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IL NUOVO CODICE DELLA CRISI D IMPRESA E DELL INSOLVENZA E IL NODO (NON SCIOLTO) DELLA BANCAROTTA RIPARATA

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La legislazione penale

ISSN: 2421-552X 1 3.12.2021

IL NUOVO CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA E IL NODO (NON SCIOLTO) DELLA BANCAROTTA RIPARATA

di Giuseppe Toscano

(Ricercatore di Diritto penale presso l’Università degli Studi di Messina)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le “misure premiali” previste nella disciplina del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. – 3. Gli interessi tutelati nella bancarotta prefallimentare: il patrimonio dell’imprenditore quale garanzia per il “ceto creditorio”. – 3.1. Segue: le modalità dell’offesa e il ruolo della sentenza dichiarativa. – 3.2. Segue: la bancarotta riparata quale (ulteriore) argine al sindacato giurisdizionale sulle scelte imprenditoriali.

– 4. La bancarotta prefallimentare quale fattispecie di “danno qualificato dal pericolo” e la rilevanza esimente dell’offesa “riparata” nel nuovo contesto normativo.

1. L’art. 1 del d.l. 24.8.2021, n. 118, intervenendo sull’art. 389 del d.lgs. 12.1.2019, n. 14, ha disposto l’ennesimo differimento dell’entrata in vigore del “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (Ccii), posticipandola al 16 maggio 20221. Continua così il diuturno periodo di vacatio del nuovo testo normativo, in larga parte determinato dal sopravvenire della crisi economica legata alla pandemia da Covid-192.

I reiterati rinvii dell’entrata in vigore del Codice, al di là delle valutazioni inerenti alla sopraggiunta pandemia, testimoniano di per sé la straordinaria rilevanza delle previsioni in esso contenute; lungi dal risolversi nella consueta opera di assemblaggio delle disposizioni vigenti, il Ccii segna difatti una svolta significativa nella disciplina delle procedure concorsuali, mutando lo stesso approccio del legislatore al tema in esame3. Se nel modello tradizionale l’intervento (e l’interesse) del legislatore risultava

1 Con il d.l. 118/2021 viene anche aggiunto all’art. 389 del d.lgs. 14/2019 il comma 1-bis che, in ragione della necessità di ulteriori interventi di adeguamento del Ccii rispetto alla dir. 2019/1023/UE, rinvia al 31 dicembre 2023 l’entrata in vigore del “Titolo II”

della “Parte prima” del nuovo codice, contenente la disciplina delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi che, come vedremo, rappresenta uno dei tratti maggiormente qualificanti della riforma.

2 In ragione della pandemia, l’entrata in vigore del Ccii era già stata posticipata al 1.9.2021 dalla l. 5.6.2020 n. 40, che ha disposto la conversione in legge, con modif., del d.l. 8.4.2020 n. 23. Va comunque ricordato che il periodo di vacatio era già abbastanza lungo anche nel testo originario, ove l’entrata in vigore del Ccii era stata fissata per il 15.8.2020. La scelta del legislatore, come si vedrà nel testo, era dovuta alle importanti novità che il Ccii avrebbe apportato al sistema delle procedure concorsuali e alla conseguente necessità per gli addetti ai lavori di adattarsi gradualmente alla nuova disciplina. Si vedano, per tutti, i rilievi di R. Rordorf, Prime osservazioni sul codice della crisi e dell’insolvenza, in ICon 2019, 129.

3 Il testo normativo si compone di 391 articoli e risulta suddiviso in quattro parti: la prima contiene il “Codice della crisi e dell’insolvenza” (artt. 1–374), la seconda le “Modifiche al codice civile” (artt. 375-384), la terza le “Garanzie in favore degli

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perlopiù incentrato sulla gestione della liquidazione del patrimonio dell’impresa fallita, il baricentro della nuova disciplina – seguendo un trend timidamente affacciatosi nella legislazione più recente4 - viene invece arretrato alla fase della “crisi d’impresa”, individuata quale nuovo ed autonomo “stadio”, normativamente definito5, in cui la situazione di difficoltà economica si mostra ancora reversibile6.

Analogo slancio riformista, invece, non si è avuto sul versante penalistico della disciplina, registrandosi il mero trasferimento – salvi gli adattamenti al nuovo lessico codicistico 7 - delle disposizioni incriminatrici presenti nella legge fallimentare all’interno del nuovo testo normativo, accompagnato dall’introduzione di una causa di non punibilità e di una circostanza attenuante legate all’entità del danno e al comportamento postdelittuoso del reo8. La mancata “sincronizzazione” delle norme incriminatrici con la rinnovata disciplina civilistica può considerarsi al contempo deludente e preoccupante.

Deludente perché il nuovo codice poteva essere l’occasione per rimodernare un sistema di tutela penale pervicacemente imperniato sul modello rigoristico tracciato dalla legge fallimentare del 1942.

Preoccupante perché si è così creata una vistosa frattura tra disciplina penale ed extrapenale della crisi d’impresa, con conseguenti problemi, a tacer d’altro, di coerenza sistematica9.

acquirenti di immobili da costruire” (art. 385-388) e la quarta le “Disposizioni finali e transitorie” (artt. 389-391).

4 Per un’agile e puntuale rassegna delle principali riforme intervenute in argomento soprattutto a partire dal 2005 v., per tutti, A. Alessandri, Novità penalistiche nel codice della crisi d'impresa, in RIDPP 2019, 1821 ss.; B. Romano, Dal diritto penale fallimentare al diritto penale della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in www.archiviopenale.it, 28.6.2019.

5 Nel nuovo codice è contenuta una definizione legale dei concetti di “crisi” e “insolvenza”: la prima viene descritta dall’art.

2, co. 1, lett. a, Ccii come «lo stato di difficoltà economico finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che, per le imprese, si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate»; la seconda, ai sensi della successiva lett. b, rappresenta invece «lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». La definizione della crisi è conforme alle Raccomandazioni e ai Regolamenti UE, mentre quella dell’insolvenza ricalca la formulazione tradizionale formatasi nell’esperienza giurisdizionale.

6 Significativa la previsione di cui all’art. 349 Ccii, ove si afferma che «Nelle disposizioni normative vigenti i termini

“fallimento”, “procedura fallimentare”, “fallito” nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni “liquidazione giudiziale”, “procedura di liquidazione giudiziale” e “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale” e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie». Cfr., sul punto, la Relazione allo schema di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali, a cura del Presidente della Commissione Renato Rordorf, 29.12.2015, in www.giustizia.it, 39. Si anticipa sin d’ora che nel presente scritto si continuerà a fare riferimento anche alla vecchia nomenclatura laddove ciò si renda necessario ad evitare indebite alterazioni delle posizioni espresse in passato da dottrina e giurisprudenza.

7 V. nota precedente.

8 Nella Relazione allo schema di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali, cit., 39 viene precisato che «nella prospettiva di una riforma organica dell’intera materia dell’insolvenza sarebbe naturale trovasse posto anche la revisione delle disposizioni penali», ma tale aspetto «non rientra […] nei compiti affidati alla Commissione, che pertanto non se n’è occupata se non del tutto marginalmente». Sulle novità di interesse penalistico contenute nel nuovo codice v. meglio infra, par. 2.

9 La dottrina penalistica ha sin da subito messo in luce la «singolarità» della scelta del legislatore, che avrebbe potuto cogliere l’occasione per rimodernare tale comparto normativo: così, A. Alessandri, op. ult. cit., 1815, che segnala l’«inammissibile

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Come da tempo segnalato in dottrina, il diritto penale fallimentare rappresenta uno dei settori in cui si avverte con maggiore urgenza l’esigenza di una “razionalizzazione”

dell’intervento punitivo, in una prospettiva di recupero dei principi di offensività ed extrema ratio e di risposta alle esigenze di deflazione del sovraccarico giudiziario.

Per altro verso, non può neppure trascurarsi il rapporto di accessorietà che lega il diritto penale dell’impresa rispetto alla disciplina extrapenale di base. Per tale ragione, la disciplina penale dell’insolvenza, seppur non direttamente interessata dall’intervento del legislatore, non può considerarsi indifferente alla riforma, divenendo oggi la cuspide immutata di un sistema di tutela assai diverso sia sul piano dei contenuti che delle finalità. Bisogna difatti tenere in considerazione non solo i fenomeni di eterointegrazione normativa10, ma soprattutto l’indirizzo teleologico dettato dalla nuova disciplina, che si riflette inesorabilmente sul “significato” da attribuire alle relative previsioni incriminatrici.

Non è quindi un caso che la dottrina si sia già ampiamente interrogata sull’impatto

“penalistico” del nuovo codice in termini di applicazione e interpretazione delle disposizioni incriminatrici11 ed è facile prevedere che, in tempi brevi, il quadro sia destinato ad arricchirsi anche di un consistente formante giurisprudenziale, chiamato a una faticosa opera di rammendo tra il versante penalistico e civilistico della disciplina.

stonatura» venutasi a creare nel sistema tra disciplina civilistica e penalistica. Nello stesso senso A. Rossi, I profili penalistici del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: luci ed ombre dei dati normativi, in un contesto programmatico. I “riflessi” su alcune problematiche in campo societario, in RIDPP 2019, 1155, che definisce il contrasto tra le due discipline «elevato alla seconda potenza», rilevando come una prima frattura fosse già avvenuta con la riforma “civilistica” delle procedure concorsuali che prese avvio nel 2005 con la l. 14.5.2005 n. 80, per proseguire con il d.lgs. 9.1.2006 n. 5 ed il d.lgs. 12.9.2007 n.

169. L’urgenza di una riforma dei reati fallimentari è comunque già da tempo segnalata dalla dottrina penalistica: si veda, per tutti, A. Pagliaro, Riflessioni sulla riforma dei reati fallimentari, in RTrimDPenEc 1989, 853 ss. Va dato atto che, in data 15 ottobre 2021, la Ministra della Giustizia, prof.ssa Marta Cartabia, ha firmato il decreto di costituzione di una Commissione ministeriale che dovrà elaborare proposte di revisione dei reati fallimentari e dovrà adeguare le fattispecie penali alla mutata disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

10 A dispetto della previsione di cui all’art. 349 Ccii (v. retro, nota 6), che fissando un principio di continuità delle fattispecie criminose sembrerebbe sottendere lo scarso impatto penalistico della riforma. Sui rapporti tra il diritto penale fallimentare e la disciplina civilistica v., tra i contributi più recenti, M. Gambardella, Condotte economiche e responsabilità penale2, Torino 2018, 153 ss.

11 Possono in proposito richiamarsi, senza pretesa di esaustività, i contributi di A. Alessandri, op. ult. cit., 1815 ss.; F.

Bellagamba, La responsabilità penale degli amministratori nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in www.lalegislazionepenale.eu, 11.5.2020; R. Bricchetti, Codice della crisi d’impresa: rassegna delle disposizioni penali e raffronto con quelle della legge fallimentare, in DPenCont 2019, 7-8, 75 ss.; S. Cavallini, La bancarotta patrimoniale tra legge fallimentare e codice dell’insolvenza, Padova 2019, 245 ss.; Id., Il diritto della crisi e il codice “dimezzato”: nuovi assetti di tutela per il sistema penale dell’insolvenza?, in DPP 2019, 1333 ss.; P. Chiaraviglio, Le innovazioni penalistiche del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: alcuni rilievi critici, in Soc 2019, 445 ss.; F. Consulich, Il diritto penale fallimentare al tempo del codice della crisi: un bilancio provvisorio, in www.lalegislazionepenale.eu, 20.5.2020; G.FloraF.Giunta, Appunti a quattro mani sulla

“vecchia” bancarotta e il “nuovo” codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Discrimen, 19.6.2020; M. Gambardella, Il codice della crisi di impresa: nei delitti di bancarotta la liquidazione giudiziale prende il posto del fallimento, in CP 2019, 494 ss.; G. Minicucci, I delitti di bancarotta al crocevia tra continuità e palingenesi, in Discrimen, 24.4.2020; F. Mucciarelli, Risvolti penalistici del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza: lineamenti generali, in DPP 2019, 1189 ss.; B. Romano, op. cit.

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In tale scenario, si è scelto in questo contributo di affrontare il tema della

“bancarotta riparata”, figura di conio giurisprudenziale e di vivo interesse dottrinale da almeno un decennio, che neppure nel nuovo codice ha trovato espresso riconoscimento. In particolare, tale istituto ricorre nella bancarotta fraudolenta prefallimentare «ogniqualvolta la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori dell’imprenditore»12. In questi casi, la giurisprudenza riconosce la non punibilità della precedente azione delittuosa in ragione del venir meno «dell’elemento materiale del reato».

La premessa di fondo a tale indagine riflette una consapevolezza ormai acquisita in dottrina, che è quella di assoggettare anche le ipotesi di «non punibilità» ai principi generali del sistema punitivo, di modo da evitare l’ingresso di norme in bonam partem prive di raccordo con l’orditura generale del sistema e dalle potenzialità espansive incontrollabili13. Tale consapevolezza, se vogliamo, è vieppiù avvertita dinanzi ad una figura di creazione giurisprudenziale che, per sua natura, risulta ancor più esposta al rischio di trasformarsi in un’arbitraria elargizione rimessa alla disponibilità del giudice.

In assenza di una disciplina espressa dell’istituto, bisogna quindi verificare se, ed a quali condizioni, la condotta reintegratoria possa in tali casi determinare l’impunità del soggetto agente. Per rispondere a tale quesito sarà necessario definire l’oggetto della tutela, le modalità dell’offesa e il momento consumativo del delitto presupposto, nella convinzione che solo attraverso una preliminare analisi di tali profili potremo essere in grado di promuovere un discorso auspicabilmente appagante intorno alla rilevanza esimente della bancarotta riparata.

Nelle pagine seguenti si proverà ad avviare una riflessione aggiornata su tale figura, verificando se il persistente disinteresse del legislatore nei suoi riguardi ne ostacoli l’affermazione o se, al contrario, essa trovi nei nuovi indirizzi del sistema una legittimazione teorica che, in verità, è sempre apparsa assai fragile.

12 Cfr. Cass. 28.1.2021 n. 6965, in DeJure, punto 2 dei «Considerato in diritto». Nella giurisprudenza più recente possono altresì richiamarsi Cass., 24.11. 2017 n. 57759, in CEDCass, m. 271922; Cass., 20.10. 2015 n. 4790, in CP 2016, 2907; Cass., 4.11.2014 n.

52077, in CEDCass, m. 261347.

13 Imprescindibile il richiamo ai contributi di F. Bricola, Il II e il III comma dell’art. 25, in Commentario alla Costituzione, Rapporti civili, a cura di G. Branca, Bologna 1981, 227 ss.; Id., Rapporti tra dommatica e politica criminale, in RIDPP 1988, 3 ss., ora in Scritti di diritto penale, I, Dottrine generali, teorie del reato e sistema sanzionatorio, tomo II, Milano 1997, 1621, tra i primi ad intuire la necessità di estendere la teleologia costituzionale della pena anche alle norme lato sensu scriminanti.

Insistono su tale concetto anche G. Cocco, Riflessioni su punibilità, sussidiarietà e teoria del reato. Tra vecchi e nuovi istituti, in E.M. Ambrosetti (a cura di), Studi in onore di Mauro Ronco, Torino 2017, 262; Id., La punibilità quarto elemento del reato, Padova 2017, 13 ss.; A. DiMartino, La sequenza infranta: profili di dissociazione tra reato e pena, Milano 1998, passim; M.

Donini, Teoria del reato. Una introduzione, Padova 1996, 410; Id., Non punibilità ed idea negoziale, in IP 2001, 1035 ss.; Id., Le tecniche di degradazione tra sussidiarietà e non punibilità, in IP 2003, 75 ss.; Id., Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, Milano 2004, 259 ss.; L. Stortoni, Profili costituzionali della non punibilità, in RIDPP 1984, 626 ss.

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2. Prima di addentrarci nell’analisi del profilo offensivo della bancarotta prefallimentare, occorre richiamare, in chiave necessariamente sintetica, le principali novità introdotte dal Ccii che, a vario titolo, possono rivelarsi d’interesse per il tema trattato.

Come si è già accennato in premessa, il nuovo codice porta a compimento un lungo processo di riforma intrapreso dal legislatore negli ultimi anni, che ha lentamente rivoluzionato il diritto (che fu) fallimentare 14 . In particolare, accogliendo le sollecitazioni provenienti da organismi internazionali e dall’Unione europea15, si è inteso orientare la disciplina in materia verso la prevenzione della crisi, nella convinzione che, nell’attuale contesto economico, la continuità aziendale, oltre a costituire un fattore di stabilità dei mercati, giovi indirettamente anche ai creditori e debba perciò rappresentare l’obiettivo primario per il legislatore16. Il legislatore del 2019, in questa prospettiva, si “pre-occupa” dell’impresa già quando iniziano ad emergere “segnali d’allerta” (c.d. twilight zone), individuando regole tecniche e cautelari volte a consentirne la ripresa17.

Venendo alle previsioni di più immediata rilevanza ai nostri fini, possono qui richiamarsi le “misure premiali” introdotte agli articoli 24 e 25 Ccii che, ponendosi in continuità con la logica “conservativa” che ha ispirato il nuovo codice, mirano a incentivare la tempestiva iniziativa del debitore indirizzata a prevenire l’aggravarsi della crisi attraverso il riconoscimento della non punibilità o di un’attenuazione della pena18.

14 V. retro, nota 4.

15 Possono segnalarsi le indicazioni di organismi internazionali quali l’UNCITRAL e la Banca Mondiale, nonché, tra le fonti eurounitarie, la già citata dir. 2019/1023/UE in materia di ristrutturazione e di insolvenza, il reg. 848/2015/UE del 20 maggio 2015 relativo alle procedure di insolvenza e la Raccomandazione della Commissione europea 2014/135/UE del 12 marzo 2014.

16 Significativa la previsione dell’art. 375 Ccii, che aggiunge all’art. 2086 Cc un nuovo secondo comma in forza del quale

«L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».

17 In particolare, si prevedono “Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi” (Titolo II), “Procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza” (Titolo III) e “Strumenti di regolazione della crisi” (Titolo IV) che mirano a favorire, fin dove possibile, il recupero del valore dell’impresa. La liquidazione giudiziale diviene così ipotesi del tutto residuale, prevedendosi peraltro forme alternative di chiusura della crisi di carattere non liquidatorio, quali il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione e la convenzione di moratoria. Sul punto v. M. Perrino, Crisi di impresa e allerta: indici, strumenti e procedure, in Cgiur 2019, 653 ss. Per un affresco sulle novità più significative del nuovo Ccii si rinvia, nella dottrina commercialistica, a N. Abriani – A. Rossi, Nuova disciplina della crisi d'impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in LeSoc 2019, 393 ss. Coglie elementi di affinità con la disciplina del d.lgs. 231/2001 R. Giambersio, Fenomeni di successione di norme penali dopo il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: una riflessione de jure condito, in SP 2020, 9, 106.

18 Sulle “misure premiali” introdotte dal Ccii v. D.M. Schirò, La premialità nel diritto penale della crisi di impresa e dell’insolvenza: primi nodi interpretativi, in www.archiviopenale.it 2019, 2, 1 ss. Tra le novità del codice sul versante penalistico possono citarsi anche l’art. 344, co. 2, che sanziona con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 1.000 a 50.000

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In particolare, l’art. 25, co. 2, Ccii prevede che, in relazione a determinate tipologie di reati fallimentari tassativamente elencati19, in presenza di un danno di speciale tenuità, «non è punibile chi ha tempestivamente presentato l'istanza all'organismo di composizione assistita della crisi d'impresa ovvero la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti». La stessa disposizione prevede poi, quale ipotesi residuale applicabile fuori dai casi in cui il danno sia di speciale tenuità, una circostanza attenuante con riduzione della pena sino alla metà «per chi ha presentato l'istanza o la domanda […] quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza, il valore dell'attivo inventariato o offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell'ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non supera l'importo di 2.000.000 euro».

Tali norme si iscrivono nel lungo ed eterogeneo filone della premialità postdelittuosa, non certo di recente emersione, che si fonda sull’idea di incentivare condotte “riparatorie” del reo attraverso il riconoscimento di benefici in chiave esimente o attenuante. In tal caso, si assicura l’elisione totale o parziale della pena per quanti riescono a far emergere tempestivamente la crisi in modo da consentire alle imprese in difficoltà di evitare l’insolvenza.

Una volta appurata la sistemazione dogmatica della bancarotta riparata, sarà quindi necessario verificare, in ultima istanza, se il suo spazio applicativo risulti oggi (in tutto o in parte) occupato dalle nuove figure premiali presenti nel codice.

3. Colta l’ispirazione di fondo della nuova disciplina della crisi d’impresa, l’indagine sulla rilevanza premiale della bancarotta riparata richiede ora la disamina del bene giuridico e dell’offesa punita dai delitti di bancarotta fraudolenta prefallimentare. Il riconoscimento dell’efficacia esimente della controcondotta riparatoria passa difatti necessariamente dalla verifica della sua idoneità ad assicurare una tutela piena ed effettiva degli interessi protetti dal delitto presupposto, risultando viceversa ingiustificata la rinuncia alla pena20.

euro il debitore incapiente che, per accedere all’esdebitazione, produce documenti falsi o contraffatti o distrugge quelli che permettono la ricostruzione della propria situazione debitoria e l’art. 345 che incrimina le falsità nelle attestazioni dei componenti degli organismi di composizione della crisi (OCRI) relative ai dati aziendali del debitore che voglia presentare domanda di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione dei debiti.

19 La norma fa espresso riferimento «agli articoli 322, 323, 325, 328, 329, 330, 331, 333 e 341, comma 2, lettere a e b» del Ccii.

20 Sui fenomeni di interruzione della sequenza reato-pena fissata dalla norma incriminatrice, indispensabile il richiamo a A.

DiMartino, op. cit., passim. Con specifico riguardo alle condotte postfattuali v. S. Prosdocimi, Profili penali del postfatto, Milano 1982, passim.

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Il delitto di bancarotta fraudolenta prefallimentare, come noto, ha generato negli anni complessi problemi di ordine dogmatico e applicativo che hanno investito ciascuno dei suoi elementi costitutivi, dando luogo a un dibattito che non può ancora ritenersi sopito21. Non fa eccezione il tema del bene giuridico tutelato, oggetto di approfondite riflessioni sia della dottrina che della giurisprudenza, al punto da poter scoraggiare in limine qualsiasi tentazione di ritornare sul punto22.

Ciononostante, occorre valorizzare il carattere fisiologicamente “mobile” del bene giuridico, che impone – ai fini della sua concreta ricostruzione - un confronto costante con l’evoluzione complessiva delle dinamiche sociali. Per tale ragione, il tema del bene giuridico protetto dai delitti di bancarotta, inteso evidentemente quale entità oggettiva verso la quale la tutela si rivolge e non già quale scopo dell’incriminazione23, necessita di essere riconsiderato proprio alla luce delle modifiche intervenute nella disciplina extrapenale di riferimento.

Muovendo da tale assunto, deve prendersi atto che la revisione della disciplina della crisi d’impresa non solo ha modificato il substrato normativo su cui si poggiano i reati di bancarotta, ma ha altresì determinato una riscrittura della gerarchia dei valori in gioco, che merita di essere considerata anche sul piano dell’offesa. La previsione di regole volte a disciplinare la fase della crisi fornisce all’interprete parametri più saldi per valutare le condotte di gestione dell’impresa, evitando la loro criminalizzazione indiscriminata. Malgrado tali avvicendamenti normativi, si rende comunque necessario muovere dalla immutata previsione di cui all’art. 2082 Cc, che definisce imprenditore «chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi».

Nella dottrina penalistica, in ragione di una differente lettura del vincolo di destinazione dettato da tale previsione, sono emerse diverse ricostruzioni del bene giuridico protetto dai delitti di bancarotta, tuttavia riconducibili a due principali filoni interpretativi: l’uno, valorizza il suddetto vincolo in una dimensione macroeconomica, legando l’incriminazione della bancarotta agli effetti negativi che il fallimento determina sul buon andamento delle relazioni economiche e sull’economia pubblica

21 Cfr. S. Cavallini, La bancarotta, cit., spec. 87 ss., che ripercorre analiticamente le tappe principali di tale dibattito.

22 Si veda, per tutti, la ricostruzione di A. Manna, Il bene giuridico protetto, in L. Ghia – C. Piccininni – F. Severini (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, VI, Torino 2012, 11 ss.

23 La precisazione appare doverosa in ragione del rischio, che si corre soprattutto in settori come quello in esame, di sovrapporre indebitamente i due piani, scivolando verso una concezione metodologica del bene giuridico già da tempo contrastata dalla nostra dottrina. In argomento cfr., per tutti, F. Mantovani, Il principio di offensività del reato nella Costituzione, in AA.VV., Aspetti e tendenze del diritto costituzionale: scritti in onore di Costantino Mortati, IV, Milano 1977, 455; F. Stella, La teoria del bene giuridico e i c.d. fatti inoffensivi conformi al tipo, in RIDPP 1973, 12 ss. Sul tema della bancarotta, v. G. Delitala, L’oggetto della tutela nel reato di bancarotta, successivamente in Id., Raccolta degli scritti. Diritto penale, vol.

II, Milano 1976, 841 s., secondo cui «non si deve confondere il motivo della tutela con l’interesse tutelato, l’oggetto immediato del reato con quello mediato».

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in generale (c.d. teorie pubblicistiche)24; l’altro, inquadra la bancarotta fraudolenta quale reato contro il patrimonio, colto non già nella sua tradizionale dimensione individualistica, ma in chiave funzionale e collettiva, cioè quale garanzia per il soddisfacimento delle obbligazioni assunte dall’imprenditore durante l’esercizio dell’attività d’impresa (c.d. teorie patrimoniali)25.

Le teorie pubblicistiche, seppur suggestive, non paiono superare l’obiezione di quanti osservano che gli effetti negativi del fallimento sul sistema economico non siano legati alla bancarotta ma all’insolvenza, a prescindere dalla commissione di fatti penalmente rilevanti da parte dell’imprenditore26. Per questa ragione, ma anche per evitare un indebolimento della determinatezza delle fattispecie per via della difficile

“afferrabilità” dei beni sovraindividuali richiamati, deve convenirsi con quanti ritengono che i delitti di bancarotta tutelino il patrimonio del “ceto creditorio”, inteso in un’accezione dinamico-categoriale27.

Nel nuovo quadro normativo definito dal Ccii28, tale ricostruzione pare trovare conferma nella previsione di cui all’art. 347, co. 2, Ccii (che ricalca il vecchio art. 240 LFall), che consente ai creditori di costituirsi parte civile nel giudizio penale per bancarotta fraudolenta soltanto nell’ipotesi in cui «manca la costituzione del curatore, del commissario liquidatore o del commissario speciale di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, quando non sia stato nominato il liquidatore giudiziale o quando intendono far valere un titolo di azione propria personale». Ciò dimostra come la tutela non sia rivolta al singolo credito o all’intera collettività, ma ad una pluralità indefinita di soggetti.

Nella medesima direzione converge poi la già richiamata previsione premiale di cui all’art. 25 Ccii, che esprime l’interesse a favorire una rapida emersione dello stato di

24 Da questa prospettiva, viene fatto riferimento in via alternativa a beni sovraindividuali quali l’economia pubblica (cfr. F.

Stella, Fatti di bancarotta e intervento del magistero punitivo, in AA.VV., La crisi dell’impresa e l’intervento del giudice, Milano 1978, 138; A. Pagliaro, Il delitto di bancarotta, Palermo 1957, 32; Id., Problemi attuali del diritto penale fallimentare, in RTrimDPenEc 1988, 519 ss.), l’amministrazione della giustizia (cfr. F. Carnelutti, Appunti sulla natura della bancarotta, in RDPr 1953, 1 ss.; P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano 1955, 25;Id., voce Fallimento [reati in materia di], in ED, XVI, 1967, 478; C. Santoriello, I reati di bancarotta, Torino 2000, 14) o la fede pubblica (cfr. F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale, Parte speciale4, vol. 7, Prato 1883, 75).

25 V. C. Pedrazzi, sub Art. 216 l. fall., in C. Pedrazzi, F. Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito. Artt. 216-227, in Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma 1995, 6 ss., secondo cui «lo scenario macroeconomico che fa da sfondo alla bancarotta può spiegare l’intensità della tutela (il rigore sanzionatorio), ma non appartiene al suo oggetto»; Id., Riflessioni sulla lesività della bancarotta, ora in Id., Diritto Penale.

Scritti di diritto penale dell’economia, Milano 2003, 976. Cfr., altresì, E.M. Ambrosetti, I reati fallimentari, in E.M. Ambrosetti – E. Mezzetti – M. Ronco, Diritto penale dell’impresa4, Bologna 2016, 305 ss.; M. Donini, Premesse, cit., 1571; L. Foffani, Tra patrimonio ed economia: la riforma dei reati d’impresa, in RTrimDPenEc 2007, 752; U. Giuliani Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concursuali, Torino 2012, 13 ss. In giurisprudenza, Cass. S.U. 26.2.2009 n. 24468, in RIDPP 2010, 887 ss.

26 Cfr. G. Cocco, sub Art. 216 l. fall., in Commentario breve alle leggi penali complementari2, a cura di F. Palazzo e C.E. Paliero, Padova 2007, 1149.

27 V. retro, nota 25.

28 La definizione del bene giuridico viene affrontata (anche) alla luce delle nuove previsioni del Ccii da F. Consulich, Il diritto, cit., 8 s.

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crisi al fine di scongiurare l’attivazione di una procedura concorsuale. Tale ultimo interesse può comunque considerarsi strumentale alla tutela del ceto creditorio e, pertanto, non rinnega, anzi rafforza, la lettura in chiave patrimonialistica del bene giuridico protetto dai delitti di bancarotta.

Deve allora ribadirsi che nelle ipotesi di bancarotta prefallimentare l’oggetto di tutela sia rappresentato dal patrimonio dell’impresa quale garanzia dei creditori29 e, tale impostazione, può essere confermata anche alla luce delle previsioni del Ccii.

Scopriamo così che la prima condizione necessaria per affermare la rilevanza esimente delle condotte di reintegrazione patrimoniale sia quella di aver ripristinato integralmente la garanzia dei creditori; solo in questo caso, difatti, gli scopi della punizione possono dirsi pienamente soddisfatti.

3.1. Le riflessioni fin qui svolte hanno già messo in luce la centralità assunta dal tema dell’offesa nel dibattito intorno alla bancarotta prefallimentare. Non si tratta, evidentemente, di una disputa meramente teorica, considerato che è soprattutto su questo terreno che viene scrutinata la legittimità costituzionale di tali fattispecie e, per quanto più interessa in questa sede, la possibilità di riconoscere rilevanza esimente alla bancarotta riparata.

Anche su tale versante si registra una lunga evoluzione del pensiero dottrinale e giurisprudenziale, che occorre in questa sede rapidamente ripercorrere.

In linea con le intenzioni del legislatore storico, l’orientamento tradizionale della Corte di Cassazione considerava la bancarotta prefallimentare quale reato di pericolo astratto, punito in ragione del disvalore intrinseco delle condotte incriminate, rivelato

“ora per allora” dalla declaratoria fallimentare30.

La conseguenza principale di tale affermazione era che, una volta intervenuto il fallimento, si spalancavano le porte a un sindacato a ritroso, senza limiti, del giudice penale sull’attività d’impresa: gli atti dispositivi antecedenti venivano considerati punibili anche se commessi in epoca remota rispetto alla dichiarazione di fallimento, cioè quando – verosimilmente - il successivo dissesto non era previsto né prevedibile.

Il controllo giudiziario sulla gestione dell’impresa diveniva in tal guisa intollerabilmente invasivo, dilatandosi in modo incontrollabile l’area della rilevanza

29 In questo senso G. Cocco, sub Art. 216 l. fall., cit., 1149; G. Montanara, voce Fallimento (reati in materia di), in ED, Annali VI, 2013, 295. Nella bancarotta post-fallimentare, invece, agli interessi di natura privatistica si affianca l’interesse pubblico legato alla tutela della procedura concorsuale: cfr. A. Rossi, I reati fallimentari, in F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari14, II, Milano 2018, 28 ss.

30 Tale orientamento può dirsi inaugurato dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 25.1.1958 n. 2, in GP 1958, II, 513. Tra le sentenze più recenti che hanno sposato tale indirizzo v. Cass., 22.10. 2008 n. 39546, in DPP 2009, 1011. In dottrina accoglie tale soluzione G.L. Perdonò, Profili generali, in I reati fallimentari, a cura di A. Manna, G.L. Perdonò, L. Lionetti, in Corso di diritto penale dell’impresa, a cura di A. Manna, Padova 2018, 490 ss.

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penale, all’interno della quale potevano anche confluire comportamenti privi di una reale idoneità offensiva al tempo della loro commissione31.

Facilmente intuibili le obiezioni sollevate nei confronti di un tale approccio:

l’assenza di limiti all’indagine retrospettiva del giudice contrastava, a tacer d’altro, col principio di necessaria lesività e col divieto di responsabilità per fatto altrui, considerato che l’imprenditore poteva essere punito anche nell’ipotesi in cui la declaratoria di fallimento fosse dipesa da fattori del tutto estranei alla sua condotta32. In questi termini, il disvalore della condotta perdeva di significato, risultando interamente offuscato dall’intervenuto fallimento, sul quale si incentrava la valutazione circa la rilevanza penale del fatto: si ritornava così ad una configurazione della bancarotta che il pensiero penalistico moderno aveva già da tempo abbandonato33.

La dottrina, invece, in attesa di provvidenze legislative non ancora intervenute, si è da subito meritoriamente preoccupata di assicurare il rispetto dei principi di offensività e colpevolezza anche in tale contesto, individuando un ventaglio di soluzioni interpretative eterogenee, ma tutte animate dal medesimo (e lodevole) intento di limitare il controllo giudiziario sull’esercizio dell’attività d’impresa.

Il punto di partenza comune alle diverse posizioni dottrinali è rappresentato dall’affermazione secondo cui, ai fini della sussistenza della bancarotta, è necessario che la condotta tipica dell’imprenditore abbia lasciato una traccia negativa nella vita economica dell’impresa. Tale rilievo nasce dall’esigenza di contenere l’ambito applicativo della fattispecie e l’indagine retrospettiva del giudice sulle condotte tenute prima della dichiarazione di fallimento.

Ha avuto particolare fortuna, anche presso la giurisprudenza di legittimità, la teoria della «zona di rischio penale», in base alla quale l’indagine retrospettiva del giudice andrebbe limitata alle fasi in cui il rischio di insolvenza era prevedibile, dovendosi escludere la rilevanza penale (perlomeno sul piano della bancarotta) di condotte assai remote rispetto al momento del fallimento34.

31 Per considerazioni analoghe v. N. Pisani, Diritto penale fallimentare. Problemi attuali, Torino 2010, 9.

32 Le prime tracce di tale impostazione si rinvengono negli studi di G. Delitala, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, in RDComm 1926, successivamente in Id., Diritto penale, Raccolta degli scritti, cit., 723 ss., poi ripresi da C.F. Grosso, Osservazioni in tema di struttura, tempo e luogo del commesso reato della bancarotta prefallimentare, in RIDPP 1970, 1565 ss.; T. Padovani, Bancarotta semplice documentale del socio occulto e amnistia, in RIDPP 1973, 686 ss.; C. Pedrazzi, Incostituzionali le fattispecie di bancarotta?, in RIDPP 1989, 900 ss.; Id., Art. 216 l. fall., cit., 12. Si vedano altresì, più di recente, A. Alessandri, Profili penali delle procedure concorsuali. Uno sguardo d’insieme, Milano 2016, 13 ss.; R. Bricchetti – L. Pistorelli, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., 52; M. Donini, Premesse storiche a una concezione costituzionale dell’offesa nella bancarotta patrimoniale, in Studi in onore di Antonio Fiorella, a cura di M. Catenacci, V.N. D’Ascola, R. Rampioni, Vol. II, Roma 2021, 1555 ss.

33 E. Mezzasalma, L’elemento psicologico del delitto di bancarotta semplice, Milano 1970, 18 ss.

34 Così P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento, cit., 28, affermava che il «problema più grave» della bancarotta era proprio quello di «fissare il punto dove incomincia la zona del rischio penale per l’imprenditore che compie determinati atti. È assurdo, infatti, pensare che si possa retroagire indefinitamente nel corso della vita dell’impresa».

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Sulla scia di tali insegnamenti, autorevole dottrina ha più avanti affermato la necessità di accertare la concreta pericolosità della condotta rispetto alle ragioni dei creditori, accompagnata dalla «previsione del dissesto perlomeno come sbocco eventuale: perché solo in una cornice di dissesto la provocata insufficienza della garanzia patrimoniale si risolve nella impossibilità di soddisfacimento integrale delle passività»35. Secondo tale impostazione, militerebbero in tal senso non solo le elevate cornici edittali del reato, di per sé poco compatibili con fattispecie di pericolo presunto, ma anche la necessità di riservare l’incriminazione a quelle condotte in grado di generare un reale pericolo per la capienza del patrimonio36.

La necessità di ravvisare un “nesso di rischio” tra la condotta del soggetto agente e il dissesto è stata ripresa anche dalla dottrina più recente nel contesto di riflessioni inerenti al rapporto fra imputazione oggettiva dell’evento e dolo37. Si è in particolare affermato che nella bancarotta la tipicità del fatto (rectius: il disvalore d’azione) debba essere arricchita di tale nuovo elemento costitutivo implicito, escludendosi dall’area della rilevanza penale quelle condotte che non abbiano attivato un rischio non consentito e che si siano rivelate estranee rispetto al determinarsi dell’insolvenza. Non risulterebbe invece necessario accertare la sussistenza di un danno economico individuale per i creditori, posto che il reato rimane incentrato sullo sviamento di risorse dell’impresa dal loro fine proprio.

Tale approccio è oggi seguito dalla dottrina maggioritaria, che configura la bancarotta quale reato di pericolo concreto che punisce l’imprenditore che, pur consapevole della sussistenza di una situazione di difficoltà economica per l’impresa, abbia comunque realizzato atti di disposizione idonei a ledere la garanzia dei creditori, mentre gli atti dispositivi rivelatisi inoffensivi, anche alla luce della gravità delle pene comminate, devono considerarsi del tutto atipici, essendo espressione dell’esercizio

35 Ci riferiamo, in particolare, ai pregevoli contributi di C. Pedrazzi, sub Art. 216 l. fall., cit., 12 ss.; Id., Riflessioni, cit., 988. Cfr.

altresì A. Alessandri, Profili penali, cit., 13 ss.; R. Bricchetti – L. Pistorelli, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., 52; L.

Conti, Diritto penale commerciale, vol. II, I reati fallimentari, Torino, 1991, 95 ss.; Id., (voce) Fallimento (reati in materia di), in NssDI, vol. V, Torino, 2002, 19 ss.; P. Rivello, Recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione pre-fallimentare, in CP 2018, 1062 ss.

36 Ibidem.

37 Si veda M. Donini, Per uno statuto costituzionale dei reati fallimentari: le vie d’uscite da una condizione di perenne

«specialità», in Jus 2011, 54 ss.; Id., voce Imputazione oggettiva dell'evento (diritto penale), in ED, Annali III, 2010, 699 s.; Id., Imputazione oggettiva dell’evento. «Nesso di rischio» e responsabilità penale per fatto proprio, Torino 2006, 142 ss. Di tale Autore si veda altresì Id., Il dolo eventuale, fatto illecito e colpevolezza, in DPenCont, 1, 2014, spec. 82 ss., in cui viene espressa una ferma critica rispetto al ricorso ai “segnali d’allarme” fatto dalla giurisprudenza per fondare il giudizio di colpevolezza nell’ambito dei reati societari. Sulla necessità di un “nesso di rischio” tra condotta illecita ex ante e risultato ex post si ravvisa oggi sostanziale convergenza in dottrina: cfr. A. Alessandri, op. ult. cit., 18 ss.; Id., Diritto penale commerciale, vol. IV. I reati fallimentari, Torino 2019, 58; S. Cavallini, La bancarotta, cit., 363 s.; F. Consulich, Il diritto, cit., 8 ss.; M. Gambardella, Condotte economiche, cit., 248 ss.; A. Nisco, Il nesso oggettivo tra bancarotta fraudolenta patrimoniale e insolvenza, in Crisi dell’impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell’insolvenza, a cura di R. Borsari, Padova 2015, 361 ss.; Id., Recenti evoluzioni (e involuzioni) in tema di bancarotta: ruolo dell’insolvenza e adeguatezza economica delle operazioni antecedenti, in RTrimDPenEc 2015, 865 ss.

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della libertà di iniziativa economica38. Tale arricchimento del contenuto di disvalore del fatto si proietta poi sul versante soggettivo, non essendo più sufficiente la mera consapevolezza dell’atto distrattivo, ma divenendo altresì necessaria la rappresentazione della pericolosità dello stesso per le ragioni dei creditori39.

La struttura obiettiva della fattispecie sarebbe dunque imperniata sull’idoneità ex ante della condotta a produrre una «lesione della garanzia patrimoniale» e sul «nesso di rischio» con la situazione di insolvenza, da considerarsi quale ulteriore elemento del fatto tipico. Sul piano soggettivo occorre invece verificare il riflettersi di tale idoneità offensiva della condotta sulla sfera rappresentativa dell’agente40.

Va parimenti ricordato come una diversa ricostruzione dottrinale, non priva di

“echi” in giurisprudenza41, considera le fattispecie di bancarotta prefallimentare connotate da evento materiale di danno. Meritano particolare considerazione quelle impostazioni che identificano tale evento non nella dichiarazione di fallimento, ma nella diminuzione patrimoniale eziologicamente riconducibile alla condotta del reo42. È difatti evidente che un legame causale può instaurarsi solo tra la condotta e il presupposto sostanziale della procedura fallimentare, non già con la dichiarazione giudiziale in senso stretto. A tale impostazione, sulla quale torneremo nelle riflessioni conclusive, viene obiettato che il legislatore, laddove ha inteso richiedere la presenza di un evento-dissesto, lo ha fatto espressamente43 e che, comunque, essa non potrebbe avere validità nelle fattispecie documentali, che assumerebbero quindi natura diversa44.

38 Cfr. A. Alessandri, op. ult. cit., 21; M. Zanchetti, Diritto penale fallimentare, in Diritto penale, parte speciale, II, a cura di D.

Pulitanó, Torino 2013, 370.

39 Cfr. Cass. 23.6.2017 n. 38396, in GI 2018, 185, in cui la Corte di Cassazione ha indicato al giudice di merito di ricercare specifici “indici di fraudolenza” «rinvenibili, ad esempio, nella disamina del fatto distrattivo, dissipativo, etc. alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata; nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’imprenditore o dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi; nella “distanza” (e, segnatamente, nell’irriducibile estraneità) del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale».

40 C. Pedrazzi, sub Art. 216 l. fall., cit., 76 ss. ritiene che il dolo generico della bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare involga l’effetto della diminuzione della consistenza materiale dei beni, oltre alla consapevolezza di ledere gli interessi dei creditori, ovverosia la consapevolezza dell’offesa, che si sostanzia nella previsione e nella volontà della verificazione del dissesto.

41 Si tratta della nota sentenza “Corvetta” relativa al dissesto del Ravenna calcio: Cass. 24.9.2012 n. 47502, in DPP 2013, 437 ss.

42 V., in particolare, G. Cocco, Il ruolo, cit., 83, secondo cui l’evento sarebbe rappresentato «quid minus patrimoniale a disposizione dei creditori concorsuali per soddisfare i loro crediti causato dalle condotte». Analogamente, seppur con sfumature diverse, D. Falcinelli, I delitti di bancarotta negli amletici percorsi dell’offensività penale: l’«essere» e il «non essere»

della sentenza dichiarativa di fallimento, in RTrimDPenEc 2015, 479; G. Flora, Il ruolo della sentenza dichiarativa di fallimento, cit., 329; M. Zanchetti, Incostituzionali le fattispecie di bancarotta? Vecchi quesiti e nuove risposte (o magari viceversa), alla luce della giurisprudenza di legittimità sul ruolo del fallimento nella bancarotta fraudolenta prefallimentare, in RTrimDPenEc 2014, 141.

43 Cfr. gli artt. 217, co. 1, n. 4, 218, co. 1 e 223, cpv., n. 1 LFall.

44 È questa la conclusione cui giunge, in coerenza con le premesse di partenza, la già citata sentenza della Cass. 24.9.2012 n.

47502, cit., 441.

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La legislazione penale

La giurisprudenza più recente, salvo inattesi e isolati revirement45, pare aver aderito alla concezione della bancarotta prefallimentare quale reato di pericolo concreto già da tempo patrocinata in dottrina46.

Nelle pronunce della giurisprudenza di legittimità si trovano difatti richiami alla teoria della c.d. “zona di rischio penale”, indicandosi nella prossimità dello stato di insolvenza l’habitat naturale delle condotte di bancarotta, senza escludere «che il reato possa essere integrato da comportamenti antecedenti a tale fase, a condizione che questi presentino caratteristiche obiettive che, di regola, non richiedono particolari e ulteriori accertamenti per provare la esposizione a pericolo del patrimonio»47. Rientrano invece nell’esercizio della libertà di impresa quelle condotte che, sia pur lesive del patrimonio aziendale, siano intervenute in momenti di solidità finanziaria e non abbiano minacciato la garanzia creditoria.

Attraverso il sapiente contributo della dottrina, seguita – non senza colpevoli ritardi – anche dalla giurisprudenza, si è così adattato il sistema dei reati fallimentari al mutato quadro costituzionale, riportandosi il fulcro dell’incriminazione sulla condotta del reo e non sul fallimento (oggi diremmo “liquidazione giudiziale”) in quanto tale.

Tali riflessioni, come noto, sono state il viatico per giungere a una più opportuna riqualificazione del ruolo della sentenza dichiarativa di fallimento nel contesto di tale fattispecie. Mentre secondo l’orientamento tradizionale della Corte di legittimità la sentenza dichiarativa di fallimento costituiva un elemento essenziale del reato o comunque una condizione di esistenza dello stesso48, vi è stata di recente una decisa presa di posizione verso la configurazione della stessa in termini di condizione obiettiva di punibilità estrinseca49. Anche sotto tale profilo si è assistito ad un allineamento della giurisprudenza alle posizioni espresse dalla dottrina maggioritaria, che aveva da tempo sostenuto l’estraneità della sentenza dichiarativa di fallimento alla tipicità del fatto, ritenendola unicamente espressione di ragioni di opportunità che

45 Ibidem.

46 Cfr. Cass. 23.6.2017 n. 38396, cit.

47 Si veda Cass. 7.4. 2017 n. 17819, in CP 2017, 3951.

48 La sentenza dichiarativa di fallimento, secondo tale impostazione, contribuirebbe a definire la tipicità delittuosa, ma non sarebbe necessario un legame di tipo soggettivo con l’autore. Possono citarsi, a mero titolo esemplificativo, L. Conti, Diritto penale, cit.,120 ss.; G. DeSimone, Sentenza dichiarativa di fallimento, cit., 1156.; F. Mucciarelli, Sentenza dichiarativa di fallimento e bancarotta: davvero incolmabile il divario fra teoria e prassi?, in DPenCont 2015, 4, 346. Una rassegna delle principali posizioni emerse in giurisprudenza si rinviene in S. Cavallini, La bancarotta, cit., 165 ss.

49 In giurisprudenza può considerarsi un momento di svolta la sentenza Cass. 8.2.2017 n. 13910, in GI 2017, 1158. Sulla configurazione della dichiarazione di fallimento quale condizione obiettiva di punibilità si vedano, senza pretesa di completezza, G. Cocco, Il ruolo, cit., 67 ss.; V.N. D’ascola, Reato e pena nell’analisi delle condizioni obiettive di punibilità, Napoli 2004, 220 ss.; G. De Simone, Sentenza dichiarativa di fallimento, condizioni obiettive di punibilità e nullum crimen sine culpa, in RIDPP 1992, 1145 ss.; A. Fiorella, I reati fallimentari, in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, a cura di A. Fiorella, Torino 2013, 288; F. Mucciarelli, op. ult. cit., 1 ss.; A. Parialò, La controversa natura della dichiarazione di fallimento nei reati di bancarotta spunti di riflessione alla luce delle più recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità, in www.lalegislazionepenale.eu, 6.6.2016, 1 ss.; G.L. Perdonò, Fatti di bancarotta e declaratoria di fallimento: dal problematico inquadramento dogmatico ad una proposta de iure condendo, in RTrimDPenEc 2004, 447 ss.

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portano il legislatore a limitare il ricorso alla sanzione penale alle ipotesi di dissesto dell’impresa. La declaratoria di fallimento, si è osservato50, non solo non rappresenta una progressione dell’offesa, ma costituisce addirittura un rimedio posto a tutela della garanzia patrimoniale dei creditori, consentendo un corretto riparto dei beni dell’impresa in decozione. Il reato si consumerebbe perciò con l’avveramento della condizione, ma con riguardo a quest’ultima non sarebbe necessario il previo accertamento di un coefficiente soggettivo d’imputazione, né l’esistenza di un nesso di derivazione eziologica rispetto alla condotta dell’agente.

Al di là della questione relativa alla natura giuridica della sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziaria (sulla quale ritorneremo infra), è indubbio che le regole di gestione della crisi d’impresa contenute nel nuovo codice si pongano in ideale continuità rispetto all’evoluzione ermeneutica della bancarotta fraudolenta qui ripercorsa, consentendo un sindacato giudiziale ex post sulle scelte imprenditoriali fondato su criteri normativamente prestabiliti: ciò contribuisce a evitare pericolosi scivolamenti verso forme larvate di responsabilità oggettiva in cui l’imprenditore viene sanzionato per il solo fatto di essere fallito51. Viene così definita con maggiore determinatezza la situazione tipica in cui le condotte vengono a realizzarsi e il perimetro del controllo giudiziale sull’operato gestorio dell’imprenditore, agevolandosi altresì l’accertamento della fraudolenza che caratterizza la condotta tipica52.

3.2. La ricognizione dell’evoluzione del pensiero di dottrina e giurisprudenza in materia di bancarotta prefallimentare ha dimostrato come queste, a fronte dell’ostinato immobilismo del legislatore, abbiano orientato i loro sforzi – in tempi e modi diversi – in una duplice direzione: da un lato, hanno cercato di recuperare il nucleo di concreta offensività di tali illeciti, piuttosto evanescente nelle relative disposizioni normative, oltreché proteggere l’osservanza del principio colpevolezza;

dall’altro, si sono preoccupate di limitare l’intervento penale e, ancor più a monte, il sindacato giurisdizionale sulle scelte imprenditoriali.

50 Ibidem.

51 La questione veniva già segnalata da A. Ingrassia, Rischio di impresa come rischio penale? Il sindacato giudiziale sulle scelte di gestione della crisi, Pavia 2018, 3 ss.

52 Così G. Flora – F. Giunta, op. cit., 2 ss., che segnalano la previsione, ritenuta “falsamente amica”, di cui all’art. 14, co. 3, Ccii.

Tale norma esclude la responsabilità “solidale” dell’organo di controllo per i fatti pregiudizievoli riconducibili all’attività dell’organo amministrativo laddove il primo abbia segnalato tempestivamente al secondo “l’esistenza di fondati indizi della crisi” ed abbia comunicato all’OCRI la mancata adozione da parte degli amministratori, nel termine assegnato, delle determinazioni atte a neutralizzare il pericolo di crisi da esso suggerite. Secondo gli A., la norma introdurrebbe indirettamente così una posizione di garanzia dell’organo di controllo rispetto ai comportamenti pregiudizievoli degli amministratori.

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La legislazione penale

L’istituto della bancarotta riparata, dimostrandosi funzionale, in tesi, ad entrambe le esigenze segnalate, può considerarsi uno dei frutti più maturi di tale evoluzione. La sua operatività, difatti, consente di escludere dall’area della rilevanza quegli atti dispositivi la cui attitudine lesiva (rectius: lesività) sia stata neutralizzata prima della declaratoria fallimentare, rivelandosi quale ulteriore e fondamentale argine al dilagare della penalità in tale settore.

Risulta chiara la ratio politico-criminale dell’istituto, così come appaiono lineari i suoi meccanismi operativi: a fronte di una condotta post-fattuale che rimuove gli effetti del precedente atto di mala gestio si ritiene elisa la tipicità del fatto.

La logica reintegratoria sottesa all’operatività dell’istituto emerge anche dai requisiti contenutistici e temporali che vengono a tal fine richiesti: quanto alla consistenza della riparazione53, la giurisprudenza ritiene che essa debba essere integrale e che l’onere probatorio ricada sul soggetto che ne eccepisce l’avvenuta verificazione54; sul piano temporale è invece necessario che essa intervenga prima della dichiarazione di fallimento, di modo da assicurare che la portata pregiudizievole dall’atto dispositivo sia stata tempestivamente annullata.

Tali assunti, come si cennava, appaiono coerenti con l’evoluzione giurisprudenziale in materia di bancarotta e, in particolare, con la pretesa relazione di rischio tra l’atto dispositivo e il successivo dissesto. Accolta l’idea che l’incriminazione dell’imprenditore per bancarotta presuppone che la sua condotta abbia lasciato una traccia negativa sulla vita economica dell’impresa, appare conseguenziale affermare che la cancellazione tempestiva di questa traccia debba specularmente condurre alla non punibilità del fatto in precedenza commesso. La condotta riparatoria, difatti, rivelandosi in grado di "riassorbire" l’offensività degli atti pregressi, spezza qualunque connessione tra questi e il successivo fallimento, giustificando la remissione sanzionatoria.

Eppure, ciò che a livello di precomprensione appare immediatamente accessibile, si rivela di più difficile lettura non appena ci si accinge ad individuare la “sistemazione”

teorica dell’istituto. Sotto tale profilo, la giurisprudenza si è sempre limitata a decretare in modo assiomatico la rilevanza esimente di tali condotte per via della loro ritenuta incidenza sull’«elemento materiale del reato», eludendo le complesse questioni che invece si agitano dietro una tale affermazione. Beninteso, non si vuole qui attribuire alla giurisprudenza un onere di elaborazione dogmatica che certamente non le spetta, ma l’approccio tranchant ed autoreferenziale al tema in esame rischia di

53 Non assumono invece rilievo le modalità con cui avviene, potendosi realizzare anche mediante la rinuncia a crediti certi ed esigibili da parte dell’imprenditore: così Cass., 2.12.2020 n. 34290, in D&G, 3.12.2020.

54 Critica tale ripartizione dell’onere probatorio T. Guerini, La bancarotta “riparata”: presente e futuro del diritto penale (che fu) fallimentare, in BilRev 2021, 2, 51.

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La legislazione penale

rendere assai fragile un risultato interpretativo che necessita di essere adeguatamente scandagliato proprio attraverso un accurato collaudo dogmatico.

Le condivisibili ragioni politico-criminali che ne stanno a fondamento, difatti, non cancellano le ambiguità di fondo che si celano dietro a tale istituto e sulle quali dovremo ora concentrarci con maggiore sforzo analitico. In particolare, risulta per noi essenziale vagliare lo spazio applicativo della bancarotta riparata non solo alla luce delle risultanze emerse nell’indagine, ma anche sulla base delle nuove coordinate ermeneutiche espresse dal Codice della crisi d’impresa ove, peraltro, come si è visto, sono espressamente previste fattispecie premiali legate alla condotta postdelittuosa del reo che potrebbero sovrapporsi a tale istituto.

4. Il tema della bancarotta riparata, come si è detto, assorbe (e presuppone la risoluzione del) le principali e più note questioni che si agitano intorno ai delitti di bancarotta prefallimentare e che, dopo la loro analisi nelle pagine precedenti, richiedono ora di essere unitariamente considerate.

In proposito, vanno richiamate anzitutto le posizioni espresse dall’indirizzo maggioritario, che – in estrema sintesi - configura la bancarotta prefallimentare quale reato di pericolo concreto la cui punibilità è subordinata all’intervento della dichiarazione di liquidazione giudiziale.

Ragionando su tale ricostruzione del reato presupposto, il riconoscimento della rilevanza esimente della condotta riparatoria non appare così scontato. Nei reati di pericolo concreto, secondo comune insegnamento, l’offesa deve essere accertata con giudizio ex ante55, sicché diviene decisivo verificare se, nell’ipotesi considerata, il pericolo si identifichi con la condotta tipica ovvero si tratti di reato con evento di pericolo.

Nel primo caso, il giudizio prognostico di pericolosità dovrebbe fissarsi al tempo della condotta, con conseguente irrilevanza di tutte le circostanze intervenute successivamente che abbiano ex post invalidato tale prognosi. Ciò significa, venendo al tema in esame, che l’intervento riparatorio del reo potrebbe apprezzarsi, al ricorrere dei relativi presupposti, in chiave attenuante ex art. 62 n. 6 Cp o, tuttalpiù, quale

“condotta successiva” ai sensi dell’art. 133 Cp56. Diversamente, laddove dovessimo configurare la bancarotta prefallimentare quale reato di evento di pericolo, il giudizio sull’offensività andrebbe posticipato al momento in cui si manifestano gli effetti della condotta, cioè quando si concretizza lo squilibrio fra attività e passività determinato dall’atto dispositivo. Di conseguenza, tra la condotta incriminata e la dichiarazione di

55 Cfr., per tutti., G. Marinucci – E. Dolcini - G.L.Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale10, Milano 2021, 272.

56 In questo senso, per tutti, L. Conti, Diritto penale, cit., 131 ss.

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