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Invecchiamento:fisiologia e patologia C 8

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Academic year: 2022

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Invecchiamento: fisiologia e patologia

Claudio Doglioni

Senectus ipsa morbus, la famosa frase di Terenzio, va sicuramente oggi rimeditata.

L’allungamento della vita media umana e le più recenti acquisizioni sui complessi mec- canismi biologici che governano la vita, sia delle singole cellule che degli organismi multicellulari, con ordini di complessità crescenti dal nematode Cenorhabditis elegans all’uomo, ci impongono un ripensamento e una rivalutazione del significato biologico dell’invecchiamento.

Il confine fra invecchiamento e malattie legate all’invecchiamento è spesso assai sot- tile e incerto: è però opportuno mantenere una netta distinzione, almeno dal punto di vista concettuale, per poter meglio comprendere i complessi fenomeni biologici che regolano la senescenza sia della singola cellula che di organismi complessi. L’invec- chiamento non va considerato di per sé una malattia, anche se facilita la comparsa di alte- razioni patologiche correlate all’età quali l’aterosclerosi, il diabete, le osteoartropatie involutive, le malattie degenerative del sistema nervoso centrale e dell’apparato visivo e il cancro. L’invecchiamento è un processo fisiologico che coinvolge i singoli costi- tuenti cellulari e si ripercuote nei sistemi cellulari più complessi modificandone le inte- razioni e creando nuovi, a volte precari, equilibri. Questo processo è condizionato da fat- tori intrinseci - genetici - e da fattori estrinseci quali per esempio la dieta, le condizio- ni ambientali, sociali e la malattie intercorrenti.

L’invecchiamento che coinvolge ogni singola cellula si ripercuote quindi nel pro- cesso di invecchiamento dell’organismo. Per poter meglio comprendere il processo del- l’invecchiamento dell’individuo è perciò necessario studiare il processo di senescenza nella singola unità cellulare e ancor meglio nelle singole unità cellulari facenti parte dei diversi sistemi tessutali e d’organo.

L’invecchiamento cellulare

Numerose funzioni cellulari si riducono o vengono alterate con l’età. Esse compren- dono la ridotta capacità di fosforilazione ossidativa dei mitocondri, la ridotta effi- cienza nei complessi di sintesi e di riparazione degli acidi nucleici, la diminuita capa- cità di assicurare il turnover delle proteine strutturali, degli enzimi, dei recettori e dei fattori di trascrizione, la riduzione nell’efficienza di assorbire nutrienti e di rispon- dere a stimoli esterni. Tali alterazioni hanno anche degli equivalenti morfologici evi- denziabili soprattutto in microscopia elettronica con anomalie nella morfologia dei mitocondri, dell’apparato di Golgi e del nucleo. Un fenomeno frequente è l’accumu- lo di pigmento lipofuscinico che rappresenta un prodotto di perossidazione lipidica legato a fenomeni di danno ossidativo. Altra anomalia, biochimicamente dimostrabile,

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è l’accumulo di prodotti di glicosilazione, derivanti da processi di glicosilazione non enzimatica, in grado di creare legami con proteine alterandone la funzione, come avviene nelle proteine del cristallino con conseguente cataratta. Altra alterazione bio- chimica frequente nell’invecchiamento cellulare è l’accumulo di proteine con ano- mala conformazione, imputabili a una ridotta efficienza del proteasoma e ad ano- malie di sintesi proteica: la cellula non riesce a degradare completamente queste pro- teine che possono accumularsi fino a livelli nocivi per la cellula stessa, come avviene nell’amiloidosi e nelle malattie prioniche. Queste alterazioni non sono sufficienti di per sé a giustificare l’invecchiamento cellulare: esse, più che causa, sono un effetto di modificazioni più profonde che sottendono l’invecchiamento cellulare. Varie sono le chiavi interpretative che la ricerca scientifica utilizza per comprendere il fenomeno dell’invecchiamento: fra di esse la teoria metabolica e quella dell’orologio cellulare meritano un breve approfondimento.

Danno ossidativo e invecchiamento

Nella teoria metabolica i danni ossidativi provocati dai ROS (reactive oxygen species) sono l’elemento caratterizzante. L’attività metabolica che produce i ROS è in qualche modo correlata alla durata della vita: così gli animali con elevata velocità metabolica hanno vita breve, mentre è l’opposto per quelli con bassa velocità metabolica. I ROS sono un prodotto del normale metabolismo e hanno funzioni fisiologiche utili, ma potenziali- tà altrettanto dannose per i vari costituenti cellulari quali proteine, lipidi e acidi nuclei- ci; il danno ossidativo che ne deriva è una componente fondamentale per la senescen- za cellulare. Sperimentalmente si è visto che la restrizione calorica applicata a vari orga- nismi, dai lieviti agli animali da laboratorio, permette di allungare la vita [1] grazie al silenziamento di una serie di geni, meccanismo questo che comporta una riduzione del metabolismo cellulare. L’aumentata produzione, in animali transgenici, di moleco- le che in qualche modo tampona il danno ossidativo, come la superossido dismutasi (SOD) e la catalasi, ritardano la senescenza dell’animale. Si è visto per esempio che in alcuni organismi utilizzati per studiare l’invecchiamento come, il nematode Caenor- habdtis elegans, specifiche modificazioni del metabolismo, in particolare del glucosio, condizionano la longevità dell’organismo. Meccanismi similari potrebbero quindi influenzare la longevità umana. L’attività dei ROS può essere indotta da stimoli fisiologici e patologici. Essi - come detto - hanno funzioni che possono divenire dannose se sono prodotti in eccesso e non vengono controbilanciati da meccanismi di tamponamento bio- chimico: così l’ossido nitrico, mediatore chimico importante nella vasodilatazione, se non adeguatamente controbilanciato può contribuire all’invecchiamento cellulare fino alla morte. Questi pericolosi metaboliti sono prodotti a livello mitocondriale, e posso- no attivare molte vie metaboliche che a loro volta agiscono a livello nucleare portando alla trascrizione di specifiche sequenze geniche e all’innesco di ulteriori reazioni come l’arresto di crescita o la senescenza. L’utilizzo di molecole antiinfiammatorie (es. i poli- fenoli) sembra efficace nel ridurre il danno ossidativo, in particolare quando combi- nato con una riduzione dell’apporto calorico. Uno fra i più studiati di questi composti è il resveratrolo, un polifenolo delle piante abbondante nel vino rosso e considerato il principale responsabile dei benefici effetti legati all’uso moderato di questa bevanda. Tut-

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tavia, considerando il problema dell’obesità nei Paesi industrializzati e il problema della malnutrizione in molte popolazioni del mondo, appare difficile proporre la restrizione calorica per controllare gli effetti dell’invecchiamento. Di certo, l’utilizzo di farmaci che ottengano gli stessi effetti della restrizione calorica potrebbe essere più desiderabile - anche dall’industria farmaceutica.

L’orologio cellulare e la senescenza replicativa

Secondo la teoria dell’orologio cellulare ogni cellula ha un suo contatore temporale. Il concetto che ogni cellula abbia una limitata capacità di replicazione fu sviluppato da un semplice modello sperimentale. Quando, messe in coltura, le cellule umane hanno gene- ralmente un numero limitato di replicazioni - circa 30-40 - per poi andare incontro a sene- scenza e a morte cellulare. Le cellule umane in genere (es. i fibroblasti) hanno nel neo- nato potenzialità maggiori che nell’adulto o nell’anziano. La senescenza cellulare com- porta l’iperespressione di una serie di proteine che inibiscono il ciclo cellulare, fra cui p16 e p21. Vi sono evidenze sperimentali e osservazioni in patologia umana in favore di questa teoria. Nelle sindromi progeroidi umane, caratterizzate da precoce invec- chiamento degli individui, vi è una ridotta capacità replicativa cellulare. Le sindromi progeroidi sono malattie genetiche autosomiche recessive piuttosto rare; la meno rara è la malattia di Werner, caratterizzata da prematura senescenza con elevata frequenza di malattie età-correlate. Esse sono un modello naturale per facilitare la comprensione dei meccanismi della senescenza e sono tutte legate a mutazioni diverse di un singolo gene (l’elicasi), un enzima implicato nella riparazione e replicazione del DNA: questo fa supporre che l’accumulo di danni genetici e il silenziamento dell’espressione genica siano momenti molto importanti nel determinismo della senescenza cellulare. A favo- re della teoria dell’orologio cellulare sta la scoperta della funzione dei telomeri e della telomerasi [2]. I telomeri sono sequenze ripetitive di DNA situate all’estremità di cia- scun cromosoma: essi assicurano la completa replicazione del cromosoma, proteggen- dolo nel contempo da fenomeni di fusione e di degradazione che potrebbero provoca- re danni letali o addirittura la trasformazione neoplastica delle cellule. I telomeri sono mantenuti integri da un complesso enzimatico, la telomerasi. L’attività telomerasica viene a mano a mano persa nelle cellule somatiche e viene riattivata in quelle neopla- stiche. A ogni divisione cellulare si perde una porzione di telomero, sino alla sua con- sunzione e al conseguente arresto replicativo. Nell’uomo i telomeri sono relativamen- te corti e la telomerasi va incontro a progressiva inibizione fin dalla nascita: questo fenomeno porta alla senescenza cellulare, di pari passo con l’accumulo di proteine, ad alterazioni del ciclo cellulare, all’arresto mitotico ed eventualmente alla morte cellula- re. Se invece dovessero verificarsi ulteriori mutazioni, per nuovi danni genetici, si può avere la cosiddetta crisi con innesco di altri cicli cellulari, riattivazione della telomera- si e trasformazione neoplastica. Questo è un aspetto che lega la senescenza cellulare all’elevata incidenza di neoplasie dell’anziano: peraltro oltre gli 80 anni si raggiunge un plateau di crescita, come se in qualche modo entrassero in campo dei meccanismi protettivi. Il sistema telomeri-telomerasi è quindi legato alla senescenza cellulare, ma qualora vi siano perturbazioni nel lento consumarsi dei telomeri esso può divenire un meccanismo di immortalizzazione cellulare e favorire lo sviluppo di neoplasie.

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Geni che influenzano l’invecchiamento

La ricerca di geni implicati nei processi di senescenza è stata condotta in vari modelli cellulari e animali. Questi studi hanno dimostrato che l’invecchiamento è regolato da geni specifici. Nel nematode Caenorhabditis elegans, di cui si conoscono l’intero genoma e la funzione e il destino di ogni singola cellula, l’inattivazione di geni coinvolti nella via metabolica dell’insulina e del fattore di crescita insulino simile 1 (insulina/IGF1) porta a un prolungamento della vita del 50% correlato a un ridotto consumo calorico. Gli studi sulla longevità negli organismi semplici hanno notevolmente ampliato le nostre conoscenze su come la restrizione calorica possa prolungare la vita. Un enzima parti- colarmente importante per prolungare la longevità in alcuni lieviti è Sir2; un enzima omo- logo è attivo e ha le stesse caratteristiche anche nel nematode Caenorhabditis elegans.

L’enzima Sir2 appartiene a una ampia famiglia di molecole evolutivamente conser- vate, chiamate sirtuine [1]. L’omologo umano è denominato Sirt1. Negli organismi infe- riori questi enzimi regolano varie attività cellulari che condizionano la longevità. Nei mammiferi, le sirtuine agiscono da regolatori della differenziazione e della morte pro- grammata cellulare. Queste osservazioni suggeriscono un potenziale meccanismo di convergenza fra attività metabolica e longevità. È interessante il fatto che il resveratro- lo sia un potente attivatore delle funzioni di Sir2. Sono ormai numerosi i geni che sem- brano influire sull’invecchiamento identificati nei vari organismi. L’ultimo in ordine di segnalazione è il gene klotho, la cui overespressione allunga la durata di vita nei topi [3]. La proteina klotho agisce come un ormone ed è coinvolta nei meccanismi di rego- lazione della via metabolica insulina/IGF1: questa proteina potrebbe agire come ormo- ne anti invecchiamento nei mammiferi. Il nome della proteina deriva dalla mitologia greca: la dea Cloto, una delle tre figlie di Zeus e Temi, era la dea della filatura, e assie- me a Lachesi e a Atropo costituiva il trio delle Moire, o Parche.

Cellule staminali e invecchiamento

Lo studio delle cellule staminali e il loro possibile utilizzo nella riparazione di danni causati da malattie croniche rappresentano un argomento di grande attualità che susci- ta speranze e anche non pochi timori. Tralasciando il controverso argomento dell’uti- lizzo di cellule staminali fetali, grande attenzione è posta attualmente al ruolo delle cel- lule staminali adulte mesenchimali. Poiché queste cellule hanno un’importanza fonda- mentale nel mantenimento e nella rigenerazione dei vari tipi tessutali, sorge sponta- nea la domanda su quale sia il loro ruolo nell’invecchiamento e quale il loro possibile utilizzo terapeutico nel prevenire o limitare i danni dell’invecchiamento [4].

Considerazioni finali

La ricerca scientifica è intensamente impegnata nell’individuare i meccanismi coin- volti nella senescenza cellulare: i possibili risvolti di carattere economico, sociale e cul- turale che potrebbero derivare dalla possibilità di rallentare o addirittura arrestare i processi di invecchiamento sono difficilmente immaginabili. Probabilmente l’invec-

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chiamento è un processo legato all’accumulo di danni derivanti da una ridotta capaci- tà riparativa e proliferativa delle cellule. È verosimile che i geni che condizionano la longevità e la senescenza siano assai numerosi: però, a differenza di altri fattori gene- tici che regolano la vita umana, probabilmente non vi sono geni che abbiano avuto una selezione naturale ai fini della longevità. Infatti l’invecchiamento è un artefatto pro- dotto dalla civilizzazione umana, strettamente legato alla specie umana e che si verifi- ca solo negli animali allontanati dall’ambiente naturale e protetti dall’uomo: esso è per- ciò, teleologicamente, un processo innaturale. Ogni organismo giunge alla maturazio- ne, alla riproduzione e al perpetuamento della specie: quello che avviene successiva- mente non è più governato dalla selezione naturale, non essendo stato selezionato per questo scopo. Vi sono animali, detti big bang animals, che spendono tutte le loro ener- gie per arrivare al momento riproduttivo e poi morire, come i salmoni del Pacifico; vi sono altri animali, come le tartarughe, che non sembrano invecchiare e muoiono solo per selezione naturale. I rapidi progressi delle conoscenze scientifiche e le sempre mag- giori possibilità di intervenire sui processi biologici lasciano intravedere scenari scon- certanti. Si può ipotizzare la possibilità di allungare notevolmente la vita, anche oltre quel limite di 110-120 anni che sembra attualmente il limite massimo. Ci si deve ricordare del mito di Titone e Aurora: Aurora aveva chiesto a Zeus di prolungare la vita dell’amato, dimenticandosi però di chiedergli di mantenerlo giovane, cosicché Titone visse a lungo - oltre 1500 anni - ma da vecchio. Al giorno d’oggi Aurora chiederebbe a Zeus anche una buona scorta di cellule staminali per l’amato.

Bibliografia

1. Bordone L, Guarente L (2005) Calorie restriction, SIRT1 and metabolism: understanding lon- gevity. Nat Rev Mol Cell Biol 6:298-305 (review)

2. Blasco MA (2005) Telomeres and human disease: ageing, cancer and beyond. Nat Rev Genet 6:611-622

3. Chang Q, Hoefs S, van der Kemp AW et al (2005) The beta-glucuronidase klotho hydrolyzes and activates the TRPV5 channel. Science 310:490-493

4. Bell DR, Van Zant G (2004) Stem cells, aging, and cancer: inevitabilities and outcomes.

Oncogene 23:7290-7296 (review)

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