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CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI SUL PREZZO DELL'UOMO di Mauro Barni

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CONSIDERAZIONI MEDICO LEGALI SUL PREZZO DELL'UOMO di

Mauro Barni*

L'espressione "Il prezzo dell'uomo" si connota semanticamente per le sue valenze retoriche che sembrano contraddire clamorosamente il popolarissimo adagio: la salute non ha prezzo.

Ebbene, chi si accinge a considerare il danno alla salute dell'uomo di rilievo medico- legale, se ed in quanto prodotto da eventi lesivi correlati a previsioni giuridico-normative aventi per oggetto di tutela la integrità psicofisica della persona, difficilmente si sottrae al fascino sottile di premesse culturalmente doverose, d'indole morale, bioetica, sociale, assistenziale ( e quindi politica) cui peraltro occorre qui non indulgere (anche a rischio di qualche censura ) ove non si voglia deprivare della preordinata valenza scientifica un concetto che deve solo o almeno in primo luogo sostanziarsi di materia biologica e di coloriture giuridiche e esprimersi quindi ab initio in termini paradigmaticamente medico- legali. Ed è altresì da evitare quale salto concettuale e operativo assolutamente disastroso proprio di chi, legislatore compreso, sembra ormai abbandonare, senza meglio definirli e contenerli, i sostanziali ed irrisolti problemi della menomazione psicofisica per abbandonarsi all'enfasi delle disabilità e degli handicap, che han trovato serie e preoccupate proposizioni solo in campo medico-legale (Sorretti, Fallani, Convegno di Brescia).

Del resto, la stessa tendenza del Giudice ad eludere la categoria del danno biologico e le metodologie delle sue complesse definizioni e quantificazioni, per filosofeggiare in ordine a chimeriche incapacità lavorative generiche e specifiche, tanto invecchiate quanto durissime a morire, intorno ai danni da emozione, al danno biologico da morte, intorno alle discrasie relazionali, tanto somiglia ad un ripiegamento.

Se si vuole invece parlare seriamente di prezzo dell'uomo occorre che si investa senza mezzi termini il problema della riparazione economica del danno alla salute della persona, assumendo una posizione non certo retriva, o rozzamente materialistica, posto che non è possibile muoversi con giustizia e programmaticità in questo confinato ambito utilizzando metodologie di proiezione avventuristica magari anelanti ad utopie d'ascesi dell'uomo in una condizione di beatitudine nirvanica o veteromarxiana., ovvero in un eldorado di assoluta protezione sociale ove ognuno abile o disabile, che sia, felicemente pascoli dal concepimento sin oltre i limiti stessi della vita "autonoma".

Ne deriva la esigenza di mantenere saldamente gli ormeggi del realismo, che hanno come momento e cemento di certezza la definizione costituzionale della persona, con tutto il corredo dei suoi doveri e dei suoi diritti, alla eguaglianza, alla dignità, alla libertà oltre che alla salute. Con questo, non desidero oscurare la storia anteatta, assumendo invece per certo che già in epoca ormai lontana, durante il declinare del vecchio secolo ed il primo svilupparsi di questo (che non fu solo belle époque), il valore dell'uomo si delineava nel fiorire della legislazione sociale quale Arnaldo Cherubini ha magistralmente ricostruito: con valore limitato peraltro al rapporto uomo-lavoro, almeno nell’

apprezzamento politico dello Stato e delle sue leggi, come testimoniano le prime

* Ordinario di Medicna Legale all’Università di Siena

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assicurazioni sociali rivolte contro i rischi del lavoro, appunto, contro le invalidità (intensa come incapacità di guadagno) e poi, in termini mutualistici, contro la malattia e capaci di mobilitare indennizzi solo in caso di inabilità e solo per le categorie industriali, agricole e molto tardivamente autonome. La protezione dell'uomo come strumento di produzione, ancorché motivata da interessi imprenditoriali, esprimeva peraltro un processo irreversibile cui anche il legislatore fascista contribuiva tanto da far dire ad un medico legale di sentire genuinamente socialista come Cesare Biondi che negli anni trenta si delineavano i primi istituti della sicurezza sociale, la quale valorizzava e prezzava intanto l'uomo come produttore di lavoro e di reddito. La categoria della capacità di lavoro si imponeva così e necessariamente in campo infortunistico sino ad offrire un valore economico alla persona che occorre ricordarlo con molta forza, operava indipendentemente dalla riduzione o della perdita del salario, dando un prezzo alle componenti organiche e funzionali della persona lavorativamente utili sia pur monetariamente raccordato al salario reale. D'altro canto, analogamente si esprimeva la più esplicita e realistica categoria della capacità di guadagno volta a recepire la reazione del mondo del lavoro nei confronti del soggetto menomato nella sua capacità in occupazioni confacenti alle attitudini sicché la conseguente pensione di invalidità era comunque un suo diritto anche se permaneva una realtà di occupazione e di guadagno nel soggetto giudicato bio-socialmente incapace.

Le assicurazioni private tanto infortunistiche quanto di responsabilità civile si svilupparono dal canto loro intorno a concetti e principi che per l'appunto portavano anch'essi ad apprezzare la persona dell'assicurato in armonia con gli stessi appiattiti parametri della capacità generica nel primo caso, specifica nel secondo ma arbitrariamente dedotta, o solo supposta o argomentata in base al guadagno di fatto della persona, indipendentemente dalla contrazione o meno del medesimo per effetto della menomazione.

Ed infine, la interpretazione classica del codice civile (art. 2043) tuttora marginalmente resistente, era anch'essa di tipo essenzialmente capitalistico offrendo all'uomo un valore, un prezzo più o meno elevato a seconda del suo reddito: inteso come punto di riferimento obbligato ai fini di un risarcimento che, spesso, anche in assenza di un lucro cessante, veniva stabilito finendo col dare un compenso differenziato, discriminatorio, alla riduzione, della integrità psicofisica, al danno per la salute.

L'uomo si vedeva così aggiudicato un prezzo differenziato per censo al punto che le macro menomazioni di un diseredato che ne spezzavano la validità ben minore di un risarcimento producevano rispetto ad irrilevanti microlesioni del danaroso, neppur sfiorato nel suo reddito.

L'unico faro nella nebbia restava il tanto vituperato codice penale, che identificando il riverbero sociale della malattia sulla incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni offriva ed offre pari dignità e protezione a tutte le persone, giovani o anziane, ricche o povere, valorizzando come bene inalienabile e proprio di tutti in maniera analoga, la integrità psicofisica della persona.

E' comunque certo che il sistema risarcitorio e indennitario ha, sia pur surrettiziamente e non equamente, dato un prezzo alla integrità dell'uomo, ancorché considerata solo per quelle componenti funzionali capaci di produrre un lavoro (ipotetico) e un guadagno.

La ricomposizione della persona in tutte le sue componenti spiritualmente e biologicamente inscindibili si impone poi lentamente anche in campo medico-legale ed assicurativo, attraverso un processo ancora in tutte le sue componenti spiritualmente e

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biologicamente inscindibili si impone poi lentamente anche in campo medico-legale e assicurativo, attraverso un processo ancora in fieri e neppur completamente recepito, se è vero che non si intende ancora pacificamente la sintesi operata dalla giurisprudenza costituzionale tra capacità lavorativa e danno biologico.

Appunto, la Costituzione della Repubblica una volta proclamato il principio della eguaglianza, esaltava, ponendoli sullo stesso piano di fondamentali diritti della persona, il diritto alla salute, inteso come bene in se medesimo meritevole di tutela pubblica e sociale oltre che individuale e privatistica, pur sottolineando il valore ed il significato particolare della integrità dell'uomo che lavora e produce (art. 38) e il correlato debito della società. L'autonomia della salute come diritto, come valore, come bene economicamente apprezzabile ne imponeva necessariamente la valenza economica e indipendentemente da ogni ulteriore riverbero strettamente individualistico. Di qui, la metamorfosi messa in atto attraverso un mirabile puzzle di vecchi e nuovi principi, al cui affermarsi è stato ed è decisivo il ruolo della medicina legale italiana. Pur evitando di ripercorrere i singoli episodi di questo forte divenire dottrinario occorre subito dire che il prezzo dell'uomo costituisce il controvalore della validità geriniana, della integrità psicofisica della persona, plasmata dal complesso della leva e degli ingranaggi del motore umano produttore di lavoro, sul suo essere, sentire, valere nella società. Quel che emerge è un prodotto essenziale e congiunto, suggestivamente garantito dalla salute, intesa nella sua accezione non esaustivamente medica quale ormai è accolta. Essa ha un prezzo che oggi costituisce il punto centrale della tutela sulla salute, sulle cui politiche ha fatto irruzione con spietata scientificità e selettività la economia sanitaria; ma che si basa su una particolarissima matrice medico-legale, estesa alla considerazione epistemologica sino alla misurazione pratica dei valore da conferire ad ogni singola "componente" della menomata integrità. Quest'ultimo procedimento medico-legale non si determina né si identifica con le tabelle valutative. Esse sono solo uno strumento, come vari altri, per sussumere, a valle di una definizione concettuale, l'operativa determinazione dell'entità dell'uomo.

Due voci abbastanza lontane mi piace qui ricordare: quella del Carnelutti (Il danno ed il reato, Cedam, Padova, 1927): " Lo Stato e la qualità della persona o di una cosa, non sono un bene in sé, separato dalla persona o dalla cosa, ma soltanto un modo di essere del bene. Così non la bellezza di un uomo, né la qualità di una cosa, ma il corpo umano e l'edificio sono il bene; e quella del Perone, un attuario (La valutazione attuale del danno patrimoniale, Zacchia, 1974) per il quale va riconosciuto il valore patrimoniale della validità, valore per tutti unico come identico è il diritto alla integrità, alla salute.

Intanto la legge 26 dicembre 1969 n. 990 sulla responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, una volta stabilito il fondo di garanzia per le vittime della strada, prevedeva (all'art. 21, I comma ) che quando il sinistro sia stato cagionato da veicolo o natante non identificato ecc., era dovuto un risarcimento calcolato su un massimo di Lit. 15.000.000 per ogni persona; e la successiva legge 26 febbraio 1977, n. 39, portava tale limite a tre volte la persona sociale. Con tali disposizioni sia pur limitate a talune contingenze si ammetteva che anche chi non lavora e non guadagna ha un suo valore economico e ne esprime un prezzo non molto discosto dal reddito medio nazionale.

E' in questa tendenza che si muove infine la giurisprudenza in materia civile sino alla notissima sentenza della Corte Costituzionale del 14 luglio 1986, n. 184 magistralmente dimostrativa della risarcibilità del danno biologico non come misura particolare o

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residuale ma come costante e basilare ristoro del danno patrimoniale, inteso come il vero e primo danno-evento necessario e imprescindibile in ogni caso, postulandone la riparazione e il prezzo riferito alla salute dell'uomo.

La tappa successiva, ancora in atto, riguarda la estensione del predetto criterio civilistico ad ogni categoria di riparazione economica del danno alla persona: un problema aperto, dibattuto, che investe la assicurazione contro i rischi del lavoro (sentenze del 1992 della Corte Costituzionale), la invalidità civile, che anima la ricerca di nuove frontiere della RCA attraverso una legge a suo tempo portata a vaglio del Parlamento, giunta al varo definitivo, ma poi bloccata alle soglie della legittimazione, riproposta ma ancora sfuggente e confusa nel caos dopo principio. Il fatto è che l'idea blasfema del valore biologico dell'uomo è ormai essenziale alla nostra cultura, derivandone un fortissimo impegno per la medicina legale che è quello di forgiare gli uomini e gli strumenti per una valutazione in primo luogo unitaria e oggettiva del danno alla salute e per contribuire dottrinariamente all’affermarsi di una accezione valida per tutte le categorie di protezione, dalla responsabilità civile alla pensionistica privilegiata, dalla invalidità civile alla infortunistica. Come ebbi l'ardire di sperare, qui a Pisa, 35 anni fa, in occasione del Convegno nazionale dei medici dell'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, è ormai prossima una accezione unitaria del danno (biologico cioè menomativo della integrità psicofisica, alla stregua del dommage functionnel dei francesi, dell'impairment degli americani: per cui s'impone un approccio valutativo unitario (barème nazionale valevole per ogni tipo di intervento), quale premessa indispensabile almeno operativamente a futuri assetti del sistema assicurativo-previdenziale-assistenziale.

E' veramente avvilente per il medico legale il quotidiano processo di adattamento alle complesse ed impegnative nozioni definitorie del pregiudizio, alle cavillose, multiforme e cervellotiche condizioni poste e imposte da norme obsolete. Le pur legittime e bilanciate esigenze di settori di intervento pubblico e privato, finiscono infatti per limitare la attività valutativa alla traduzione delle singole evidenze biologiche a beneficio del precario e spesso arrogante e cervellotico ( e comunque molteplice e variabile) assetto dei rischi assicurativi e degli eventi protetti, deprivando una professionalità altamente specialistica delle elementari garanzie di una autonomia che le leggi fondamentali dello Stato assolutamente impongono e difendono. Nel campo dell’apprezzamento del danno biologico, cui afferiscono capacità mediche, giuridiche, etiche garantite appunto dalla predetta professionalità, gli steccati particolaristici dovrebbero cadere, lasciando spazio ad una più libera attività medico-legale, di cui sono prerogative una dottrina e un metodo, deputati ad interpretare il danno biologico, fatti di disagio, di impotenza, di dolore e che è sempre lo stesso checché, volta per volta, ne dicano il liquidatore privato o il giudice istruttore o il colonnello medico e il magistrato della Corte dei Conti o il funzionario dell'INPS o dell'INAIL o dell'USL. Ed il danno unitariamente inteso va compensato sulla scorta di un prezzo dell'uomo, della sua integrità, della sua salute non solo unitariamente concepito ma anche uniformemente previsto nel suo ammontare.

L'esperienza internazionale svaria del valore dal punto al reddito medio; il riferimento ai multipli della pensione sociale sembra da noi dominante. L'essenziale è comunque non dilapidare altro tempo in una attesa che va a discapito della certezza e della giustizia.

Occorre tuttavia essere ben precisi oltre che assolutamente coscienti della non assolutezza e della non astrattezza di questi principi.

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Va in effetti dato a Francesco Busnelli il merito di avere promossa una personalizzazione del danno alla salute, che del resto è insita nel concetto stesso di salute dell'uomo, espressione di un benessere della persona sentenziato di integrità morfofunzionale in ogni espressione somatica e psichica ma non fondato sulle attitudini, sulle disposizione relazionali, sulle abitudini, sui modi di essere e di sentire, che nella salute si esaltano e si completano sino a delineare una fisionomia dell'uomo, un suo valore. Esso non è come si è detto prezzabile né sulla base della potenza economica del singolo, né su quella della mera essenza biologica, ma è l'espressione di un patrimonio universale riportato in ogni molecola della umanità ed in essa per di più non standardizzato come per effetto di un clono genetico, ma energizzato dalla originalità spirituale (intellettiva, fisionomica, morale) di ciascuno.

Ed è anche su questa variabile del prezzo che medicina e diritto debbono ancora porre ed operare. E v'è un'altra variabile che riguarda la entità stessa del danno ai suoi estremi quantitativi oltre che qualitativi. Le microlesioni e le macrolesioni postulano un diverso atteggiamento nella fase anche medico-legale ma soprattutto economica dello apprezzamento del danno. In altri termini, la regola del mero riferimento al danno biologico, espresso in percentuale, nella costituzione dell’ammontare del risarcimento in base all'aritmetica dei punti non è sempre accettabile. Mentre infatti è assurdo risarcire le microlesioni (e qui torna alla mente la saggezza infortunistica del minimo indennizzabile), è incomprensibile del pari l'apprezzamento meramente o comunque uniformemente aritmetico delle macro lesioni, dei gravi danni biologici. Il menomato che perde totalmente la "dignità" del suo essere nella società, in questa società, merita una riparazione che esprima questa peculiare decadenza. C'è un punto critico, variabile da persona a persona in cui la linea decrescente della validità precipita verso il nulla, prima assai che su di esso approdi la cruda logica dei barèmes.

Ecco dunque l’importanza di un incontro sulla cosiddette macro lesioni, corredato dalla convergenza di dottrine, di cultura e di esperienze, quali non può mobilitare un problema come quello del prezzo dell'uomo che è l'imperfetta garanzia di un valore colto in un attimo del suo trascorrere tra salute e declino biologico, tra validità e impotenza, tra essere e non essere.

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