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LA REGOLAMENTAZIONE DELLE FARMACIE

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1 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

WORKING PAPER n. 4 | 2010

Fabio Pammolli, Nicola C. Salerno

LA REGOLAMENTAZIONE DELLE FARMACIE

Tentativi di riforme, ostacoli e incertezze

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2 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

Sommario

Introduzione La Legge n. 248/2006: i cambiamenti …

… E i punti lasciati aperti

Agcm e Corte Costituzionale: un contrasto solo apparente Commissione Ue e Corte di Giustizia sulle farmacie

I “nuovi” canali di distribuzione Gli extra-sconti La manovra di Luglio 2010 e i “nuovi” margini di ricavo I disegni di legge in Parlamento

Verso la farmacia dei servizi L’ipotesi di fee-for-service

Conclusioni

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3 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

Sommario

L’assetto regolatorio della distribuzione al dettaglio dei farmaci sembra ormai non potersi sottrarre a una riorganizzazione. Lo chiedono gli esempi che giungono dai altri Paesi. Lo chiedono Antitrust e Commissione Europea, in questo non smentiti, come potrebbe sembrare ad una lettura superficiale, dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia. Lo chiede anche il Ssn che, per ottimizzare la spesa ed evitare le rendite di posizione delle farmacie, sta sviluppando canali alternativi per la dispensazione dei prodotti mutuati (la distribuzione di continuità, diretta, in nome e per conto). Le criticità dell’attuale assetto normativo-regolatorio sono state ribadite nell’audizione di Antonio Catricalà, Presidente dell’Antitrust, in Commissione Igiene e Sanità del Senato l’11 Novembre u.s..

In agenda adesso si affacciano due opportunità importanti, per la professione del farmacista e per il sistema della salute: la farmacia multiservice e il passaggio al fee-for-service per la remunerazione della distribuzione dei farmaci “A”.

La prima (multiservice), di cui il Ministero della Salute ha da poco fatto circolare gli schemi di decreti attuativi, permetterebbe un vero e proprio ammodernamento delle funzioni della farmacia e del valore aggiunto che i farmacisti professionisti possono generare a servizio della comunità e del territorio. Le farmacie potrebbero ampliare la loro sfera di operatività sino a diventare punti multifunzionali di servizi per salute, maggiormente integrati nel territorio e in più stretta collaborazione con il Ssn, le Asl e le Aziende Ospedaliere. Sarebbe un segnale di cambiamento importante per tutto il Paese, che i farmacisti e le loro Rappresentanze cogliessero questa sfida come una occasione di rinascita e di sviluppo, accompagnata ovviamente anche dalla possibilità di ottenere remunerazioni adeguate per le nuove funzioni.

La seconda (la fee) dovrebbe aiutare a superare gli effetti distorsivi, ormai ben noti alla letteratura e al dibattito, dell’attuale proporzionalità della remunerazione al prezzo al consumo del farmaco

“A”, effetti che si trascinano anche a monte e inducono minor concorrenza tra produttori.

A queste due novità si giunge, tuttavia, non senza contraddizioni di percorso, se si considera che il combinato disposto della Legge n. 77/2009 e della Legge n. 122/2010 ha rinforzato alcuni degli aspetti più controversi della normativa, a cominciare proprio dalla proporzionalità al prezzo. Di fatto, sono state aumentate le aliquote spettanti alla distribuzione al dettaglio, facendo emergere le parti che la farmacia riusciva a sottrarre, “in grigio” rispettivamente al produttore e al grossista, con contrattazioni in deroga alla legge (i cosiddetti extra-sconti). Inoltre l’apertura al mercato della scomposizione in quote ricavo del prezzo del farmaco “A” (le quote non sono più valori puntuali ex-lege), in costanza della normativa protezionistica che pervade la distribuzione al dettaglio, comporta una paradossale liberalizzazione della possibilità per le farmacie incumbent di esercitare potere di mercato.

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4 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

Agli effetti negativi delle leggi 77/2009 e 122/2010 si deve aggiungere anche il possibile peggioramento del quadro normativo e regolatorio che risulterebbe se il Ddl “Tomassini-Gapsarri”

fosse trasformato in legge. Questo disegno di legge, ad oggi testo base per i lavori parlamentari da cui dovrebbe prendere forma il riordino del sistema di distribuzione al dettaglio del farmaco, compirebbe una vera e propria restaurazione rispetto ai cambiamenti introdotti con la Legge n.

248/2006 (il cosiddetto “Bersani-1”).

Ma, al di là delle ultime evoluzioni normative, sono gli snodi settoriali “storici” a impedire che multiservice e fee-for-service esprimano appieno le loro potenzialità, e a esporli a possibili distorsioni a danno della concorrenza, dei professionisti outsider, e dei cittadini.

L’augurio è che l’introduzione dell’esercizio multiservice e il passaggio alla fee possano essere parti di una riflessione più ampia e complessiva sulle diverse dimensioni rilevanti: pianta organica, bundling, incorporation, divieto di catene, etc..

Senza una visione di insieme, questi due cambiamenti difficilmente sarebbero all’altezza di generare gli effetti positivi che ci si attende e anzi, al contrario, aprirebbero altri fronti di criticità, sia sul piano economico che su quello del diritto. Su questo specifico aspetto - multiservice e fee- for-service in un ambito in cui gli incumbent mantengono potere di mercato - è auspicabile un intervento tempestivo dell’Agcm, durante i lavori del tavolo tecnico avviato per discutere del fee- for-service e prima che questo partorisca la sua proposta. Anzi, sarebbe opportuno che anche rappresentanti dell’Agcm sedessero al tavolo e partecipassero attivamente alle riunioni.

12 Novembre 2010

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5 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

1. Introduzione

In coincidenza con l’audizione del Presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà innanzi alla Commissione Igiene e Sanità del Senato, questo scritto desidera presentare un quadro di sintesi complessivo della normativa di riferimento in materia di distribuzione dei farmaci. Catricalà ha segnalato, ancora una volta, la chiusura corporativistica del settore della distribuzione al dettaglio dei farmaci, nascosta dietro misure sovradimensionate rispetto all’obiettivo della salute pubblica. La ragione di questa segnalazione dell’Antitrust emerge con chiarezza se si ripercorrono i tratti più salienti dell’assetto normativo-regolatorio, sino alle evoluzioni più recenti, ivi incluso anche il Disegno di legge “Tomassini-Gasparri” mentre si scrive in discussione al Senato1.

Dopo la Legge n. 248/2006, si sono susseguiti diversi interventi normativi, che richiedono di essere analizzati e interpretati; in particolare, quello sugli extra-sconti sui farmaci “A”, e quello sulla rimodulazione dei margini di ricavo ex-lege della filiera del farmaco. A tali interventi si sono più recentemente aggiunti alcuni disegni di legge depositati in Parlamento che vorrebbero procedere in direzioni contrastanti. E a rendere ulteriormente complesso l’inquadramento, sono sopraggiunte anche diverse sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia Europea. Su questo scenario di sfondo, si trovano a doversi fare strada le due ipotesi d’intervento su cui si concentrano nell’immediato il dibattito e il lavoro del Legislatore. Da un lato, l’introduzione di una fee-for-service in sostituzione dei margini di ricavo proporzionali al prezzo al consumo del farmaco “A” (art. 11 della Legge n. 122/2010). Dall’altro, l’ampliamento delle funzioni che la farmacia può svolgere all’interno del Ssn e del welfare system sul territorio (come discende dalla Legge n. 69/2009 e dal D. Lgs. n. 153/2009).

1 Il Ddl “Gasparri-Tomassini” funge da testo base per i lavori parlamentari da cui dovrebbe prendere forma il riordino del sistema di distribuzione al dettaglio del farmaco.

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6 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

2. La Legge n. 248/2006: i cambiamenti …

La Legge n. 248/2006 (il cosiddetto “Bersani-1”) ha introdotto alcune modifiche di rilievo al quadro di riferimento in materia di distribuzione di prodotti farmaceutici. Da qual momento:

I prodotti Sop-Otc2 possono esser venduti anche nella parafarmacie e nei corner della grande distribuzione organizzata (“Gdo”), purché alla presenza in loco di un farmacista abilitato;

I prezzi dei Sop-Otc divengono diversificabili3 sul territorio, a seconda delle scelte di pricing del distributore al dettaglio;

È possibile la multiproprietà di farmacie per le società di farmacisti, ma entro il limiti di quattro e tutte ricomprese nella stessa Provincia4;

È possibile al farmacista la partecipazione a più società di farmacisti e l’esercizio anche al di fuori della provincia di iscrizione all’Albo;

Cade, ma solo per i prodotti non rimborsabili (non per la fascia “A”), l’obbligo per i grossisti di detenere almeno il 90% delle specialità medicinali ammesse al commercio;

Cade il divieto per il farmacista titolare d’impegnarsi in attività di distribuzione all’ingrosso in costanza, però, del divieto per il grossista di impegnarsi in attività di distribuzione al dettaglio;

Gli eredi di de cuius farmacista, quando non in grado di rilevare direttamente la titolarità, possono cedere la farmacia ad altro farmacista abilitato entro i due anni dal ricevimento dell’asse ereditario (durante i quali l’esercizio continua sotto la responsabilità di un direttore farmacista abilitato)5;

Cadono alcuni dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti per l’accesso alla titolarità della farmacia, ulteriori rispetto al superamento dell’esame di abilitazione (sono abrogati i commi secondo, ottavo, nono e decimo dell’articolo 12 della Legge n. 475/1968).

2 Farmaci senza obbligo di prescrizione, alcuni dei quali (Otc) anche pubblicizzabili ed esponibili in vetrina e a banco.

3 Su tutti i farmaci senza obbligo di prescrizione i prezzi erano già liberi dal 1995 e assoggettai al controllo antitrust, ma dovevano rimanere uniformi sul territorio nazionale.

4 Possibilità ancora preclusa al singolo farmacista, che può essere titolare di un solo esercizio.

5 Prima del “Bersani-1” gli anni erano tre.

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7 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

3. … E i punti lasciati aperti6

L’approvazione della Legge 248/2006 è stata accompagnata da un vivace dibattito che ha visto contrapposte visioni molto diverse e in alcuni casi antitetiche.

Nel complesso, sono rimasti elusi alcuni snodi di rilevanza centrale, sui quali, a più riprese, hanno richiamato l’attenzione sia l’Antitrust italiano che la Commissione Europea:

La pianta organica;

Il bundling di diritto di proprietà e diritto di esercizio;

Il divieto di incorporation;

L’esclusiva di vendita collegata al luogo fisico “farmacia” e non ai requisiti di professionalità di adeguatezza;

La riforma dei margini di ricavo sui farmaci “A”;

Gli effetti della normativa “A” sui prodotti “C-Op”.

La pianta organica

Il numero delle farmacie è contingentato e rapportato al territorio e alla popolosità. Il superamento della pianta organica consentirebbe ai farmacisti abilitati di avviare liberamente un esercizio come titolari; esso equivarrebbe, inoltre, al completo superamento del favor legis per gli eredi del de cuius titolare7. Qualche anno fa, l’Agcm valutava in circa 30mila i farmacisti abilitati impossibilitati, per la presenza della pianta organica, ad avviare un nuovo esercizio come titolari. L’Autorità giudicava e giudica ancor tutt’ora questa situazione un ostacolo alla libera prestazione di servizi professionali e un strumento di protezionismo settoriale. In presenza di contingentamento numerico, la multititolarità in capo a società di farmacisti può contribuire ad aumentare il livello di concentrazione di alcuni incumbent e il loro potere di mercato nelle singole Province. E la stessa cosa può dirsi della facoltà, per i titolari, d’impegnarsi nell’attività della

6 Per una disamina più approfondita, cfr. Pammolli F. e Nicola C. Salerno (2007), ““La distribuzione al dettaglio dei farmaci: tra regolazione efficiente e mercato”, sta in Macciotta G. (a cura di), “La salute e il mercato - La ricerca farmaceutica tra Stato, industria e cittadini”, ed. ilSole24Ore.

7 Se ogni farmacista abilitato può avviare un esercizio senza restrizioni, allora il potere contrattuale dell’erede che vuole cedere la titolarità viene ridimensionato.

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8 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

distribuzione all’ingrosso. In presenza di pianta organica, l’integrazione a monte dei titolari incumbent può tradursi in un innalzamento del loro potere di mercato.

Il bundling di diritto di proprietà e diritto di esercizio

La proprietà della farmacia può essere di soli farmacisti abilitati o di società di persone o società cooperative a responsabilità limitata composte da soli farmacisti abilitati. Tuttavia, la distinzione tra le due sfere di diritti/responsabilità, quella di proprietà e quella di esercizio professionale, è condizione necessaria affinché tutte le risorse, capitali e umane, possano liberamente affluire al settore, una volta imboccata la strada di un allentamento della pianta organica. Fermo restando il vincolo che l’atto materiale di distribuzione del farmaco al cliente-paziente rimanga sempre a cura/responsabilità di farmacista professionista abilitato, appare opportuno interrogarsi sui miglioramenti di efficienza ottenibili se chiunque potesse, in forma individuale o associata, farsi portatore di risorse capitali per l’apertura e la conduzione di una farmacia.

Il divieto di incorporation e le limitazioni alle catene

Una società di capitali non può assumere la proprietà di una farmacia. Anche se non esistesse lo specifico vincolo sulla multititolarità delle farmacie, l’esclusione della società di capitali sarebbe comunque sufficiente a limitare significativamente la possibilità di catene di farmacie, poiché esso rende difficoltoso organizzare adeguate fonti di risorse per gli investimenti8. Da questo punto di vista, l’esclusione della forma della società di capitali e i limiti alle catene di farmacie appaiono strettamente connessi, precludendo il raggiungimento di economie di scala e di scopo. Inoltre, l’esclusione della società di capitali appare in logica connessione anche con il bundling di diritto di proprietà e diritto di esercizio professionale: si nega la possibilità di utilizzare la forma societaria nata per differenziare formalmente i due ruoli (apporto di capitali e apporto di capitale umano).

8 Sono necessarie dotazioni patrimoniali che le società di capitali hanno, mentre le altre (anche le società cooperative) o ne sono mediamente sprovviste o hanno difficoltà ad attrarle.

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9 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

L’esclusiva di vendita collegata al luogo fisico e non alla professionalità

Le farmacie hanno l’esclusiva di commercializzazione dei prodotti con obbligo di prescrizione, sia quelli a carico del Ssn (“A”) sia quelli a carico del privato (“C-Op”). Se è fuor di dubbio che l’atto di vendita di un farmaco per il quale è necessario l’avallo del medico debba avvenire solo a cura e sotto la responsabilità di un farmacista abilitato, opinabile appare la scelta di collegare la dispensabilità del farmaco non alla presenza del professionista qualificato e collocato in strutture adeguate, ma direttamente alla farmacia come luogo fisico. La parte viene, in un certo senso, fatta “feticcio” e scambiata con il complesso della funzione di distribuzione. E proprio perché vincolate alla farmacia luogo fisico (e non ai principi di professionalità del farmacista e di adeguatezza dei luoghi), le vendite di prodotti “A” e “C-Op” scontano gli effetti della pianta organica, del bundling e del divieto di incorporation. Gli effetti consistono nell’esercizio di un potere di mercato che in fascia “A” riesce a farsi veicolare dalla regola di computo del margine di ricavo della farmacia, che è fissata per legge (cfr. infra); mentre in fascia “C-Op” si esprime direttamente in un contesto dove i prezzi al consumo e la loro ripartizione in quote di ricavo (produttore, grossista, farmacia) sono liberalizzati.

La riforma dei margini di ricavo sui farmaci “A”

I ricavi della farmacia sono, a oggi, proporzionali al prezzo al consumo del prodotto commercializzato. Le percentuali sono regressive per ampi scaglioni di prezzo, e sono state recentemente modificate (cfr. infra). Nel complesso, l’impianto regolatorio non ha corretto due significative distorsioni:

L’attività di distribuzione comporta per la maggior parte costi di natura fissa, comuni a tutti i farmaci commercializzati (e anche alle altre eventuali prestazioni rivolte al pubblico). Si tratta dei costi riferibili alla struttura (negozio front-office, magazzino) e al capitale umano (farmacisti e assistenti), che sono invarianti sia rispetto al volume delle vendite, sia rispetto alle caratteristiche del singolo prodotto in termini di packaging, composizione chimica e costo di produzione industriale (ivi inclusa la R&S incorporata)9. Tramite la proporzionalità, la remunerazione della farmacie viene agganciata al valore

9 Possono esistere casi particolari di prodotti che necessitano di criteri di conservazione ad hoc, o che hanno confezionamenti fuori misura, mala normalità è quella di costi suddivisibili in maniera omogenea su tutti i farmaci commercializzati.

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10 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

industriale del prodotto, che è estraneo all’attività della stessa farmacia, e che non determina e non influenza il suo valore aggiunto;

La proporzionalità del margine di ricavo al prezzo incentiva la canalizzazione al consumo dei prodotti più costosi. Questa distorsione interferisce con le dinamiche concorrenziali sul lato del consumo e ostacola l’applicazione di uno strumento di regolazione, la compartecipazione in quota proporzionale al prezzo, di cui la teoria economica dimostra invece le potenzialità (responsabilizzazione individuale nel consumo, sensibilizzazione della domanda al prezzo con impulsi pro concorrenziali ai produttori, etc.). Una seconda conseguenza degli incentivi a commercializzare i prodotti più costosi è il mancato o imperfetto funzionamento di uno strumento regolatorio importante come il prezzo di riferimento sui prodotti off-patent di fascia “A”, a causa della scarsa diffusione delle copie economiche, della capacità delle farmacie di influenzare il “normale circuito distributivo regionale” e della difficile controllabilità del comportamento dei farmacisti10.

Entrambe le distorsioni influenzano anche la dinamica concorrenziale a monte, tra produttori. Se la canalizzazione al cliente-paziente favorisce i prodotti più costosi, anche in presenza di copie economiche e di confezionamenti più adatti alla fattispecie di bisogno, allora ne risulta rallentata la competizione di prezzo tra produttori di off-patent.

Più in generale, l’effetto distorsivo si propaga alle strategie di prezzo e di confezionamento dei prodotti11.

10 La Legge n. 405 del 2001, che ha introdotto il prezzo di riferimento nella regolazione settoriale italiana, stabilisce che

“[…] Il farmacista, in assenza dell’indicazione di insostituibilità [apposta dal medico prescrittore], consegna [al cliente- paziente] il farmaco [equivalente] avente prezzo più basso, disponibile nel normale circuito distributivo regionale […]”. La Legge n. 178 del 2002 ha poi ribadito la seguente definizione di equivalenza: “uguale composizione in principi attivi, via di somministrazione, forma farmaceutica, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie”; specificando che il reference pricing si applica solo a prodotto non coperti da brevetto sul principio attivo (off-patent). Se la scelta del Legislatore di individuare i cluster di equivalenza in maniera stringente è da valutare positivamente, i problemi di funzionamento sono molteplici: (a) le farmacie non hanno incentivo a dotarsi dei farmaci equivalenti più economici e, grazie al loro potere di mercato e al forte spirito corporativistico, riescono a coordinarsi in questa loro prassi; (b) è difficile controllare il comportamento del singolo farmacista, osservabile soltanto dal cliente-paziente che spesso non ha le informazioni sufficienti a valutare e difficilmente è pronto a contraddire i suggerimenti del professionista che lo serve; (c) la formulazione della norma, inoltre, si presta all’elusione, perché si suppone che l’obbligo di consegnare l’equivalente più economico sia cogente soltanto quando il farmaco è nell’effettiva disponibilità della farmacia, situazione che la stessa farmacia può evitare che accada visto che gli obblighi di detenzione in magazzino sono espressi in termini di principi chimici.

11 Esiste un potenziale concorrenziale anche tra principi attivi diversi, e tra prodotti in-patent. Correttamente esclusi dal reference pricing perché per definizione privi di equivalenti economici, può accadere che, ai fini di qualche specifica terapia, gli in-patent risultino sostituibili sulla base della valutazione espressa, di volta in volta, del medico.

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11 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

Esistono studi empirici che danno prova delle distorsioni. Questi studi mostrano12:

la concentrazione delle vendite a ridosso della fine del primo scaglione di remunerazione della farmacia, lì dove si massimizza il prezzo del farmaco commercializzato rimanendo all’interno del fascia cui si applica la percentuale più elevata di margine per la farmacia;

la scarsa diffusione, sia in volume che in valore, delle copie economiche degli off-patent, e in particolare dei generici, anche dopo i progressi degli ultimi anni;

la minore varietà di packaging offerta al cliente-paziente.

Gli effetti della normativa “A” anche sui prodotti “C-Op”

I prodotti di fascia “C-Op” hanno un pricing liberalizzato e assoggettato ai normali controlli antitrust. Anche la scomposizione del prezzo al consumo nelle quote ricavo di produttore, grossista e farmacia è liberalizzata, con l’unico vincolo che il prezzo di ogni prodotto resti uniforme sul territorio nazionale. Tuttavia, il diverso pricing non arriva ad incidere in termini di concorrenzialità del comparto, dove si riscontrano sintomi molto simili a quelli rilevabili in fascia “A”: scarsa diffusione delle copie economiche, poca varietà di packaging, quota di ricavo della distribuzione sostanzialmente allineata a quella riscontrabile sui prodotti “A”. Specularmente a quanto osservato per la fascia “A”, la mancata diffusione delle copie economiche aumenta le difficoltà di applicazione delle liste di trasparenza introdotte per facilitare la comparazione dei prezzi da parte del cliente-paziente13.

12 Cfr. vari lavori curati dal CeRM liberamente disponibili su www.cermlab.it. In particolare, le Note CeRM n. 5, 6 e 7 del 2005 e le n. 6 e 10 del 2006.

13 La Legge n. 149/2005 ha stabilito per i farmacisti un obbligo di informazione della eventuale presenza in commercio di medicinali off-patent equivalenti; dopo aver informato il cliente-paziente, “qualora sulla ricetta non risulti apposto l’obbligo della non sostituibilità, il farmacista, su richiesta dello stesso [cliente-paziente], è tenuto a fornire un medicinale avente [il prezzo più basso tra gli equivalenti] di quello prescritto”. La stesa Legge ha specificato la seguente definizione di equivalenza: “uguale composizione in principi attivi, via di somministrazione, forma farmaceutica, modalità di rilascio e dosi unitarie”. Rispetto al reference pricing di fascia “A”, scompare la richiesta di egual numero di unità posologiche, e così si rende possibile identificare i farmaci più economici in termini di prezzo per unità standard (o più in generale per unità di prodotto), lasciando poi liberi i clienti-pazienti di valutare la scelta migliore conoscendo il prezzo unitario dei diversi packaging disponibili e le loro esigenze di terapeutiche. In fascia “A” il riferimento risponde alla logica di ammettere a rimborso il prodotto con prezzo minimo tra tutti quelli equivalenti non solo sul piano farmacologico ma anche sul piano dei costi di produzione (variabili e fissi). Sul piano teorico le liste di trasparenza svolgerebbero una funzione importante nell’ottimizzazione dei consumi, se non fosse che esse si scontrano con problemi analoghi a quelli esaminati per il reference pricing: (a) oltre alla difficoltà di controllare il comportamento dei farmacisti che, se conforme alla legge, sarebbe in contrasto con i loro incentivi a massimizzare il controvalore delle vendite, il vero ostacolo risiede nel fatto che (b), se nessuna farmacia si dota in magazzino dei prodotti più economici, l’eventuale informazione ricevuta dal paziente- cliente è improduttiva di effetti, perché anche cambiando farmacia la probabilità di trovarli subito disponibili rimane bassa o addirittura nulla.

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12 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

4. Agcm e Corte Costituzionale: un contrasto solo apparente

Nella sua ormai quasi ventennale attività di analisi e segnalazione riguardo la distribuzione dei farmaci, l’Agcm ha ripetutamente sollecitato Parlamento e Governo ad affrontare i nodi appena ricordati14. L’Agcm ha periodicamente chiesto: la rimozione della pianta organica con copertura delle zone non servire dal mercato a cura del Comune15; il superamento del bundling e del divieto di incorporation; l’introduzione di un nuovo criterio di remunerazione per la distribuzione dei farmaci “A”, senza la proporzionalità al prezzo al consumo; la trasformazione di tutti gli obblighi in termini di ore, giorni, periodi di apertura da tetti massimi a standard minimi di servizio pubblico;

l’eliminazione del vincolo di prezzo unico nazionale per i farmaci “A” e “C-Op”.

In estrema sintesi, secondo l’Agcm i vincoli posti dal Legislatore sarebbero sovradimensionati rispetto all’obiettivo di perseguire la salute pubblica16.

Recentemente, quando il dibattito di policy si è intensificato, alcuni osservatori hanno posto in evidenza un presunto contrasto tra gli intenti dell’Agcm e sentenze della Corte Costituzionale. Invero, in più occasioni la Corte si è espressa su questioni inerenti la distribuzione al dettaglio dei farmaci, e dalla lettura delle motivazioni e del dispositivo delle sentenze si vorrebbero ricavare conferme della bontà dell’attuale struttura di settore.

Su questo punto, e sui rapporti tra Agcm e Corte Costituzionale, è importante maturare una visione approfondita, che tenga conto delle competenze e dei ruoli e che non si fermi a estrapolazione di stralci di questa o quella sentenza.

Si rischia, in caso contrario, di rimanere in una situazione di stallo, a fronte di una contrapposizione tra due alte Istituzioni che avrebbe del paradossale, dal momento che l’Agcm è nata per dare attuazione a principi economici affermati nella Costituzione (libertà di intrapresa, diritto al lavoro, uguaglianza degli operatori di fronte alla legge, etc.), e che la Corte Costituzionale è un organo costituzionale di garanzia e, come tale,

14 Cfr. a titolo di esempio: l’Indagine Conoscitiva del 1997, la Segnalazione n. 114/1998, la Comunicazione al Governo in data 21 Marzo 2005, la Segnalazione n. 453/2008.

15 Dovrebbe essere questo il ruolo delle farmacie comunali: portare l’offerta lì dove le condizioni svantaggiate dell’area non rendono profittevole l’impegno del privato.

16 In particolare, non viene considerata accettabile la previsione di ricavi minimi al riparo della concorrenza, affinché i farmacisti titolari siano incentivati a fornire professionalità adeguata e a garantire qualità. È un argomento, questo, che una volta introdotto potrebbe affermarsi a tutela delle Rappresentanze di ogni altra professione: medici ospedalieri, ingegneri, biologi, etc..

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13 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

non può esprimersi nel merito specifico delle scelte di politica economica di Parlamento e Governo.

Il contrasto è solo apparente. La Corte adotta un punto di vista giuridico, per giunta non complessivo (visione settoriale e connessioni intersettoriali) ma focalizzato sulla fattispecie su cui è sollecitata; l’Antitrust un punto di vista economico. Il primo verifica la coerenza interna della normativa e la sua rispondenza ai principi costituzionali; il secondo pone la normativa al vaglio dell’analisi economica, in una prospettiva di potenziale riscrittura e ristrutturazione. La Corte prende in esame il corpus normativo esistente per giudicare su eventuali aporie e inconsistenze interne. L’Agcm si esprime sulla migliorabilità delle norme attraverso processi di riforma pro concorrenziali, per adeguarle ai tempi, alle nuove capacità organizzative e imprenditoriali, ai nuovi strumenti di governance, etc.. Non deve sembrare una diminutio della Corte affermare che, per forza di cose, il suo giudizio si veste di una maggior prevalenza formale, mentre quello dell’Agcm può puntare direttamente ai fondamentali economici.

A titolo esemplificativo, si considerino la Sentenza n. 446/1988, la Sentenza n. 27/2003, e la Sentenza n. 275/2003, le tre maggiormente invocate nel confronto di policy.

Nella Sentenza n. 446/1988, la Corte si esprime sugli obblighi di chiusura estiva e infrasettimanale e sulla fissazione degli orari giornalieri, sui quali hanno competenza le Regioni17. Qui la stessa Corte, a latere del dispositivo che rigetta il ricorso contro gli obblighi di chiusura, inserisce una precisazione che fa assumere allo stesso dispositivo una luce completamente diversa: “[Si rammenta] che il potere [di questa Corte] di giudicare in merito alla utilità sociale alla quale la Costituzione condiziona la possibilità di incidere sui diritti della iniziativa economica privata concerne solo la rilevabilità di un intento legislativo di perseguire quel fine e la generica idoneità dei mezzi predisposti per raggiungerlo”. In altri termine, la Corte sostiene che nel corpo normativo regionale si riscontra (nella formulazione degli articoli, nelle premesse, nei rimandi ai principi costituzionali, etc.) la volontà di volgere quelle limitazioni delle libertà di intrapresa verso finalità socialmente meritorie (organizzazione della rete di welfare locale, mantenimento delle qualità psicofisiche dei lavoratori, etc.); e la stessa Corte ne prende atto, riconoscendo poterci essere un generico legame tra le limitazioni e le finalità

17 In questo caso, la sentenza si riferisce ad una legge della Regione Lazio.

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14 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

sociali. Ma il punto da sviscerare, invece, è proprio questo: non fermarsi alla dichiarazione formale delle finalità e, contemporaneamente, entrare nel merito dei legami di azione-effetto che ci sono tra la misura di policy e l’auspicata utilità sociale, per poter valutare se esiste proporzionalità tra l’azione e l’effetto, e se, parallelamente, non esistono altre misure in grado di perseguire le stesse finalità secondo modalità migliori.

La Sentenza n. 27/2003 offre un esempio ancora più chiaro. La Corte è di nuovo chiamata a esprimersi sui vincoli ai periodi di apertura degli esercizi (orari, ferie estive, giorni di lavoro nella settimana)18. Qui non si dubita che la scelta del Legislatore (nazionale e regionale) sia volta a perseguire la salute pubblica, e che i limiti alla concorrenza tra esercizi farmaceutici abbiano natura strumentale. La Corte "giustifica" i vincoli sui periodi di apertura rimandando alla stessa ratio alla base del contingentamento numerico delle farmacie (la pianta organica), aspetto non coinvolto (in questo specifico caso) dal ricorso alla stessa Corte. Assodato che il contingentamento numerico mira a una migliore realizzazione del servizio pubblico, allora, conclude la Corte, i vincoli agli orari possono esser visti come un completamento dello stesso contingentamento, condividendone la finalità. Ma è evidente che, se la ratio viene costruita con sillogismi di questo tipo, i singoli aspetti del corpus normativo in vigore si sostengono a vicenda, ostacolando una analisi di congruità e di adeguatezza. Da questo punto di vista, di particolare interesse è quanto la Corte afferma poco prima del dispositivo, quando riconosce che “le mutate condizioni di fatto e di diritto consentirebbero un cambiamento dei convincimenti [circa i vincoli di apertura]”, sennonché “appare evidente che una simile operazione di rimodulazione del dettato legislativo fuoriesce dai compiti della Corte, la quale deve limitarsi ad uno scrutinio di legittimità costituzionale delle norme […]”.

18 In questo caso, la sentenza si riferisce ad una legge della Regione Lombardia.

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Infine, con la Sentenza n. 275/2003 la Corte è attivata in merito alla diversa applicazione dell’incompatibilità tra attività all’ingrosso e al dettaglio per le farmacie private (su cui illo tempore sussisteva) e pubbliche (per le quali illo tempore non era prevista19). La Corte non entra in nessun modo nel merito della ratio dell’incompatibilità e della sua proporzionalità con gli scopi dichiarati dal Legislatore. Riconosciuto che l’incompatibilità è (era) attestata per le farmacie private, la Corte si limita a chiedere la rimozione della disparità di trattamento, con l’estensione del vincolo anche alle farmacie comunali.

Riassumendo, dalle sentenze della Corte Costituzionale non è possibile far discendere elementi con cui confutare le tesi sostenute dall’Antitrust.

Il contrasto emerso con riguardo al settore della distribuzione al dettaglio dei farmaci suggerisce, invece, la necessità di una maggior collaborazione istituzionale. Per il futuro, l’auspicio è quello di una convergenza e di un raccordo tra le due Istituzioni, prevedendo che l’Antitrust possa sia attivare la Corte Costituzionale, sia comparire tra le parti audite dalla Corte su questioni inerenti la concorrenza e il mercato.

19 L’articolo 8, comma 1, lettera a), della Legge n. 362/1991 doveva prevedere, secondo la Corte, che la partecipazione a società di gestione di farmacie comunali è incompatibile con qualsiasi altra attività nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. E, in effetti, l’incompatibilità erga omnes tra vendita all’ingrosso e vendita al dettaglio è stata introdotta dal D. Lgs. n.219/2006, poi a sua volta modificato dal “Bersani-1”.

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5. Commissione Ue e Corte di Giustizia sulle farmacie

Le considerazioni appena svolte sul rapporto tra Agcm e Corte Costituzionale sono di aiuto per comprendere quello che sta accadendo a livello europeo, dove Commissione Ue e Corte di Giustizia appaiono, a prima vista, anch’esse disallineate nelle valutazioni sulla struttura del settore.

Preliminarmente, occorre ribadire che struttura e regolazione del settore presentano tratti fondamentali simili in molti Paesi europei, e soprattutto in quelli mediterranei e di diritto romano quali Francia, Italia, Portogallo, Spagna, ma non solo se si pensa ai casi del Belgio e della Germania. Questa condizione implica che dal benchmarking internazionale degli status quo è raro che possano giungere indicazioni dirimenti per l’agenda delle riforme, se non a patto di ampliare i casi Paese posti a confronto e di concentrarsi sulle best practice.

Se si analizzano gli interventi della Commissione Europea nell’arco degli ultimi cinque- sei anni, emerge una condivisione di visione e di motivazioni con l’Antitrust italiano. I principi dell’Unione Europea di libera circolazione di persone, professionisti e capitali, e di libertà di insediamento delle attività economiche e imprenditoriali (articoli 43-56 del Trattato delle CE20) spingono al Commissione a sollecitare i Partner a superare la pianta organica, il bundling di proprietà e gestione, il divieto sull’incorporation e sulla formazione di catene, i vincoli eccessivi sui periodi di apertura.

Per portare alcuni esempi, con l’IP/05/1665 (Infraction Procedure) del 21 Dicembre 2005, la Commissione ha ufficialmente chiesto all’Italia di rimuovere i vincoli sulla proprietà delle farmacie. Si legge: “The Commission feels that the restriction in questioning go beyond what is necessary to meet the public-health objective. The dangers of conflicts of interests can in fact be avoided by measures other than simply banning enterprises linked to firms involved in the pharmaceutical distribution sector from investing in retail pharmacies. As for the ban on non-pharmacists or legal persons not made up of pharmacists from owing pharmacies, this also goes beyond what is necessary to safeguard public health since a requirement stipulating that a pharmacist

20 Cfr. http://www.dps.mef.gov.it/documentazione/qcs/trattato_istitutivo.pdf.

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must be present to dispense medicine to patients and manage stocks would be sufficient […]”.

Con l’IP/06/858 del 28 Giugno 2006, la Commissione ha deciso di chiedere alla Spagna di addurre giustificazioni per la pianta organica e per i vincoli di accesso alla proprietà (che, lo si rammenta, sono simili a quelli italiani). Si legge: “This system of limiting the number of pharmacies seems disproportionate or even counterproductive in relation to the objective if ensuring a good supply of medicines […]”. E ancora: “[The limits on ownership] are excessive restrictions in relation to the legitimate requirement to ensure that relations between patients and the pharmacy are exclusively entrusted to professionals qualified in pharmacy. [They are] not necessary to achieve that objective”.

Nello stesso documento, speculari richieste sono state rivolte all’Austria. E sempre nello stesso documento è stato inserito il deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia Europea come proseguimento dell’iter avviato con l’IP/05/1665.

Con l’IP/08/1352 del 18 Settembre 2008, la Commissione ha richiesto alla Germania e al Portogallo di riformare la regolazione di settore. Per la prima, la richiesta ha riguardato l’eliminazione dei vincoli di accesso alla proprietà e di creazione di catene (“[…] the cannot be justified for reason of health protection”). Per il secondo, la richiesta ha riguardato il divieto per i grossisti di assumere la proprietà di farmacie, oltre che i vincoli alla formazione di catene di esercizi (“[…] these requirements are disproportionate to guaranteeing the protection of health and therefore are not compatible with the freedom of establishment”).

Infine, con l’IP/08/1785 del 27 Novembre 2008, la Commissione si è nuovamente rivolta all’Italia, chiedendo di eliminare il vincolo per il farmacista di possedere più di un esercizio, e quello per le società di farmacisti di possedere più di quattro esercizi, per giunta necessariamente ubicati all’interno della stessa Provincia: “[…] The restrictions go beyond what is necessary to achieve the objective of protecting health cited by the Italian Authorities”.

Nel corso degli ultimi anni, da quando alcuni dei procedimenti avviati dalla Commissione sono approdati al vaglio finale della Corte di Giustizia, alcune divergenze di valutazione tra le due Istituzioni sono risultate evidenti. Tuttavia, a una lettura attenta

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delle sentenze della Corte, si comprende come si stia ripresentando a livello europeo quel diverso “punto di vista” rilevabile in Italia tra l’Agcm e la Corte Costituzionale.

La Corte di Giustizia non può sostituirsi ai policy maker nazionali; né riconsiderare il corpus normativo e regolamentare esistente in una prospettiva di riorganizzazione, ristrutturazione e ammodernamento. Compito della Corte è accertare che non esistano punti di contrasto tra le legislazioni nazionali e il Trattato CE; ma nell’assolverlo, la Corte non può entrare nel merito della scelta degli strumenti per perseguire le varie finalità. La salute pubblica e la libera intrapresa sono entrambi presenti nel Tratto CE, e se un Legislatore nazionale afferma di aver posto dei vincoli alla concorrenza perché, nella sua sovrana valutazione, questi sono importanti per perseguire l’obiettivo di salute pubblica, la Corte di Giustizia non può sindacare sul “quantum”, ma si limita a riconoscere la coerenza interna della legislazione nazionale, che ha agito senza ignorare la coesistenza delle due finalità, e compiendo scelte precise sulla loro realizzazione coordinata.

Alcuni esempi confermano questa lettura. Con laSentenza delle Grande Sezione del 1° Giugno 2010 (procedimenti riuniti C-570/07 e C-571/07), la Corte, esprimendosi sulla pianta organica nella Provincia spagnola delle Asturie, arriva sì a valutarla non in contrasto con il Trattato CE, ma sottolineando come questa stessa valutazione valga solo in linea di principio, nella misura in cui la pianta organica è strumentale al perseguimento della salute pubblica. Si legge: “Nel valutare il rispetto dell’obbligo [di non introdurre ingiustificate restrizioni alla concorrenza e alla libertà di intrapresa], è necessario tenere conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato, e che spetta agli Stati Membri stabilire il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poiché detto livello può variare da uno Stato all’altro, si deve riconoscere agli Stati Membri un margine discrezionale”. Resta, così, elusa e ancora aperta la questione della proporzionalità e dell’adeguatezza della regolamentazione settoriale. È significativo che l’Avvocato Generale, nel presentare la causa alla Grande Sezione che doveva poi decidere, così concludeva la sua audizione:

“[…] Spetta al Giudice nazionale determinare se la distanza specifica imposta [tra farmacie] sia giustificata, tenendo conto del livello di interferenza con il diritto di

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stabilimento, della natura dell’interesse pubblico, nonché del livello di copertura universale che potrebbe essere raggiunto con sistemi meno restrittivi”21.

Un altro esempio è dato dalla Sentenzadella Grande Sezione del 1° Maggio 2009 (procedimento C-531/06), riguardante direttamente l’Italia deferita dalla Commissione Ue con la citata IP/06/858. Qui la Corte valuta non in contrasto con il Trattato CE i vincoli di accesso alla proprietà. Alla base del dispositivo vi sono le medesime considerazioni: che spetta agli Stati Membri decidere il livello al quale vogliono garantire la salute pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto; che la diversità dei sistemi di protezione sociale richiede che ciascun Paese possa esercitare discrezionalità nella scelta degli strumenti con cui perseguire la pubblica utilità; che, nello specifico, spetta al singolo Paese esprimersi sui rapporti di produzione (professionali, di lavoro, di compravendita) più idonei a perseguire l’obiettivo della salute pubblica. Su quest’ultimo punto, la Corte si “avventura” anche in alcune considerazioni abbastanza opinabili, circa la ricattabilità dei farmacisti stipendiati (alinea 64) o il rischio che la gestione dell’esercizio venga affidata a soggetti non abilitati alla professione (alinea 63). Da un lato, emerge la tentazione di valutazioni etiche, confermate anche dal fatto che, si sostiene (alinea 61), “[… i farmacisti di professione gestiscono] la farmacia non in base ad un obiettivo meramente economico, ma altresì in un’ottica professionale. [L’interesse del farmacista], connesso alla finalità di lucro, viene quindi temperato dalla sua formazione, dalla sua esperienza professionale, e dalla responsabilità ad esso incombente, considerato che un’eventuale violazione delle disposizioni normative o deontologiche comprometterebbe non soltanto il valore del suo investimento, ma altresì la propria vita professionale”. Dall’altro lato, la Corte sembra cadere nell’errore di confondere proprietà e gestione operativa, quest’ultima mai coinvolta, sia in Italia che all’estero, in discussioni che potessero non vederla appannaggio/responsabilità esclusiva di farmacisti abilitati. Per inciso, le argomentazioni qui utilizzate dalla Corte porterebbero alla conclusione che, se è lecito che i Paesi Membri mantengano vincoli all’accesso alla proprietà, non si

21 È qui utile ricordare, a proposito della Spagna, l’esperienza recentemente realizzata dalla Regione della Navarra. Nel 2001, con la Legge “Foral”, ha modificato l’assetto della pianta organica, e adesso l’apertura di nuovi esercizi è sempre possibile con il vincolo, però, che, s e ci sono aree deficitarie o sotto rifornite, l’apertura debba avvenire dapprima in queste. La riforma ha avuto un percorso molto difficile, impugna subito dall’Ordine dei Farmacisti innanzi al tribunale Superiore della Navarra per supposta incostituzionalità, per poi essere definitivamente ammessa, con sentenza non appellabile, dalla Corte Costituzionale.

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intravedono ragioni per cui farmacisti abilitati non possano liberamente avviare e gestire direttamente un esercizio.

Considerazioni di questo tenore possono essere ripetute anche per altri procedimenti in corso innanzi alla Corte di Giustizia. Le conclusioni dell’Avvocato Generale sulla Causa C-393/0822, per portare altri esempi, suggeriscono alla Corte di rigettare un ricorso avverso la pianificazione dei periodi di apertura (tra l’altro anche questo procedimento riguarda l’Italia). Le argomentazioni addotte sono varie, ma su di tutte si impone quella che il coordinamento dei periodi è un aspetto collaterale al contingentamento numerico, che a sua volta rientra in una pianificazione sistemica che, negli intenti del Legislatore, mira a garantire adeguatezza dell’offerta in quantità e qualità. “[In presenza di esercizio chiuso], chiunque può utilizzare le altre farmacie aperte o di guardia”. Si dà per assodato che la pianta organica abbia virtù positive non superabili e non eguagliabili da nessun altro assetto, visto che il Legislatore nazionale l’ha posta alla base dell’organizzazione di settore.

Al pari di quanto concluso per la Corte Costituzionale, non è possibile, dalle sentenze della Corte di Giustizia, far discendere elementi con cui confutare le argomentazioni e le richieste della Commissione Europea. Il contrasto è solo apparente e, piuttosto che far concludere che l’attuale assetto di settore non presenti problemi e non necessiti di interventi di riforma/rinnovamento, esso rimanda all’esigenza di migliorare l’interazione e il supporto reciproco tra Istituzioni nazionali e internazionali che, con competenze e ruoli diversi, partecipano a decidere dell’evoluzione delle economie e della società europea. È importante che il dibattito si approfondisca subito e liberi il campo da convincimenti infondati e pretestuosi sui rapporti tra l’Antitrust, la Commissione Europea e le due Corti. Se questo punto di vista sbagliato viene propugnato e si concretizza sulla distribuzione del farmaco, è concreto il rischio che esso venga esteso anche ad altri settori sovraregolati e presidiati da lobby. Non è accettabile che equivoci istituzionali di questo tipo trasformino l’affermazione della legalità in un’azione di natura soltanto formale, non falsificabile e strumentalizzabile per mantenere lo status-quo anche quando palesemente pervaso da storture corporativistiche.

22 L’Avvocato Generale si è espresso l’11 Marzo 2010.

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6. I “nuovi” canali di distribuzione

La Legge n. 248/2006 ha introdotto un canale di distribuzione in più, quello delle parafarmacie e dei corner nella Gdo. I primi risultati, tra la fine del 2006 e il 2007, sono apparsi promettenti, con riduzioni dei prezzi al consumo, rispetto alle farmacie tradizionali, comprese tra il 5 e il 20%, e con punte sino al 30%. Nel nuovo canale hanno potuto trovare impiego numerosi farmacisti abilitati non titolari di esercizio.

Secondo alcune stime di associazioni dei consumatori, sarebbero circa cinquemila i professionisti coinvolti23, e questa evoluzione ha dato ragione all’Antitrust che nella riforma ha visto, sin del primo momento, una occasione per promuovere nel contempo efficienza e occupazione.

Tuttavia, dal 2007 a oggi, l’impatto del nuovo assetto si è andato riducendo. Non solo le parafarmacie hanno avuto una diffusione inferiore alle attese, ma alcune, soprattutto quelle indipendenti e non collegate ad esercizi farmaceutici tradizionali, hanno avuto vita breve. Una maggior capacità di rafforzarsi sul mercato hanno espresso i corner della Gdo, ma anche da loro ci si attendeva di più, soprattutto in termini di copertura territoriale, visto che potevano appoggiarsi su una struttura di approvvigionamento e vendita già consolidata, con evidenti economie di scala e di scopo.

Sul mancato sviluppo di parafarmacie e corner Gdo hanno pesato, da un lato, la dimensione del comparto di prodotti commercializzabili e, dall’altro, l’obbligo di presenza in loco del farmacista abilitato24. Il mercato di Sop-Otc conta, in Italia, per poco più dell’8% della spesa complessiva per farmaci, equivalente a circa 2 miliardi di Euro (dato del 2009). Un ammontare di risorse relativamente basso, soprattutto rispetto agli investimenti che i new enter devono compiere, sia in capitale fisico che in capitale umano25. È per questa ragione che, anche alla luce delle esperienze internazionali, i

23 I farmacisti titolari sono circa 17mila (quanti gli esercizi farmaceutici), mentre gli iscritti complessivi agli Ordini Provinciali di tutto il Paese arrivano alle 55mila teste.

24 Altre ragioni hanno a che vedere con problematiche contrattuali nei rapporti con il settore all’ingrosso (contratti modificati unilateralmente, pagamenti alla consegna senza dilazioni commerciali, minimi di ordinativi giornalieri, etc.)..

25 Sul punto, si veda anche l’intervento dell’Agcm con la Segnalazione AS371 in data 24 Novembre 2006, dove si mettono in evidenza le scelte di alcune Regioni (la Lombardia una di queste) di stabilire requisiti aggiuntivi per l’operatività di parafarmacie e corner Gdo (separazione degli ambienti con parete vetrata, magazzino ad hoc continguo al locale di vendita, fax dedicato, etc.). Tali requisiti appaiono all’Agcm ingiustificatamente restrittivi della concorrenza.

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nuovi operatori hanno avanzato proposte affinché il loro ambito operativo fosse esteso ai farmaci “C” con obbligo di prescrizione (“C-Op”) o, in alternativa, fosse superato l’obbligo di presenza in loco del farmacista abilitato.

Cambiamenti si sono realizzati anche al di là del comparto dei Sop-Otc. Pressati da esigenze di controllo e razionalizzazione della spesa farmaceutica pubblica, Regioni e Asl hanno attivato canali alternativi per la distribuzione dei farmaci “A”. Si tratta di un fenomeno non omogeneo su scala nazionale, e che vede governi e amministratori locali sperimentare modelli diversi, avvalendosi della sfera di legislazione esclusiva che la Costituzione assegna alle Regioni in tema di organizzazione dei sistemi sanitari regionali, e del principio di sussidiarietà introdotto in Italia dalla Legge n. 59/1997.

Questi nuovi canali sono rappresentati da: distribuzione di continuità, distribuzione diretta, e distribuzione in nome e per conto. In realtà le prime due modalità esistono da tempo. La prima, di continuità, per somministrare trattamenti farmaceutici ai pazienti nel periodo immediatamente successivo alla dimissione ospedaliera. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di pazienti che, prima di assumere il farmaco, necessitano di viste di controllo; o di farmaci che, per loro caratteristiche (volatilità o dosaggio, etc.), non possono prescindere dall’assistenza di un medico o di un infermiere. La seconda, la diretta, per commercializzare alcuni farmaci attraverso la farmacia ospedaliera e, in particolare, packaging non disponibili sul territorio, o prodotti specifici per patologie poco diffuse, o addirittura prodotti ad personam per i quali è necessaria una ordinazione.

Alcune Regioni e alcune Asl stanno potenziando questi due canali, ampliando la funzione di continuità e permettendo alla farmacia ospedaliera di svolgere, in tutto e per tutto, le stesse operazioni di commercializzazione delle farmacie territoriali. A fianco a questi due, è recentemente emerso un terzo canale, quello della distribuzione in nome e per conto. Attraverso vere e proprie convenzioni tra Regione e farmacia privata, o tra Asl e farmacia privata, le farmacie territoriali sono contrattualizzate per funzionare come agenti di distribuzione dei farmaci “A”. La remunerazione della farmacia avviene secondo le clausole della convenzione con la Regione o la Asl, ed è svincolata dalla proporzionalità al prezzo al consumo secondo le percentuali di legge.

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7. Gli extra-sconti26

La Legge n. 77/2009 ha affrontato il problema degli extra-sconti, ossia della prassi di alcuni produttori di contrattare il riconoscimento alle farmacie di margini di ricavo più ampi rispetto a quelli puntuali fissati ex-lege, come strumento di incentivazione alla commercializzazione dei propri prodotti di fascia "A". Una contrattazione di fatto in deroga alla legge, e attraverso cui il produttore, a parità di prezzo al consumo, rinunciava (e probabilmente ancora adesso rinuncia) a quote del proprio margine di ricavo a favore del distributore al dettaglio.

La Legge n. 77/2009 ha previsto i seguenti cambiamenti:

In riferimento ai farmaci copia di prodotti a brevetto scaduto, ma escludendo i farmaci un tempo coperti da brevetto e gli altri prodotti che abbiano usufruito di licenze derivanti da questo brevetto, la quota di prezzo al consumo (al netto di Iva) per legge di spettanza del produttore passa al 58,65% dal 66,65%, liberando 8 punti percentuali che, secondo la libera interazione commerciale tra grossista e farmacia, potranno diventare appannaggio del primo o della seconda;

Per il mancato rispetto dei nuovi margini di ricavo, in qualunque modo questi possano esser aggirati, sono previste sanzioni in capo sia al produttore che al grossista e alla farmacia.

Preliminarmente si deve osservare che:

gli 8 punti che si liberano sono destinati ad esser appannaggio della farmacia, che può esercitare un potere di mercato superiore a quello dei grossisti e che già riceve anche dai grossisti degli extra-sconti a valere sulla quota ricavo fissata per legge per gli stessi grossisti (cfr. infra);

appare ora chiaro perché è stato inferiore alle attese l’impatto del provvedimento che ha stabilito che, a decorrere dal 1° Gennaio 2005, lo sconto obbligatorio dovuto dalle farmacie al Ssn (all’atto del rimborso dei farmaci "A"

commercializzati) non trovava più applicazione su "specialità o generici che

26 Sul punto, cfr. N. Salerno (2010), ”Più concorrenza tra le farmacie risolve anche il problema degli extra-sconti sui farmaci ‘A’“ (http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=935&Itemid=134).

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24 | CeRM – Competitività, Regole, Mercati | Working Paper n. 4 | 12 Novembre 2010

abbiano un prezzo corrispondente a quello di rimborso"; questo provvedimento non ha sortito gli effetti sperati in termini di diffusione delle copie più economiche degli off-patent perché i maggiori ricavi ottenibili dalla farmacia grazie alla rimozione dello sconto obbligatorio dovuto al Ssn si sono dimostrati inferiori ai maggiori ricavi ottenibili tramite gli extra-sconti riconosciuti dal produttore su prodotti più costosi.

L’intento dichiarato del Legislatore è stato quello di aumentare la convenienza della farmacia a commercializzare i prodotti equivalenti più economici. Tuttavia, sembrano permanere alcune contraddizioni:

Nulla cambia su in-patent, originator a brevetto scaduto e licenziatari illo tempore di originator a brevetto scaduto. Su questi prodotti la proporzionalità al prezzo rimane tel quel e, con essa, la possibilità di praticare extra-sconti. Se l’extra-sconto è stato utilizzato sinora, ancorché illecito, perché mai la prassi dovrebbe interrompersi adesso? Per inciso, i farmaci in-patent contano in Italia per oltre il 72% della spesa territoriale netta, cui si aggiunge un 20,7%

ascrivibile alle copie branded di originator a brevetto scaduto27;

Nell’intervallo di prezzo in cui si concentrano le vendite di prodotti "A" (tra i 15 e i 20 Euro Iva esclusa28), resta per la farmacia la convenienza alla commercializzazione del prodotto off-patent più costoso, da ricondurre al fatto che in questo caso più risorse sono disponibili, nella stessa logica degli extra- sconti, per la loro suddivisione tra produttore, grossista e farmacia, e sono risorse a carico del Ssn terzo pagatore29;

Appare contraddittorio che, per correggere le distorsioni prodotte dalla proporzionalità al prezzo, il Legislatore scelga una soluzione che quelle distorsioni asseconda. Si riconosce, di fatto, che l’impatto sui comportamenti del farmacista esiste, e che per risolverlo è necessario remunerarlo di più quando canalizza al consumo i prodotti equivalenti più economici, anche se già

27 Cfr. “Rapporto Osmed – 2010”, http://www.agenziafarmaco.it/it/content/luso-dei-farmaci-italia-rapporto-osmed-2009.

28 Le vendite di farmaci "A" si concentrano per quasi il 90% nella fascia di prezzo al consumo sotto i 23,47 Euro Iva esclusa. Rispetto a Francia, Germania e Spagna, in Italia si nota un addensamento delle vendite nella parte alta di questa fascia.

29 L’esercizio di statica comparata è descritto in dettaglio in N. Salerno (2010), “Gli extra-sconti sui farmaci ‘A’ dopo la legge n. 77 del 2009”, su Quaderni di Farmacoeconomia, n. 11-2010.

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