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Il giudicato alla prova dell'Europa: uno studio nella prospettiva del diritto costituzionale

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

Corso di dottorato in Scienze giuridiche

C

URRICULUM IN

G

IUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI

FONDAMENTALI

Coordinatore: Ch.mo Prof. Roberto Romboli

TESI DI DOTTORATO

Il giudicato alla prova dell’Europa:

uno studio nella prospettiva del diritto costituzionale

Tutor Candidata

Ch.mo Prof. Roberto Romboli

Dott.ssa Roberta Lugarà

Matr. 512004

A.A. 2016-2017

Ottobre 2017

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INDICE

INTRODUZIONE

1. L’oggetto dell’indagine e la sua rilevanza per il diritto costituzionale...7

2. Alcune precisazioni terminologiche...12

3. I “giudicati” nel diritto positivo: esperienze giuridiche interessate dall’indagine e trasversalità dell’ambito di ricerca all’interno del diritto italiano...14

CAPITOLO PRIMO IL GIUDICATO E L’AVVENTO DELLO STATO COSTITUZIONALE DI DIRITTO: INCONTRI E SCONTRI 1. Premessa...17

2. La tutela costituzionale dell’istituto...22

2.1. Il giudicato in assemblea costituente...22

2.2. La rilevanza costituzionale del giudicato nella dottrina...26

2.3. Segue: … e nella giurisprudenza costituzionale...35

3. Le frizioni fra il giudicato e la legalità costituzionale...49

3.1. Il giudizio sulle leggi e l’efficacia delle sentenze di accoglimento sui rapporti coperti dal giudicato...49

3.2. Il giudicato nei conflitti costituzionali...59

3.3. Il ricorso diretto al giudice costituzionale avverso sentenze definitive...70

4. Rilievi conclusivi...75

CAPITOLO SECONDO

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1. Premessa...79

2. L’autonomia procedurale degli Stati membri: fondamento normativo e recenti sviluppi nella giurisprudenza della Corte di giustizia...81

2.1. Segue: i confini dell’autonomia procedurale degli Stati membri sub specie di limitazioni al giudicato...95

2.1.1. Segue: la definitività del provvedimento amministrativo in contrasto con il diritto dell’Unione oggetto di sentenza passata in giudicato...96

2.1.2. Segue: la definitività del lodo arbitrale in contrasto con il diritto dell’Unione...101

2.1.3. Segue: la definitività dell’accertamento giudiziale contenuto nelle sentenze passate in giudicato...105

2.2. Osservazioni di sintesi sulla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di giudicato e autonomia procedurale degli Stati membri...118

3. Il giudicato e la ripartizione delle competenze tra Stati membri e Unione....131

3.1. Il caso Lucchini...131

3.2. La giurisprudenza successiva al caso Lucchini in materia di giudicato e riparto delle competenze tra Stati membri e Unione...148

4. Il giudicato e la piena operatività del meccanismo pregiudiziale...156

5. La responsabilità dello Stato per violazioni del diritto dell’Unione ad opera di sentenze passate in giudicato...170

5.1. Il risarcimento del danno per violazione del diritto dell’Unione...171

5.2. Il procedimento per infrazione...177

6. Rilievi conclusivi...179

CAPITOLO TERZO IL GIUDICATO NAZIONALE NEL SISTEMA DELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO 1. Premessa...189

2. Il giudicato sotto la lente dei giudici di Strasburgo: un problema di attuazione del diritto convenzionale o di esecuzione delle sentenze della Corte EDU?...195

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2.1. Una prima ipotesi di contrasto: il giudicato come irragionevole limite al

diritto di accesso al giudice...195

2.2. Il giudicato come problema dell’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo: anticipazione e rinvio...201

3. Il superamento del giudicato come misura individuale di esecuzione delle sentenze della Corte EDU...205

4. Il recepimento dell’obbligo di esecuzione nell’ordinamento interno e il limite del giudicato...220

4.1. Il recepimento dell’obbligo di esecuzione nel contesto dei rapporti tra CEDU e ordinamento costituzionale...221

4.2. Il recepimento dell’obbligo di esecuzione da parte del legislatore...231

4.3. I meccanismi di integrazione messi a punto dai giudici comuni...233

4.4. Segue: … e dalla Corte costituzionale...240

5. Rilievi conclusivi...257

CONCLUSIONI...261

BIBLIOGRAFIA...277

INDICEDELLEPRONUNCEDELLACORTECOSTITUZIONALE...289

INDICE DELLE SENTENZE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONEEUROPEA...293

INDICE DELLE SENTENZE DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO...295

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INTRODUZIONE

1. L’oggetto dell’indagine e la sua rilevanza per il diritto costituzionale.

Lo studio si propone di analizzare dal punto di vista del diritto costituzionale le limitazioni al giudicato provenienti dall’ordinamento dell’Unione europea e dal sistema di protezione dei diritti fondamentali che fa capo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo1. Nel corso degli ultimi quindici anni e con sempre maggiore incisività, la giurisprudenza della Corte di giustizia e gli organi del Consiglio d’Europa hanno individuato nel giudicato nazionale un istituto da ridimensionare per consentire di porre rimedio a palesi violazioni del diritto dell’Unione o della CEDU2. Il fenomeno ha assunto caratteristiche differenti in relazione alle due organizzazioni internazionali, in ragione delle diverse finalità che esse perseguono, dello spettro di competenze che ciascuna possiede, della struttura e delle funzioni dei rispettivi apparati giurisdizionali e, ancora, del regime giuridico degli effetti che il loro diritto produce nell’ordinamento interno. Di qui l’esigenza di analizzare partitamente le limitazioni al giudicato emerse nell’ordinamento dell’Unione europea e nel sistema convenzionale.

Nondimeno lo studio della compatibilità con la Costituzione italiana delle spinte esogene all’“arretramento” del giudicato sarebbe fatalmente parziale, se la trattazione si accontentasse di assumere una sola delle due prospettive indicate. Esistono infatti caratteristiche comuni che giustificano una considerazione unitaria delle limitazioni al giudicato nazionale provenienti dal diritto UE e dalla CEDU e che al tempo stesso consigliano di

1 D’ora in avanti anche CEDU o Convenzione.

2 Tanto che è stato autorevolmente osservato che la resistenza o meno del giudicato nazionale

agli effetti di successive pronunce delle Corti europee sarebbe al giorno d’oggi “uno dei profili di maggiore interesse nel più ampio contesto dei rapporti tra giurisdizioni internazionali e sovranazionali e ordinamenti nazionali”; R. CAPONI, Corti europee e

giudicati nazionali, in AA.VV., Corti europee e giudici nazionali. Atti del XXVII Convegno

nazionale dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Verona, 25-26 settembre 2009, Bologna, Bolonia University Press, 2011, 242.

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circoscriverla ad esse, escludendo altre pur interessanti vicende del diritto internazionale3.

Tanto la giurisprudenza della Corte di giustizia quanto le indicazioni provenienti dagli organi del Consiglio d’Europa si mostrano come applicazioni di un parametro normativo sovraordinato rispetto alla legge ordinaria4. Entrambe le esperienze giuridiche, inoltre, si caratterizzano per il ruolo preminente che vi assume l’attività dei giudici preposti all’interpretazione e applicazione dei rispettivi diritti. Le Corti di Lussemburgo e di Strasburgo, infatti, hanno attivamente contribuito a costruire e a far sviluppare ciascuno il proprio sistema normativo-istituzionale. La posizione di assoluta centralità che vi rivestono non pare paragonabile a quella di altri tribunali internazionali di cui lo Stato italiano abbia riconosciuto la giurisdizione.

Ciò assume rilevanza ai fini del presente lavoro per due diversi profili. Il primo è che, poiché la loro è un’attività giurisdizionale, le statuizioni delle due Corti mutuano i caratteri della iurisdictio e hanno dunque efficacia ex tunc. Una pronuncia che accerti l’incompatibilità con il diritto sovranazionale o convenzionale di una norma o di un atto interno dichiara un’illegittimità che preesisteva alla pronuncia medesima. Essa pertanto getta un’ombra anche

3 Si pensi, fra tutte, alla vicenda dei risarcimenti per danni da crimini di guerra commessi

iure imperii dal Terzo Reich, su cui si era pronunciata la Corte internazionale di giustizia con

sent. 3 febbraio 2012. In attuazione di tale pronuncia la l. n. 5 del 2013, recante “Adesione

della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento all’ordinamento interno”, aveva disposto, all’art. 3, comma 2, che le

sentenze passate in giudicato in contrasto con una sentenza della Corte internazionale di giustizia nei confronti dello Stato italiano “possono essere impugnate per revocazione, oltre

che nei casi previsti dall’articolo 395 del codice di procedura civile, anche per difetto di giurisdizione civile e in tale caso non si applica l’articolo 396 del citato codice di procedura civile”. La Corte costituzionale, com’è noto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale

norma con la famosissima sent. n. 238 del 2014.

4 Ci si accontenta per adesso di dare un’indicazione di massima, perché la questione del rango

delle norme sovranazionali e convenzionali nel sistema delle fonti verrà approfondita in seguito. Fin da ora preme precisare che mentre il diritto dell’Unione occupa un livello infracostituzionale, nel senso di prevalere anche sulle norme costituzionali con il solo limite dei princìpi fondanti dell’ordinamento costituzionale e del nucleo duro dei diritti fondamentali, il diritto convenzionale, al pari di qualsiasi altra norma internazionale pattizia, acquisisce nell’ordinamento interno il rango di legge ordinaria per effetto della legge di ratifica ed esecuzione che lo recepisce. Ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., però, il diritto convenzionale costituisce parametro interposto di legittimità costituzionale delle leggi. Pertanto sotto questo profilo può dirsi, sia pur atecnicamente e in via di prima approssimazione, che esso sia sovraordinato rispetto alla legge ordinaria.

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sulle sentenze passate in giudicato con cui i giudici interni si siano attestati su soluzioni in contrasto con quella che, in un momento successivo ma con efficacia ex tunc, si è rivelata essere la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea o della CEDU5.

Il secondo aspetto che caratterizza le limitazioni al giudicato provenienti dal diritto UE e da quello convenzionale è la loro origine principalmente giurisprudenziale, nel senso che è proprio nell’attività interpretativa delle due Corti che si sono forgiati casi e modi in cui il superamento del giudicato è divenuto oggetto di un obbligo internazionale6.

Ancora, le esperienze dell’ordinamento dell’Unione europea e del sistema della Convenzione si caratterizzano, rispetto ad altre organizzazioni internazionali, per il livello di integrazione che hanno raggiunto con l’ordinamento interno. Da un punto di vista meramente quantitativo, non è necessario indugiare sulla vastità delle competenze dell’Unione europea e sull’elevatissimo numero di sentenze pronunciate fino ad oggi dalla Corte di Strasburgo nei confronti dello Stato italiano7. Ciò che ancor di più rileva, però, è il grado di penetrazione nel diritto interno, che le norme UE hanno acquistato pel tramite della teoria dell’effetto diretto e del grado infracostituzionale nel sistema delle fonti riconosciuto loro dalla Corte costituzionale; e di cui le norme convenzionali godono principalmente per effetto dell’autorità di cosa interpretata delle sentenze della Corte di Strasburgo e della giurisdizionalizzazione della loro fase di esecuzione8.

Ciò chiarito quanto all’oggetto di studio, appare opportuno offrire qualche riflessione sulla sua rilevanza costituzionale, al fine di mettere in luce la prospettiva dalla quale si intende affrontare l’analisi.

5 In questo senso anche R. CAPONI, Corti europee e giudicati nazionali, cit., 294 ss.

6 Quanto al sistema convenzionale, come si vedrà, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo

è stata preceduta ed è ancor oggi affiancata dalla prassi del Comitato dei Ministri.

7 Le sentenze che dal 1959 al 2016 hanno accertato almeno una violazione della Convenzione

nei confronti dell’Italia sono 1791, cui si potrebbero aggiungere, per la violazione della Convenzione che essi presuppongono, i 355 casi conclusi con una composizione amichevole. Questi dati sono tratti dalle statistiche pubblicate sul sito istituzionale della Corte di

Strasburgo alla pagina

http://www.echr.coe.int/Documents/Stats_violation_1959_2016_ENG.pdf.

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Come osservato da autorevole dottrina9, esiste un collegamento tra il diritto processuale, che disciplina l’esercizio di una delle funzioni fondamentali dello Stato, e i rapporti tra Stato e cittadini che vengono a sorgere in ordine a tale esercizio. Il diritto costituzionale, pertanto, informa il diritto processuale in molti suoi aspetti e istituti caratteristici. Ciò appare particolarmente evidente per il giudicato. Nell’istituto, infatti, trovano un punto di equilibrio due princìpi cardine dello Stato di diritto, quello di legalità e quello di certezza del diritto. Le nuove tensioni sul giudicato nazionale alterano questo equilibrio in favore del primo dei due poli, perché perseguono l’obiettivo di rimuovere gravi violazioni del diritto dell’Unione europea o del diritto convenzionale. Tuttavia, non può certo ritenersi che una qualsiasi alterazione della disciplina positiva dell’istituto integri una violazione del principio di certezza, giacchè anche il legislatore ordinario gode, evidentemente, di un ampio margine di discrezionalità in ordine alla disciplina della formazione del giudicato e dei suoi effetti.

Il presente studio si propone quindi di verificare, anzitutto, se sussista una protezione costituzionale del giudicato, quale ne sia il presupposto normativo e ove vadano tracciati i limiti della sua estensione (capitolo I). Successivamente, si analizzerà la portata delle limitazioni provenienti dal diritto dell’Unione europea (capitolo II) e della CEDU (capitolo III), allo scopo di esaminare la possibilità di ricondurle, ed evidentemente con quali caveat, all’interno del quadro dei princìpi costituzionali.

Le nuove limitazioni al giudicato appaiono spesso (o vengono presentate sotto la luce di) un ulteriore strumento di protezione dei diritti fondamentali, lesi da sentenze “ingiuste” ma ormai irretrattabili ai sensi del diritto processuale interno. Sul piano giuridico, dovrebbe apparire logicamente impossibile giudicare una sentenza “ingiusta” al di fuori del perimetro tracciato dal sistema delle impugnazioni, giacché anche tale sindacato andrebbe affidato a una nuova pronuncia che, in quanto tale, non potrebbe dare alcuna garanzia di essere più corretta della prima, innescandosi un circolo di controllo e falsificazione tendenzialmente infinito. La

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sussistenza di organi giurisdizionali ad hoc posti al di fuori dell’ordinamento giudiziario interno, però, muta almeno in parte il problema. Il privato è messo nella condizione di attivare (o sollecitare l’attivazione di) nuovi procedimenti giurisdizionali che, pur non avendo tecnicamente ad oggetto l’atto-sentenza, possono metterne in evidenza, con i richiamati effetti ex tunc, l’illegittimità ai sensi del diritto dell’Unione europea o della CEDU.

La partecipazione delle parti private nei procedimenti innanzi la Corte di giustizia e la diretta ricorribilità alla Corte di Strasburgo esaltano il nesso tra il profilo oggettivo della legalità e quello soggettivo della tutela della situazione giuridica di vantaggio che il diritto sovranazionale o convenzionale riconosce. Ecco allora che consentire il superamento degli effetti preclusivi del giudicato per addivenire a nuova nuova pronuncia sul rapporto giuridico può apparire a tutta prima strumentale a una più ampia tutela dei diritti fondamentali. Ciò sia, in generale, in riferimento al diritto di difesa, perché il superamento del giudicato dà al privato una nuova chance di ottenere per via giudiziaria il bene della vita (illegittimamente) negato dalla sentenza nazionale; sia, in particolare, in riferimento a uno qualsiasi dei diritti fondamentali sostanziali o processuali, nel caso in cui a uno di questi ultimi possa essere direttamente riferito il bene della vita agognato.

Questa prospettiva può sembrare a un primo sguardo accattivante, perché parrebbe offrire al privato nuovi strumenti di tutela e, quindi, una maggiore effettività dei suoi diritti. Tuttavia, si tratterà di verificare, per ciascuna delle esperienze giuridiche esaminate, se la ratio delle nuove limitazioni al giudicato sia realmente ricostruibile in termini di più elevata garanzia delle posizioni soggettive dei privati ovvero se non debba essere trovata aliunde e, in particolare, nella prospettiva oggettiva dei rapporti tra ordinamenti o istituzioni. Tanto, con la conseguenza che l’espansione delle posizioni soggettive di vantaggio si mostrerebbe soltanto accidentale, ben potendo le esigenze di legalità operare anche in senso restrittivo dei diritti. Inoltre, occorrerà mettere in luce i limiti della prospettiva della maggior tutela, non solo nei confronti delle controparti e dei controinteressati nei

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giudizi civili e amministrativi, ma anche nei confronti dei rapporti tra imputato e vittime del reato nel processo penale.

2. Alcune precisazioni terminologiche.

Si è fin qui fatto genericamente riferimento al “giudicato” dandone per presupposta la nozione. Prima di procedere nella trattazione è necessario offrire alcune precisazioni terminologiche. Il termine “giudicato” è traduzione del latino iudicatum e indica ciò che ha costituito oggetto di un giudizio da parte dell’organo competente a giudicare10. L’espressione “autorità di cosa giudicata” fa invece riferimento a una particolare qualità delle pronunce giurisdizionali, ovvero, come l’etimologia latina suggerisce, quella che ne “accresce” la stabilità, rendendole tendenzialmente irretrattabili. La stabilità dei giudizi può essere riferita sia all’atto-sentenza sia all’accertamento in esso contenuto. A tal proposito, si suole distinguere tra giudicato formale e giudicato sostanziale. Quanto al primo, l’irretrattabilità si manifesta come assenza di strumenti di impugnazione o, più esattamente, come assenza di strumenti di impugnazione ordinari. Quanto al secondo, l’immutabilità si riferisce al contenuto della decisione, ovvero, per un verso, al divieto che sul rapporto giuridico dedotto in giudizio si torni a controvertere (c.d. funzione negativa del giudicato) e, per l’altro,

10 L’istituto affonda le radici nel diritto romano. Almeno a partire dal III sec. a.C., a colui che

avesse inteso agere una seconda volta de eadem re si riservava la denegatio actionis. Si ritiene che fin da allora all’effetto negativo di impedire un secondo giudizio sulla lite già decisa si accompagnasse l’effetto positivo di imporre come sicuramente esistente il diritto, lo status o il rapporto oggetto di giudicato. Le ripercussioni processuali e sostanziali della consumazione dell’azione si affinarono nel passaggio al processo formulare, nell’ambito del quale nacque l’exceptio rei iudicatae, quale espediente processuale per rimediare alla circostanza che l’assenza dei requisiti formali propri delle legis actiones impediva al processo formulare di produrre direttamente l’estinzione del rapporto fatto valere. La definitività della sentenza trovava per contro un limite nella sua validità, giacché si ammetteva che la sentenza fosse considerata nulla per motivi di natura processuale, tra i quali veniva compreso il difetto di giurisdizione e di competenza. Nella perdurante assenza di strumenti di impugnazione, si ammetteva che questa nullità fosse fatta valere in qualunque momento. Nel III sec. d.C. le soluzioni fino a quel momento emerse venivano sistematizzate in una sia pur embrionale teoria. L’invalidità della sentenza per motivi processuali veniva estesa nella extraordinaria

cognitio anche a vizi di natura sostanziale e, in particolare, all’inosservanza delle costituzioni

imperiali; su quest’ultimo punto si tornerà nelle conclusioni della tesi. Per una ricostruzione storica dell’evoluzione dell’istituto, v. E. BETTI, voce Regiudicata (diritto romano), in

Noviss. dig. it., vol. XV, Torino, UTET, 1998, 216, G. PUGLIESE, voce Giudicato civile

(storia), in Enc. dir., vol. XVIII, Milano, Giuffrè, 1969, 727 ss., P. CALAMANDREI, La

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alla necessità che la disciplina giuridica del rapporto sia tratta da quanto disposto nella sentenza (c.d. funzione positiva). Il divieto di bis in idem opera nell’ipotesi di identità di parti, petitum e causa pendendi tra vecchio e nuovo giudizio, impedendo la celebrazione del secondo. L’obbligo di assumere come incontestabile la statuizione sui cui si è formato il giudicato si realizza invece nei casi in cui i due giudizi siano legati da un rapporto di pregiudizialità o di dipendenza.

Giudicato formale e sostanziale possono in realtà essere considerati due aspetti diversi di un unico fenomeno giuridico11. La tendenziale immutabilità, caratteristica dell’accertamento giudiziale passato in giudicato, qualifica, sotto il profilo processuale, l’atto-sentenza e, sotto il profilo sostanziale, il contenuto dell’atto, la sua attitudine a produrre effetti sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio12. Ricostruiti i fatti di causa nel modo più esatto possibile attraverso l’utilizzo degli strumenti dell’istruzione e individuata la corretta qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio alla stregua del diritto vigente, il giudice dichiara nella sentenza qual è a suo giudizio la situazione dei rapporti esistenti tra le parti. E poiché egli non è una persona qualsiasi che indaga sui fatti del passato, ma è l’organo istituito dall’ordine giuridico per rendere giustizia, tale dichiarazione esprime, in un rapporto di reciproca implicazione tra diritto e processo, “la configurazione che l’ordine giuridico ha dato al rapporto controverso”13.

Tale concezione “monistica” del giudicato appare funzionale a un’indagine che punti ad analizzare la rilevanza costituzionale dell’istituto, perché ne colloca la sua essenza sul piano dell’ordinamento giuridico generale14. Ai fini del presente studio, pertanto, il giudicato può essere

11 Cfr. G. PUGLIESE, voce Giudicato civile (diritto vigente), in Enc. dir., vol. XVIII, Milano,

Giuffrè, 1969, 797.

12 In questo senso E.T. LIEBMAN, voce Giudicato (diritto processuale civile), in Enc. Giur.

Treccani, vol. XVI, Roma, 1989, 2.

13 E.T. LIEBMAN, voce Giudicato (diritto processuale civile), cit., 8.

14 Occorre precisare che la natura dell’istituto è stata oggetto di estese e raffinatissime

ricostruzioni dottrinali, di cui non è possibile dar conto in questa sede se non per sommari capi. In estrema sintesi e rinviando alle trattazioni monografiche per maggiori approfondimenti, mentre in Germania si sviluppò a partire da Savigny una concezione sostanziale della Rechtskraft, intesa come finzione di verità e, successivamente, come creazione attraverso il fatto processuale del giudicato di una nuova situazione giuridica, in Francia si diffuse, grazie al recepimento della concezione di Pothier nel code civil, una

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definito come la stabile configurazione che l’ordinamento giuridico statale imprime a quanto ha costituito oggetto di un giudizio, pel tramite della tendenziale irretrattabilità dell’atto che la contiene.

3. I “giudicati” nel diritto positivo: esperienze giuridiche interessate dall’indagine e trasversalità dell’ambito di ricerca all’interno del diritto italiano.

La definizione che si è assunta come proposta di lavoro è volutamente generica perché deve poter abbracciare limitazioni al giudicato interno emerse nel contesto di sistemi normativi che si rivolgono a una pluralità di Stati e che pertanto fanno uso di nozioni che non trovano un’immediata corrispondenza negli ordinamenti nazionali. A ben guardare, però, il diritto positivo conosce non un “giudicato”, ma una pluralità di “giudicati” che presentano significative e profonde differenze tra loro. Occorre quindi precisare ulteriormente l’oggetto di analisi.

Anzitutto, già da quanto precede dovrebbe risultare chiaro che l’indagine proposta concerne il solo giudicato statale, con esclusione, quindi, dei giudicati che si formano a seguito di sentenze dei tribunali dell’Unione europea o della Corte europea dei diritti dell’uomo e, in generale, di istanze giurisdizionali internazionali. In secondo luogo, occorre precisare che, nonostante la comune derivazione romanistica e le reciproche influenze nella ricostruzione dottrinale dell’istituto, gli ordinamenti europei hanno

concezione dell’autorité de la chose jugée come présomption légale, inserita all’interno della trattazione delle prove delle obbligazioni. In Italia, l’originaria influenza francese dovuta all’introduzione di codici civili modellati su quello francese conobbe una battuta d’arresto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, nel quadro del più generale passaggio dei giuristi italiani dall’orbita dottrinale francese a quella tedesca. Teoria sostanziale e teoria processuale del giudicato divennero quindi oggetto di un acceso dibattito sulla natura dell’istituto, che trovò un immaginario punto di arrivo nel duplice riconoscimento, da parte dei codici del ‘42, della cosa giudicata sostanziale nell’art. 2909 cod. civ. e del giudicato formale nell’art. 324 cod. proc. civ. L’insoddisfazione per la contrapposizione tra teoria sostanziale e teoria formale ha portato, a partire dagli anni ‘50, alla diffusione di teorie “monistiche”, cui, per le ragioni esplicitate nel testo, si ritiene opportuno aderire. La letteratura sull’istituto è pressoché sterminata. Per una ricostruzione generale, v. E.T. LIEBMAN, voce Giudicato

(diritto processuale civile), cit., G. LOZZI, voce Giudicato (dir. pen.), in Enc. dir., vol. XVIII,

Milano, Giuffrè, 1969, 912 ss.; G. PUGLIESE, voce Giudicato civile (storia), cit., 727 ss.; G.

PUGLIESE, voce Giudicato civile (diritto vigente), cit., 785 ss.; N. TROCKER, voce Giudicato

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disciplinato il giudicato e i suoi effetti con un’ampia varietà di soluzioni15. Così, ad esempio, diversa si presenta nei vari sistemi giuridici la disciplina dell’estensione soggettiva e oggettiva del giudicato, del suo rapporto con l’esperibilità dei rimedi di impugnazione ordinari16, delle ipotesi del suo superamento pel tramite di strumenti di impugnazione straordinari. Poiché un’analisi comparatistica della disciplina positiva dei diversi ordinamenti europei fuoriesce dagli obiettivi della ricerca, la nozione di giudicato sarà riferita a quella recepita nel diritto positivo italiano, fatte salve, evidentemente, puntuali indicazioni relative ad altri ordinamenti che si renderanno necessarie nel corso della trattazione.

Ancorché limitata al solo giudicato statale italiano, l’indagine si trova ancora a confrontarsi con una pluralità di giudicati, in ragione del carattere trasversale dell’istituto e della circostanza che la normativa che lo riguarda si declina diversamente a seconda del ramo del diritto in cui esso è chiamato a operare. Sulle peculiarità che l’istituto assume nel campo del diritto civile, penale, amministrativo, tributario e costituzionale si sono prodotti approfonditi studi monografici, cui, in queste sede, necessariamente si rimanda17. Esula infatti dagli obiettivi della ricerca una disamina analitica

15 Oggetto, peraltro, di accurate indagini di diritto comparato. Fra le principali, cfr. A.

ZEUNER,H.KOCH, Effects of Judgements (Res Judicata), in M. CAPPELLETTI (a cura di), Civil

Procedure, in International Encyclopedia of Comparative Law, Vol. XVI, Tübingen –

Leiden – Boston, Mohr Siebeck – Matinus Nijhoff Publishers, 2012; N. TROCKER, voce

Giudicato (diritto comparato e straniero), cit., e la bibliografia ivi citata a p. 5; G. PUGLIESE,

voce Giudicato civile (diritto vigente), cit., 785 ss.

16 Peculiare all’ordinamento francese è, ad esempio, la circostanza che la cosa giudicata sorga

nel momento dell’emanazione della sentenza e, dunque, anche se questa è ancora impugnabile con i mezzi ordinari; l’impugnazione tuttavia la sospende e, se ha esito vittorioso, può eliminarla del tutto.

17 In particolare, sul giudicato civile, v. E.T. LIEBMAN, voce Giudicato (diritto processuale

civile), cit., G. PUGLIESE, voce Giudicato civile (diritto vigente), cit., 785 ss. Con specifico

riferimento al giudicato penale v. G. DE LUCA, voce Giudicato (diritto processuale penale),

in Enc. Giur. Treccani, vol. XVI, Roma, 1989, G. LOZZI, voce Giudicato (dir. pen.), cit., 912 ss. Sul giudicato amministrativo v. F. BENVENUTI, voce Giudicato (dir. amm.), in Enc. dir., vol. XVIII, Milano, Giuffrè, 1969, 893 ss., C. CALABRÒ, voce Giudicato (diritto processuale

amministrativo), in Enc. Giur. Treccani, vol. XVI, Roma, 198 ss., M. CLARICH, Giudicato e

potere amministrativo, Padova, Cedam, 1989, P.M. VIPIANA, Contributo allo studio del

giudicato amministrativo. Profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica,

Milano, Giuffrè, 1990; sul giudicato tributario v. C. GLENDI, voce Giudicato (diritto

tributario), in Enc. Giur. Treccani, vol. XVI, Roma, 1989. Sul giudicato costituzionale o, più

correttamente, sui giudicati costituzionali, diversi essendo gli effetti delle pronunce della Corte a seconda della competenza in concreto esercitata, v. F. DAL CANTO,Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, Giappichelli, 2002; per un punto di vista critico

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delle singole discipline settoriali. Nondimeno, l’indagine dovrà necessariamente abbracciare tutte le manifestazioni dell’istituto nell’ordinamento giuridico nazionale, sulla base del presupposto che le esigenze di certezza e stabilità dei rapporti giuridici sottese all’irretrattabilità delle sentenze definitive ne giustificano, sul piano del diritto costituzionale, una considerazione unitaria. Ciò non toglie che alcune delle fondamentali differenze che il giudicato assume nel calarsi nella realtà dei diversi settori dell’ordinamento dovranno essere opportunamente valorizzate nel corso della trattazione, ove costituiranno oggetto dei necessari approfondimenti.

della nozione, v. A. CERRI, Appunti sul c.d. “giudicato costituzionale”, in F. MODUGNO (a cura di), Giudicato e funzione legislativa, in Giur. it., 2009, 2831 ss.

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CAPITOLO PRIMO

Il giudicato e l’avvento dello Stato costituzionale di diritto:

incontri e scontri

1

1. Premessa.

La chiave di lettura che qui si propone dei cambiamenti che il giudicato ha subito all’indomani del secondo dopoguerra, con l’avvento delle carte costituzionali, riconduce tali trasformazioni alla complessità del rapporto tra Stato di diritto e Stato costituzionale di diritto.

A uno sguardo iniziale, infatti, quest’ultimo potrebbe apparire null’altro che il coerente sviluppo del primo, giacché l’introduzione della nuova legalità costituzionale come parametro ultimo cui commisurare l’azione dei pubblici poteri rafforza e porta alle sue estreme conseguenze (imbrigliandovi lo stesso legislatore2) il principio di legalità. Tuttavia, come autorevole dottrina ha osservato3, la circostanza storica che legalità legale e legalità costituzionale non si siano formate come parti di un tutto coerente, ma che la seconda si sia piuttosto soprapposta alla prima, ha fatto sì che i rapporti tra le due legalità talvolta fatichino a trovare un punto di composizione.

1 Il titolo di questo capitolo è ripreso dal bel contributo di R. CAPONI, Giudicato civile e

diritto costituzionale: incontri e scontri, in F. MODUGNO (a cura di), Giudicato e funzione

legislativa, in Giur. it., 2009, 2827 ss., di cui si condivide l’impostazione di massima e che

ha costituito un imprescindibile punto di partenza per le riflessioni qui sviluppate. Agli “incontri e scontri” tra giudicato e diritto (nonché giustizia) costituzionale l’illustre Autore si riferisce anche nel contesto di un più ampio studio su Corti europee e giudicati nazionali, cit., 239 ss., spec. alle pp. 303 ss.

2 In questo senso, R. BIN, Lo Stato di diritto, Bologna, Il Mulino, 2004, 58, rileva che “la

trasformazione dello Stato di diritto in uno Stato costituzionale non compromette affatto l’architettura del primo, anzi tutt’altro. Il principio di legalità viene esteso e grava ora anche sul legislatore”.

3 M.LUCIANI, Su legalità costituzionale, legalità legale e unità dell’ordinamento, in AA.VV.,

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Non vi è dubbio, infatti, che la legalità costituzionale sia gerarchicamente sovraordinata alla legalità legale e conseguentemente destinata, in principio, a prevalere. Nondimeno, nel momento in cui è entrata in vigore, la Costituzione si è innestata su un sistema, quello dello Stato di diritto, che non solo era stato in precedenza compiutamente teorizzato, ma aveva già trovato pratica attuazione nelle istituzioni, ben radicato nella forma mentis degli operatori. Ecco, allora, emergere nella convivenza di questa doppia legalità “attriti o contraddizioni”, che l’interprete è chiamato a “pacificare”4.

Potrebbe aggiungersi che, in un certo senso, la complessità rilevata è già tutta interna allo Stato costituzionale di diritto che, per un verso, presuppone e si fa carico (anche) della protezione della legalità legale, dandovi un nuovo rilievo costituzionale; per l’altro, ne impone la rimozione quando ciò sia necessario a ristabilire la legalità costituzionale violata5.

Non sorprende allora che taluni istituti massimamente espressivi della legalità legale si trovino al crocevia di queste tensioni, assumendo nel disegno costituzionale all’un tempo una rinnovata posizione di centralità e meritevolezza di tutela e, sotto diverso profilo, nuove limitazioni volte a garantire la piena espansione della legalità costituzionale. Uno degli istituti su cui con maggior evidenza si scaricano tali frizioni è, all’evidenza, il giudicato.

Istituto storicamente volto a garantire la pace sociale, la definitiva cessazione delle liti, i limiti invalicabili della pretesa punitiva dello Stato nei confronti dell’individuo, il giudicato diviene oggetto di specifica rilevanza costituzionale per le prestazioni di certezza dei rapporti giuridici che è in grado di fornire. Vero è che la problematica della certezza emerge con

4 In questo senso, ancora, M.LUCIANI, Su legalità costituzionale, legalità legale e unità

dell’ordinamento, cit., 505, che individua taluni di questi strumenti, oltre che nell’esistenza

stessa della giustizia costituzionale, nell’obbligo di interpretazione conforme a Costituzione e nella dottrina del diritto vivente.

5 A tale riguardo, sottolinea l’esistenza di uno “stato di tensione o di sofferenza assiologica”

A. RUGGERI, La certezza del diritto al crocevia tra dinamiche della normazione ed

esperienze di giustizia costituzionale, in AA.VV., Le fonti del diritto, oggi. Giornate di studio

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particolare urgenza nello Stato di diritto6, nel contesto di un rinnovato rapporto tra governanti e governati7, caratterizzato dalla definitiva subordinazione dell’esercizio del potere pubblico alla rule of law e dalla centralità assegnata al rispetto (e, quindi, alla garanzia della certezza) della proprietà e della libertà personale. Nondimeno, e sebbene non si ritrovi nella carta fondamentale un’esplicita enunciazione che ne faccia oggetto di tutela, è evidente che la certezza assume valore fondante anche nello Stato costituzionale di diritto.

Senza voler qui entrare nel dibattito scientifico sul fondamento costituzionale della certezza e, in particolare, della sua declinazione soggettiva di affidamento8, ci si limita a ricordare che numerosi sono i precetti costituzionali che ne presuppongono la meritevolezza di tutela9 e che, in ogni

6 A ben vedere, come osserva P. CARNEVALE, I diritti, la legge e il principio di tutela del

legittimo affidamento nell’ordinamento italiano. Piccolo divertissement su alcune questioni di natura definitoria, in AA.VV., Scritti in onore di Alessandro Pace, III, Napoli, Editoriale

scientifica, 2012, 1937 s., nel contesto di una più ampia riflessione sui profili distintivi della certezza del diritto dalla tutela dell’affidamento, le esigenze di certezza sono in un certo senso intrinseche all’idea stessa di diritto e, quindi, fondamentalmente comuni a qualsiasi ordinamento giuridico in quanto tale. E’ nello Stato di diritto, tuttavia, che esse assurgono a valore fondante della comunità politica.

7 Riconduce all’“inconfessata premessa contrattualistica” sottesa alla legittimazione dello

Stato di diritto la centralità in esso assunta dalla certezza M. LUCIANI, Il dissolvimento della

retroattività. Una questione fondamentale del diritto intertemporale nella prospettiva delle vicende delle leggi di incentivazione economica, in Giur. it., 2007, 19.

8 Su cui specificamente si interroga P. CARNEVALE, La tutela del legittimo affidamento…

cerca casa, in Giur. cost., 2011, 25 ss., e ID., I diritti, la legge e il principio di tutela del

legittimo affidamento nell’ordinamento italiano. Piccolo divertissement su alcune questioni di natura definitoria, cit., 1960 ss., ricostruendo sinteticamente anche le diverse posizioni

emerse in dottrina.

9 Ne individua numerosi M. LUCIANI, Il dissolvimento della retroattività, cit., 20, nella

sovranità popolare di cui all’art. 1 Cost., intesa come potere di autodeterminazione; nell’inviolabilità dei diritti fondamentali riconosciuta dall’art. 2 Cost.; nel principio di libertà ricavabile dal disegno di emancipazione sociale tratteggiato nell’art. 3, comma 2, Cost.; nella tutela della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome di cui all’art. 22 Cost.; nella

precostituzione del giudice imposta dall’art. 25, comma 1, Cost.; nel principio nullum crimen, nulla poena sine lege sancito dall’art. 25, comma 2, Cost.; nella tutale previdenziale

offerta dall’art. 38, comma 2, Cost.; nei princìpi di libertà dell’iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.; nella tutela della proprietà e del risparmio garantita dagli art. 42, 43 e 47 Cost.; nel principio di capacità contributiva posto dall’art. 53 Cost.; nel dovere di osservanza delle leggi di cui all’art. 54 Cost. Altri riferimenti alla certezza potrebbero essere individuati, estendendo il discorso alla parte II della Costituzione, nella previsione, almeno in principio, di una vacatio legis che preceda l’entrata in vigore delle leggi, ai sensi dell’art. 73, comma 3, Cost.; nella fissazione di un termine relativamente breve per la conversione dei decreti-legge e nella facoltà riconosciuta alle Camere di regolare con decreti-legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti (art. 77, comma 3, Cost.); nell’obbligo in capo alle leggi che introducono nuove spese di indicare i mezzi per farvi fronte (art. 81 Cost.); nella soggezione dei giudici soltanto alla legge (art. 101, comma 2, Cost.); nell’obbligo di esercizio

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caso, è ormai un topos della giustizia costituzionale l’utilizzo della certezza quale parametro nel sindacato di legittimità delle leggi10. Il giudicato, dunque, quale strumento di certezza dei rapporti giuridici riceve nuova protezione nel quadro del sistema delle garanzie costituzionali11.

A ciò deve aggiungersi che la carta costituzionale ha offerto a talune garanzie relative all’esercizio della funzione giurisdizionale e al processo lo status di diritti fondamentali, sicché il giudicato ha assunto rilievo costituzionale anche sotto il profilo della tutela delle posizioni giuridiche soggettive. Il diritto di difesa, proclamato inviolabile dall’art. 24 Cost., sarebbe ridotto a poco più che a un flatus vocis se il risultato ottenuto dalle parti per mezzo della loro attività processuale potesse essere revocato in dubbio in qualsiasi momento. Inoltre, poiché, ai sensi dell’art. 111 Cost., tale diritto deve esercitarsi nell’ambito del giusto processo, i pubblici poteri sono tenuti a garantirne la definizione nel rispetto del principio della ragionevole durata e della (quantomeno tendenziale) definitività del giudizio instaurato innanzi la Corte di cassazione contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale.

Lo stesso divieto di bis in idem, ricavato in via sistematica dalle garanzie costituzionali in materia di processo penale e di finalità della pena ed esplicitamente tutelato dall’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU e dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (e quindi forte

dell’azione penale, di cui all’art. 112 Cost.; nella previsione che, quando la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale di una legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, ai sensi dell’art. 136 Cost.; nel procedimento aggravato di revisione costituzionale di cui all’art. 138 Cost.

10 Sul punto, v. P. DAMIANI, La certezza del diritto come parametro nei giudizi di

costituzionalità. Le esperienze italiana e spagnola a confronto, in Giur. cost., 1999, 2359,

per l’interessante comparazione tra quanto sperimentato nell’ordinamento costituzionale spagnolo, dotato di un’esplicita tutela costituzionale della seguridad jurídica, e i risultati, sostanzialmente coincidenti, raggiunti in via interpretativa dalla Corte costituzionale italiana. Ancora, sull’utilizzo della certezza come parametro nei giudizi di legittimità costituzionale, questa volta sotto l’angolo visuale dei rapporti con l’ordinamento dell’Unione euroopea, cfr. E. CASTORINA, “Certezza del diritto” e ordinamento europeo: riflessioni intorno ad un

principio “comune”, in G.PITRUZZELLA,F.TERESI,G.VERDE (a cura di), Il parametro nel

giudizio di costituzionalità, Torino, Giappichelli, 2000, 279 ss.

11 E’ indicativo, del resto, che lo stesso giudizio di costituzionalità, quale processo, ha

recepito e si è avvalso dell’istituto del giudicato per ricostruire alcuni peculiari effetti di vincolo delle pronunce della Corte costituzionale; per un’approfondita indagine monografica sul tema, v. F.DAL CANTO, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit.

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della copertura costituzionale offerta dagli artt. 11 e 117, comma 1, Cost.), circoscrive il perimetro della pretesa punitiva dello Stato a un unico processo, impedendo di tornare a perseguire i medesimi fatti dopo che su di essi si sia pronunciato un provvedimento giudiziario definitivo.

Come si è anticipato, però, le ripercussioni dell’avvento dello Stato costituzionale di diritto sul giudicato non sono unidirezionalmente dirette al recepimento e rafforzamento delle istanze di certezza di cui l’istituto si fa promotore. Il giudicato, infatti, “come tradizionale presidio di stabilità dell’applicazione giudiziale della legge ordinaria”12, si scontra con la sovrapposizione della legalità costituzionale alla legalità legale e, quindi, anzitutto, con la necessità di far convivere l’accertamento definitivo dei rapporti giuridici contenuto nelle sentenze con la legalità costituzionale di recente introduzione13.

La questione degli effetti che i rapporti tra Stato di diritto e Stato costituzionale di diritto producono sull’istituto del giudicato, però, non attiene soltanto alla sovrapposizione di diversi livelli normativi, ma si nutre altresì dell’inserimento nell’ordinamento giuridico di nuove istituzioni, che interagiscono ed entrano in competizione con quelle preesistenti all’entrata in vigore della Costituzione. E’ evidente, infatti, che in questo quadro un ruolo di grande rilevanza assume l’introduzione della giustizia costituzionale. La circostanza che le funzioni di giudice costituzionale siano affidate a un organo ad hoc comporta la necessità di armonizzare gli effetti delle sue pronunce con quelle dei giudici comuni che abbiano già acquisito la forza di cosa giudicata.

L’analisi di questi effetti, tutt’altro che scontati nonostante la posizione di preminenza gerarchica della Costituzione nel sistema delle fonti, occupa la seconda parte di questo capitolo. In primo luogo, si impone la verifica delle ripercussioni sui cc.dd. rapporti esauriti delle sentenze di accoglimento delle

12 R. CAPONI, Corti europee e giudicati nazionali, cit., 258.

13 Il conflitto tra certezza e legalità costituzionale è percepito con particolare gravità da V.E.

ORLANDO, Teoria giuridica delle guarentigie della libertà, in Biblioteca di scienze politiche,

dir. da A. Brunialti, vol. V, Torino, Unione tipografico-editrice, 1890, 956 s. Secondo l’illustre Autore, il sindacato giurisdizionale delle leggi sarebbe in sé foriero di “quella

incertezza del diritto che è vanto dello Stato moderno di avere accuratamente evitato”, in

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questioni di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge. A questo proposito, il punto di equilibrio tra certezza dei rapporti esauriti e massima espansione della legalità costituzionale va anzitutto individuato sul piano formale, in rapporto al regime dell’invalidità della norma incostituzionale. A ciò si deve aggiungere un’indagine di tipo sostanziale, volta all’individuazione di diritti e princìpi costituzionali talmente fondanti da dover necessariamente prevalere sulle istanze di certezza sottese al giudicato.

Occorre poi analizzare l’ipotesi in cui una sentenza definitiva venga a costituire oggetto di un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato o tra lo Stato e le Regioni, all’esito del quale la Corte costituzionale direttamente annulli il provvedimento se emesso in violazione della ripartizione delle attribuzioni dei diversi poteri dello Stato o degli enti territoriali.

Da ultimo, sebbene lo strumento non sia stato recepito nel nostro ordinamento, si esamina quale ulteriore caso di attrito tra legalità costituzionale e giudicato il ricorso diretto al giudice costituzionale con cui si lamenta la violazione dei diritti fondamentali imputabile a provvedimenti giudiziari definitivi. Tale soluzione, infatti, sebbene non abbia trovato spazio nel nostro diritto positivo, è – al pari di quelle precedentemente menzionate – astrattamente dischiusa dall’introduzione di una carta fondamentale e di un judicial review delle sue violazioni. Lo studio di tale meccanismo, anche con l’ausilio della comparazione giuridica circa la sua concreta operatività negli ordinamenti al nostro più affini, appare particolarmente utile, come meglio si vedrà nel prosieguo del lavoro, per l’analisi del modello di ricorso individuale nell’ambito del sistema convenzionale di tutela dei diritti fondamentali.

2. La tutela costituzionale dell’istituto. 2.1. Il giudicato in assemblea costituente.

La Costituzione non contiene alcun esplicito riferimento al giudicato, né alla necessità che la legislazione innovi l’ordinamento giuridico facendo salvi i rapporti giuridici già definiti mediante pronuncia giurisdizionale. Solo il divieto di bis in idem impedisce, limitatamente alla materia penale, che

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formino oggetto di nuovo procedimento giudiziario fatti sui quali sia già intervenuta una sentenza definitiva14.

Per la verità, la possibilità di inserire nel testo costituzionale un riferimento al giudicato è stata oggetto di dibattito in sede costituente. L’art. 4 del progetto Calamandrei, presentato per la discussione innanzi la seconda Sezione della seconda Sottocommissione15, intendeva infatti offrire la garanzia dell’“Immutabilità del giudicato”16 attraverso il divieto di modifica e sospensione dei suoi effetti, anche per mano del legislatore17.

Una proposta alternativa18 escludeva che la sentenza irrevocabile potesse essere annullata o modificata, “neppure con provvedimento legislativo”, salvo i casi di revocazione in materia civile o di revocazione in materia penale. Intendeva altresì porre il divieto di sospendere l’esecuzione delle sentenze irrevocabili, “se non nei casi previsti dalla legge”.

La discussione sul punto proseguiva il 14 dicembre 1946 e l’11 gennaio 1947. Nei vari interventi e nelle diverse proposte di modifica avanzate emergevano due punti fermi: la tutela costituzionale del giudicato era pensata principalmente in relazione a possibili abusi da parte del legislatore19; l’immutabilità delle sentenze irrevocabili non avrebbe dovuto essere di ostacolo alla legislazione penale di favore20. Il testo definitivo del progetto presentato per la discussione in Assemblea costituente recitava: “Art. 104. Le

14 Come si è visto, tale principio è da ricavare in via sistematica per quanto concerne i

parametri meramente interni, mentre trova espressa disciplina a livello convenzionale e sovranazionale, di talché gode, in ogni caso, della tutela offerta dagli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. Sul punto, nel contesto di una più ampia indagine circa il “valore” costituzionale del giudicato, v. G. SERGES, Il “valore” del giudicato nell’ordinamento costituzionale, in Studi

in onore di Alessandro Pace, Napoli, Editoriale scientifica, 2012, 2518 s.

15 Cfr. discussione del 13 dicembre 1946. Gli atti dell’Assemblea costituente sono reperibili

sul sito internet http://legislature.camera.it, per cui si farà d’ora in avanti riferimento solo al giorno della discussione.

16 Così era rubricato il progetto di articolo.

17 Il testo dell’articolo recitava: “Il giudicato, contro il quale non siano più sperimentabili i

rimedi giudiziari ammessi dalla legge, è immutabile; e non può essere modificato né sospeso nei suoi effetti, neanche dal potere legislativo”.

18 Articolo 11 del progetto della Cassazione, di cui si dava lettura nella medesima seduta del

13 dicembre 1946.

19 Fanno esplicito riferimento a un divieto nei confronti del legislatore Leone, Calamandrei

e Bozzi (che lo estende anche all’esecutivo).

20 In questo senso, si sottolineava la necessità di consentire non solo la piena retrovalutazione

dei fatti pregressi mediante legge penale abrogativa, ma altresì l’esercizio del potere di amnistia, indulto e grazia.

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sentenze non più soggette ad impugnazione di qualsiasi specie non possono essere annullate o modificate neppure per atto legislativo, salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia ed indulto. L’esecuzione di una sentenza irrevocabile non può essere sospesa se non nei casi previsti dalla legge”.

E’ interessante notare che, nel corso di una discussione sulla prima parte della Costituzione, vi fu chi sottolineò l’opportunità di collocare l’art. 104 nel titolo primo, relativo ai “Rapporti civili”. Ciò in quanto “non basta […] garantire il diritto alla difesa e stabilire il principio nulla poena sine lege e quello della non retroattività. Occorre anche garantire la irretrattabilità della sentenza passata in cosa giudicata”21. Il giudicato, dunque, ancor più che istituto da ricondurre all’esercizio della funzione giurisdizionale avrebbe costituito una “garanzia categorica e imprescindibile” a tutela del cittadino22. Nella seduta pomeridiana del 26 novembre 2017 Targetti proponeva la soppressione dell’intera Sezione relativa alle Norme sulla giurisdizione (articoli 101 – 105), in quanto riteneva che i princìpi ivi descritti avrebbero trovato più adeguata collocazione a livello di legislazione ordinaria. Di fronte alla provocazione di Targetti, che si chiedeva quale mai avrebbe potuto essere l’ipotesi di una legge che avesse inteso rendere non più definitiva una determinata sentenza, Crispi portava l’esempio delle leggi con cui, pochi mesi prima, erano state sospese, privandole dunque di qualsiasi effetto, sentenze di sfratto definitive23. Probabilmente proprio il richiamo a questa recente esperienza fece prevalere sulle esigenze di certezza emerse nella discussione il timore che una previsione costituzionale che precludesse qualsiasi tipo di intervento legislativo sulle sentenze definitive avrebbe imposto un vincolo eccessivamente rigido per il legislatore24. Si affermò piuttosto l’idea che, tutto

21 Così, Crispi nella seduta del 26 marzo 1947, facendo riferimento “all’esperienza tragica

che noi abbiamo vissuto”, in cui, “se i giudicati sono stati posti nel nulla, questo fatto si è giustificato con un richiamo a quel regime di violenza permanente, a quello spirito di faziosità, al quale per avventura i giudici e le sentenze erano stati ispirati”.

22 Ibid.

23 Intervento di Crispi.

24 In questo senso anche G. MATUCCI, Giudicato civile e declaratoria d’incostituzionalità, in

E.BINDI,M.PERINI,A.PISANESCHI (a cura di), I principi generali del processo comune e i

loro adattamenti alle esperienze della giustizia costituzionale, Torino, Giappichelli, 2008,

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sommato, le esigenze di certezza sottese all’istituto avrebbero trovato ausbergo nella disciplina del processo posta a livello primario e nelle categorizzazioni della dottrina processualcivilistica25. Sicché, nella seduta pomeridiana del giorno successivo, la proposta di soppressione dell’art. 104 Cost. venne accolta.

Una sorte analoga toccò al tentativo di introdurre nel testo costituzionale un principio generale di irretroattività della legge che garantisse l’intangibilità dei diritti quesiti. La proposta di Dominedò volta a introdurre la regola che “La legge dispone per l’avvenire: essa non ha efficacia retroattiva nei confronti dei diritti quesiti”26, incontrò la resistenza di chi, pur ritenendo “indiscutibile” il principio di irretroattività della legge in materia penale, metteva in guardia sulla necessità di “procedere con estrema cautela” quanto alla sua trasposizione in materia civile27. In particolare, sebbene si riteneva che fosse fuor di dubbio che il principio generale della irretroattività avrebbe dovuto guidare tutta l’attività legislativa, il carattere specifico di mobilità che caratterizza e distingue il campo del diritto privato avrebbe consigliato di rimettere alla prudenza del legislatore la scelta di rispettare, nel caso concreto, i diritti quesiti. Per un verso, infatti, si manifestava l’opportunità di non cristallizzare o incatenare in formule rigide il legislatore, “specie in materia di diritti sociali”. Per l’altro, un eccessivo irrigidimento del suo spazio di manovra nella valutazione dei rapporti tra interesse generale e diritti quesiti avrebbe sottoposto “tutto l’apparato costituzionale a una vicenda continua di rifacimenti che metterebbero in forse la stessa stabilità della nostra carta fondamentale” 28.

Tanto il tentativo di introdurre un riferimento esplicito al giudicato quanto la proposta di estendere il principio di irretroattività della legge alla materia civile, dunque, non ebbero successo, per il timore che previsioni

25 Sottolinea questo aspetto G. SERGES, Il “valore” del giudicato nell’ordinamento

costituzionale, cit., 2505.

26 Proposta di art. 19-bis, avanzata nella seduta antimeridiana dell’Assemblea costituente del

15 aprile 1947.

27 Intervento di Tupini, ibid. 28 Ibid.

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siffatte avrebbero costituito un vincolo eccessivamente rigido per il legislatore.

2.2. La rilevanza costituzionale del giudicato nella dottrina.

In assenza di un dato normativo esplicito, la dottrina ha tardato a riconoscere l’esistenza di un vero e proprio statuto costituzionale del giudicato. Negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della Costituzione, il tema è emerso nell’ambito di un più ampio dibattito sui limiti costituzionali alla legislazione retroattiva e, in questa prospettiva, sembra aver scontato la diffusa reticenza ad ammetterne la sussistenza.

Il dibattito prendeva le mosse dalla constatazione che la Costituzione, nell’art. 25, comma 2, avesse imposto al legislatore il rispetto del principio di irretroattività soltanto in materia penale. Nell’ambito del diritto civile e amministrativo, invece, la regola contenuta nell’art. 11 delle disp. prel. cod. civ., proprio perché inserita in un atto normativo di livello primario, si sarebbe limitata a esprimere un principio inerente “alle regole di una corretta politica legislativa”29, in ogni caso non riconducibile all’ambito “della pura legittimità costituzionale”30. Ad avviso dei primi commentatori, inoltre, la tesi della necessaria irretroattività della legislazione avrebbe scambiato per un problema di teoria generale quella che invece rimaneva fondamentalmente una questione di diritto positivo, da risolvere attraverso i comuni canoni ermeneutici. In particolare, anche a voler ammettere che l’art. 11 disp. prel. cod. civ. creasse una presunzione di irretroattività delle norme di legge, il legislatore avrebbe potuto superarla sia pel tramite di un’espressa norma transitoria che chiarisse la portata degli effetti della nuova disciplina sui fatti pregressi, sia, implicitamente, sulla scorta di un’interpretazione sistematica della legge che combinasse la regola di cui all’art. 11 disp. prel. cod. civ. con i criteri ermeneutici indicati nel successivo art. 12. Ciò avrebbe consentito di ricostruire in via interpretativa la retroattività della disciplina in tutti quei casi in cui la formulazione della legge fosse stata tale che, se interpretata

29 A.M. SANDULLI, Il principio della irretroattività delle leggi e la costituzione, in Foro

amm., 1947, II, 1, 82.

30 G. AZZARITI, Il principio della irretroattività della legge e i suoi riflessi di carattere

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irretroattivamente, essa avrebbe perso, “in tutto o in parte, il proprio significato”, rivelandosi inidonea al raggiungimento delle proprie “finalità”31. In questo contesto, il discorso sul giudicato rilevava come ipotesi-limite di intervento retroattivo massimamente incidente sui rapporti pregressi32. Così, nel contesto di riscostruzioni che negavano spazio al principio di irretroattività della legislazione al di fuori della materia penale, nel caso di intervento retroattivo che intendesse travolgere l’efficacia delle sentenze dei giudici si prospettava la violazione del (diverso) principio della divisione dei poteri 33.

Secondo altra dottrina, la separazione dei poteri avrebbe potuto essere invocata solo una volta che si fossero ben distinti gli effetti che direttamente ineriscono all’atto giurisdizionale da quelli invece riconducibili alla disciplina giuridica del rapporto. Lesiva dell’esercizio della funzione giudiziaria sarebbe stata solo l’interferenza del legislatore sull’azione specifica del comando giurisdizionale, mentre un intervento che si fosse limitato a innovare la disciplina normativa avrebbe inciso solo indirettamente sulle sentenze definitive. Lesiva della separazione dei poteri sarebbe stata allora una legge che, a ordinamento giuridico immutato, annullasse o modificasse delle sentenze passate in giudicato34. Di converso, legittimo

31 L. PALADIN, Appunti sul principio di irretroattività delle leggi, in Foro amm., 1959, 947

s.

32 Non interessa in questa sede soffermarsi sulla problematica nozione di “retroattività”,

concetto assai sfuggente e del quale autorevole dottrina ha auspicato addirittura l’abbandono, dimostrandone il “dissolvimento” non appena si assuma la prospettiva, metodologicamente più corretta, della “retrovalutazione giuridica” del passato; cfr. M. LUCIANI, Il dissolvimento

della retroattività, cit., 5. Ai fini del presente studio, è sufficiente osservare che coloro che

discorrono di retroattività della legislazione unanimemente vi fanno rientrare l’intervento legislativo che travolga i rapporti giuridici coperti da giudicato, indicando anzi tale ipotesi come quella in cui la retroattività assume il più intenso grado di incisività sui rapporti pregressi. Di “iperretroattività”, in particolare, parla L. ANTONINI, Manovra fiscale: proroga

di termini di decadenza scaduti. Retroattività irragionevole?, in Giur. cost., 1990, 1321; in

termini di “retroattività aggravata” si esprime invece R. CAPONI, L’efficacia del giudicato

civile nel tempo, Milano, Giuffrè, 1991, 308. Similmente, ma sotto la diversa prospettiva

metodologica cui prima si faceva cenno, si è parlato di “retrocancellazione” dei rapporti esauriti, proprio a sottolinearne la particolare incisività rispetto ad altri tipi di retrovalutazione; M. LUCIANI, Il dissolvimento della retroattività, cit., 16.

33 G. AZZARITI, Il principio della irretroattività della legge e i suoi riflessi di carattere

costituzionale, cit., 629.

34 Un caso a questo assimilabile potrebbe essere quello del decreto-legge che, pur innovando

l’ordinamento giuridico nel suo complesso, fondi la straordinaria necessità ed urgenza del provvedere proprio nella volontà politica del Governo di superare una pronuncia giurisdizionale; in tempi relativamente recenti ciò è avvenuto nel noto caso della sospensione

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sarebbe stato l’intervento del legislatore volto a introdurre con forza retroattiva un’innovazione nell’ordinamento giuridico35.

Ancora, secondo altro Autore, la legge che avesse inteso porre nel nulla gli effetti delle sentenze sarebbe stata incostituzionale non per violazione di un principio di intangibilità della cosa giudicata, ritenuto insussistente, ma perché lesiva del divieto di leggi personali36.

Negli anni ‘70, nell’ambito di un più ampio studio monografico sul tema dell’irretroattività delle leggi, Grottanelli de’ Santi aderiva alle tesi che vincolavano lo ius superveniens retroattivo al rispetto del giudicato, ma nel senso di ritenere vietate soltanto le leggi personali e la diretta incidenza sulle sentenze ad ordinamento giuridico immutato37. Allo stesso tempo, l’Autore mutava in parte i termini della questione, perché riconosceva che il problema del giudicato andava affrontato, in linea con la ratio sottesa all’istituto, dal punto di vista di una “fondamentale, eppure non del tutto invalicabile, esigenza di certezza del diritto”, piuttosto che quale “limite espressamente e specificamente posto al legislatore” 38.

Il parametro della certezza veniva poi declinato nel suo profilo soggettivo da chi, negata una tutela costituzionale al giudicato in quanto tale, rintracciava nel principio di affidamento, quale corollario dei princìpi di ragionevolezza ed eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., un limite alla legislazione che intendesse privare di efficacia le sentenze definitive39.

Dal tema della retroattività/irretroattività della legge, il baricentro della riflessione scientifica si sposta dunque sul connesso, ma distinto, problema dell’esigenza di apprestare una tutela alla certezza dei rapporti giuridici,

dell’alimentazione artificiale di una ragazza da anni in stato di coma vegetativo, autorizzata da provvedimento giudiziario divenuto definitivo (ancorché emanato in un procedimento di volontaria giurisdizione). Il tentativo di bloccare tale sospensione è poi fallito per il rifiuto del Presidente della Repubblica di emanare il decreto. Sulla vicenda si rinvia, su tutti, a M. LUCIANI, L’emanazione presidenziale dei decreti-legge (spunti a partire dal caso E.), in

Politica del diritto, 2009, 409 ss.; G. SERGES, Il rifiuto assoluto di emanazione del decreto

legge, in Giur. cost., 2009, 469 ss. e R. CAPONI,A.PROTO PISANI, Il caso E.: brevi riflessioni

dalla prospettiva del processo civile, in Foro it., 2009, I, 984 ss.

35 A.M. SANDULLI, Il principio della irretroattività delle leggi e la costituzione, cit., 84 s. 36 L. PALADIN, Appunti sul principio di irretroattività delle leggi, cit., 950.

37 G. GROTTANELLI DÈ SANTI, Profili costituzionali della irretroattività delle leggi, Milano,

Giuffrè, 1970, 64 s.

38 G. GROTTANELLI DÈ SANTI, Profili costituzionali della irretroattività delle leggi, cit., 59. 39 A. PIZZORUSSO, Riproposizione di decreto legge non convertito, in Giust. civ., 1984, 2583.

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specie, ma non solo, nella prospettiva soggettiva dell’affidamento40. Con la conseguenza che la retrovalutazione giuridica del passato, astrattamente sempre ammessa, incontra e deve essere bilanciata con la nozione di affidamento meritevole, allo scopo di verificare fino a che punto, in concreto, il pregiudizio all’affidamento sia “tollerabile”41.

In questo contesto, il bilanciamento può essere immaginato come la linea che attraversa un piano cartesiano in cui sull’asse delle ascisse si collocano le (crescenti) esigenze di certezza/affidamento e su quello delle ordinate i beni o principi (da quelli meramente leciti a quelli di pregio costituzionale) che il legislatore intende perseguire innovando, anche per il passato, l’ordinamento giuridico. Nel caso di un rapporto coperto dal giudicato, la tendenziale immutabilità che l’ordinamento gli riconosce porta a ritenere particolarmente pregnanti le esigenze di certezza e massimo il grado di meritevolezza dell’affidamento nei suoi effetti sostanziali42.

Pertanto, volendo trarre le fila di quanto fin qui esposto, porrebbe osservarsi che, in assenza in un’esplicita disposizione costituzionale che disciplini il giudicato, la stabilità dell’accertamento relativo al rapporto giuridico dedotto in giudizio riceve dalla Costituzione una tutela che è qualitativamente identica a quella garantita, in generale, alle posizioni giuridiche dotate di stabilità (poco importa se per effetto del mero passaggio del tempo o del verificarsi di un fatto istantaneo cui l’ordinamento riconduce un particolare consolidamento); e che tuttavia se ne differenzia, sul piano quantitativo, per il grado (massimo) di stabilizzazione raggiunta. Con la conseguenza che, per superare il vaglio di costituzionalità, una norma di legge

40 Emblematico di questo mutamento di prospettiva è il già citato contributo di M. LUCIANI,

Il dissolvimento della retroattività, cit., 10, ove si osserva che il principio di irretroattività

“non è che un precipitato dei (distinti, ma connessi) princìpi di certezza e affidamento, riguardati nella prospettiva del rapporto fra diritto e tempo”.

41 In questo senso ancora M. LUCIANI, Il dissolvimento della retroattività, cit., 13. Sulla tutela

del legittimo affidamento come risultato del bilanciamento fra interesse pubblico e posizione privata v. P. CARNEVALE, I diritti, la legge e il principio di tutela del legittimo affidamento

nell’ordinamento italiano. Piccolo divertissement su alcune questioni di natura definitoria,

cit., 1933.

42 Così, ad esempio, M. LUCIANI, Il dissolvimento della retroattività, cit., 16, nt. 95, rileva

che “la legittimità di una legge incidente nel giudicato dovrebbe essere valutata con particolare severità”; Di una “presunzione di incostituzionalità molto forte, quasi assoluta” parla, a questo proposito, L. ANTONINI, Manovra fiscale: proroga di termini di decadenza

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