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La revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile alla luce di alcuni inediti orientamenti giurisprudenziali - Judicium

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MASSIMO VACCARI

La revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile alla luce di alcuni orientamenti giurisprudenziali inediti

Sommario: 1. Premessa. 2. Presupposti processuali: adottabilità ad iniziativa di parte (agenzia delle entrate) o d’ufficio; autorità giudiziaria competente; limite temporale; natura del procedimento. 3. Presupposti sostanziali:

3.1 Modifiche sopravvenute delle condizioni reddituali. 3.2 (Segue) Mancanza originaria dei presupposti di ammissione. 3.3. (Segue) Condanna per lite temeraria. 4.Effetti della revoca 5. Il procedimento di opposizione alla revoca 6. Conclusione

1. Premessa

La disciplina dell’istituto della revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è rinvenibile in una serie di norme del Testo Unico delle spese di giustizia (d.P.R.

30 maggio 2002 n.115): il capo VII (art. 112-114) ne individua presupposti ed effetti nell’ambito del processo penale e gli artt. 127, commi 3 e 4, e 136 regolano, gli stessi profili, nei processi civile, amministrativo, contabile e tributario1.

Tali disposizioni risultano lacunose e non sono sempre facilmente raccordabili tra loro, come si avrà modo di vedere meglio nelle prossime pagine.

Concentrando l’attenzione sulle disposizioni relative al processo civile è opportuno innanzitutto precisare che oggetto del provvedimento di revoca può essere, per espressa previsione normativa (art. 136, comma 1, T.U.S.G.), il provvedimento di ammissione al beneficio che sia stato adottato in via provvisoria, ai sensi dell’art. 124 T.U.S.G. dal Consiglio dell’ordine degli avvocati competente (si tratta del C.d.O del luogo in cui ha sede il magistrato davanti al quale pende il procedimento o competente a conoscere il merito).

Una interpretazione analogica della norma sopra citata, consente di affermare che è revocabile, negli stessi casi da essa contemplati, anche il decreto che il magistrato competente per il giudizio può emettere ai sensi dell’art. 126, ultimo comma, T.U.S.G., su richiesta

1 E’ opportuno rammentare che la parte del testo normativo dedicata al patrocinio a spese dello Stato si compone di una parte generale (artt. 74-89), comune a processo civile e processo penale, una parte riservata al processo penale (artt. 90-118), una parte riservata al processo civile, amm.vo, contabile, tributario (artt. 119-145), e, infine, una parte riservata ai processi particolari (artt. 146-159).

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dell’interessato, nel caso in cui il consiglio dell’ordine degli avvocati abbia respinto o dichiarato inammissibile l’istanza di ammissione al patrocinio.

Anche questo provvedimento infatti è adottabile in via provvisoria, cosicchè resta ferma possibilità di rivalutare nel corso del giudizio i presupposti di ammissione.

2. Presupposti processuali: adottabilità ad iniziativa di parte (agenzia delle entrate) o d’ufficio; autorità giudiziaria competente; limite temporale; natura del procedimento

Legittimato a richiedere il provvedimento di revoca è l’ufficio finanziario competente, che potrà farlo, mediante istanza indirizzata al magistrato competente, sia nel caso in cui le prospettazioni dell’istante, relative ai presupposti di ammissione al beneficio, siano risultate non veritiere (ai sensi del comma 3 dell’art.127) sia in caso di sopravvenuto mutamento delle sue condizioni di reddito2(ai sensi del comma 4 della stessa norma).

Proprio per consentire all’ufficio finanziario tutti gli accertamenti del caso il primo comma della norma sopra citata prevede che ad esso sia inviata copia dell’atto con il quale sia stata accolta l’istanza di ammissione al patrocinio.

Non pare invece che possa riconoscersi analoga, autonoma legittimazione alla Guardia di Finanza, che pure, ai sensi dell’ultimo comma della norma in esame, può procedere ex officio a verificare la permanenza delle condizioni di reddito dell’istante. Si deve invece ritenere che tale organo possa notiziare l’ufficio finanziario in caso di esito positivo della predetta verifica affinchè lo stesso richieda al giudice la revoca del beneficio.

Occorre ora stabilire quale sia il giudice competente ad emettere il provvedimento di revoca e, in secondo luogo, se egli possa assumerlo d’ufficio in tutte le ipotesi contemplate, quindi anche in quelle di mancanza originaria delle condizioni o dei presupposti di ammissibilità dell’istanza3 (ai sensi dell’art. 136, secondo comma, T.U.S.G.) o sopravvenuta delle condizioni reddituali (ai sensi dell’art. 136, primo comma, T.U.S.G.).

2Il limite reddituale per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (si tratta del reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi)è stato elevato ad € 10.766,33da ultimo, con il D.M. Giustizia 2 luglio 2012, pubblicato in G.U.25 ottobre 2012, n. 250, che ha modificato, in esecuzione dell’art. 77 del d.P.R., l’art. 76, comma 1, adeguando l'importo alla variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nel biennio precedente (Il precedente limite era di 10.628,16 euro).

3 I presupposti di ammissibilità dell’istanza sono fissati dall’art.79, comma 1, del testo unico.

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Con riguardo al primo aspetto il primo comma dell’art. 136 fa riferimento al “giudice che procede”, che è agevole individuare nel giudice che tratta il processo nel momento in cui si realizzi una delle ipotesi che possono giustificare la revoca del beneficio. Potrà quindi trattarsi anche del giudice di appello, rispetto ad una ammissione avvenuta in primo grado e ovviamente rispetto a quella disposta in grado di appello.

Tale conclusione pare pienamente coerente con la previsione di cui all’art. 83, comma 2, secondo periodo, T.U.S.G. che attribuisce al giudice competente il potere di liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione è intervenuto dopo la loro definizione.

L’art. 136, comma 1, T.U.S.G., a differenza della norma corrispondente relativa al processo penale (art.112, terzo comma, T.U.S.G.), nulla dice rispetto al caso in cui le predette evenienze si verifichino durante la pendenza del giudizio di cassazione ma deve ritenersi che la Suprema Corte non possa provvedere in merito, così come, ai sensi dell’art. 83, comma 2, prima parte T.U.S.G., non può procedere alla liquidazione del compenso per la fase svoltasi davanti a sé4. La lacuna è però colmabile ricorrendo ad una interpretazione analogica della norma dettata per il processo penale, cosicchè si può affermare che, anche con riguardo al caso in esame, la competenza spetti all’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento da revocare.

Quanto all’ulteriore questione se il giudice possa disporre la revoca del beneficio di propria iniziativa anche nel caso di mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni reddituali, se si ha riguardo al solo disposto dell’ultimo comma dell’art. 127 T.U.S.G. si potrebbe pensare che l’autorità giudiziaria possa chiedere solo la verifica delle condizioni reddituali e che, all’esito di essa, la revoca del provvedimento vada richiesta solo dall’ufficio finanziario.

A diversa conclusione si perviene invece considerando l’iter che ha subito la disposizione corrispondente per il processo penale, ossia l’art. 112. Questa, infatti, al primo comma lett. d), prevedeva, prima della modifica introdotta dall’art. 9 bis del D.l. 30 giugno 2005 n. 115, convertito dalla l. 17 agosto 2005 n.168, che la revoca per la mancanza originaria o

4 La norma citata nel testo prevede che per il giudizio di Cassazione alla liquidazione provveda il giudice di rinvio ovvero quello che ha pronunciato la sentenza di condanna.

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sopravvenuta delle condizioni di reddito potesse essere disposta dal giudice solo su richiesta dell’ufficio finanziario5.

In mancanza di una analoga attribuzione, in via esclusiva, all’ufficio finanziario del potere di richiedere la revoca del patrocinio ammesso in sede civile, e dopo la modifica nei termini predetti della disposizione sopra citata, non può più dubitarsi che la stessa regola sopra detta valga nel processo civile. D’altro canto, a giustificare la differenza con la disciplina originaria relativa al processo penale, è sufficiente la considerazione che il giudice civile ben può acquisire nel corso del giudizio, soprattutto nella fase istruttoria, elementi sulle condizioni reddituali della parte ammessa al patrocinio che possono indurlo ad una valutazione diversa da quella posta a fondamento del provvedimento di ammissione. Si pensi, ad esempio ai risultati di indagini patrimoniali effettuate nel corso di un giudizio di separazione tra coniugi o all’acquisizione di documenti o agli esiti di ctu contabili o bancarie, effettuate nell’ambito di contenziosi di vario genere, che comprovino la percezione da parte di chi sia stato ammesso al beneficio di redditi, eventualmente non dichiarati, che comportino il superamento del limite di cui all’art. 76 T.U.S.G.6. E’ appena il caso di precisare che le variazioni di reddito rilevanti al fine predetto sono quelle originarie o quelle sopravvenute, a prescindere dal momento in cui si verifichino, e non sono solo quelle di cui l’interessato è tenuto a comunicare al giudice, nel termine fissato dall’art. 79, primo comma, lett. d), a pena di inammissibilità dell’istanza.

E’ anche opportuno evidenziare come tali risultanze assumano una valenza probatoria maggiore di quelle acquisibili dall’amministrazione finanziaria in un procedimento, di carattere amministrativo, che non prevede il coinvolgimento dell’interessato7.

5 Rispetto alla versione originaria della norma le Sezioni Unite della Cassazione Penale, con sentenza 14 luglio - 10 settembre 2004 n.36168, Cass. pen. 2004, p.4042, con nota di Dipaola, avevano interpretato restrittivamente l’ambito del potere dell’intervento d’ufficio del giudice, limitandolo ai soli casi di revoca formale contemplati nelle lettere da a) a c) dell’art. 112 e ritenendolo condizionato ad una specifica richiesta dell’amministrazione finanziaria in quello di cui alla lett. d).

6 Si noti come il decreto attribuisca rilievo ,quale indice di abbienza, al solo reddito e non anche al patrimonio della parte ammessa. Il considerando 14 della direttiva Ue 3/2008, (intesa a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie) stabilisce che:“È opportuno che gli Stati membri siano lasciati liberi di stabilire il limite al di sopra del quale si presume che una persona sia in grado di sostenere le spese processuali, alle condizioni previste dalla presente direttiva. Detti limiti devono essere definiti alla luce di vari fattori obiettivi, quali il reddito, il patrimonio o la situazione familiare.

7 Tale coinvolgimento è invece necessario, come si vedrà nella parte finale del presente paragrafo, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria richieda la revoca dell’ammissione al patrocinio,

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La giurisprudenza di merito ha esaminato la questione di quali siano le emergenze istruttorie sulle quali può fondarsi il provvedimento di revoca del beneficio in due pronunce, inedite, che sono state rese in fasi differenti dello stesso procedimento.

Con la prima il Tribunale di Minorenni di Genova8 ha desunto l’insussistenza delle condizioni originarie di reddito di un soggetto ammesso in via provvisoria al beneficio dalle affermazioni che lo stesso aveva reso in alcune missive indirizzate al giudice delegato nel corso di un procedimento avente ad oggetto l’affidamento dei suoi figli. La Corte di Appello di Genova9, adita in sede di reclamo10 avverso il predetto provvedimento, ha invece ritenuto che gli elementi valorizzati dal giudice di primo grado non fossero sufficienti a giustificare la revoca, in mancanza di ulteriori riscontri di tipo oggettivo che smentissero quelli di carattere documentale prodotti in sede di reclamo dal reclamante e tenuto conto, altresì, del fatto che egli a seguito dell’indagine peritale espletata nel corso del giudizio di affido era risultato affetto da disturbi della personalità.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, allora, il disposto dell’art. 127, ultimo comma, T.U.S.G. va inteso, più correttamente, nel senso che l’autorità giudiziaria può sempre disporre, attraverso l’ufficio finanziario competente o la guardia di finanza, verifiche sulle condizioni reddituali della parte ammessa al beneficio, a prescindere dagli elementi di valutazione di cui disponga e che possono fondarsi anche sulle risultanze istruttorie del giudizio che tratta. Il giudice sarà però tenuto a prendere in considerazione tali elementi per sottrarsi ad un possibile, o anche probabile, rilievo di responsabilità di tipo contabile.

Né l’art. 127 né l’art. 136 T.U.S.G. pongono limiti temporali all’iniziativa dell’ufficio finanziario o del giudice, a differenza dell’art. 112 lett. d), T.U.S.G. che, per la revoca del beneficio in sede penale, lo fissa in cinque anni dalla definizione del processo .

L’art. 127, ultimo comma, T.U.S.G. infatti utilizzando l’espressione “in ogni tempo”, pare consentirla a tempo indeterminato. A ben vedere un limite temporale è però ricavabile dal primo comma dell’art. 136 che, oltre ad attribuire rilievo alle modifiche reddituali che

8 Si tratta del decreto emesso in data 14 agosto-14 settembre 2012 nel procedimento n. 320/2011 V.G. di quell’ufficio.

9 Il decreto, reso dal Consigliere Relatore, è stato pubblicato il 23 gennaio 2013 nel procedimento n.1130/2012

10 Sulla erroneità del rimedio individuato per contestare la legittimità del provvedimento di revoca si tornerà nel paragrafo n. 4 di questo scritto.

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sopravvengano nel corso del giudizio, come detto, individua nell’autorità giudiziaria procedente quella competente ad adottare il provvedimento di revoca, cosicchè l’ultimo momento utile per la decisione in esame è quello della pendenza del giudizio, ma non del grado , rispetto al quale è stato adottato il decreto di ammissione (si è già detto che qualora la insussistenza delle condizioni di reddito emerga nel corso del giudizio di cassazione competente a provvedere sarà invece il giudice che ha ammesso la parte al patrocinio).

Sia l’istanza di revoca che venga avanzata dall’agenzia delle entrate che l’istanza di modifica del provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio danno luogo ad un procedimento camerale di volontaria giurisdizione che comporta il necessario coinvolgimento del soggetto destinatario del provvedimento richiesto all’autorità giudiziaria.

3. Presupposti sostanziali

3.1 Modifiche sopravvenute delle condizioni reddituali

Nel paragrafo precedente si è detto come anche le risultanze istruttorie del giudizio in cui una delle parti è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato possano dar conto di modifiche sopravvenute delle sue condizioni di reddito e quindi giustificare la revoca del beneficio.

Può escludersi che tra tali condizioni sia ricompresa anche l’emissione, all’esito del processo rispetto al quale vi sia stata l’ammissione al beneficio, di una sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro in favore della parte ammessa al beneficio o la conclusione di una transazione che preveda un pagamento a favore di quella stessa parte.

Infatti, a prescindere dalla considerazione che simili evenienze non comportano necessariamente un arricchimento per la parte ammessa al patrocinio, perché non è detto che la parte soccombente versi effettivamente la somma dovuta, esse, ai sensi dell’art. 134, comma 2, del T.U.S.G., consentono allo Stato di esercitare la rivalsa nei confronti della parte ammessa al beneficio per le spese anticipate, purchè essa abbia conseguito il sestuplo delle spese anticipate (deve ritenersi effettivamente mentre non è richiesto che la sentenza sia passata in cosa giudicata) e a condizione che le spese anticipate non siano recuperabili dalla parte soccombente (lo si evince dal primo comma dell’art. 134). Le medesime considerazioni valgono rispetto al

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caso in cui la parte ammessa al patrocinio benefici di un provvedimento interinale (ad esempio ai sensi dell’art. 186 bis o dell’art. 186 ter c.p.c.) che venisse emesso nel corso del giudizio.

Con riguardo alla questione in esame va peraltro segnalata una pronuncia del Tribunale di Civitavecchia che ha invece ritenuto che la conclusione di una transazione giudiziale e il pagamento, in esecuzione di essa, di una somma di denaro a favore della parte ammessa al patrocinio determinino un mutamento delle condizioni di reddito che giustifica la revoca del decreto di ammissione.11

Vi sono poi ipotesi di revoca del patrocinio, conseguenti alla modifica delle condizioni di reddito, che possono verificarsi più frequentemente in sede penale ma che anche il giudice civile può trovarsi a scrutinare nel caso in cui, ai sensi dell’art. 170 T.U.S.G. (procedimento che, come si vedrà nel paragrafo n.5, ha natura civile), venga proposta opposizione al provvedimento di revoca adottato dal giudice penale sia, più raramente, nel corso del giudizio civile che tratta.

Una è quella fondata sulla sopravvenuta condanna della persona ammessa al patrocinio per uno dei reati di cui all’art. 76, comma 4 bis, T.U.S.G.12, introdotto dal d.l. 23 maggio 2008 m.125 (c.d. Decreto sicurezza). Si noti che la norma fa parte delle disposizioni generali e quindi può trovare applicazione anche nel processo civile.

Da ciò consegue che una eventuale condanna per uno dei reati da essa previsti può determinare la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche in sede civile e il giudice, avvalendosi del potere conferitogli dal già menzionato ultimo comma dell’art. 127 T.U.S.G., ben può verificare la eventuale esistenza di precedenti per uno dei reati previsti dalla norma in esame a carico della parte ammessa al beneficio.

11Il decreto, inedito, reso il 3 aprile 2008 nel procedimento n.2479/2006, ha individuato il presupposto della revoca del beneficio proprio nella circostanza che la parte ammessa al patrocinio aveva ricevuto in corso di causa una somma di una certa consistenza (euro 60.000,00),a seguito di transazione raggiunta con la controparte.

12 La disposizione citata nel testo ha introdotto una sorta di presunzione di abbienza per i soggetti che abbiano riportato una condanna definitiva per alcuni gravi reati commessi a scopo di lucro, come quelli di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater d. P. R. 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, e 74, comma 1, del d. P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, ai soli fini del presente decreto, il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti (tale condizione come si avrà modo di precisare nel prosieguo rileva anche ai fini della revoca dell’ammissione al patrocinio).

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A beve vedere si tratta di una ipotesi non dissimile da quella, contemplata dall’art. 91, primo comma, lett. a), T.U.S.G. (norma inclusa nella parte del Testo unico dedicata al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale), della condanna per reati commessi in violazione delle norme per l’evasione in materia di imposte sui redditi alla quale il legislatore ha parimenti ricollegato una presunzione di abbienza.

Va peraltro segnalato che, nonostante il tenore letterale della disposizione, è tuttora controverso in giurisprudenza se la pronuncia contemplata all’art. 76, comma 4 bis, T.U.S.G.

debba necessariamente essere passata in giudicato13 o possa anche essere non definitiva.14Quest’ultima tesi trova conforto nel già citato art. 91 primo comma lett. a) prevede come causa di esclusione dal patrocinio oltre che la pendenza di una indagine o di una processo la sola condanna per un reato di natura fiscale.

In dottrina15 si è invece sostenuto che la revoca può essere adottata sole se il passaggio in giudicato della pronuncia di condanna risalga al momento della decisione sull’istanza di ammissione ma non mi pare che la norma autorizzi tale interpretazione restrittiva, dal momento che menziona, quale presupposto del provvedimento, anche la mancanza sopravvenuta delle condizioni di reddito.

Un’altra ipotesi di revoca per modifica, anche sopravvenuta, delle condizioni reddituali è quella, riscontrabile in alcune decisioni di merito penali, conseguente alla condanna per reati contro il patrimonio della persona ammessa al beneficio. Un simile orientamento appare criticabile non solo perché non richiede che la sentenza sia passata in giudicato ma anche perché prescinde dalla valutazione della gravità del reato.

3.2 Mancanza originaria delle condizioni di reddito

13 Sembra presupporlo Cass. pen., sez. IV, 21 dicembre 2011 n.6419, Arch. Proc. pen., 2012, p.410, che pure ha riconosciuto che anche una condanna per taluno dei delitti previsti dall’art. 76, comma 4 bis, intervenuta in epoca precedente all’entrata in vigore della novella possa dar luogo a revoca.

33 Propende per questa tesi Cass. pen., sez. IV, 29 aprile 2009 n.17946 che reputa che la condanna di primo grado sia comunque significativa ai fini dell’applicazione della norma, a prescindere dal suo passaggio in giudicato, unitamente a precedenti penali per detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti, quale presunzione semplice (art. 2729 c.c.) di non abbienza.

15 BRICCHETTI - PISTORELLI, Gratuito patrocinio ad accesso ristretto, Guida al diritto, 2008, n.32, p.113.

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Il giudice procedente è chiamato a valutare, ai sensi dell’art. 136, comma 2 T.U.S.G., la sussistenza ab origine di tutti i presupposti per l’ammissione, non solo di quello reddituale, e, proprio al fine di consentirgli tale verifica, l’art. 126 T.U.S.G. prevede che copia del provvedimento di ammissione sia trasmesso al magistrato (da individuarsi nel magistrato al quale è stato assegnato il processo rispetto al quale la parte è stata ammessa al beneficio).

Occorre riconoscere che tale norma spesso non viene rispettata,nei casi in cui l’ammissione provvisoria sia stata disposta dal Consiglio dell’Ordine (anche perché spesso all’atto dell’ammissione da parte di tale organo non vi è ancora un giudizio pendente)16 ma è invece importante che l’autorità giudiziaria richieda al CdOnon solo la copia del provvedimento di ammissione, ma anche la copia dell’istanza di ammissione (compresi i documenti allegati), per valutare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità di essa, che il C.d.O può erroneamente valutare o non essere in grado di valutare correttamente al momento della domanda17.

Risponde alla stessa esigenza il disposto dell’art. 79, ultima comma, T.U.S.G., anch’esso incluso tra le disposizioni generali, che prevede che il giudice procedente possa richiedere all’interessato di produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto indicato nell’istanza.

Alcune interessanti, e inedite, pronunce di merito danno conto di quale sia l’ambito di valutazione che compete al giudice in base all’art. 136, comma 2, T.U.S.G..

Ci si riferisce ad una pronuncia del Tribunale di Milano18 che ha revocato il decreto di ammissione al beneficio dopo che, nel corso del giudizio al quale esso si riferiva, era emerso

16 Pare rispondere all’esigenza indicata nel testo la previsione dell’art.369, comma 2, n. 1, c.p.c., secondo la quale il deposito del provvedimento di ammissione al beneficio, per la fase del giudizio di cassazione, costituisce requisito di procedibilità del ricorso per Cassazione.

17 A proposito di presupposti di ammissibilità dell’istanza con riferimento al processo merita di essere segnalato una sentenza del Tribunale di Napoli del 23 marzo 2005, inedita, che ha affermato che, in materia esecutiva, il presupposto per l'ammissione al gratuito patrocinio è costituito dalla non manifesta inutilità dell'esperimento di detta azione, e pertanto la relativa istanza deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione del bene o dei beni del debitore che si intendono sottoporre ad espropriazione.

18 Il decreto citato nel testo è stato pubblicato in data 4 settembre 2013 nell’ambito del giudizio n.85288/09.

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che la parte che ne aveva beneficiato conviveva more uxorio19 da diversi anni prima del momento in cui il provvedimento era stato adottato con un soggetto che godeva di reddito superiore alla soglia di legge.

In un’altra decisione invece il Tribunale di Civitavecchia20 ha revocato parzialmente il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato sulla base del rilievo che l’oggetto del giudizio promosso dalla parte ammessa al beneficio era risultato più ampio di quello rispetto al quale era stata presentata l’istanza di ammissione (divisione della nuda proprietà di appartamento) e ciò sul presupposto che tra i requisiti di ammissibilità dell’istanza vi è anche l’indicazione del processo cui si riferisce (art. 79, primo comma,lett. a).

3.3. Condanna per lite temeraria

Secondo un orientamento giurisprudenziale l’esame del giudice deve spingersi fino alla verifica dei presupposti per la concessione del patrocinio a spese dello Stato, anche sotto il profilo della enunciazione delle ragioni di fatto e diritto che il richiedente intende spendere nel processo, di primo o secondo grado, enunciazione che è richiesta a pena di inammissibilità dell’istanza di ammissione al patrocinio dall’art. 122 T.U.S.G.21

Quest’ultima norma, avendo la finalità di mettere in condizioni il consiglio di esprimere il suo giudizio, richiede che l’istanza contenga una dettagliata e puntuale esposizione degli elementi di fatto, nonché dei fatti e/o documenti di prova, ovvero dei modi in cui l’istante intende dimostrare i fatti dedotti. Non è certo necessaria l’elencazione circostanziata dei mezzi

19 La pronuncia presuppone l’adesione all’orientamento della Suprema Corte secondo il quale “per l’individuazione del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, deve tenersi conto anche di quello percepito dal convivente more uxorio, che si iscrive nel novero degli ‘altri familiari’ conviventi”

(Cass. pen. 17 febbraio 2005 n. 19349, Cass. pen. 2006, p. 1510 e, più recentemente, negli stessi termini: Cass.

Pen., sez. IV 13 novembre 2012 n° 44121, in www.altalex.com).

20 Il decreto menzionato nel testo è stato pronunciato in data 2 dicembre 2008 nel giudizio avente n. 2479/2006 r.g.

21 GOZZI, Patrocinio a spese dello Stato e rifusione delle spese, Riv. Dir. Proc. 2013, p .496, nota 12, afferma che la nozione di manifesta infondatezza non include anche la presumibile possibilità di accoglimento della pretesa, come era invece più rigidamente previsto dall’originario art. 15 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282 che contemplava l’esame della “probabilità di esito favorevole nella causa od affare”.

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di prova demandati al difensore, anche in considerazione del fatto che il richiedente è quasi sempre privo della necessaria competenza tecnica22.

Si inserisce pienamente nell’indirizzo sopra citato un recente provvedimento, emesso in sede di reclamo dal Presidente del Tribunale di Treviso, e confermativo di quello di primo grado che aveva revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sul rilievo della manifesta infondatezza della pretesa della parte non abbiente (si trattava di una domanda avente ad oggetto il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi familiari, proposta da un soggetto legato da un rapporto di convivenza more uxorio con il convenuto). Detto giudizio si era fondato sull’affermazione di “insussistenza sia normativa che giurisprudenziale dell'ipotesi di violazione degli obblighi familiari in ipotesi di persone unite da solo vincolo di convivenza more uxorio”23.

Muove dalla stessa premessa anche l’orientamento secondo il quale rientra nell’ambito di valutazione spettante al giudice ai sensi della norma in esame anche il giudizio di inammissibilità della domanda o dell’impugnazione24.

Orbene questa lettura non convince poiché non tiene conto della rilevante differenza che intercorre tra la valutazione di competenza del C.d.O sulla manifesta infondatezza della pretesa, che avviene ex ante 25, al momento della presentazione della domanda di ammissione, da quella compiuta dal giudice all’esito del giudizio o quando le difese sono state interamente spiegate e quindi ex post. Questa distinzione è stata invece colta ed opportunamente

22 Si noti che D.Lgs. 27 maggio 2005 n.116, che ha dato attuazione alla direttiva 2003/8, non contiene una analoga disposizione sui requisiti della domanda ma il suo art. 5, al primo comma, corrisponde alle disposizioni del T.U.S.G. citate mentre al secondo comma si differenzia da queste perché individua una ipotesi, alquanto particolare, di domanda manifestamente infondata che è la seguente:“ Ai fini del comma 1, quando il richiedente chiede il risarcimento dei danni alla sua reputazione senza aver sofferto perdite materiali o finanziarie o quando la domanda riguarda una pretesa derivante direttamente dall'attività autonoma o commerciale del richiedente sono valutate l'importanza del caso specifico per il richiedente e la natura della causa”.

23La Suprema Corte, con sentenza 20 giugno 2013 n.15481, leggibile in www.altalex.com, ha cassato la decisione ravvisando l’erroneità della premessa in diritto della stessa.

24 Corte di Appello di Torino, decr., 19 luglio 2013, inedito, reso nel procedimento n. 1996/2012 r.g.

25 Il Consiglio Nazionale Forense nelle circolare del 12 luglio 2002, leggibile in www.avvocatisanremo,it ha indicato, in via esemplificativa, quali ipotesi di manifesta infondatezza della domanda: a) il manifesto difetto di legittimazione attiva del richiedente o passiva del soggetto nei confronti del quale l’istante ha proposto o intende proporre l’azione; b) la presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, che neghi l’esistenza del diritto che l’istante intende far valere.

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evidenziata dalla Corte Costituzionale nella ordinanza 17 luglio 2009 n. 22026 che ha osservato come “il legislatore ha previsto sia una valutazione ex ante del requisito della non manifesta infondatezza (da compiersi al momento della presentazione della domanda, con rigetto della stessa nei casi in cui, sin dall'origine, l'istante voglia far valere una pretesa palesemente infondata); sia la revoca, ex post, della ammissione al beneficio quando, a seguito del giudizio, risulta provato che la persona ammessa ha agito o resistito con mala fede o colpa grave”.

Il presupposto normativo delle ipotesi di revoca del patrocinio che stiamo considerando va allora, più linearmente, individuato nella seconda parte dell’art. 136 comma 2, T.U.S.G., atteso che esse sono, pienamente idonee ad integrare, in astratto delle fattispecie di responsabilità processuale aggravata.

E’ evidente che tale previsione ha una funzione sanzionatoria della parte ammessa al beneficio che venga condannata per lite temeraria, sul presupposto che il provvedimento di revoca costituisca l’unica effettiva sanzione per essa, dal momento che una eventuale condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. con tutta probabilità, per non dire con certezza, resterebbe ineseguita a causa della condizione di non abbienza della parte in questione27.Nemmeno potrebbe obiettarsi che il criterio di valutazione del giudice sarebbe il medesimo del C.d.O. in quelle specifiche ipotesi di manifesta infondatezza o di inammissibilità della domanda contemplate dal nostro ordinamento (si pensi a quella di cui all’art. 155 bis, secondo comma, ultima parte, c.c. o all’art. 13 comma 1 quater, del T.U.S.G.28introdotto dall’art. 1 comma XVII della Legge

26 Nella ordinanza citata nel testo, leggibile in www.cortecostituzionale.it, la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza degli artt. 126 e 127 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevata, in riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 97 della Costituzione.

27 Proprio perché la norma prescinde dall’esistenza di una condanna per lite temeraria, non è necessario che, per i giudizi introdotti prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 96 ad opera della L.69/2009, la parte vittoriosa abbia avanzato una corrispondente domanda. A ben vedere si tratta di una anticipazione, limitata all’istituto in esame, della predetta riforma che ha aggiunto al predetto articolo un terzo comma che prevede ora la possibilità per il giudice di emettere una condanna officiosa.

28 La norma citata nel testo è la seguente:“quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1- bis”. E’ stato giustamente notato (BUFFONE,Il concetto di «impugnazione» nell’art. 13 comma I-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115in www.ilcaso.it) che, la disposizione va intesa estensivamente,cosicché per «impugnazione», ai fini dell’art. 13 comma I-quater debbono intendersi anche i reclami contro i provvedimenti cautelari e finanche i giudizi di revisione ex art. 742 cod. proc .civ. E’ dubbio se sia possibile una applicazione combinata di essa con altre disposizioni di carattere sanzionatorio come la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. o la revoca del patrocinio a spese

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24 dicembre 2012 n. 228, o anche le ipotesi di inammissibilità del ricorso per Cassazione di cui all’art. 360 bis c.p.c.). Anche queste norme, infatti, richiedono al giudice una disamina piena della sussistenza dei presupposti, di rito o di merito, della domanda e, a mio modo di vedere, in un sistema caratterizzato dalla mancata tipizzazione delle ipotesi di lite temeraria29, presuppongono, sempre, quelli che sono gli unici elementi tipici di tale istituto, ossia la mala fede e la colpa grave30.

A ben vedere, per quanto riguarda i giudizi di appello, nel T.U.S.G. vi è un’altra, ancor più specifica, norma che consente la revoca del patrocinio già ammesso: si tratta dell’art. 12031, come ha avuto modo di chiarire anche la Corte Costituzionale nella ordinanza32con la quale, in virtù anche del predetto rilievo, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 131 del T.U.S.G., che era stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, sulla base della considerazione che tale norma non avrebbe consentito la liquidazione dell’onorario al difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche quando viene proposta una impugnazione inammissibile.

4. Effetti della revoca dell’ammissione al patrocinio

Gli effetti della revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello stato nel processo civile sono definiti dall’ultimo comma dell’art.136 T.U.S.G. e la corte di

dello Stato. La norma è invece applicabile anche alla parte ammessa al patrocinio la cui impugnazione subisca una delle sorti in essa indicate.

29 Sul punto sia consentito rinviare a VACCARI, Le incerte vie della tipizzazione della “nuova” lite temeraria, Giur. Merito, 2012, pp. 399-400.

30 Seguono questa diversa prospettiva: Corte di Appello di Catania, sez. II, 4 marzo 2009, decr., in Giur. Merito 2009, p.1868, che ha ravvisato i presupposti della lite temeraria, e proceduto alla conseguente revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nella proposizione di una azione di reintegrazione a distanza di molto tempo dalla legale privazione della disponibilità del bene nonché Trib. Verona, decr. del 25 ottobre 2011, emesso nel giudizio avente n.402/2010 R.G. V.G. che, in sede di opposizione ex art. 170 T.U.S.G., ha condiviso la valutazione di temerarietà espressa dal giudice che aveva revocato il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in relazione ad una opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento tardiva. Cass. civ. sez. VI, 16 settembre 2011, Giust. civ. Mass. 2011, p.1308, n.19016,ha invece escluso che, sempre in materia di gratuito patrocinio, sussista colpa grave della parte ricorrente che abbia proposto istanza ad un giudice incompetente, in quanto non può escludersi che, a seguito di riassunzione, la domanda possa essere ritenuta fondata dal giudice che la deve conoscere.

31 La norma citata nel testo che ha un pendant, per quanto riguarda il processo penale, nell’art.106, comma 1, d.P.R.

30 maggio 2002 n. 115, è la seguente “La parte ammessa rimasta soccombente non può giovarsi dell’ammissione per proporre impugnazione, salvo che per l’azione di risarcimento del danno nel processo penale”.

32Si tratta della ordinanza 5 marzo 2010 n.88, leggibile in www.cortecostituzionale.it.

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Cassazione ha avuto modo di affermarlo in una recente pronuncia33, secondo la quale:“la revoca del decreto di ammissione ha effetto dal momento dell'accertamento delle modificazioni reddituali indicato nel provvedimento di revoca e in tutti gli altri casi ha efficacia retroattiva.

A sua volta il D.P.R. n. 115 del 2002, sempre nell'art. 36 (recte 136, nota dello scrivente), nel prevedere che lo Stato ha, in ogni caso, diritto di recuperare in danno dell'interessato le somme eventualmente pagate successivamente alla revoca del provvedimento di ammissione, non pone alcuna distinzione di regime fra patrocinato e patrocinatore. Deve pertanto ritenersi che la revoca ha come effetto quello di ripristinare retroattivamente l'obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa (restando immutato il rapporto di rappresentanza e difesa nel processo che si fonda sulla designazione del difensore da parte del soggetto precedentemente ammesso al patrocinio a spese dello Stato: così Cass. 5 marzo 2010 n. 536434).

Questa disciplina si differenzia, quindi, da quella corrispondente relativa al processo penale (si tratta dell’art. 114 T.U.S.G.), poiché vi si prevede che anche il provvedimento di revoca del decreto di ammissione provvisoria dovuto al mutamento delle condizioni di reddito abbia efficacia retroattiva (art. 112, comma 1, lett. d richiamato dall’art. 114 secondo comma)35.

Può darsi anche il caso che l’insussistenza originaria o sopravvenuta dei presupposti di ammissione al patrocinio giunga a conoscenza del giudice che procede dopo l’emissione del decreto di liquidazione ed allora occorre chiedersi se tale provvedimento sia revocabile. La

33Si tratta di Cass., sez. II, 3 gennaio 2013 n.65, in Diritto & Giustizia 2013.

34Cass. 11 novembre 2011 n. 23635, Giust. civ. Mass, 2010, p.325 nel ribadire il principio esposto nel testo ha chiarito che:“L'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato ex art. 131 d.P.R. n. 115 del 2002, comporta la gratuità della prestazione professionale espletata nel processo, le cui spese (in parte anticipate, in parte prenotate a debito) sono poste a carico dell'Erario, ma, diversamente dalla "destinazione" del difensore d'ufficio, disposta dalla Commissione per il gratuito patrocinio ai sensi della previgente disciplina dettata dall'art. 29 r.d. n. 3282 del 1983, non è assimilabile alla procura alle liti, in quanto la designazione del difensore è rimessa alla scelta dell'assistito; ne consegue che la revoca di tale provvedimento, ai sensi dell'art. 136 del d.P.R. cit., che nulla dispone al riguardo, ha l'unico effetto di ripristinare l'obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa, ma non incide sulla validità della procura alle liti e dell'attività processuale svolta.

35 Così anche Cass. Pen., sez. IV, 15 novembre 2005 n.9297, Cass. pen., 2007, 2106.In senso contrario si è invece espressa Cass. pen., sez. IV, 4 dicembre 2012 n.10661, Diritto & Giustizia, 2013, che ha affermato, invero in contrasto con il dato normativo riportato nel testo, che in caso di mutamento dei requisiti reddituali, la revoca non può riguardare l’attività difensiva svolta nel periodo in cui esisteva una situazione reddituale utile alla fruizione del patrocinio e deve invece individuare il momento in cui si è determinata la nuova situazione.

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Suprema Corte ha esaminato la questione relativamente al processo penale, giungendo alla conclusione che “In caso di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello stato le spese liquidate sono recuperate nei confronti dell’imputato (art. 111 T.U.S.G.), non essendo tenuto il difensore a restituire l’importo delle competenze eventualmente già liquidate in suo favore”.36

Relativamente al processo civile manca una norma corrispondente a quella sopra detta e, allora, a parere di chi scrive, occorre distinguere l’ipotesi in cui la revoca abbia effetto retroattivo dalle altre ipotesi. Nel primo caso anche il decreto di liquidazione potrà essere revocato e la somma corrisposta al difensore potrà essere recuperata, nel termine di prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito37.

E’ ora opportuno dedicare alcune notazioni all’efficacia del provvedimento di revoca della revoca.

Pur in mancanza di una previsione specifica, deve ritenersi che detta efficacia corrisponda a quella del provvedimento revocato e quindi, quando la revoca sia stata determinata da una modifica delle condizioni reddituali, i suoi effetti risalgano al momento in cui il presupposto per la revoca venne ravvisato erroneamente. In tutti gli altri casi il provvedimento retroagisce fino al momento dell’originaria ammissione, determinando la riviviscenza dell’originario provvedimento di ammissione in via provvisoria. Del resto, diversamente opinando, occorrerebbe ammettere che, a seguito del provvedimento di revoca, il consiglio dell’ordine competente debba adottare un nuovo provvedimento di ammissione ma tale evenienza non è contemplata dalla disciplina in esame.

5. Il procedimento di opposizione alla revoca.

Nel Testo Unico sulle spese di giustizia non si rinviene nessuna indicazione sul rimedio esperibile avverso il provvedimento di revoca ma esso è individuabile nell’opposizione ai sensi

36Cass. Pen., sez. IV, 8 febbraio 2007 n.13199, Guida al diritto, 2007, 19, p.100.

37 Per una ipotesi quale quella citata nel testo si veda il decreto, inedito, del Tribunale di Bolzano del 9 ottobre 2013 (reso nel proc. n.553/2009) che ha disposto la revoca, d’ufficio, di un decreto di liquidazione emesso in favore del difensore della parte ammessa al beneficio dopo aver ricevuto da parte dell’Agenzia delle Entrate le dichiarazioni dei redditi della persona ammessa al beneficio, dalle quali era emerso che come la stessa avesse superato il limite reddituale di legge.

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dell’art. 170, atteso che la giurisprudenza di legittimità ne ha riconosciuto la portata generale, valevole per tutti i provvedimenti per i quali non sia prevista una disciplina specifica38.

La legittimazione a promuovere tale giudizio, da proporsi nelle forme del rito sommario di cognizione39, spetta necessariamente al soggetto che ha subito la revoca.

Problematica risulta invece l’individuazione del soggetto passivamente legittimato.

La Cassazione a Sezioni Unite40, con riferimento al procedimento di opposizione alla liquidazione, ha escluso la legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate attribuendola invece al Ministero della Giustizia sulla base di due considerazioni.

Da un lato ha negato la possibilità di applicare analogicamente il disposto dell’art. 99, secondo comma, T.U.S.G. (dettato per il processo penale), sul presupposto che tale norma sia ricollegabile a quella che consente all’ufficio finanziario di verificare di propria iniziativa il requisito del reddito della parte ammessa al beneficio. Dall’altro lato ha osservato che il testo normativo (d.lgs. 300/1999) che ha istituito l’agenzia delle entrate non consente di riconoscerle alcuna funzione di erogazione dei compensi dovuti agli ausiliari del giudice o ai difensori officiati ella difesa in regime di patrocinio a spese dello Stato.

A ben vedere diversa è la posizione che l’ufficio finanziario ha rispetto al provvedimento di revoca poiché esso, come si è visto, ha il potere di compiere verifiche sulle condizioni reddituali del beneficiato ai sensi dell’art.127, comma 2, T.U.S.G., e, sulla base dei relativi esiti, può chiedere la revoca del patrocinio ai sensi dell’ultimo comma della stessa norma.

In virtù di tali attribuzioni può pertanto sostenersi che il soggetto passivamente legittimato nel procedimento di opposizione al provvedimento di revoca sia l’agenzia delle entrate.

Un altro rilevante problema posto dalla nuova disciplina è quello della definizione del termine per proporre l’opposizione.

38Cass. 23 giugno 2011 n.13807, in Giust. civ. Mass., 2011, 6, 941.

39 E’ l’art. 15 del D. Lgs. 1° settembre 2011 n. 150 che ha stabilito che il procedimento si svolga nelle forme del rito sommario di cognizione ex artt. 702-bis e ss. c.p.c., nella variante derivante dall’art. 3 dello stesso testo normativo.

40 La pronuncia citata nel testo è quella del 29 maggio 2012 n. 8510, Giust. Civ. Mass. 2012, 687. In termini analoghi si veda anche: Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 2012, n. 18071, Guida al diritto, 2013, p.63.

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L’art. 34, comma 17, del D. Lgs. 150/2011, nel riformulare, e in parte abrogare l’art. 170, ha omesso di riprodurre la previsione del termine di venti giorni, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento, per l’instaurazione del giudizio di opposizione.

Ci si è chiesti quindi se tale termine deve ancora considerarsi esistente, ovvero se sia necessario individuarne un altro.

In proposito sono state prospettate quattro diverse soluzioni.

Secondo la prima41 il legislatore ha omesso volutamente l’indicazione del termine perché ha voluto svincolare definitivamente il procedimento di opposizione dal giudizio principale, portando alle estreme conseguenze la sua qualificazione come un autonomo giudizio a cognizione piena, avente ad oggetto l’accertamento del diritto soggettivo alla “spesa di giustizia”. La conseguenza sarebbe che l’opposizione, può essere proposta entro il termine ordinario di prescrizione ex art.2946 c.c., ossia entro dieci anni dalla pubblicazione del decreto.

Secondo un’altra opinione42, poiché nei processi “impugnatori” ricondotti al rito sommario il termine per reagire in giudizio è di solito determinato in trenta giorni, esso è applicabile analogicamente anche al procedimento di opposizione ex art. 170.

Una terza opzione43 è quella che reputa l’opposizione soggetta al termine e alle forme del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, come affermato in passato dalla giurisprudenza per le opposizioni avverso i decreti di liquidazione concernenti gli ausiliari diversi da quelli contemplati dalla L.319/1980.

Altra soluzione è quella di continuare a ritenere l’opposizione soggetta al termine di venti giorni precedentemente previsto, atteso che dalle relazioni di accompagnamento e dai pareri delle commissioni parlamentari non risulta la volontà di abrogarlo o modificarlo. A conforto di tale esegesi va aggiunto come il predetto termine continui ad essere previsto per l’opposizione

41 FARINA, La semplificazione dei riti civili, in Sassoni - Tiscini (a cura di), Roma, 2011, p.145; GERARDO, Il procedimento di opposizione avverso il decreto di liquidazione delle spese di giustizia, con particolare riguardo alle competenze del C.T.U. (art.15 D.L.vo 1° settembre 2011 n. 150), in questa rivista.

42 SCARPA, Riduzione e semplificazione dei riti civili, in Corr. Merito, 2011, p.1018. Negli stessi termini si è espresso il Ministero della Giustizia nella Nota DAG 7 novembre 2012 n.0148412U.

43 FARINA, La semplificazione…, cit., p.143.

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prevista dall’art. 99 T.U.S.G. che prevede un procedimento di opposizione sovrapponibile a quello previsto in via più generale dall’art. 170.44

Pur in mancanza di una norma espressa si deve ritenere che il giudice dell’opposizione decida in composizione monocratica, anche in caso di opposizione avverso un decreto adottato dal giudice collegiale, sulla scorta di quanto affermato dalla giurisprudenza con riguardo all’art. 17045.

Tale conclusione va coordinata con la previsione di cui all’art. 15, comma secondo, del D.

Lgs. 150/2011 e pertanto la decisione del ricorso spetta al capo dell’ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento opposto. Se il provvedimento è emesso dal giudice di pace, il ricorso va proposto al presidente del tribunale.

L’opposizione alla revoca, al pari del giudizio di opposizione a liquidazione, secondo la ricostruzione più convincente, ha natura di giudizio contenzioso autonomo in quanto dà luogo ad una controversia relativa alla sussistenza dei presupposti per la ammissione al patrocinio e quindi su diritti soggettivi patrimoniali di natura civilistica46. Il Procedimento ha quindi natura civilistica anche nel caso in cui il provvedimento da revocare sia stato adottato in sede penale.

6. Conclusione

Negli ultimi anni si è registrato un incremento dei casi di abuso dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato, al punto che il Primo Presidente della Corte di Cassazione, nella relazione sullo stato della giustizia per l’anno giudiziario 2010, lo ha giudicato una “non trascurabile concausa di moltiplicazione di attività e di allungamento dei tempi” (sott. dell’amministrazione della giustizia) .

44 Per questa interpretazione si veda in dottrina: LANNI, La semplificazione dei riti civili e altre riforme processuali 2010-2011, Milano, 2012. p.207 e in giurisprudenza: Trib. Verona 26 marzo 2013, www.ilcaso.it.

45Cass. Pen. S.U. 30 gennaio 2007 n.6816, in Arch. Nuova proc. pen. 2007, p.479. Si è invece discostata da tale principio la pronuncia, citata alla nota 9, che la Corte di Appello ha adottato in sede di reclamo avverso il provvedimento di revoca del patrocinio emesso dal Tribunale dei Minorenni poiché ha implicitamente ammesso che il rimedio esperibile avverso il provvedimento di revoca sia proprio il reclamo.

46 Su quanto detto nel testo circa la natura del procedimento di opposizione a liquidazione si veda: Cass. 31 marzo 2006 n.7633, Giust. Civ., 2007, p.933

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Alla luce di tale segnalazione il ruolo del giudice chiamato a valutare la sussistenza o la permanenza dei presupposti per l’ammissione al patrocinio statale risulta ora ancora più delicato.

Se infatti da un lato egli ha il dovere di contrastare, nei limiti del possibile, ogni forma di abuso, esercitando un controllo ancora più scrupoloso, anche al fine di sottrarsi alla responsabilità contabile ed amministrativa derivante dall’art. 172 T.U.S.G., dall’altro non può trascurare l’esigenza di salvaguardare il diritto di difesa sul quale vengono ad incidere i provvedimenti di diniego o di revoca dell’ammissione, cosicchè è parimenti necessaria una estrema prudenza nelle valutazioni ad essi sottostanti.

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