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1. Gli strumenti del mercato monetario come strumenti finanziari. i confini della fattispecie.

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(1)

L

EZIONE

12

G

LI STRUMEMENTI DEL

M

ERCATO MONETARIO

1. Gli strumenti del mercato monetario come strumenti finanziari. i confini della fattispecie.

Tra gli strumenti finanziari tipici, ai sensi dell’art. 1, comma II, lett. b), T.U.F. sono oggi inclusi gli strumenti del mercato monetario, la cui categoria viene ora tratteggiata nello stesso art. 1, ma al comma I/ter (introdotta con l’art. 1, comma I, lett. g) del D. Lgs. n. 164/2007, adottato in attuazione della Direttiva 2004/39/CE c.d. “M

IFID

”).

Il testo del comma 1/ter, per esemplificare – non per definire univocamente – gli “strumenti del mercato monetario" richiama prima un dato fattuale, precisando (in modo quasi tautologico) che con l’espressione “strumenti del mercato monetario” ci si riferisce a titoli, ovvero a categorie di strumenti normalmente negoziati nel mercato monetario, poi menziona espressamente i buoni ordinari del Tesoro, i certificati di deposito e le carte commerciali.

Con ciò, da un lato differenzia nettamente – al livello della tipologia – gli strumenti monetari da una “quidditas” che abbiamo già preso in considerazione tra le obbligazioni e che pure partecipa della categoria dei titoli di Stato con i B

OT

(ci si riferisce espressamente a C

CT

e B

TP

, ma anche ai C

TZ

, che non rientrano tra gli strumenti del mercato monetario non avendo una durata tanto breve) mentre, d’altro canto, assimila le due categorie sulla base fattuale, al punto che sono trattate sul mercato monetario anche titoli obbligazionari se la loro vita residua (cioè, dal momento della negoziazione alla scadenza e quindi al rimborso) non eccede i 12 mesi.

Dunque, anche gli strumenti che di per sé non apparterrebbero al mercato

monetario – ma di fatto sono attualmente negoziabili sullo stesso (in

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ragione della loro vita residua), come le obbligazioni, risultano tutti da ricomprendere tra i titoli di debito – dal momento che consentono di azionare (cioè, di fare valere un diritto di credito all’interno di un rapporto obbligatorio), mentre dati caratterizzanti sono, da un lato, la durata breve dell’operazione creditizia (che si esaurisce in un lasso di tempo da comprendere nel breve periodo) e, d’altro canto, la negoziazione su un mercato “ad hoc”, il mercato monetario, i cui prodotti si connotano per un peculiare mix di condizioni di rischio/rendimento. Quest’ultima precisazione, poi, consente di escludere dalla fattispecie degli strumenti del mercato monetario quei titoli di debito emessi dalle s.r.l., si sensi dell’art.

2483 c.c., che certamente non sono negoziabili sul mercato monetario anche se la loro durata residua fosse inferiore a 12 mesi (questo anche perché la situazione giuridica soggettiva del sottoscrittore cambia a seconda che si tratti di investitore non professionale, di socio dell’emittente o di investitore professionale, nell’ipotesi che trasferisca il titolo, ad altro investitore professionale, ad altro socio dell’emittente, o ad un investitore non professionale).

Pertanto, se ne desume che carattere comune a tutti gli strumenti del mercato monetario è la liquidità – intesa come agevole negoziabilità del titolo sul mercato, che allora è a sua volta liquido – e la liquidabilità del titolo, in funzione sia della liquidità del mercato che della solvibilità dell’emittente e della durata contenuta dell’operazione. Essa riduce molto il rischio di default dell’emittente e la possibile responsabilità di chi negozia il titolo senza doversi preoccupare della solvibilità dell'emittente e del negoziatore, ovvero della loro consistenza a livello patrimoniale nell'ipotesi d'inadempimento dell'obbligazione.

Nella categoria delle carte commerciali devono poi essere ricomprese

“quidditas” come le accettazioni bancarie e le cambiali finanziarie, che

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non eccedevano i 12 mesi (attualmente portate

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fino a 36), ma che sembrano più vicine alla tradizionale esperienza – e ricostruzione concettuale – dei titoli di credito, piuttosto che a quella (decisamente innovativa) delle Securities di tradizione anglosassone.

La disposizione non pare riferibile ai cc. dd. “pronti contro termine”, impiegati solitamente dalle banche (e da altri intermediari finanziari, ad es.

le S

IM

, e da imprese di assicurazione private) come strumento per la raccolta a breve, da includere tra i prodotti finanziari, cui applicare le disciplina dettata per il contratto di riporto. Infatti, i contratti in questione non danno luogo a situazioni giuridiche soggettive “circolabili” com’è generalmente per gli strumenti finanziari, anche per quelli non titolarizzati (e che allora non corrispondono alle securities nei Paesi di common Law), ma a particolari prodotti finanziari

2

che non costituiscono mai strumenti finanziari concepiti per essere scambiati sui mercati regolamentati o su sistemi alternativi di negoziazione.

Viceversa, nella “terra di mezzo” tra obbligazioni e strumenti del mercato monetario sono da situare – almeno a livello espositivo – strumenti finanziari che hanno una durata compresa tra i 12 e i 24 mesi, tra cui si devono oggi inserire eventuali B

OT

che fossero emessi, ad es., a 18 mesi.

Questi, infatti, hanno evidentemente una durata un po’ più cospicua degli strumenti del mercato monetario e, a differenza di quelli, cominciano a non risultare affatto “risk free” (cioè, sottratti ad ogni tipo di rischio).

1 Il supporto normativo è rappresentato da una serie di deliberazioni CICR, cioè, quella del 3 marzo 1994, del 19 luglio 2005 e del 22 febbraio 2006, assieme alle Istruzioni di vigilanza della Banca d'Italia in data 12 dicembre 1994, Titolo IX, capitolo 2. Ma sono da considerare soprattutto le disposizioni di carattere primario quali il D.L. n. 22 giugno 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 7 agosto 2012 (che, tra l'altro, ha pure provveduto a introdurre nel nostro ordinamento i cosiddetti project bonds).

2Previsti nell’art. 203, comma I,TUF.

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Su un periodo che è già più lungo dei 12 mesi (pur senza superare i 24), comincia a salire il rischio tassi, il rischio cambi, nonché il rischio emittente.

Diventa, poi, sicuramente più essenziale la questione riguardante la liquidabilità del titolo, cioè la sussistenza di un mercato secondario dove il sottoscrittore, negoziando il titolo, possa ritornare in possesso della liquidità investita all’atto della sottoscrizione.

Già queste ragioni paiono sufficienti a giustificare un incremento del costo del credito passando dagli strumenti del mercato a questi altri, che pure non sembrano mostrare ancora tutti i caratteri propri delle obbligazioni, mentre non è dubbio che le questioni tendano a diventare più importanti passando da una tipologia all’altra di strumenti del mercato monetario. Proprio per questo, è opportuno analizzare approfonditamente tutti gli elementi inclusi nella fattispecie di cui al comma 1-ter dell’art. 1 T

UF

.

2. I buoni ordinari del tesoro (o B

OT

) e gli altri titoli di Stato con vita residua non eccedente i 12 mesi.

La prima classe di titoli di debito pubblici cui si pensa parlando di titoli di stato è costituita e, in particolare, dai cc. dd. B

OT

. Tipici titoli “a breve”, collocati con aste trimestrali, semestrali e annuali, sono emessi per coprire un deficit nel bilancio dello Stato (vale a dire, uno scostamento delle uscite dalle entrate). Anche i B

OT

sono degli “zero coupon”, cioè dei titoli senza cedola come i C

TZ

, da cui differiscono, oltre che per la durata (24, invece che 3, 6 o 12 mesi), anche per il momento in cui subiscono il prelievo fiscale, che – mentre nei B

OT

corrisponde al momento dell’emissione – nei C

TZ

avviene all’atto del rimborso del titolo. Nei titoli “zero coupon”

l’emittente (che, lo ricordiamo, corrisponde allo Stato) – applicando nel

caso di specie la regoletta espressa dal brocardo “accipe dum dolet” (ossia,

incassa quando e ancora presente l'esigenza che muove il contraente a

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trattare con chi offre una determinata prestazione), incamera il prelievo fiscale sul rendimento dei titoli, in uno dei due momenti in cui si concretizza la dazione di una somma di denaro. Dunque, cioè, nel collocamento dei B

OT

il prelievo fiscale ha luogo quando il sottoscrittore versa il corrispettivo dei titoli emessi “sotto la pari” – col risultato che l’importo versato rappresenti la somma tra il valore di sottoscrizione del titolo e il prelievo sulla differenza tra il valore di sottoscrizione (come definito nell’asta di collocamento e il valore nominale del titolo all’atto del rimborso programmato) – mentre differente è il timing dell’imposizione a proposito dei C

TZ

. Infatti, lì “dazione di denaro” su cui incide l’imposta è il rimborso del titolo, che viene “decurtato” dal prelievo fiscale.

Per quanto attiene agli altri titoli di Stato con vita residua non eccedente i 12 mesi, invece, il trattamento fiscale segue le regole ordinarie, dal momento che la corresponsione dell’imposta presuppone l’effettiva percezione del rendimento (quindi, viene pagata quando matura il rendimento, essendo dedotta dall’importo lordo della cedola o – negli “zero coupon bonds” – dal differenziale tra il prezzo di sottoscrizione (o di acquisto) e il valore nominale pagato al rimborso.

3. I certificati di deposito.

I Certificati di deposito (CD) sono strumenti finanziari emessi da una banca in funzione di una delle modalità per la raccolta del risparmio che verrà impiegato nell’erogazione del credito

3

. Nel caso di un deposito bancario vincolato (cioè, non esigibile “a vista” dal depositante) i certificati di deposito costituiscono titoli trasferibili che attribuiscono al possessore (che può non coincidere con una l'originario depositante) il diritto al rimborso del capitale più un interesse.

3 L'altra modalità essendo rappresentata dall'emissione di obbligazioni bancarie, anche del genere ABS/MBS.

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I Certificati di deposito hanno una durata che varia dai 3 mesi ai 5 anni e possono essere a tasso fisso o variabile. Gli interessi sono corrisposti normalmente attraverso cedole; tuttavia sono presenti anche certificati che sono sottoscritti sotto la pari e rimborsati al valore nominale (zero coupon) così come accade per i B

OT

e i C

TZ

. Chiaramente, costituiscono strumenti del mercato monetario se la durata stabilita originariamente in contratto o la vita residua non eccedono i 12 mesi Il capitale è, di norma, rimborsato alla scadenza.

3.a. Categorie

Certificati di deposito a tasso fisso: remunerano l'investimento ad un tasso di interesse fisso stabilito prima dell'emissione.

Certificati di deposito a tasso variabile: remunerano l'investimento ad un tasso di interesse variabile. Il tasso varia a determinate scadenze temporali seguendo i tassi di mercato (sul territorio italiano ci si riferisce all'E

URIBOR

).

Certificati di deposito zero-coupon: sono senza cedola non liquidano periodicamente gli interessi ma li corrispondono unitamente al capitale alla scadenza del titolo.

3.b. Rischi per il possessore

Nel sottoscrivere un CD il possessore sopporta i seguenti rischi:

Rischio di liquidità: i CD con scadenza inferiore ai 18 mesi non possono essere rimborsati prima della scadenza (quelli con scadenza superiore ai 18 mesi possono essere rimborsati almeno trascorsi 18 mesi dall'emissione).

Rischio di tasso: in caso di oscillazione dei tassi di mercato la

cedola in corso, per i CD a tasso variabile, e tutte le cedole previste

dal piano, per i CD a tasso fisso, rimangono costanti. (Un rischio

complementare è in capo anche alla Banca emettente).

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Rischio di distruzione, smarrimento o furto: tale rischio è effettivamente presente solo se il certificato è materiale e in possesso del titolare, tale rischio decade se il certificato è dematerializzato (cioè, la sua esistenza è comprovata dalla contabilità della banca) e depositato su un dossier titoli.

3.c. Fiscalità e posizione di mercato

La ritenuta sui i Certificati di deposito è prevista in ragione del 27%.

In precedenza (fino al 1996) i CD di durata superiore a 18 mesi prevedevano un'aliquota del 12,5%. Per questa ragione, attualmente i Certificati di deposito hanno perso progressivamente quote di mercato a vantaggio di prodotti finanziari percepiti dagli investitori come anche meno rischiosi e più “liquidi” (i titoli di Stato a breve), ovvero più profittevoli – in ragione del minor prelievo fiscale – come le obbligazioni bancarie che sono percepite dal cliente, che le sottoscrive, sostanzialmente come prodotti equivalenti sul piano del rischio-emittente.

4. Le “carte commerciali” e i “crediti di firma”. Struttura e funzione economica.

La carta commerciale (o polizza di credito commerciale) consiste in una lettera di riconoscimento di debito (art. 1988 c.c.) di un’impresa nei confronti di un’altra (una banca o un altro intermediario finanziario), a fronte dell’erogazione da parte della seconda di una somma esigibile a scadenza prefissata (solitamente, 1-3 mesi, ma non eccedente mai 12 mesi.

L’estinzione anticipata non è consentita e la prestazione pecuniaria al

termine risulta solitamente pari al valore nominale della medesima

commercial paper . L’operazione creditizia è svolta nei confronti di clienti

che corrispondono a imprese di alta qualità (cui la stessa banca riconosce il

c.d. “prime rate”, corrispondente al tasso d’interesse applicato –

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chiaramente, nei rapporti passivi – alla clientela migliore), perciò privo di garanzie reali, che viene emesso da quel cliente in favore della banca a fronte di un prestito ricevuto e in funzione del mobilizzo di un impiego per la banca medesima secondo le regole prescritte dall’autorità di vigilanza bancaria (Banca d'Italia) nella sua normativa secondaria.

In genere, la somma non è inferiore a 50.000 euro. Alla carta commerciale al livello del giudizio sulla qualità dello strumento finanziario, viene solitamente attribuito l’investiment grade.

Trattandosi di uno strumento del mercato monetario impiegato dalla banca per mobilizzare un prestito, è naturale che le condizioni di tale prestito rappresentate nel titolo siano concordate tra banca e cliente; mi riferisco, in particolare, al “tasso-emittente” e al “tasso-investitore”, che costituiscono, rispettivamente, quello pagato dall’emittente il commercial paper al primo prenditore (coincidente con la banca erogatrice del prestito) e quello che la stessa banca (ovvero, l’intermediario finanziario cui la stessa abbia ceduto il proprio portafoglio di commercial papers) paga all’investitore che abbia sottoscritto le obbligazioni emesse dalla banca o dall’intermediario per finanziare l’acquisto della medesima “carta commerciale”.

Tutti i costi collegati all’operazione cui è funzionale l’emissione del commercial paper e delle obbligazioni che fossero emesse in funzione della carta – cioè, commissioni, interessi, spese – si riducono allo spread: ogni competenza bancaria (compreso il rilascio dell’eventuale fideiussione o garanzia autonoma

4

) è da ritenere compresa in quell’eventuale spread che

4 Il “contratto autonomo di garanzia” comporta l’assunzione di un impegno irrevocabile di pagamento a prima richiesta. Esso costituisce per la Banca un impegno diretto, autonomo e irrevocabile, che la obbliga ad effettuare il pagamento a prima richiesta senza possibilità di opporre eccezioni di sorta e, in particolare, quelle fondate sui rapporti tra cliente e terzo beneficiario. In caso di escussione della garanzia, resta a carico del medesimo cliente, dopo avere a semplice richiesta rimborsato la Banca, l’onere di agire nei confronti del terzo per l’eventuale ripetizione di quanto fosse stato pagato

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dovesse sussistere tra la somma erogata a titolo di prestito e quella oggetto di rimborso, oppure tra il valore contabile dell’impiego e il valore nominale (e/o il prezzo di mercato) del titolo utilizzato per mobilizzarlo sul mercato monetario.

Per l’emittente è uno strumento di finanziamento a breve termine, mentre per l’investitore rappresenta uno strumento che consente la gestione della liquidità a breve termine che può essere assai interessante sotto il profilo del rendimento

5

. A tale lettera si può accompagnare una fideiussione della banca a garanzia dell’impegno assunto dall’emittente; tale garanzia, evidentemente, vale a rendere più facilmente cedibile il credito indicato nella polizza.

I “crediti di firma”, invece, coincidono col le cc. dd. “accettazioni bancarie”.

L’accettazione bancaria è una cambiale tratta che contiene l’ordine di un'impresa (traente) ad una banca (trattaria) di pagare una certa somma ad una determinata scadenza.

La banca che pone la propria firma per accettazione diventa automaticamente l’obbligato principale. Chiaramente, la banca assume in proprio l’obbligazione – apponendo la firma di accettazione – in base ad un rapporto di credito con il traente.

5 In termini di combinazione tra rischio e rendimento se si confronta il risultato di questo strumento con quello del prodotto finanziario a breve corrispondente ai “pronti contro termine” (trattati in merito al contratto di riporto; cfr. lez. 4); dove la remunerazione tende a coincidere con quella dei titoli di stato di durata corrispondente.

Sul piano del rating questo strumento del mercato monetario presenta una rischiosità ridotta poiché risulta piuttosto improbabile un peggioramento del merito creditizio del debitore nel corso della vita della commercial paper (ad es. per un rischio di default dell'obbligato principale).

È da dire che anche la commercial paper evidenzia il solito “trade off” tra rischio e rendimento, di cui dovrebbe tener conto ogni investitore avveduto: notoriamente, quelle caratterizzate da un rendimento più interessante sono pure le commercial papers più rischiose, mentre se prevedono, accanto all’obbligazione diretta dell’impresa emittente, anche l’obbligazione di garanzia (accessoria o autonoma) di una banca, questi segnala la rischiosità dell’emittente o si esprime in una minore redditività del titolo (anche perché l’emittente dovrà compensare pure la garanzia bancaria).

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Una volta che il titolo è stato accettato da una banca può essere negoziato anche tramite una società di intermediazione che può acquisire in proprio le accettazioni oppure può impegnarsi a piazzarle presso altri soggetti.

Il titolo può essere ceduto con semplice girata piena e con l’annotazione

“senza garanzia” da parte del girante; tale clausola serve per evitare che i successivi giratari, assumendo a loro volta la posizione di giranti (e che, quindi, non potranno essere considerati mai obbligati principali), possano essere comunque sottoposti ad azione di regresso. Ovviamente, la presenza della clausola “senza garanzia” rende il titolo meno sicuro per i singoli giratari successivi (che, essendo privi del regresso verso i giranti – tranne che verso la banca accettante – vedono di fatto aumentare il rischio di default del titolo), mentre corrispondentemente aumenta la sua attitudine a circolare, perché in tal modo ogni credito di firma circola fondando il proprio “standing” esclusivamente sulla solvibilità della banca-emittente, nonché dell’impresa traente.

Le accettazioni presentano una durata compresa fra tre e dodici mesi e possono essere presentate allo sconto presso le banche, le quali anticipano l’importo dell’effetto meno gli interessi.

Il traente – solitamente corrispondente a un’impresa commerciale che abbisogna di liquidità – dovrà pagare una commissione di accettazione alla banca trattaria ed una commissione di negoziazione all’intermediario finanziario.

Il valore di negoziazione dell’accettazione bancaria viene determinato scontando, ad un dato tasso di interesse, il valore nominale del titolo.

L’investitore che acquisisce, dall’intermediario finanziario un’accettazione

bancaria acquista un titolo altamente garantito – per effetto

dell’obbligazione diretta assunta dalla banca accettante – e quindi

facilmente negoziabile. È plausi

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In entrambi i casi si tratta di strumenti finanziari “a breve”, dove l’affidabilità finanziaria dell’emittente è:

 Spesso – almeno nel primo caso – fondata sul carattere di “grande impresa” dell’emittente – che assume, allora, anche la posizione di obbligato principale a livello cambiario;

 A volte “corroborata”, nel commercial paper, da una fideiussione bancaria o un contratto autonomo di garanzia – che può assumere la

“veste” cambiaria dell’avallo del titolo da parte della banca – mentre, per i crediti di firma, la banca assume la veste di obbligato principale, con diritto di regresso verso l’impresa finanziata.

4.a. Principali rischi (generici e specifici) dello strumento.

Tra i principali rischi propri di questo strumento finanziario, va tenuto presente il c.d. rischio di default, relativo all’impresa promittente – nel commercial paper – ovvero, all’impresa-traente (nell’ipotesi dei crediti di firma); Ovviamente, d’altro canto, l’intervento di una banca nell’operazione – vuoi come eventuale garante, nei commercial paper, ovvero come trattario-accettante, nell’accettazione bancaria – viene “pagato, dall’investitore, nei termini di una minore redditività attesa per l’operazione. Infatti, per le carte commerciali il principale rischio è rappresentato dall’inadempimento dell’emittente; tale rischio è fortemente attenuato in caso di presenza di fideiussione della banca e/o di accettazione bancaria (v. supra).

4.b. Ulteriori caratteri e specificazioni sulla “Commercial paper”

In effetti, spesso anche la dicitura Commercial paper indica un titolo

di credito.

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Sebbene sia a volte usata anche come sinonimo di polizza di credito commerciale, quando con l'espressione si indica uno strumento del mercato monetario il cui documento rappresentativo è costituito da un

"pagherò cambiario" non garantito, emesso dalle imprese, con scadenza massima a 270 giorni. Poiché questi titoli non sono garantiti, solo le società più grandi o più solvibili le emettono. Il tasso di interesse che viene offerto, riflette naturalmente il livello di rischio dell'emittente. Il mercato finanziario è poco liquido. Il suo utilizzo in Italia è molto limitato.

La Commercial paper è una fonte di finanziamento a breve termine per le imprese. Si tratta di una specie di “cambiale” che le imprese emettono e che sono sottoscritte da banche, fondi o privati. Gli istituti finanziari si trovano così normalmente ad avere nei loro portafogli molta carta commerciale a diverse scadenze. Questa attività può essere cartolarizzata, cioè a dire l'istituto finanziario può emettere delle obbligazioni, da far sottoscrivere da altre società finanziarie o da privati, che hanno a garanzia la carta commerciale in portafoglio dell'istituto.

Dato che la Commercial paper non è supportata da garanzie reali, normalmente solo le imprese con rating eccellenti saranno in grado di vendere le loro carte commerciali. La Commercial paper viene solitamente ceduta con uno sconto rispetto al valore nominale. Più lunga è la scadenza, più alto risulterà il tasso di sconto applicato – in funzione del maggior rischio di default dell’emittente scontato dal cessionario, con una minore anticipazione rispetto al valore nominale del credito ceduto).

La Commercial paper è un'alternativa a basso costo all'utilizzo degli

affidamenti bancari, cioè ad un’apertura di credito semplice (ossia non

garantita dall’affidato) . Normalmente il tasso applicato allo smobilizzo

della Commercial paper è più favorevole rispetto al tasso che applica la

banca ad un finanziamento.

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