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La designazione del mediatore tra legislazione e prassi ministeriale - Judicium

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MARCO MARINARO

La designazione del mediatore tra legislazione e prassi ministeriale

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Le direttive del legislatore europeo (Direttiva n. 52/2008/CE). - 3. I princìpi e i criteri direttivi della legge delega (art. 60, legge 18 giugno 2009, n. 69). - 4. Le norme attuative approvate dal Governo (D.lgs.

4 marzo 2010, n. 28). - 5. Il regolamento ministeriale nella versione originaria (D.m. 18 ottobre 2010, n. 180). - 6. Le

“correzioni” al regolamento ministeriale (D.m. 25 agosto 2011 n. 145). - 7. La circolare “interpretativa” del 20 dicembre 2011. - 8. Il “cambio di rotta” del Ministero della Giustizia.

1. Premessa.

Chi volesse avvicinarsi per la prima volta allo studio della mediazione di controversie nell’ordinamento italiano sarebbe immediatamente indotto ad immergersi in un ampio dibattito suscitato dalla normativa sulla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali preoccupato per lo più di più di focalizzare l’attenzione sulle numerose problematiche tecnico-processuali derivanti dalla introduzione della condizione di procedibilità alla domanda giudiziale in una estesa gamma di materie1.

La copiosa produzione dottrinale2 e la crescente attività giurisprudenziale costringe in secondo piano l’approfondimento e la riflessione su questioni estremamente rilevanti in grado di incidere profondamente sul “successo” della mediazione quale strumento di pacificazione sociale e per ciò stesso idoneo a ridurre il tasso di litigiosità, riequilibrando e rendendo fisiologico l’accesso alla giurisdizionale quale argine indispensabile ed estremo alla civile convivenza.

L’attenzione alla qualità della mediazione e, quindi, alla qualità dei soggetti operativamente coinvolti nei procedimenti conciliativi, secondo quanto previsto dalla normativa in vigore, suscita un limitato interesse, sovente animato da contrapposte esigenze di affermare la centralità dell’una o dell’altra disciplina per l’individuazione del bagaglio di competenze richieste al mediatore. Per cui, se da un lato si dibatte sulla necessità/utilità di un mediatore “giurista”, dall’altro si discute sulla specializzazione giuridica che il mediatore “giurista” debba possedere. perché possa affrontare con la richiesta competenza la funzione tra le parti.

Da questo dibattito non è rimasto estraneo il Ministero della Giustizia che mediante l’adozione di atti normativi e di prassi attuative è intervenuto in maniera decisa modificando profondamente anche gli equilibri che originariamente aveva contribuito ad approntare.

Al fine di proporre una riflessione su queste tematiche che costituiscono il vero banco di prova del modello italiano di mediazione, occorre avviare una rapida ma puntuale ricognizione normativa che abbia quale punto di vista principale la “designazione del mediatore”.

1 Il riferimento è chiaramente all’art. 5, comma 1, D.lgs. 28/2010 in base al quale «Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale…».

2 Resa oltremodo feconda dall’art. 18, comma 3, lett. a), D.m. 180/2010 che ha previsto che ai fini dell’accreditamento quale formatore teorico per i corsi di formazione dei mediatori i requisiti di qualificazione dei formatori questi debbano «aver pubblicato almeno tre contributi scientifici in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie».

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Invero se il mediatore è e deve essere colui il quale interagisce proficuamente con le parti al fine di agevolare anche proattivamente una soluzione consensuale della lite insorta, quello della scelta del mediatore da designare per ciascuna controversia appare un tema centrale e qualificante dell’intero percorso, non soltanto procedimentale, apprestato dal legislatore3.

Individuare i meccanismi normativi che regolamentano la designazione del mediatore consentirà di comprendere le scelte di fondo del legislatore rispetto al modello di mediazione che più o meno silentemente è destinato ad affermarsi in Italia.

2. Le direttive del legislatore europeo (Direttiva n. 52/2008/CE).

Per cogliere appieno l’intero sistema normativo in materia occorrerà necessariamente verificare quali siano le regole dettate nella direttiva europea dalla quale trae origine la disciplina attualmente vigente. Le norme di riferimento sono contenute negli artt. 3 e 4 della Direttiva n.

52/2008/CE.

L’art. 3 contiene le “Definizioni” di mediazione e di mediatore e dalla lettura dello stesso emerge senza dubbi una prospettiva orientata ad un modello di mediazione facilitativa ove le parti in mediazione perseguono «esse stesse» un possibile accordo con l’assistenza del mediatore4.

Il mediatore è colui al quale «è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato e dalle modalità con cui è stato nominato o invitato a condurre la mediazione».

Per cui non vi sono indicazioni circa i requisiti di accesso al ruolo del mediatore purché questi sia in grado di condurre la mediazione. Efficacia, imparzialità e competenza sono i requisiti di professionalità richiesti al mediatore.

In base a quanto disposto poi dall’art. 4, comma 2, e sempre al fine di garantire una gestione efficace, competente ed imparziale della mediazione si chiede agli Stati membri di incoraggiare la formazione iniziale e successiva dei mediatori5.

È opportuno perciò che il mediatore sia specificamente formato, ma è chiaro che nessuna indicazione sulle modalità di nomina o invito a condurre la mediazione viene prevista in sede di direttiva rimettendo così indirettamente a ciascuno Stato membro la necessità di individuarne le

3 Sarà utile ricordare che con riguardo alla “scelta” del magistrato che assumerà la veste di “giudice” di una specifica controversia il presidio costituzionale di cui all’art. 25, comma 1, Cost. prevede che «Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge». Diversamente accade nell’arbitrato ove l’ordinamento consente che le parti possano scegliere di comune accordo chi sarà a decidere della loro controversia salvo in caso di disaccordo (per l’ipotesi di arbitro unico o del terzo arbitro per il collegio arbitrale) o di mancata nomina per l’arbitro di parte (in ipotesi di collegio di arbitri) ove tale scelta sarà rimessa ad altro soggetto secondo le indicazioni delle parti o secondo quanto previsto dall’art. 810 c.p.c.

4 L’art. 3 è così formulato: «Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

a) per "mediazione" si intende un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro. Esso include la mediazione condotta da un giudice che non è responsabile di alcun procedimento giudiziario concernente la controversia in questione. Esso esclude i tentativi messi in atto dall’organo giurisdizionale o dal giudice aditi al fine di giungere ad una composizione della controversia in questione nell’ambito del procedimento giudiziario oggetto della medesima;

b) per "mediatore" si intende qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato e dalle modalità con cui è stato nominato o invitato a condurre la mediazione».

5 Ai sensi dell’art. 4 della Direttiva 52/2008/CE: «1. Gli Stati membri incoraggiano in qualsiasi modo da essi ritenuto appropriato l’elaborazione di codici volontari di condotta da parte dei mediatori e delle organizzazioni che forniscono servizi di mediazione nonché l’ottemperanza ai medesimi, così come qualunque altro efficace meccanismo di controllo della qualità riguardante la fornitura di servizi di mediazione.

2. Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti».

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modalità avendo quale obiettivo quello di garantire imparzialità6, competenza ed efficacia7 della gestione «in relazione alle parti».

Non è un caso che secondo il legislatore europeo il mediatore non debba essere un

“competente”, ma invece debba condurre/gestire con competenza la mediazione in relazione alle parti. Competenza nel condurre la mediazione in relazione alle parti non è specifica competenza nella materia oggetto della lite, dovendosi prescindere dalla professione esercitata ed anche dalle modalità con le quali è stato nominato o invitato a condurre la mediazione.

3. I princìpi e i criteri direttivi della legge delega (art. 60, legge 18 giugno 2009, n. 69).

L’attuazione della Direttiva n. 52/2008/CE è contenuta nella legge delega di cui all’art. 60 l.

69/2009 ove sono fissati i princìpi e i criteri direttivi ai quali il governo si sarebbe dovuto attenere nell’emanare la nuova normativa in materia di mediazione di liti civili e commerciali.

Tra i princìpi e criteri direttivi alcun cenno è possibile rinvenire alle modalità di designazione del mediatore, ma il legislatore delegante oltre ad aver fissato quali obblighi per il conciliatore8 la imparzialità, neutralità ed indipendenza, si preoccupa di prevedere la possibilità per il conciliatore, «per le controversie in particolari materie», «di avvalersi di esperti, iscritti nell’albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali» 9.

La norma appare di notevole interesse in quanto non soltanto nulla viene disposto circa la formazione e le competenze del conciliatore e tantomeno per le modalità della sua designazione, ma ritiene di dove indicare al legislatore delegato la necessità di prevedere la facoltà di avvalersi di esperti. Da ciò è possibile desumere a contrario che al conciliatore non dovrebbero essere richieste competenze specialistiche relative all’oggetto della controversia. Se il conciliatore può avvalersi di esperti non è possibile immaginare che lo stesso debba essere un competente della materia in contesa.

Questa impostazione che appare coerente con la direttiva europea disegna per il conciliatore/mediatore un ruolo di “facilitatore” dell’accordo/conciliazione delle parti, attribuendo un rilievo del tutto secondario ai fini della scelta/designazione della formazione e dei requisiti di qualificazione professionale di colui il quale è chiamato a svolgere l’attività di conduzione/gestione della mediazione. In tale prospettiva appare del tutto irrilevante la modalità di designazione purché sia assicurata l’imparzialità (indipendenza e neutralità), e la capacità di condurre la mediazione in

6 Sul concetto di imparzialità occorre rilevare come il più delle volte lo stesso venga utilizzato mediante una semplice trasposizione del linguaggio processuale sovrapponendo e proiettando l’attività giurisdizionale su quella conciliativa. Invero «appartengono a campi linguistici profondamente diversi il giudice e il mediatore; il mediatore sta per definizione tra i contendenti in gioco. Questo ci porta a sbarazzarci fin dagli inizi dalla idea non soltanto sbagliata, ma contro-finale della sua necessaria terzietà e imparzialità. Al giudice bisogna chiedere terzietà e imparzialità, perché deve dire l’ultima parola; al mediatore bisogna chiedere altra sapienza e altra competenza, che è quella di immergersi tra i contendenti, deve dimenticare il suo ruolo di parlante un meta-linguaggio, non deve dire qual è il significato delle parole che stanno usando gli uni e gli altri, ma deve, diversamente dal giudice, essere questo e quello, mentre il giudice deve essere né questo, né quello, e questo gli viene garantito dal rispetto della legge» (la riflessione è di E. Resta, Neutralità ed imparzialità nella gestione dei conflitti, Relazione al convegno della CCIAA di Milano, 20 ottobre 2006)

7 Sul concetto di “efficacia”, per meglio coglierne il significato, appare utile fare ricorso alla definizione in lingua inglese di cui all’art. 3, comma 1, lett. b): «"Mediator" means any third person who is asked to conduct a mediation in an effective, impartial and competent way», ove il termine “effective” ha il significato di “productive of or capable of producing a result”. Quindi “efficacia” nel senso di capacità di orientare la mediazione all’accordo.

8 Si rileva come la nella legge delega si discorra ancora di “conciliatore” in quanto la scelta di transitare ad una denominazione più aderente alla scelta europea (“mediatore”) è contenuta nel D.lgs. 28/2010.

9 In base all’art. 60, comma 3, sono fissati tra gli altri i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia;

l) per le controversie in particolari materie, prevedere la facoltà del conciliatore di avvalersi di esperti, iscritti nell’albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali, i cui compensi sono previsti dai decreti legislativi attuativi della delega di cui al comma 1 anche con riferimento a quelli stabiliti per le consulenze e per le perizie giudiziali;

r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l’indipendenza e l’imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni».

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maniera efficace (risultato) e competente (competenza da non ricondursi ad una specificità tecnica e/o giuridica connessa all’oggetto della lite).

4. Le norme attuative approvate dal Governo (D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28).

In questo contesto normativo di riferimento interviene il legislatore delegato con l’adozione del D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 al quale è affidato il compito di regolamentare, seguendo i princìpi ed i criteri sopra individuati, la designazione del mediatore ed anche i requisiti di professionalità e competenza oltre che per la formazione ai fini dell’accesso all’attività professionale ivi disciplinata.

Diverse sono le norme nel testo citato che offrono indicazioni al fine di verificare quale tipo di risposta è stata fornita rispetto alle esigenze espresse sia nella direttiva europea sia nella legge delega.

Ed allora dall’art. 1 che contiene le definizioni si trae immediatamente un approccio alla mediazione nel quale attraverso un procedimento bifasico si consente al mediatore di formulare una proposta conciliativa qualora il percorso facilitativo non abbia dato l’esito sperato e ciò chiaramente in una logica dichiaratamente deflattiva dello strumento conciliativo10.

Tuttavia, tale previsione non altera in alcun modo l’intero assetto ordinamentale approntato per il mediatore e per la mediazione, che resta (e non poteva essere diversamente) attività procedimentale orientata ad un possibile accordo tra le parti per la soluzione negoziale della lite con l’ausilio di un terzo imparziale.

Ma la norma che più delle altre appare utile all’analisi è contenuta nell’art. 3, ove al primo comma si precisa che «al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti», in tal modo rimettendo all’autoregolamentazione la disciplina degli aspetti organizzativi ed endoprocedimentali della mediazione, mentre al comma 2, si fissa quale contenuto necessario per i regolamenti la garanzia della riservatezza oltre che «modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico».

Tale ultima disposizione è passata quasi del tutto inosservata all’esame dei commentatori in quanto sembra essere quasi priva di contenuti per la genericità che la caratterizza. Tuttavia, oltre al ribadito richiamo alla imparzialità per la prima volta emerge uno specifico riferimento alle

«modalità di nomina» del mediatore e tali modalità vengono strettamente legate (mediante il rinvio a norme regolamentari per loro natura eterogenee) alla «idoneità» del mediatore per il «corretto e sollecito espletamento dell’incarico».

Il legislatore delegato insomma nel fissare le regole per la designazione del mediatore si limita ad affidarne all’autonomia regolamentare la individuazione purché le stesse siano in grado di assicurare la scelta di un mediatore imparziale ed idoneo. Il riferimento alla idoneità (specificata poi quale correttezza e sollecitudine) sembra rimarcare da un lato l’esigenza di rendere flessibile questa

10 Secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1: «Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per:

a) mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;

b) mediatore: la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo;

c) conciliazione: la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione».

Tale norma viene adottata dal Governo in attuazione dell’art. 60, comma 3, lett. p), l. 69/2009 che consente di «prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, salvo quanto previsto dagli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi dell’ articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115».

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fase procedimentale affidando a ciascun organismo la fissazione di tali sub-regole di designazione e dall’altro a chiarire quanto il mediatore più che un competente dell’oggetto della lite debba essere colui il quale sia in possesso delle qualità e capacità necessarie o richieste dalle parti per lo svolgimento dell’attività di mediazione.

Il legislatore in questa formulazione che appare coerente con l’intero sistema adottato in sede delegata non individua direttamente le qualità e le competenze del mediatore in quanto ritiene che una disciplina eccessivamente rigorosa e dettagliata avrebbe potuto mortificare la flessibilità della mediazione anche nella fase cruciale della scelta del mediatore. Un irrigidimento eccessivo della fase selettiva o la scelta di meccanismi turnari ciechi costituisce un grave rischio per la mediazione il cui successo è strettamente connesso con la capacità del procedimento di adattarsi in ogni sua fase (anche quella preparatoria) alle esigenze delle parti e della loro controversia (e non viceversa come accade e come deve accadere in sede giurisdizionale dove sono le regole processuali a conformare i comportamenti e le istanze delle parti).

L’art. 8 poi fornisce ulteriori elementi di riflessione. Al comma 1 si chiarisce che «all’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda…». Viene qui fissata dal punto di vista formale la competenza alla designazione del mediatore e la stessa viene assegnata al responsabile dell’organismo che costituisce nella struttura organizzativa delineata dal legislatore il perno intorno al quale ruota il corretto svolgimento dell’intero procedimento sin dalla sua attivazione. Ruolo chiave al quale tuttavia non corrisponde una caratterizzazione professionale che ne avrebbe consentito una idonea evoluzione qualitativa per la mediazione. Affidare la competenza al responsabile dell’organismo sulla base delle regole fissate dal regolamento approvato dal Ministero della Giustizia, costituisce una scelta sicuramente opportuna ed utile a costruire percorsi virtuosi, non senza rilevare che sarebbe stato auspicabile affidare la responsabilità dell’organismo e quindi anche la designazione del mediatore a persona altamente qualificata e di esperienza nella mediazione11.

Scelta quindi assolutamente da formularsi controversia per controversia, caso per caso, mediante l’esame della domanda di mediazione e sulla base del panel di mediatori disponibili, al fine di offrire sempre un servizio adeguato alle parti ed alla controversia.

D’altronde anche il comma 3 dell’art. 14 pone al centro del sistema il responsabile dell’organismo in relazione alla designazione del mediatore affidando allo stesso la decisione in ordine alla sua sostituzione qualora richiesta dalle parti12.

Ma a ribadire quanto già rilevato in sede di legge delega si segnalano poi l’ultima parte del comma 1 ed il comma 4 del già citato art. 8 che nell’affidare al possibile intervento di un mediatore ausiliario o, in mancanza, di un esperto l’apporto di «specifiche competenze tecniche» rimarcano il confine tra la competenza specialistica circa l’oggetto della lite e l’idoneità del mediatore all’assunzione del relativo ruolo nella stessa13.

Sarà utile precisare che anche l’intervento del mediatore ausiliario (che è in primo luogo un

“mediatore”), o in mancanza dell’esperto, si colloca senza fratture in un percorso coerente

11 Una modifica normativa che incidesse su tale aspetto sarebbe sicuramente da approvare in quanto risolverebbe una serie di problematiche già emerse nella operatività degli organismi. Il responsabile dell’organismo costituisce una figura centrale e non può essere affidata alla buona volontà o al buon senso di colui il quale si trovi a rivestirla.

12 La norma prevede che «Su istanza di parte, il responsabile dell’organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore. Il regolamento individua la diversa competenza a decidere sull’istanza, quando la mediazione è svolta dal responsabile dell’organismo».

Ancor meglio sarebbe stato creare una regola di incompatibilità tra il ruolo di responsabile dell’organismo e quella di mediatore (presso il medesimo organismo) al fine di più opportunamente marcare la diversità di funzioni nella valorizzazione di entrambi per una mediazione di qualità.

13 L’ultima parte del comma 1 dell’art. 8 dispone che: «Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari»; il comma 4 stabilisce che: «Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti».

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improntato sempre ad un possibile accordo. Il mediatore con l’eventuale apporto di altri mediatori (anche “ausiliari”) o di “esperti” (dei quali si auspica l’intervento in situazioni del tutto eccezionali e con la consapevole e condivisa scelta delle parti in funzione dell’accordo) «si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia» (art. 8, comma 3, D.lgs.

28/2010) e non ne muta prospettiva la possibilità offerta allo stesso di pervenire ad una proposta conciliativa da formalizzare secondo quanto previsto dall’art. 11 D.lgs. 28/2010.

Anche gli obblighi di cui all’art. 14 e di cui all’art. 22 (in materia di antiriciclaggio) non incidono significativamente su quanto esposto, se non per sottolineare l’esigenza che il mediatore sia dotato od acquisisca conoscenze giuridiche di base idonee ad una corretta comprensione ed attuazione del complesso sistema ordinamentale nel quale il legislatore ha collocato la mediazione, soprattutto mediante la prescritta obbligatorietà preventiva in funzione deflattiva del contenzioso giudiziale. Ma tale aspetto il legislatore delegato lo affidava alla regolamentazione ministeriale che avrebbe poi dovuto fissare le norme di dettaglio idonee a individuare le caratteristiche di base del mediatore italiano.

Appare chiaro dalla lettura delle norme primarie della scelta da parte del legislatore di un sistema di designazione aperto e flessibile, orientato – nella scelta sostanzialmente affidata al responsabile dell’organismo ed in attuazione al regolamento di procedura – alla individuazione del mediatore più adatto/idoneo alla specifica controversia.

La flessibilità che deve permeare l’attività che si svolge in mediazione postula l’impiego di sistemi di designazione che possano essere duttili, conformandosi alle scelte degli organismi che caso per caso possano così discernere, possibilmente con la partecipazione delle parti, il mediatore che meglio si presta a quanto possa risultare utile alla soluzione consensuale della controversia.

Ed invero, quanto delineato dalla lettura delle norme di riferimento non soltanto non esclude, ma presuppone la possibilità o meglio ancora l’opportunità che le parti possano intervenire attivamente nell’attività di designazione del mediatore. Ciò significa che se da un canto la designazione è attribuzione del responsabile dell’organismo, è auspicabile - soprattutto in un sistema culturalmente maturo per la mediazione - che le parti congiuntamente, ma non necessariamente contestualmente, contribuiscano alla individuazione del mediatore da nominare.

Questo sistema appare essere quello che meglio può garantire qualità ed adeguatezza di scelta per una mediazione che possa pervenire ad un risultato meritevole di apprezzamento (anche a prescindere dal raggiungimento dell’accordo pur perseguito).

5. Il regolamento ministeriale nella versione originaria (D.m. 18 ottobre 2010, n. 180).

Il decreto interministeriale attuativo del D.lgs. 28/2010 viene adottato dopo alcuni mesi di vigenza di quest’ultimo, mesi nei quali era stata prevista la persistente vigenza dei precedenti regolamenti ministeriali relativi alla conciliazione societaria14.

In attuazione di quanto previsto dall’art. 16, comma 2, D.lgs. 28/2010 il nuovo regolamento ministeriale (D.m. 18 ottobre 2010 n. 180) fissa all’art. 4, comma 3, i requisiti professionali e di onorabilità dei mediatori indicandoli tra i requisiti necessari perché gli organismi possano ottenere l’iscrizione nel registro ministeriale15.

14 Il riferimento è al D.m. 23 luglio 2004, n. 222 ed al D.m. 23 luglio 2004, n. 223, rimasti vigenti sino al 4 novembre 2011.

15 Secondo quanto dispone la versione originaria dell’art. 4, comma 3: «Il responsabile verifica altresì:

a) i requisiti di qualificazione dei mediatori, i quali devono possedere un titolo di studio non inferiore al diploma di laurea universitaria triennale ovvero, in alternativa, devono essere iscritti a un ordine o collegio professionale;

b) il possesso, da parte dei mediatori, di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione in base all'articolo 18;

c) il possesso, da parte dei mediatori, dei seguenti requisiti di onorabilità:

a. non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa;

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Al riguardo si segnala immediatamente il cambio di rotta effettuato dal Ministero rispetto a quanto indicato dalla previgente disciplina in materia di conciliazione societaria.

Infatti, mentre nel sistema precedente l’accesso alle funzioni di conciliatore era riservato a laureati in materie giuridiche o economiche i quali potevano partecipare ad un corso base per la specifica formazione della durata complessiva minima di quaranta ore (era altresì prevista la possibilità di svolgere le funzioni di conciliatore anche per talune categorie di professionisti in possesso di specifici requisiti professionali)16, nel nuovo ordinamento si apre a tutte le professioni, nel senso che si consente l’accesso al corso di formazione a tutti i laureati (anche in possesso di laurea triennale) ed a tutti gli iscritti presso ordini o collegi professionali (e quindi anche privi di laurea) senza alcuna specifica limitazione.

Tale normativa, che ha aperto un ampio dibattito, di fatto disegna un profilo del mediatore scientemente avulso da una specifica formazione giuridica. Ma anche la lettura di altre norme del regolamento ministeriale vigente concorre a delineare tale figura. Infatti, anche la previsione di mediatori “esperti” nella materia internazionale o in quella dei rapporti di consumo senza che tale qualificazione comporti preclusioni o preferenze ex lege nell’accesso alle diverse procedure nelle materie specifiche17, o anche la possibilità offerta ai regolamenti degli organismi di prevedere «la formazione di separati elenchi dei mediatori suddivisi per specializzazioni in materie giuridiche»

(art. 7, comma 2, lett. d, D.m. 180/2010) non costituiscono di per sé elementi idonei ad orientare in maniera rigida un sistema di designazione che è comunque aperto e flessibile.

Particolarmente significativa alla luce di quanto esposto appare invece la disposizione che impone ai regolamenti di procedura degli organismi l’inclusione di una norma che preveda «la possibilità di comune indicazione del mediatore ad opera delle parti, ai fini della sua eventuale designazione da parte dell'organismo» (art. 7, comma 5, lett. c, D.m. 180/2010).

Questa norma che appare conforme con quanto indicato anche in sede di normativa primaria, rende coerente il sistema nel quale l’obiettivo prioritario additato dal legislatore è quello di individuare con la partecipazione delle parti il mediatore che secondo quanto dalle stesse ritenuto opportuno ed utile risponda anche a criteri di idoneità all’uopo fissati dall’organismo, ben consapevoli che una designazione effettuata seguendo simili percorsi costituisce evidentemente un significativo passo verso una “buona” mediazione ed un possibile accordo.

Ed allora il profilo professionale del mediatore italiano che si poteva trarre dal complesso sistema normativo nella sua fase originaria e cioè prima dell’intervento delle modifiche apportate al regolamento ministeriale con il D.m. 145/2011 e delle interpretazioni di cui alla circolare ministeriale del 20 dicembre 2011, è il seguente:

- il mediatore è dotato di una istruzione di base e/o di una esperienza professionale medio- alta (secondo quanto previsto nei requisiti di accesso al corso di formazione);

- il mediatore può essere esperto e/o specializzato in determinate materie (senza che vi siano preclusioni o preferenze ex lege nello svolgimento dell’attività in base all’oggetto della lite);

- il mediatore svolge un percorso formativo di base e di aggiornamento multidisciplinare

b. non essere incorso nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici;

c. non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza;

d. non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento;

d) la documentazione idonea a comprovare le conoscenze linguistiche necessarie, per i mediatori che intendono iscriversi negli elenchi di cui all'articolo 3, comma 3, parte i), sezione B e parte ii), sezione B».

16 Si tratta dei c.dd. conciliatori “di diritto”; infatti ai sensi dell’art. 4, comma 4, lett. a), D.m. 222/2004 era previsto che fossero sufficienti i seguenti requisiti di qualificazione professionale come alternativi al corso base di formazione: «professori universitari in discipline economiche o giuridiche, o professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni, ovvero magistrati in quiescenza». Tale disposizione aveva suscitato un acceso dibattito prevalentemente critico che ha poi condotto all’attuale normativa nella quale chiunque intenda svolgere l’attività di mediatore deve partecipare a specifici corsi formativi.

17 Ci si riferisce alle sezioni previste nel registro ministeriale di cui all’art. 3, comma 3: «sezione B: elenco dei mediatori esperti nella materia internazionale; sezione C: elenco dei mediatori esperti nella materia dei rapporti di consumo».

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orientato alla conoscenza della normativa ed alle metodologie facilitative ed aggiudicative di negoziazione e mediazione, etc.18;

- il mediatore può essere designato dal responsabile dell’organismo su «comune indicazione» delle parti.

Appare utile rimarcare come anche in esito alla vigenza del regolamento ministeriale nella sua originaria versione nessun collegamento risultava direttamente creato tra la designazione del mediatore e l’oggetto della controversia da mediare in ordine alle competenze specialistiche del mediatore (si ricordi l’art. 8, co. 1 e 4, D.Lgs. 28/2010 che prevede il «mediatore ausiliario» e l’

«esperto»).

6. Le “correzioni” al regolamento ministeriale (D.m. 25 agosto 2011 n. 145).

In questo scenario normativo rispetto al quale l’acceso dibattito è aperto soprattutto in ordine ai requisiti di qualificazione professionale ed alla specifica competenza del mediatore in relazione alla lite da mediare, si collocano le numerose ordinanze di rimessione delle questioni di legittimità alla Corte costituzionale, prima tra tutte quella del T.A.R. Lazio di Roma19 ed anche quella sollevata dal Tribunale di Palermo – Sez. Bagheria dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea20.

E nell’attesa delle conseguenti pronunce, il Ministero della Giustizia ha avviato un percorso di revisione del regolamento attuativo (D.m. 180/2010) volto ad apportare “correttivi” che paiono indirizzati a risolvere preventivamente possibili rischi derivanti dalle censure sollevate con le ordinanze di rimessione citate.

In questa logica viene varato il D.m. 145/2011 che interviene su una serie di aspetti qualificanti della disciplina regolamentare. Con specifico riferimento al tema della designazione del mediatore, la norma da esaminare viene introdotta mediante l’inserimento di un ulteriore contenuto obbligatorio per i regolamenti degli organismi. Infatti, viene previsto che tali regolamenti di

18 Secondo quando indicato all’art. 18, comma 2, lett. f), D.m. 180/2010, costituiscono oggetto del corso base di formazione per mediatore le seguenti materie: «normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione, metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa, anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice, efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione, forma, contenuto ed effetti della domanda di mediazione e dell'accordo di conciliazione, compiti e responsabilità del mediatore».

19 T.A.R. Lazio, Roma, ord. 18 aprile 2011, che previa sospensione del giudizio ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate: «in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del D.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l'obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l'esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d'ufficio dal giudice)»; ed inoltre «in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 del D.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza».

20 Trib. Palermo, Sez. Bagheria, ord. 16 agosto 2011; il giudice, nel sospendere il processo, ha chiesto alla Corte di giustizia se:

1) gli articoli 3 e 4 della direttiva 2008/52/CE sull’efficacia e competenza del mediatore possano interpretarsi nel senso di richiedere che il mediatore sia dotato anche di competenze in campo giuridico e che la scelta del mediatore da parte del responsabile dell’organismo debba avvenire in considerazione delle specifiche conoscenze ed esperienze professionali in relazione alla materia oggetto di controversia;

2) se l’articolo 1 della direttiva 2008/52/CE possa interpretarsi nel senso di richiedere criteri di competenza territoriale degli organismi di mediazione che mirino a facilitare l'accesso alla risoluzione alternativa delle controversie ed a promuovere la composizione amichevole delle medesime;

3) se l’articolo 1 della direttiva 2008/52/CE sull’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario, l’art. 3 lett. a), il considerando 10 ed il considerando 13 della direttiva 2008/52/CE sull’assoluta centralità della volontà delle parti nella gestione del procedimento di mediazione e nella decisione relativa alla sua conclusione possano interpretarsi nel senso che, quando l'accordo amichevole e spontaneo non è raggiunto, il mediatore possa formulare una proposta di conciliazione salvo che le parti non gli chiedano congiuntamente di non farlo (poiché ritengono di dover porre fine al procedimento di mediazione).

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procedura d’ora innanzi dovranno contenere «criteri inderogabili21 per l'assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta» (art. 7, comma 5, lett. e, D.m. 180/2010)22.

Già ad una prima lettura e nelle more che intervenisse poi la preannunciata circolare interpretativa traspariva un profondo ripensamento in relazione al sistema di designazione quale delineato sino a quel momento. Appare evidente infatti che, pur adottando un approccio ermeneutico che potesse preservare la coerenza sistematica dell’intero assetto normativo, l’orientamento ministeriale aveva radicalmente spostato il suo baricentro. Il D.m. 145/2011 con l’integrazione suindicata introduce (con un revirement rispetto al D.m. 180/2010) - probabilmente in contrasto con la normativa primaria - il concetto di «specifica competenza professionale» ai fini della designazione del mediatore in tal modo collegando inderogabilmente, sia pur indirettamente, la professionalità posseduta dal mediatore all’oggetto della lite.

La conseguenza è evidente in quanto si avvia un sistema rigido e precostituito per la designazione del mediatore, palesandosi una incoerenza all’interno del rinnovato testo del D.m.

180/2010 ed un potenziale contrasto con il D.lgs. 28/2010 da sciogliersi in base alla direttiva interpretativa da assumersi circa la rigidità enunciata e derivante dalla nozione di «specifica competenza professionale» da riempire di significato nel tentativo estremo di renderla coerente con l’intero sistema sopra delineato.

Tentativo reso quasi immediatamente vano, in quanto il Ministero della Giustizia è intervenuto nei mesi successivi all’entrata in vigore del D.m. 145/2012 con una circolare interpretativa (del 20 dicembre 2011) con la quale la nuova norma assume i tratti temuti che come si vedrà ridisegnano attraverso la prassi l’intero sistema di designazione e delle connesse

“competenze” del mediatore in relazione alla specifica lite.

7. La circolare “interpretativa” del 20 dicembre 2011.

La circolare del Ministero della Giustizia del 20 dicembre 2011 costituisce la terza e la più ampia ed articolata circolare emanata in tema di mediazione ed interviene con il dichiarato scopo

«di dare specifica indicazione su alcuni profili problematici inerenti la corretta interpretazione ed applicazione del d.i. n.180/2010, così come corretto dal sopra citato d.i. n. 145/2011».

Da qui emerge cristallino non soltanto l’intento “correttivo” del D.m. 145/2011, ma anche la puntuale determinazione di evitare dubbi interpretativi sulle nuove norme introdotte.

Più che di una correzione (lasciando da parte l’accezione migliorativa che in genere appartiene al concetto di “correzione” e, sul quale, nel caso di specie, le opinioni possono chiaramente divergere) si tratta di un vero e proprio cambiamento di rotta da parte del Ministero e ciò non soltanto sulla tematica attuale oggetto di riflessione.

Ed invero, dalla lettura dell’ampio testo della circolare appare chiara la determinazione del Ministero di irrigidire al massimo il sistema di designazione del mediatore collegando indissolubilmente le sue conoscenze professionali (che prescindono dalla esperienza e dalla formazione in materia di mediazione) allo specifico oggetto della controversia per la quale sarà chiamato a svolgere la funzione di mediatore.

Ripercorrendo i passaggi significativi proposti nella circolare «emerge come uno dei criteri fondamentali per la ripartizione degli affari di mediazione debba essere quello, non solo della

21 L’aggettivo «inderogabili» viene inserito senza specifiche motivazioni a seguito delle indicazioni contenute nel prescritto parere reso dal Consiglio di Stato sul decreto (parere n. 2228 del 9 giugno 2011).

22 Lettera aggiunta dall'art. 3, comma 1, lett. b), D.m. 6 luglio 2011, n. 145, a decorrere dal 26 agosto 2011, ai sensi di quanto disposto dall'art. 7, comma 1 del medesimo D.m. 145/2011.

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idoneità tecnica in materia di mediazione, ma anche della specifica competenza professionale che debba, quanto più possibile, corrispondere alla natura della controversia insorta tra le parti»23.

Non vi è alcun dubbio quindi che, mentre l’idoneità viene collegata alla capacità ed abilità tecnica del mediatore che costituisce il sostrato comune a tutti mediatori24, si introduce un concetto di “specificità” della competenza professionale che deve “corrispondere” alla natura della controversia25. E ciò viene completato dalla precisazione che alla prescritta inderogabilità dei criteri segue che il regolamento di procedura dell’organismo debba fissare criteri «oggettivi» e

«predeterminati» dando rilievo alla «competenza professionale» dei mediatori iscritti 26.

In questa prospettiva al responsabile dell’organismo viene affidato il ruolo di garante del rispetto dei criteri regolamentari27 e «tra i criteri oggettivi e predeterminati assume particolare rilievo la competenza professionale del mediatore, cioè il complesso delle specifiche conoscenze acquisite in relazione al percorso universitario svolto e, soprattutto, all’attività professionale esercitata»28.

I mediatori, secondo la prospettiva proposta nella circolare ministeriale, devono essere suddivisi in “categorie” in relazione alle «specifiche competenze dei medesimi» ed i criteri relativi al «grado di difficoltà della controversia» diviene secondario e subordinato a quello della «specifica competenza professionale»; «fondamentale» diviene «il riferimento alla particolare natura della causa»29.

Questi brevi rilievi lasciano trasparire come la circolare vada ben oltre il dettato del D.m.

145/2011 e le conseguenze di una simile interpretazione sono evidenti:

- la designazione diviene attività rigidamente vincolata ai criteri oggettivi, predeterminati e inderogabili contenuti nel regolamento (a sua volta vincolato a quanto prescritto dal decreto ministeriale e dalla circolare interpretativa);

- il mediatore è destinato a rimanere un professionista part-time in quanto vive delle altre professionalità essendo inscindibilmente ad esse connesso (nessuna prospettiva a breve periodo si apre per i giovani professionisti destinati a rimanere supplenti dei vuoti lasciati dai professionisti

23 Circolare del Ministero della Giustizia, 20 dicembre 2011.

24 Sembra quasi che tale base comune non possa essere diversificata in base alla formazione avanzata o alle specifiche esperienze maturate e che quindi non sia utile o rilevante per poter selezionare adeguatamente i mediatori.

25 Il problema affrontato dal Ministero non è quello di richiedere al mediatore un comune linguaggio con le parti utile alla comprensione delle parti, dei loro interessi e dei loro bisogni, quanto quello di creare un legame indissolubile tra conoscenze specialistiche e materia oggetto della controversia. Le abilità e le capacità del mediatore quale “tecnico” del conflitto sbiadiscono sino a svanire in una prospettiva di questo genere soprattutto per la rigidità imposta in sede interpretativa dalla circolare.

26 Nella circolare si precisa che: «nel regolamento di procedura dell’organismo devono essere espressamente indicati i criteri per l’assegnazione; i suddetti criteri devono essere inderogabili; il che comporta che siano predeterminati ed oggettivi, nel senso che non può rinviarsi ad un momento successivo la concreta determinazione, ma devono essere indicati ex ante ed in modo oggettivo e quindi valevoli come parametro di riferimento per potere, di volta in volta, procedere alla ripartizione degli incarichi tra i mediatori; gli stessi, inoltre, devono essere certi, per evitare che l’assegnazione sia del tutto arbitraria, priva di effettiva giustificazione;

deve darsi rilievo, nel regolamento, alla competenza professionale dei mediatori iscritti».

27 La circolare puntualizza che «la ripartizione degli affari di mediazione all’interno di ciascun organismo costituisce per il responsabile un’attività particolarmente delicata e significativa, in quanto deve essere rispettosa dei criteri oggettivi e predeterminati indicati nel regolamento i quali, a loro volta, devono tenere conto della competenza professionale di ciascun mediatore».

28 Il Ministero ribadisce ulteriormente che «l’attività professionale, in quanto tale, è un requisito da intendersi in modo distinto dalla capacità tecnica di sostenere il percorso di mediazione, in quanto quest’ultima implica conoscenza specifica degli strumenti che devono essere attuati per condurre e svolgere adeguatamente il percorso di mediazione».

29 Secondo la circolare «è opportuno chiarire che ciascun organismo di mediazione, per potere effettuare correttamente la ripartizione degli affari di mediazione, deve necessariamente procedere, ex ante, ad una distinzione per categorie dei propri mediatori in relazione alle specifiche competenze professionali dei medesimi (dando concreta attuazione alla previsione di cui all'art. 7, comma 2 lett. d del d.m. 180/2010)» e, pertanto, «nei diversi regolamenti di procedura sarebbe opportuno che venisse espressamente indicato, proprio al fine di chiarire come avverrà l'assegnazione degli incarichi tenendo conto della competenza professionale, quale ripartizione interna di competenza professionale è stata compiuta tra i mediatori inseriti nel proprio elenco».

«Va ancora detto che il raggruppamento dei mediatori per competenza non dovrebbe essere limitato alle materie giuridiche, ma a tutte le diverse materie di competenza possibili (tecniche, umanistiche, mediche, e così via).

Al di là di questo primo, fondamentale criterio, devono intervenire altri criteri che tengono conto del grado di difficoltà della controversia, della esperienza del mediatore, della disponibilità del medesimo, e così via.

Fondamentale è, pertanto, il riferimento alla particolare natura della causa».

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dotati di maggiore anzianità ed esperienza professionale);

- si creano compartimenti stagni tra professionalità e la capacità ed abilità tecnica e l’esperienza del mediatore (in mediazione) divengono criteri meramente sussidiari;

- si crea un collegamento diretto ed inscindibile tra la professionalità del mediatore e la natura della controversia.

Muta inevitabilmente il profilo-medio del mediatore di controversie che diviene un professionista con anzianità medio-alta, con specifica competenza in una materia, che part-time si dedica alla mediazione; questi svolgerà attività di mediatore nella materia per la quale quotidianamente svolge attività “di parte”; dotato di una specifica formazione acquisita in un corso base di cinquanta ore (aggiornamento biennale di diciotto ore e di uditorato30 in venti procedimenti da svolgersi anche con mediatori meno esperti e nei casi di mancato accordo per mancata partecipazione).

Il ruolo del responsabile dell’organismo diviene di controllo e garanzia di applicazione del regolamento residuando allo stesso margini esigui di scelta (rispetto a mediatori con profili del tutto omogenei) ed il sistema di designazione appare attualmente rigido e precostituito, orientato alla individuazione predeterminata (dal regolamento) del mediatore più esperto rispetto alla natura della specifica controversia.

8. Il “cambio di rotta” del Ministero della Giustizia.

Dalla disamina della normativa e della sua evoluzione traspare con palese evidenza un sistema di designazione del mediatore che, inizialmente aperto e flessibile e sostanzialmente affidato nella gestione al responsabile dell’organismo (pur nella possibilità di avviare per gli organismi percorsi di specializzazione sempre strettamente connessi all’attività facilitativa da svolgere in mediazione e, quindi, non necessariamente connessi alle specifiche competenze derivanti dal bagaglio professionale del mediatore in relazione all’oggetto della controversia da conciliare), si è trasformato repentinamente, e sull’onda delle contestazioni sollevate anche in sede giudiziaria, in un sistema rigido e predeterminato nel quale il mediatore sembra essere diventato un mediatore “precostituito per… prassi ministeriale”.

Un irrigidimento che inciderà profondamente sul percorso culturale e operativo della via italiana alla mediazione in quanto il rischio principale è che dopo gli interventi “correttivi” e la circolare “interpretativa” la funzione del mediatore (che è divenuto obbligatoriamente un

“competente” della materia oggetto di lite) sia sempre più ritenuta contigua a quella di un

“valutatore” (“aggiudicatore”), piuttosto che a quella di un “facilitatore” (secondo le indicazioni della direttiva europea, della legge-delega e del decreto legislativo attuativo)31.

Una silente quanto profonda rivisitazione dell’intero assetto che rischia di scardinarne obiettivi e funzioni nel disperato tentativo di deflazionare il carico della giustizia civile, perdendo di vista i significativi apporti che un sistema coerente di mediazione è in grado di offrire, incidendo sugli aspetti sociali e culturali dell’approccio al conflitto.

Permane così il dubbio non soltanto della legittimità dell’interpretazione proposta dal Ministero circa la disposizione introdotta al comma 5, lett. e), dell’art. 7 del D.m. 180/2010, ma la

30 Il richiamo è all’art. 4, comma 3, lett. b), D.m. 180/2010 nella versione integrata dal D.m. 145/2010 secondo quanto poi interpretato dalla circolare ministeriale del 20 dicembre 2011; la norma citata introduce una anomala forma di tirocinio assistito permanente sulla cui utilità, per la sua particolare conformazione, appare necessario dubitare.

31 L’idea di una mediazione decisamente valutativa (tanto da essere definita nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo come “aggiudicativa”) esce rinvigorita dal decreto “correttivo”. Collegare indissolubilmente la competenza tecnica o giuridica del mediatore rispetto all’oggetto della lite ne esalta inevitabilmente le “potenzialità” valutative (quasi a voler promuovere poi, in mancanza di accordo, una proposta conciliativa che possa esaltare la stessa quale “progetto di sentenza” nella prospettiva di cui all’art. 13 D.lgs. 28/2010).

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compatibilità di quest’ultima (soprattutto se intesa nella prospettiva ministeriale) con la normativa primaria.

Il dibattito è aperto32.

L’auspicio è che una spinta così decisa verso un sistema tanto rigido (nell’attesa di una rivisitazione di tali norme regolamentari attuative) possa indurre una più estesa operatività di meccanismi procedimentali utili a coinvolgere le parti nella individuazione e, quindi, nella designazione del mediatore. Restando assolutamente priva di dubbio la circostanza che l’indicazione ad opera delle parti costituisce valutazione prioritaria ed assorbente, dovendosi in tali casi prescindere ipso facto da ogni rigida indicazione regolamentare circa le «specifiche competenze professionali»; criterio destinato a soccombere ineluttabilmente dinanzi alla chiara e consapevole indicazione proposta dalle parti al responsabile dell’organismo che non potrà non tenerne adeguata considerazione.

32 L’attenzione riservata alla problematica delle «specifiche competenze» del mediatore sottrae spazi ed attenzione ad una più approfondita riflessione sulla qualità della mediazione e, quindi, del mediatore in quanto sembra risolvere in tale aspetto del tutto marginale (che rischia di divenire fuorviante in quanto appare assolutizzato) un tema estremamente complesso. Sul profilo del mediatore è interessante riportare alcune della qualità che dovrebbero - secondo Howard Raiffa – caratterizzare un buon mediatore: la pazienza di Giobbe; la sincerità e l'ostinazione di un inglese; lo spirito di un irlandese; la resistenza fisica di un maratoneta; l'abilità di gioco di un regista su un campo di football; l'astuzia di Machiavelli; la capacità di analisi psicologica di un buon psichiatra; la capacità di mantenere il segreto; il dorso di un rinoceronte; la saggezza di Salomone (“The art and science of negotiation”).

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