione in un solvente, tramite riscaldamento del sistema ed agitazione e successiva precipitazione ed evaporazione del solvente stesso. Una volta ottenuto il polimero in polvere, questo viene miscelato con l’argilla organomodificata; la miscela di polveri polimero/argilla è

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1.5 Tecniche di caratterizzazione

La caratterizzazione dei nanocompositi si avvale prevalentemente di due tecniche complementari quali l’analisi ai raggi X o WAXS e la microscopia elettronica a trasmissione o TEM.

L’analisi WAXS permette di determinare la struttura del nanocomposito sulla base della legge di Bragg: i raggi X incidono con un certo angolo sulla superficie del nanocomposito, a seconda della struttura del nanocomposito stesso, il raggio viene riflesso ed intercettato su uno schermo. Questo tipo di analisi permette di determinare la posizione del picco di diffrazione basale, la sua forma e la sua intensità. In generale l’intercalazione di un polimero nelle gallerie dell’argilla produce un aumento della distanza basale fra due lamelle di argilla e quindi uno spostamento del picco di diffrazione ad angoli più bassi. L’esfoliazione invece produce la scomparsa del picco di diffrazione. Come già detto la struttura più frequente è una struttura mista intercalata/esfoliata; questa non si percepisce molto bene dall’analisi ai raggi X.

La microscopia elettronica a trasmissione permette di capire meglio la morfologia, l’arrangiamento atomico, la distribuzione spaziale delle varie fasi e la presenza di difetti strutturali.

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1.6 Nanocompositi a matrice polietilenica

L’interesse emerso negli ultimi anni per i nanocompositi a matrice poliolefinica deriva dal fatto che i materiali ottenibili presentano promettenti proprietà per impieghi nel settore dei film per imballaggi e dei prodotti stampati ed estrusi.

Il polietilene è il polimero più prodotto al mondo nonostante sia stato sviluppato industrialmente in ritardo rispetto ad altri materiali polimerici. Il monomero del polietilene ha una struttura semplice ma la sua versatilità rispetto alle tecniche di polimerizzazione da’ luogo a materiali con uno spettro di proprietà e di applicazioni piuttosto ampio. I più importanti tipi di polietileni sono quello a bassa densità (LDPE), quello ad alta densità (HDPE) e quello a bassa densità lineare (LLDPE). Le strutture delle tipologie di polietilene sopraccitate sono mostrate di seguito.

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Il primo tipo di polietilene comparso sul mercato è LDPE ed è ancora oggi quello a maggiore produzione annua; la produzione di questo polimero avviene per polimerizzazione radicalica ad alte pressioni (2000 atm). La sua struttura risulta ricca di ramificazioni originate dai trasferimenti di catena tipici dei processi radicalici. La tecnica di polimerizzazione radicalica si presta per la preparazione di copolimeri dell’etilene con monomeri polari quali l’acetato di vinile (VA), l’acido acrilico (AA) o metacrilico (MAA), gli esteri di questi acidi (acrilati o metacrilati), ecc. Si ottengono in questo modo materiali di notevole interesse industriale come EVA (copolimeri dell’etilene con il vinilacetato), EAA e EMAA ( copolimeri acido acrilico o etilene-acido metacrilico) che presentano un’architettura molecolare simile a quella dell’LDPE. La presenza delle ramificazioni nella struttura dell’LDPE e nei copolimeri sopra citati è responsabile del basso grado di cristallinità (40-60%) e della loro bassa densità.

Il polietilene ad alta densità è stato prodotto nella seconda metà del Novecento ad opera di Ziegler e Natta che misero a punto dei catalizzatori stereospecifici per la polimerizzazione delle olefine; in particolare per la polimerizzazione dell’etilene a basse temperature. Con questa tecnica di polimerizzazione si ottengono catene praticamente prive di ramificazioni che possono raggiungere gradi di cristallinità anche del 95% con corrispondenti densità (> 940 Kg/m3). Questa tecnica

non si presta alla produzione di copolimeri dell’etilene con i monomeri polari citati sopra perché questi reagirebbero con i siti attivi del catalizzatore disattivandoli mentre si presta bene per la copolimerizzazione dell’etilene con le altre olefine. L’HDPE è un

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materiale più rigido rispetto all’LDPE proprio per la sua elevata cristallinità; è prodotto in quantità circa pari all’LDPE ed è utilizzato per la produzione di oggetti stampati ottenuti per blow molding, injection molding o estrusi.

La tecnica di polimerizzazione stereospecifica utilizzata da Ziegler e Natta ha permesso la produzione di copolimeri dell’etilene con le altre olefine; l’aggiunta di propilene o 1-butene ma anche esene e ottene, alle catene del polietilene permette la formazione di ramificazioni corte sulle catene lineari del polietilene. La formazione di queste ramificazioni comporta un abbassamento del grado di cristallinità e della densità in funzione della concentrazione di monomero utilizzato. In questo modo viene prodotto l’LLDPE che ha caratteristiche simili a quelle dell’LDPE con densità che cadono nello stesso intervallo (910-930 Kg/m3) ma con la

possibilità di abbassarla ulteriormente; sono noti infatti anche i polietileni a densità molto bassa (VLDPE) o ultra bassa (ULDPE).

Tutti i tipi di polietilene hanno bassa polarità e risultano poco compatibili con sostanze polari come le argille che potrebbero essere prese in considerazione come agenti rinforzanti per la produzione di compositi a matrice polietilenica. Anche le più comuni argille organofile presenti sul mercato non subiscono intercalazione apprezzabile da parte del polietilene; questa incompatibilità può essere fatta risalire alla concentrazione insufficiente di ioni di alchilammonio nelle gallerie dell’argilla ed alla presenza di gruppi ossidrilici sui bordi delle lamelle

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Molte argille organofile sono oggi disponibili commercialmente e sono vendute in tutte le parti del mondo. Le industrie produttrici più importanti sono la Southern Clay Products Inc., negli USA, la Süd Chemie in Europa, la Laviosa in Italia. Alcune industrie, inoltre, come ad es. la PolyOne, USA, commercializzano master concentrati, col 35-40% in peso di argilla da miscelare direttamente con diversi polimeri. La maggior parte delle argille organofile commercialmente disponibili sono prodotte mediante scambio cationico, realizzato in sospensione acquosa o in soluzioni alcool-acqua, con tensioattivi costituiti da alogenuri di ammonio.

La struttura e le caratteristiche di alcune delle più comuni argille organofile commercialmente disponibili sono riportate nella Tabella 1. La struttura dello ione ammonio impiegato per la modifica mediante scambio degli ioni Na+ dell’argilla sodica è indicata schematicamente

nella Tabella, con riferimento alla seguente formula generica del tensioattivo,

N

R

1

R

2

R

3

R

4

Cl

Figura 8

Struttura di un generico ione di alchilammonio

con sigle nelle quali H rappresenta un atomo di idrogeno, M rappresenta un gruppo metilico, T un gruppo alchilico parzialmente insaturo derivato dal lardo (con composizione approssimata 65% C18; 30% C16; 5%

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2-idrossietilico. Ad esempio, nel tensioattivo usato per la preparazione della Cloisite® 6A, i gruppi R

1-R4 sono rappresentati da due gruppi

metilici e due gruppi alchilici di lardo idrogenato.

Esempi Nome commerciale (Produttore) Struttura del tensioattivo MER (meq/g) Contenuto di organico (%) d001 (nm) Cloisite® 6A (South. Clay Prod.) M2(HT)2 1.40 45.2 3.48 Cloisite® 15A (South. Clay Prod.) M2(HT)2 1.25 42.4 3.24 Cloisite® 20A (South. Clay Prod.) M2(HT)2 0.95 38.5 2.42 Cloisite® 93A (South. Clay Prod.) MH(HT)2 0.90 36.0 2.47 Cloisite® 30B (South. Clay Prod.) M(HE)2T 0.90 30.0 1.87 Nanofil® SE3000 (Süd Chemie) - - 54.5 3.60 Nanofil® 848 (Süd Chemie) H3C18 - 25.4 1.84

Tabella 1

Esempi di argille organofile commerciali

Il MER indica la quantità di tensioattivo impiegato per la modifica dell’argilla sodica ed è espresso in milliequivalenti per grammo. Dato che tutte le Cloisiti indicate nella Tabella sono state preparate a partire dalla Cloisite® Na+ che ha un contenuto di ioni sodio (CEC) pari a 0,926

meq/g, si deduce che le Cloisiti 20A, 93A e 30B sono state modificate usando quantità praticamente stechiometriche di tensioattivo, mentre le Cloisiti 6A e 15A sono state trattate con un eccesso di tensioattivo che resta adsorbito nelle gallerie dell’argilla, col risultato che l’altezza di tali gallerie, rappresentata dalla spaziatura d001 misurabile mediante

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Nel tentativo di migliorare la compatibilità tra la matrice polietilenica e l’argilla organofila sono state attuate una o più delle seguenti procedure:

• Miscelazione in soluzione • Polimerizzazione in situ

• Modificazione non convenzionale dell’argilla • Impiego di compatibilizzanti

1.7 Effetti dell’uso di compatibilizzanti

La tecnica che di gran lunga da’ migliori risultati nel migliorare la compatibilità tra la matrice polietilenica e l’argilla organofila consiste nell’impiego di compatibilizzanti. I compatibilizzanti più usati sono i polietileni funzionalizzati con gruppi polari, come i copolimeri etilene-vinilacetato (EVA), i polietileni aggraffati con anidride maleica (PE-g-MA), i polietileni aggraffati con glicidilmetacrilato (PE-g-G(PE-g-MA), i polietileni aggraffati con acido acrilico (PE-g-AA), i copolimeri statistici dell’etilene con acido acrilico (EAA) con acido metacrilico (EMAA) ed i relativi ionomeri. I primi due tipi di polietileni funzionalizzati (EVA e PE-g-MA) sono quelli di gran lunga più utilizzati, mentre quelli funzionalizzati con acido acrilico e con glicidilmetacrilato hanno ricevuto fino ad oggi scarsa attenzione. Di seguito si riportano studi e risultati reperiti in letteratura.

1.7.1 Compatibilizzanti a base di EVA

La maggior parte degli studi effettuati mostra che i copolimeri a base di etilene-vinilacetato danno luogo a compositi intercalati e qualche volta

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esfoliati con le argille commerciali più comuni quando sono usati come matrici pure.

Peeterbroeck e coll. [12] hanno studiato gli effetti provocati sull’EVA27 (27% di vinilacetato) dalla miscelazione con vari tipi di argille quali: cloisite sodica, cloisite 20A, cloisite 25A, cloisite 30B, nanofil 757, nanofil 15, somasif ME100 e somasif MAE. I campioni sono stati preparati al 5% in peso di argilla in un miscelatore a 140°C per 12 minuti; la miscela è stata stampata a 140°C. Le caratterizzazioni effettuate (analisi WAXS e TEM) mostrano che i campioni ottenuti da miscelazione del polimero con argille non modificate quali cloisite sodica, nanofil 757 e somasif ME100 non mostrano un significativo incremento della distanza basale dell’argilla; queste miscele non risultano quindi essere dei nanocompositi ma dei microcompositi. Per quanto riguarda le argille C20A, C25A, nanofil 15 e somasif MAE si ottiene una morfologia principalmente intercalata caratterizzata da una distanza basale tra gli strati vicina a 4 nm.

Argilla Distanza basale Distanza del Variazione della argilla (Å) composito (Å) distanza (Å)

Cloisite Na 12,1 12,2 0,1 Cloisite 20A 22,4 38,7 16,3 Cloisite 25A 20,7 36,8 16,1 Cloisite 30B 18,5 / / Nanofil 757 12,2 12,2 0 Nanofil 15 29 40,2 11,2 Somasif ME100 12,2 12,3 0,1

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Decisamente interessante è il comportamento della C30B dopo miscelazione con l’EVA; l’analisi ai raggi X mostra la scomparsa del picco di diffrazione che può essere messa in relazione sia con la formazione di un nanocomposito intercalato con distanza interlamellare maggiore di 58 Å, che con la formazione di una struttura esfoliata nella quale le lamelle di argilla presentano struttura altamente disorganizzata. Le analisi al TEM mostrano che la struttura ottenuta ha un alto grado di esfoliazione con presenza di tattoidi molto piccoli costituiti da 2-4 lamelle. La migliore compatibilità della cloisite 30B rispetto alle altre argille è stata ipoteticamente attribuita alla formazione di legami a idrogeno tra i gruppi ossidrilici della cloisite e il gruppo acetato della matrice polimerica.

Figura 9

Micrografia TEM EVA+5%C30B : a)basso ingrandimento; b) alto ingrandimento

M.Zanetti e G.Camino [13-16] hanno studiato dei compositi a base di EVA19 al 10% in peso di fluorohectorite modificata sia con ottadecilammina (ODA) sia con acidoamminododecanoico (ADA); i

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ai raggi X mostra che l’ODA presenta un picco a 2θ=5.2° corrispondente a 2 nm di spaziatura; dopo miscelamento con EVA19 il picco scompare. Questo indica che le lamine del silicato hanno perso il loro ordine e si è creata una struttura esfoliata.

Figura 10

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D’altro canto si nota che l’ADA presenta un picco a circa 2θ=5,8 corrispondente ad una spaziatura di 1,7 nm; dopo miscelamento con EVA non si riscontra nessuna modifica nella struttura del silicato. Questo fatto indica che il composito preparato è un composito convenzionale.

Figura 12

XRD della fluoroectorite modificata con acido amminododecanoico pura e miscelata con EVA

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Gli stessi autori, in un altro articolo, hanno descritto il comportamento dell’EVA19 con le cloisiti 30B e 6A; le miscele polimero-argilla sono state preparate in brabender a 120°C, 60 rpm per 10 minuti. Il composito è stato poi stampato a caldo a 120°C in modo da ottenere i campioni da sottoporre ad analisi XRD; sono state effettuate anche altri tipi di caratterizzazioni quali il TEM, la TGA e il DSC.

Riguardo ai compositi a base di C6A si osserva la formazione di un nanocomposito intercalato come suggerito dall’analisi ai raggi X; lo spettro mostra la presenza di tre picchi molto ben definiti spostati verso sinistra. Le analisi effettuate al TEM confermano l’ipotesi di struttura intercalata; piccole (circa 600x50 nm) e molto ben disperse particelle di argilla sono visibili nella matrice polimerica.

Per quanto riguarda i compositi a base di cloisite 30B osservano una morfologia esfoliata con scomparsa del picco ad 1.82 nm caratteristico dell’argilla pura ma notano la comparsa di un nuovo picco di diffrazione a distanza più bassa (1.5 nm); gli autori suppongono che questo riflesso sia dovuto a ioni Na+ della montmorillonite non

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Figura 14

XRD della C30B pura e del composito EVA+5%C30B

Le immagini al TEM mostrano una morfologia mista; lamelle singole molto ben disperse nella matrice polimerica ma sono anche visibili alcuni tattoidi composti da due o tre lamelle.

Figura 15

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R.Prasad e coll. [18-20] hanno studiato il comportamento dei compositi costituiti da EVA9, EVA18 ed EVA28 con C15A e C30B. I granuli di polimero e la polvere di argilla sono stati premiscelati ed introdotti in un brabender operante a 100°C e 70 rpm. Le miscele sono state preparate al 2,5%, al 5% e al 7,5% in peso di argilla; i campioni ottenuti stampati a 120°C ed analizzati ai raggi X.

Gli spettri di diffrazione mostrano che l’argilla C15A ha un riflesso corrispondente ad una distanza basale di 3,52 nm mentre i nanocompositi a base di EVA9-C15A presentano una distanza interlamellare maggiore ma decrescente con l’aumento di concentrazione di argilla (2,5% d=4.64 nm, 5% d=4.41 nm e 10% d=3.92 nm). Gli autori notano anche che nelle composizioni al 5% e al 7,5% i picchi non sono definiti come per la composizione più bassa ma si presentano allargati e di bassa intensità; questo spettro, secondo gli autori, suggerisce una struttura intercalata disordinata.

Per quanto riguarda i risultati ottenuti sui campioni costituiti da EVA18-C30B si osserva la completa scomparsa, a tutte le concentrazioni, dei picchi caratteristici che si traduce in una morfologia esfoliata del campione. Apparentemente l’incremento della polarità del polimero (contiene il 18% di vinilacetato rispetto al 9% dell’altro polimero) sembra che abbassi l’energia di barriera termodinamica nella interazione polimero-argilla e che di conseguenza si riscontri una morfologia nella quale un numero molto alto di catene polimeriche sono migrate

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ulteriore miglioramento dell’interazione fra polimero ed argilla; l’analisi ai raggi X mostra un alto tasso di lamelle incoerenti che lasciano supporre una struttura altamente esfoliata; anche in questo caso gli autori focalizzano l’attenzione sull’incrementata polarità del polimero che sembra permetta una migliore stabilizzazione delle lamelle di argilla nella matrice polimerica. L’alto contenuto di VA porta anche ad una minore cristallinità del polimero; la presenza della componente amorfa evita la ricristallizzazione durante il processo di ricottura e di conseguenza le catene polimeriche rimangono diffuse all’interno delle gallerie dell’argilla.

Le successive caratterizzazioni al TEM hanno dimostrato che il sistema EVA9/C15A è effettivamente intercalato con presenza di tattoidi delle dimensione di 200 nm di spessore; questo suggerisce che l’argilla non è totalmente dispersa probabilmente per la bassa polarità della matrice polimerica.

Figura 16

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Le immagini al TEM del composito a base di EVA18/C30B confermano la presenza di una struttura mista esfoliata/disordinata intercalata nella quale poche lamelle sono raggruppate insieme ma posseggono orientazione random specialmente alle concentrazioni più basse.

Figura 17

Micrografia TEM del composito EVA18/C30B a) 2,5% w/w; b) 5% w/w; c) 7,5% w/w

Per quanto riguarda l’ultimo composito si nota una struttura totalmente esfoliata con presenza di un numero veramente basso di lamelle accoppiate e di spessore molto piccolo. Si nota inoltre che un aumento di concentrazione da 2,5% al 7,5% non produce effetti sulla dispersione delle particelle; la struttura si mantiene altamente esfoliata e questo indica che la polarità del sistema produce un incremento notevole delle interazioni fra il polimero e l’argilla.

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Figura 18

Micrografia TEM del composito EVA28/C30B a) 2,5% w/w; b) 5% w/w; c) 7,5% w/w

In un interessante lavoro S. Duquesne [21] ed altri studiano gli effetti della natura e della concentrazione dell’argilla sul comportamento termico dei nanocompositi ottenuti. I compositi analizzati sono costituiti da EVA19 miscelata con cloisite sodica e cloisite 30B preparati in brabender a 160°C seguendo un profilo di velocità di 40/5/80 rpm corrispondenti alla fusione del polimero, all’aggiunta dell’argilla e alla lavorazione del composito; il tempo di miscelamento è fissato in modo da avere piena stabilizzazione del torque. I campioni da caratterizzare sono ottenuti per stampaggio a 160°C e 106 Pa.

I campioni prodotti sono stati sottoposti a combustione in cono calorimetrico per avere informazioni sul tempo di agnizione (TTI, s), il flusso di calore sviluppato (HRR, kW/m2), il picco di flusso di calore

(PHHR, kW/m2), il calore totale sviluppato (THR, MJ/ m2) e la perdita in

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Materiale TTI (s) PHRR (kW/m2) THR (MJ/m2) WL (kg) EVA/Na 5% 34±3 1200±20 97±10 95,7 EVA/30B 3% 44±3 860±90 94±10 98 EVA/30B 5% 36±3 780±80 107±10 96,9 EVA/30B 10% 44±5 630±60 99±10 91,4 EVA 48±3 1550±150 102±10 100 Tabella 3

Proprietà termiche dei compositi

Come si nota l’aggiunta dell’argilla diminuisce molto il PHRR; produce diminuzione del 25% con il 5% di cloisite sodica e del 50% con il 5% di C30B. Si nota come la natura del modificante, che compensa le cariche negative all’interno delle lamelle di argilla, abbia effetto come ritardante al fuoco. Le analisi termogravimetriche effettuate dimostrano che il miscelamento di argilla all’EVA ha effetti sulla stabilità termica; si nota come il primo stadio di degradazione (corrispondente alla produzione di acido acetico) avvenga a temperature più basse nel caso del nanocomposito rispetto all’EVA puro mentre il secondo stadio (corrispondente alla degradazione della frazione polietilenica) avviene a temperature più alte.

Questo comportamento potrebbe essere spiegato dall’effetto barriera che opera l’argilla rispetto alla diffusione dei gas di degradazione prodotti; il limitare la diffusione dei gas si traduce quindi in una stabilità termica maggiore.

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Figura 19

TGA di EVA puro e miscelato con il 5% e il 10% di C30B

L’analisi effettuata ai raggi X mostra un graduale spostamento del picco dell’argilla verso destra quindi verso angoli di diffrazione più alti e distanze interlamellari minori.

Figura 20

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Gli autori non forniscono interpretazioni sulla presenza dei picchi ad angoli più alti ma si limitano a riportare le distanze misurate nella tabella sottostante. Materiale d(Å) Cloisite 30B 18,1 EVA/30B-3% 14,3 EVA/30B-5% 14,2 EVA/30B-10% 13,5 Cloisite Na 11,7 EVA/Na-5% 11,7 Tabella 4

Distanze interlamellari di compositi e argille

Da notare che nell’articolo precedentemente discusso gli autori non notavano nessun picco con l’uso della cloisite 30B in miscela sia con EVA18 che con EVA28.

M.C. Costache e coll. [22] hanno fatto degli studi su compositi a base di EVA19 mescolata con montmorillonite, hectorite e magadiite tutte scambiate con il modificante caratteristico della 30B. In tutti i compositi preparati in brabender a 120°C, notano la comparsa di un picco ad angoli maggiori del picco basale dell’argilla come si nota negli spettri XRD riportati. Gli autori spiegano questo comportamento ipotizzando la presenza di ioni Na+ non scambiati all’interno delle gallerie dell’argilla.

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1.8 Obiettivi della tesi

Come precedentemente illustrato, i copolimeri etilene-vinilacetato (EVA) sono stati utilizzati in numerosi studi, negli ultimi dieci anni, come matrici per nanocompositi e la dipendenza della struttura e delle proprietà di questi materiali dal contenuto di vinilacetato dei copolimeri stessi e dal tipo di modificante impiegato per la modifica dell’argilla è stata sufficientemente chiarita. In particolare, è stato dimostrato che un aumento del contenuto del comonomero polare facilita l’intercalazione o l’esfoliazione dell’argilla organofila. Inoltre, è stato chiarito che la modifica delle argille con tensioattivi contenenti gruppi ossidrilici liberi, come quello impiegato per la preparazione della Cloisite 30B, permette l’ottenimento di nanocompositi con elevato grado di esfoliazione, mentre le argille più comunemente usate per la preparazione di nanocompositi a matrice poliolefinica, come le Cloisiti 20A e 15A, danno solo nanocompositi con struttura prevalentemente intercalata. Restano tuttavia non sufficientemente chiariti alcuni importanti aspetti relativi a: 1) la dipendenza della struttura dei nanocompositi dalla concentrazione di argilla, in particolare per quanto riguarda le concentrazioni elevate che servono per la produzione (sempre più diffusa, commercialmente) di masterbatches;

2) il comportamento della Cloisite 30B che, pur portando a nanocompositi con elevato livello di esfoliazione, sembra subire, durante la miscelazione nel fuso sia con EVA che con altri polimeri, una parziale degradazione, suggerita dalla comparsa di un riflesso r-X corrispondente ad una spaziatura inferiore a quella dell’argilla di partenza;

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3) l’effetto delle condizioni di preparazione sulla struttura e la morfologia dei nanocompositi, nonché sul comportamento sopraindicato della Cloisite 30B.

Nel presente lavoro di tesi sono stati studiati questi argomenti. In particolare, nella prima parte del lavoro, l’attenzione è stata rivolta alla preparazione e alla caratterizzazione di masterbatch a base di copolimeri etilene-vinilacetato, con contenuti diversi di comonomero polare, ed argille organomodificate quali le Cloisiti 20A e 30B. Il comportamento di questi master ad elevata concentrazione di argilla è di interesse, nell’ambito delle ricerche svolte nei laboratori del Dipartimento, in vista del loro impiego sia come modificanti di bitumi per conglomerati stradali, sia per la preparazione di nanocompositi a matrice poliolefinica contenenti EVA come compatibilizzante. Sono state anche eseguite esperienze preliminari di impiego dei master EVA/argilla preparati nel presente lavoro per la produzione di nanocompositi a matrice polietilenica mediante diluizione, in miscelatore Brabender, con LDPE. Il comportamento della Cloisite 30B, con riferimento ai presunti processi degradativi che sembrano manifestarsi all’atto della sua miscelazione con i polimeri fusi, è stato studiato con l’impiego di diverse tecniche analitiche, in particolare FTIR, TGA e XRD, sia sull’argilla pura, sottoposta a trattamenti termici, sia utilizzando dispersioni dell’argilla in solventi organici.

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struttura di quelli ottenuti per miscelazione nel fuso dei componenti e di quelli ottenuti per diluizione dei master concentrati, sia per la preparazione dei nanocompositi con LDPE come matrice ed EVA come compatibilizzante.

Infine, la struttura dei nanocompositi preparati per miscelazione in Brabender è stata confrontata con quella dei materiali di analoga composizione ottenuti da soluzione o per fusione di miscele dei componenti in polvere, effettuata in condizioni statiche, allo scopo di valutare l’importanza dei parametri, primi fra tutti gli sforzi di taglio che agiscono durante la miscelazione nel fuso, che possono avere influenza sui processi di intercalazione ed esfoliazione.

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