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IL PUNTO DI VISTA DEL MEDICO-LEGALE Prof. Mauro Barni∗

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I NUOVI DANNI NON PATRIMONIALI.

IL PUNTO DI VISTA DEL MEDICO-LEGALE Prof. Mauro Barni

Sono recentemente intervenute due acrobatiche impennate giurisprudenziali in tema di danno alla persona in materia civile rappresentate da:

a) Sentenza n. 2515 del 21 febbraio 2002 della Cassazione in Sezioni unite civili, Seveso, che forza le frontiere del danno extrapatrimoniale e il suo già imprescindibile riferimento al reato;

b) Sentenza della Corte Costituzionale n. 2333 dell’11 luglio 2003 che, riassumendo una forte e incisiva tendenza della Cassazione civile (23 maggio 2003, n. 8169, 16 maggio 2003, n. 7632, 4 aprile 2003, n. 5332), già validata da autorevole dottrina, che ridefinisce i confini del danno extrapatrimoniale.

Da un tale mutamento di scena il medico legale non può non cogliere precise conseguenze che cioè:

I. la risarcibilità del danno extrapatrimoniale prescinde ormai dalla sussistenza di reato penalmente definito (in particolare contro la vita e la incolumità individuale):

il che svuota di contenuto la devastante polemica sulle collocabilità del danno biologico, del danno psichico, del danno esistenziale nell’ambito patrimoniale e non e vanifica la strumentale ricerca di nuove figure di pregiudizio, una volta superate le pastoie dell’art. 2059 c.c.;

II. alla categoria dei danni extrapatrimoniali (art. 2059 c.c.) afferiscono tanto il danno morale subiettivo, inteso come transeunte turbamento nello stato d’animo della vittima; quanto il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito alla integrità psichica e fisica della persona solennemente confidato ad un accertamento medico (legale); nonché il

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contestato e forse non più “necessario” ormai superato danno definito in dottrina e in giurisprudenza come esistenziale derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti la persona.

Ebbene, questa rivoluzionaria deviazione dai principi di cui la stessa Corte Costituzionale si era fatta auspice e sostenitrice con la geometrica sentenza del 30 giugno 1986, n. 184, la quale definiva il danno biologico come evento da ricomprendere nell’ambito dell’articolo 2043 c.c. sia pure come tertium genus (un postulato peraltro già molto annacquato dalla successiva complessa sentenza dell’11-12 luglio 1996) obbliga la medicina legale italiana ad una riflessione e nel contempo ad un recupero della propria specificità (ovviamente tecnica) ed alla parallela necessaria desistenza dalle non sopite velleità invasive autorevolmente stigmatizzata dal comandamento: “Non desiderare la roba d’altri”.

D’altronde, ogni qual volta la medicina legale italiana si è fatta attrarre dalla capricciosa sirena dell’approccio civilistico al danno alla persona, essa ne ha tratto pesanti e spesso ingiuste reprimende. Basti ricordare la reazione – in larga misura scomposta – alla teoria di Cesare Gerin sulla validità (1961), che poi avrebbe aperto la via al nuovo corso giurisprudenziale e dottrinario in tema di danno alla persona meritevole di ristoro, ma che fu lì per lì tacciata di eccesso di presunzione per avere l’A.

propugnato e offerto criteri sul modo di liquidazione degli indennizzi. E più recentemente sono stati malamente disattesi il richiamo medico-legale alla inscindibilità del danno psichico dalla sfera biologica della persona e meno ingiustamente, la pretesa medico- legale di dare i numeri in ordine al danno esistenziale, quasi per non perdere il tram.

Mentre del tutto provvida è stata la collaborazione medico-legale al primo inquadramento tabellare ufficiale del danno biologico, delineato dal decreto del 3 luglio 2003 in riferimento a quanto prevedeva il comma 5 dell’articolo 5 della legge 5 marzo 2001, n.

57, del tutto esplicito sulla assoluta ed esclusiva rilevanza medico-legale del «danno biologico» inteso come «lesione dell’integrità psicofisica della persona, suscettibile – per l’appunto – di accertamento medico-legale», meno comprensibile è a me parso l’atteggiamento della nostra società scientifica, diretto non solo e opportunamente a valorizzare in consulenza medico-legale le componenti dinamico-relazionali del danno

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biologico e quindi a promuovere una equa personalizzazione dell’apprezzamento propria del resto del saggio riferimento busnelliano al «danno alla salute» (e fin qui tutto bene) ma anche a profferire qualche ipotesi di consulenza in tema di danno esistenziale.

Questi precedenti ci suggeriscono la convenienza di restare, noi medici legali, fermi sulle posizioni del danno biologico che del resto è stato definito fin dal progetto di legge sulla RC prodotta dall’ISVAP il «solo – mi si scusi la tautologia – suscettibile di accertamento medico-legale», come proprio la Corte Costituzionale nell’ultima sentenza riafferma.

A me sembra in definitiva di poter dire che la definizione e gli strumenti medico- legali (ancor prima che sia emanata una tabella generale per tutti i danni da 1 a 100 e non solo su quelli minimali da sola RCA) siano già sufficienti, validi, insostituibili per la diagnosi e la percentualizzazione del danno biologico quale che sia la sua collocazione codicistica, essa sì, ancora fortemente dinamica. Non sembra in effetti sostanzialmente modificata la posizione e la funzione del medico legale che, valutando in ordine alla definizione, alla causazione, alla quantificazione del danno biologico temporaneo e permanente, non potrà avvalersi che delle conoscenze e delle metodologie scientifiche proprie della biomedicina, che vanno dalla indagine etiopatogenetica, all’inquadramento del pregiudizio nell’ambito della complessità anatomo-funzionale della persona (considerati lo stato anteriore ed ogni riflesso cofattoriale), al precipuo fine di offrire al Giudice quelle evidenze che costituiscono il fondamento oggettivo del prodotto giurisprudenziale. Ogni fuga nel vago, nel soggettivo, nell’interpretativo è, così come in sede penale, espressione di presunzione e di arbitrio, che non giova all’esercizio della funzione giudicante. D’altronde, occorre ripeterlo, verrebbe meno il senso del richiamo anche normativo alla pertinenza medico-legale del danno biologico, del solo danno biologico.

Forse la novità, se di novità può parlarsi, risiede nella riconfermata esigenza di presentazione da parte del consulente di ben documentate evidenze, comprese quelle percentualistiche relative al danno permanente che sono da riferire esplicitamente a parametri controllabili, a probabilismi statistico-epidemiologici consolidati, a tavole di minor sopravvivenza in caso di affezioni il cui corso sia stato affrettato o non impedito

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per altrui responsabilità, in specie mediche, nonché a barèmes valutativi volta a volta utilizzati (e come e quanto nella singola fattispecie).

Sembra dunque non sussistere ragione alcuna per un diverso, più blando e eccessivamente personalizzato andamento operativo medico-legale nell’ambito della responsabilità civile. È vero: anche la criteriologia che precede la tabella delle menomazioni della integrità psico-fisica (nel già citato decreto 3 luglio 2003 pubblicato in G.U. n. 21 dell’11 settembre 2003), prevede che ove la menomazione accertata incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamico-relazionali personali, lo specialista medico legale dovrà fornire motivate indicazioni aggiuntive che definiscano l’eventuale maggior danno (biologico) tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato, richiamate del resto dal comma 4 dell’art. 5 della legge n. 57 del 5 marzo 2001 come modificato dalla legge n. 273 del 12 dicembre 2002. Ma si tratta, se le parole sono pietre e non effimeri fumi, di un mero richiamo al normale, costante, antico, imperituro impegno etico e tecnico-professionale del medico legale mai dimentico della individualità personale del pregiudizio che incide pur sempre in una peculiarità biologica, in un vissuto di usura e di compensi e di abitudini e di attitudini, in una specifica funzionalità anche relazionale, in una irripetibile “anima”. Ed è per questo motivo che potrebbe sembrare superfluo e scontato il richiamo stesso ai riflessi dinamico-relazionali del danno biologico che va inteso sempre in perfetta sinonimia e armonia, come insegnano Bargagna e Busnelli, col danno alla salute.

D’altronde, la stessa individuazione del nesso causale sta definendo, anche in campo civilistico e non solo in ambito extracontrattuale, la diversità e la complementarietà del ruolo del medico legale e del giudice. Per la Cassazione (sez. III civile, 11 dicembre 2003 – 4 marzo 2004, n. 4400, Bellario, c. USSL/68 Rho) la sussistenza del nesso di causalità tra l’evento dannoso e la condotta colpevole (omissiva o commissiva), ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e di medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta … non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica … applicando anche su questa sede civile risarcitoria i principi già espressi in sede penale (Cass., Sez. un. pen., dell’11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), tenuto ben in conto che il nesso di causalità materiale va sempre determinato a norma degli art

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40 e 41 c.p., e che non è consentito dedurre automaticamente dai coefficienti di probabilità eventualmente espressi dalla legge statistica la conferma o meno della esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificare la validità nel caso concreto sulla base delle circostanze del fatto e delle evidenze disponibili, così che all’esito del ragionamento probatorio … risulti giustificata e processualmente certa la conclusione omissiva, o in ogni caso colpevole …, è stata condizione necessaria all’evento lesivo con elevato grado di credibilità razionale e di probabilità logica.

Ebbene questo significa dare a Cesare (Gerin) quel che è di Cesare e (senza piaggeria), al Giudice quello che è del Giudice.

Va da sé, come ripete la Cassazione penale, in una decina di sentenze successive a quella pronunciata in sezioni unite (da ultimo Cass. Sez. IV pen. 18 febbraio – 26 marzo 2004), che deve trattarsi di «condizione necessaria dell’evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica, oltre ogni ragionevole dubbio».

In definitiva, il danno biologico è l’unica fattispecie di danno che deve e può valutare, per logica cultura e per previsione normativa, il medico legale. Il resto è vanità:

naturalmente per quanto direttamente ci riguarda.

Desidero, per concludere, segnalare due recentissimi contributi medico-legali che solo apparentemente prospettano una diversa ampiezza del compito medico-legale. Il primo dovuto a R. Zoja e a R. Stucchi (La liquidazione del danno esistenziale: apporto medico-legale e porposta applicativa, in Resp. Civ. Prev., 68, 922, 2003) postula un prudente intervento del consulente per una quantificazione, meno soggettiva possibile, del danno esistenziale, che può essere presente o assente indipendentemente da un coesistente danno biologico (il che peraltro è limpidamente negato dalla sentenza del Tribunale di Roma del 16 gennaio 2004, XIII sezione civile, est. Rossetti), ed enuncia una possibile graduazione della sua entità sulla base di parametri fondati sulle attitudini esistenziali proprie della persona in esame, il cui contenuto, è per gli Aa stessi (con espressione da me entusiasticamente condivisa) ampiamente condizionato da un modo – il nostro – di indagare, rilevare ed esporre, profondamente ancorato ai presupposti ed ai metodi propri della ricerca scientifica, e, quindi, anche dello studio medico-legale. Il secondo contributo, in ordine cronologico, è un editoriale di A Fiori (Riflessi medico-legali delle sentenze della Cassazione 8827 e 8828 del 2003 che ricollocano il danno biologico

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nel danno non patrimoniale, in Riv. it. Med. leg. 25, 729, 2003) il quale autorevolmente critica anche la pronuncia in materia della Corte Costituzionale (n. 233 dell’11 luglio 2003) che svuoterebbe di contenuto e di senso il danno biologico omnicomprensivo, suggerendo al medico legale la esigenza di recuperare nel contesto e nell’apprezzamento del danno patrimoniale categorie crioconservate ma ancora suscettibili di utile impianto come la capacità lavorativa generica e quella semispecifica, che esse sì, darebbero la misura del pregiudizio risarcibile, attuale e prevedibile in ordine all’art. 2043 c.c. Che dire? Solo, canterellando un vecchio motivo di Carmicheal, The time goes by.

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