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Nell'ambito della serie di nozioni di cui si compone la fattispecie degli strumenti finanziari definita all'art. 1, comma II, T

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(1)

L

EZIONE

13

I

FONDI MOBILIARI CHIUSI

Nell'ambito della serie di nozioni di cui si compone la fattispecie degli strumenti finanziari definita all'art. 1, comma II, T

UF

gli O

ICR

(o organismi d'investimento collettivo del risparmio) costituiscono una specifica categoria in cui vengono fatti rientrare esclusivamente le quote di fondi comuni di investimento (in effetti tutta la vasta tipologia di fondi comuni d'investimento mobiliare aperti

1

e chiusi) e le azioni delle S

ICAV

.

1. Introduzione: I fondi chiusi: l’oggetto e la durata dell’investimento.

I fondi chiusi, ai sensi del D.M. 24 maggio 1999, n. 228, in particolare all’art. 12, comma I, investono in beni di cui alle lett. b), d), e) ed f), dell’art. 4, comma II, nella medesima previsione regolamentare.

1 Tipologia che si compone di una varietà abbastanza definita di ipotesi;

1. fondi azionari (che, sulla base delle caratteristiche fissate da Asso gestioni, si un compongono di una percentuale non inferiore al 75% di azioni e almeno il 10%

di strumenti del mercato monetario);

2. fondi obbligazionari (dove – sempre che in base a i criteri fissati dalla Assogestioni – il 90% degli investimenti deve essere di tipo obbligazionario, mentre il restante 10% sarà investito in strumenti del mercato monetario);

3. fondi misti (i cc. dd. "bilanciati"; qui le percentuali vengono fissate dalla SGR

all'interno del regolamento relativo a ciascun fondo, nell'ambito di parametri – un minimo e un massimo per ciascuna categoria di strumenti in cui il fondo può essere investito – come mezzo per definire le qualità intrinseche di ciascun prodotto finanziario offerto alla clientela);

4. fondi monetari (in tal caso si tratta di fondi che investono esclusivamente in strumenti del mercato monetario e liquidità);

5. fondi flessibili (a differenza delle precedenti categorie, qui il gestore gode del potere di modificare a proprio piacimento – cioè, sulla base di condizioni di mercato generalmente molto varia – la composizione qualitativa e quantitativa del fondo).

Non entrano nella tipologia i conti-fondi di liquidità che costituiscono peculiari prodotti finanziari ove si unisce ad un conto corrente (impiegato principalmente come base per il calcolo della giacenza media da riversare all'interno di un comune fondo monetario;

inoltre, se nel periodo di tempo indicato nel contratto la banca verifica una riduzione del saldo sul conto al di sotto della giacenza media, essa provvederà a smobilizzare una parte del fondo monetario utile a ripristinare detta giacenza sul conto corrente)

(2)

Considerando nel dettaglio la disposizione, è evidente che i fondi chiusi sono destinati ad investire – sempre tenendo conto dei limiti che impone la normativa regolamentare della Banca d’Italia (ma comunque senza poter investire in azioni non quotate che corrispondono a quote di O

ICR

aperti

2

) ed a prescindere da quello del 10 % imposto per i fondi aperti – anche in:

 Strumenti finanziari non quotati in un mercato regolamentato;

 Beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari

3

:

 Crediti e titoli rappresentativi di crediti;

 Altri beni per i quali esiste un mercato, il cui valore sia determinabile con periodicità almeno semestrale.

Se i beni degli ultimi tre punti coincidono (almeno in parte

4

; v. infra) con quelli tipici dei fondi immobiliari, restano da trattare, in modo peculiare i fondi dedicati all’investimento in “private equity

5

”, cioè dedicati all’investimento in titoli azionari non quotati. È da sottolineare come – conformemente alle esperienze internazionali nel settore (del private equity), tra i “titoli rappresentativi di crediti” (di cui al terzo punto) sono da

2 Ci si riferisce, evidentemente, alle azioni di SICAV e alle quote di fondi comuni aperti.

3 Il riferimento alle azioni di società immobiliari è volutamente generico: in esso rientrano sia R.E.I.C. (come "Arc R.E.", "Munich R.E." e "Nova R.E.") o SIIQ (come

"IGD") negoziate sull'MTA. È da dire, però, che residuano altre quotate operanti in ambito immobiliare come "Beni Stabili" o "Gabetti" o "Prelios" e pure altre emittenti quotate sul MIV - come di Borsa Italina, cioè Investiment companes (ad es. Cape Live o Ergycapital, oppure Mid Industry Capital, ovvero altre (da scambiare invece sull'AIM

ITALIA, con l'intervento di un intermediario "specialista") come Methorios Capital.

4 Non mi pare – salva una decisione in senso diverso da parte della Banca d’Italia – che i fondi chiusi private equity possano investire in ABS emesse a fronte della cartolarizzazione di crediti fondiari da parte delle banche, o di immobili pubblici.

5 L'investimento in "private equities" può verificarsi amche indirettamemte – ad es., mediante un acquisto di quote in un fondo chiuso – nonchè con le GPF e nelle gestioni patrimoniali su base individuale.

(3)

annoverare anche le obbligazioni convertibili

6

e “cum warrant

7

”, il cui andamento è legato a quello degli strumenti finanziari azionari che ne costituiscono il sottostante (non è causale che le obbligazioni convertibili, ma anche i warrants, siano quotati sul M

TA

).

È da dire che l’ammontare minimo della sottoscrizione nei fondi cc. dd.

private equity, che sono destinati prevalentemente all’investimento in titoli non quotati e negli “altri beni” (di cui all’ultimo punto), nonché in crediti e titoli rappresentativi di questi, non può essere inferiore a 50.000 euro. È chiara l’intenzione del Legislatore di introdurre un meccanismo che mira a disincentivare (non a vietare del tutto) l’investimento per i risparmiatori- investitori che potrebbero non essere dotati, non solo (e non tanto) del livello di disponibilità necessario (e di una certa predisposizione all’investimento ad alto rischio), quanto piuttosto della competenza indispensabile a “governare” tale investimento in modo non passivo.

Ciò spiega anche le considerazioni proposte nel seguito, circa il rapporto tra la dimensione della soglia minima di sottoscrizione – e quindi la dimensione della quota – e la sua quotazione sul M

TF

(v. al punto 2.).

Un elemento caratteristico dei fondi mobiliari chiusi, poi, è la durata, insieme al carattere tendenzialmente non revocabile della decisione d’investimento collettivo su cui si fonda l’operazione: l’orizzonte temporale della decisione d’investimento nel private equity

8

è, almeno tendenzialmente

9

, medio-lungo, pari ad almeno 10 anni.

6 V. l’art. 2420/bis, c.c.

7 Cfr. lezione 9.

8 La distinzione tra “private equity” e “venture capital”, in questo caso, è funzionale a distinguere i primi – come fondi azionari chiusi – dai secondi, che investono in strumenti finanziari obbligazionari, “misti”, titoli di debito (anche corrispondenti a quelli emessi da una s.r.l. a favore di una banca creditrice, ai sensi dell’art. 2483 c.c., o a cambiali finanziarie), e solo marginalmente in azioni, warrants, ecc.

Una questione non bagattellare attiene alla possibilità che prodotti di questo tipo investano, a loro volta, in OICR. Anche a prescindere dall’effettiva sussistenza di ostacoli normativi desumibili dalla normativa regolamentare, mi pare che siano

(4)

2. Fondi mobiliari chiusi: dimensione (della quota e del fondo), diffusione e “liquidabilità”.

Nei fondi chiusi specializzati

10

in venture capital e private equity la dimensione complessiva del fondo, nonché la sua durata vengono definiti

“a monte”, cioè nel regolamento del fondo. Analogamente è da dire per le misura e le modalità di circolazione della quota, dati che – insieme con quelli indicati supra e agli altri legati agli oggetti possibili dell’investimento

11

– risultano essenziali non tanto ai fini della definizione del profilo dell’investitore potenzialmente interessato a quel prodotto finanziario, quanto piuttosto paiono determinanti rispetto al successo dello

riscontrabili consistenti difficoltà pratiche ad ammettere una soluzione positiva: se l’efficienza di un istituto come i FOF è discutibile persino se si tratta di fondi hedge (per il fatto di comportare una sostanziale duplicazione dei costi di gestione; cfr. la lezione 18/quater), penso che la stessa cosa diventi un ostacolo insormontabile per i fondi di venture capital.

9 Cioè, fatta salva la decisione di adottare una dimensione minima della sottoscrizione che comporti la necessità di quotare il fondo, ancorché chiuso, al MTF.

10 Non è solo nominalistica la scelta di preferire l’espressione fondi “specializzati” a quella fondi “riservati”, adoperata dal legislatore secondario con l’art. 15 del D.M.

228/1999: qui ci si riferisce alla scelta dell’oggetto in cui investe il fondo, più che quella di riservare l’adesione al fondo ad investitori qualificati.

È anche consequenziale – come prevede il comma II della stessa disposizione – che il regolamento del fondo specifichi non solo le categorie d’investitori cui il fondo è riservato, ma anche i beni oggetto d’investimento – tra quelli di cui all’art. 4, comma II – e pure le modalità di partecipazione (specificando sia le caratteristiche dell’adesione, che del rimborso delle quote).

11 La medesima distinzione tra venture capital e private equity merita d’essere ulteriormente dettagliata; se l’investimento in private equity corrisponde all’attività di acquisizione di partecipazioni nel capitale di rischio di società non quotate, funzionale al godimento di un certo rendimento – nei termini del flusso di dividendi attesi – nonché alla prospettiva di un capital gain in sede di disinvestimento, il venture capital è costituito da forme intermedie tra il capitale di rischio e quello di credito, dove la remunerazione attesa delle risorse finanziarie si compone spesso di una porzione fissa – nei termini di un tasso d’interesse – nonché di una componente variabile, magari

“ancorata” ad un sottostante, e quindi capace di seguire le sorti di un investimento azionario (nei termini della relazione rischio/rendimento).

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stesso prodotto sul mercato, il che li rende un momento imprescindibile nella strategia competitiva di un’impresa d’investimento.

La dimensione conferita dal regolamento del fondo alla quota è pure rilevante – ai sensi dell’art. 5, comma II, del D.M. n. 228/1999 – ai fini della decisione sulla quotazione dei certificati nel M

TF

: infatti, se l’ammontare minimo della sottoscrizione è inferiore ai € (Euro) 25000, sarà obbligatoria la previsione della quotazione, da parte della S

GR

, entro 24 mesi dalla chiusura dell’offerta (art. 5, comma III).

In particolare, è ragionevole ipotizzare che le condizioni appena previste siano conseguenziali: una dimensione minima della quota di sottoscrizione non eccessivamente elevata può consentire di investire anche a chi ha un interesse rilevante alla possibilità di disinvestire, cui è evidentemente funzionale l’astratta

12

circolabilità della quota su un mercato regolamentato. D’altro canto, una possibilità del genere può essere agevolata quando l’oggetto dell’investimento, per il fondo, possa essere rappresentato non solo da azioni o obbligazioni convertibili o warrants non quotati, ma anche da assets decisamente più “liquidi”, come ad es. titoli di debito pubblici – magari anche quotati su mercati regolamentati – ma non quote o azioni corrispondenti ad O

ICR

aperti.

In sostanza, il gestore può “dosare” la redditività e liquidabilità del portafoglio corrispondente al fondo chiuso, per organizzare la struttura del patrimonio separato anche in ordine al migliore governo delle fasi del mercato, ma potrebbe non azzerare il rischio di illiquidità, il che potrebbe far propendere per la negoziabilità della quota sul M

TF

. Ad ogni modo, due considerazioni s’impongono a proposito dei fondi chiusi:

12 In pratica, invece, l’astratta circolabilità della quota potrebbe tradursi – come già rilevato – in una concreta difficoltà di smobilizzare l’investimento, per effetto sia della ridotta dimensione del flottante, sia per il disaggio tra il valore di mercato e il valore contabile della quota in un fondo chiuso o semi-aperto, anche se negoziata sul MTF (che attualmente rappresenta un apposito segmento delMIV, gestito da Borsa Italiana S.p.a.).

(6)

 La loro liquidabilità – evidentemente ridotta rispetto a quella dei fondi aperti – non dipende mai solo dall’emittente: se non è legata alla struttura prevista dal regolamento del fondo (le “finestre”, dove sono ammessi disinvestimenti e nuovi investimenti, ma di norma i secondi condizionano i primi

13

), viene imposta dalla legge in funzione della scelta organizzativa di una certa dimensione massima della quota, come negoziabilità della stessa sul M

TF

;

 La circostanza che la limitata liquidità dell’investimento postula una buona conoscenza non solo generale delle dinamiche di mercato, ma anche degli specifici prodotti finanziari in cui è investito il patrimonio autonomo corrispondente al fondo, impone scelte precise sia in ordine alla dimensione dell’investimento minimo previsto dal regolamento come quota del fondo, che in relazione ai destinatari dell’offerta delle medesime quote sul mercato.

3. Segue: la gestione del fondo e i prestiti per il rimborso della quota.

La possibilità di ottenere – dalla banca depositaria – prestiti in funzione della liquidità utile a consentire il rimborso (integrale o meno che sia

14

) della quota è espressamente indicata nell’art. 2/bis del D.M. n. 228/1999.

13 Come noto, nei fondi chiusi il rimborso delle quote richiede non solo la ricorrenza della finestra temporale, ma anche la contestuale richiesta di nuovi investimenti nel fondo.

Peraltro, dal momento che solitamente si prevede che – all’interno della finestra – l’apporto richiesto al titolare del nuovo investimento sia quantitativamente coincidente a quanto versato in sede di sottoscrizione originaria (senza, quindi, tener conto del valore contabile della quota, mentre è innegabile che l’aspettativa di rimborso del precedente titolare attiene a quel maggior valore), risulta allora evidente che la differenza è a carico della gestione del fondo, che deve attingere alla propria liquidità o, eventualmente, ottenerne dal sistema bancario a titolo di prestito.

14 Infatti, come rilevato supra (alla precedente nota 8), è possibile non solo che l’ammontare degli apporti – per le nuove emissioni – non corrisponda a quanto occorre per rimborsare le vecchie quote (se il numero delle nuove quote corrisponde a quelle rimborsate, ma sussiste uno spread al livello del valore contabile), ma anche che il numero delle quote da rimborsare ecceda quello delle nuove quote sottoscritte.

(7)

Il limite ivi previsto – pari, a livello quantitativo, al 10% del valore del fondo – vale sia per i prestiti utili ad “integrare” la disponibilità conseguita con nuove sottoscrizioni, sia quando il gestore abbia in concreto la possibilità di usare, alternativamente, la liquidità ricavata dalla gestione ordinaria del fondo, o con la temporanea dismissione di alcuni dei suoi assets

15

.

È chiaro che tale possibilità inserisce un congruo margine di flessibilità nell’attività del gestore, ma adotta anche uno specifico limite alla stessa – indicato nel valore del fondo – scrutinato dalla banca depositaria (soggetto terzo rispetto alla S

GR

, e autonomamente “vigilato” dalla Banca d’Italia) e oggetto di verifica periodica.

La normativa regolamentare – ci si riferisce, qui, all’art. 7, comma I, capoverso, del D.M. n. 228/1999 – esclude espressamente la possibilità di un frazionamento successivo delle quote, a meno che queste siano ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato. È evidente, allora, che le varie opzioni (in ordine all’oggetto d’investimento, alla dimensione della quota, al carattere chiuso o semiaperto del fondo, alla negoziazione delle quote su un mercato regolamentato) sono tra loro reciprocamente collegate, concorrendo tutte a definire la posizione concorrenziale del gestore e dei

In quest’ultima ipotesi, si potrà addivenire solo ad un rimborso parziale, pro quota. Si potrebbe sostenere che – come è possibile in ogni altra ipotesi di insufficienza della liquidità sussistente nel patrimonio del fondo a consentire il rimborso integrale della quota – il gestore possa anche accedere a risorse finanziarie ulteriori, erogate – a titolo di prestito – dalla banca depositaria. Nel testo s’indicano i limiti di tale astratta possibilità.

15 La disponibilità può essere acquisita con compravendite – aventi ad oggetto gli strumenti finanziari del fondo – ma anche con contratti di finanziamento (come, ad es., il riporto). È per questo che risulta estremamente opportuna la precisazione dell’art. 12, comma 2/bis, lì dove si riferisce al valore – da intendere come valore contabile – del fondo. Quel valore, infatti (oggetto di verifica periodica da parte della banca depositaria e periodicamente pubblicizzati) costituisce un adeguato termine di riferimento per il mercato.

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suoi prodotti sul mercato del risparmio gestito, riguardo ai prodotti sostituibili nella considerazione dei soggetti cui essi si rivolgono.

Risulta allora difficilmente discutibile che le variegate previsioni della normativa regolamentare si orientino a valorizzare le peculiarità delle varie categorie d’investitori cui si rivolgono le differenti tipologie di prodotti del risparmio gestito, con specifico riferimento alle differenti esigenze di protezione espresse da ciascuna categoria d’investitori.

Ad ogni modo, se è naturale ritenere che la gestione del fondo chiuso – sia di private equity che di venture capital – venga comunque impostata dal gestore in modo da reperire dalla gestione ordinaria anche degli assets sufficientemente liquidi da consentire, ove necessario, pure una dismissione immediata che permetta di fare fronte, ove richiesto, pure ad un’imprevista liquidazione di quote, è pur vero da un lato che l’accesso a risorse finanziarie ulteriori (reperite dal gestore tramite prestiti erogati dalla banca depositaria) può consentire d’integrare quella disponibilità

16

, ma in tal caso è onere del gestore analizzare contemporaneamente il possibile rendimento degl’investimenti realizzabili con le risorse acquisite in prestito e il costo da sostenere per il servizio del debito, nonché il timing previsto sia per gl’investimenti che per il rimborso del prestito, sì da evitare che la gestione del fondo incorra in perniciose crisi di liquidità.

Peraltro, è da rilevare che pure la scelta dello stile di gestione – se, cioè, sia una politica delle “hands on

17

”, oppure quella delle “hands off

18

”, a seconda

16 Sia essa reperita dalla gestione ordinaria o dalla dismissione di beni del fondo (come atto di amministrazione straordinaria).

17 In tal caso, il fondo partecipa attivamente alla gestione della società emittente: oltre ad una rappresentanza nel C.d’A. – nell’ambito delle cui riunioni spesso ha anche il diritto di veto in ordine ad alcune decisioni, che possono essere determinanti rispetto al valore della partecipazione – ha diritto a ricevere mensilmente informazioni sull’andamento della gestione, nonché ad effettuare frequenti visite (una sorta di

“ispezioni”) nell’impresa, o a nominare manager – di propria fiducia – in una serie di posizioni-chiave nell’organizzazione aziendale. Inoltre, solitamente la società partecipata viene assoggettata alla certificazione del bilancio, adotta precisi metodi di budgeting e reporting, e si propongono meccanismi d’incentivo (del tipo “stock

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che il fondo (come investitore) partecipi o meno nella gestione della società emittente le azioni (o quote) non quotate in cui è investito il suo patrimonio – operata “a monte” dal regolamento del fondo, si può configurare come assolutamente determinante rispetto al risultato del fondo (e quindi al successo competitivo delle sue quote, come prodotto finanziario, sul mercato degl’impieghi produttivi.

4. Segue: ancora sui contenuti dei fondi chiusi

La tipologia dei fondi chiusi di cui stiamo parlando si differenzia anche in ragione dei possibili diversi oggetti e strategie d’investimento – corrispondenti ad opzioni differenti quanto agli strumenti da impiegare nelle rispettive strategie d’investimento:

a. Capitale di rischio (o “equity”); qui il fondo viene investito nel capitale proprio delle imprese, in genere attraverso la sottoscrizione di azioni. La redditività – che dipende dal successo delle imprese in cui s’investe – è legata alla percezione dei dividendi, ma anche al

“capital gain” ottenuto sulle azioni in sede di disinvestimento;

b. Prestiti obbligazionari convertibili (realizzato anche con la sottoscrizione di obbligazioni cum warrant): con l’investimento in obbligazioni siffatte, il fondo si assicura da un lato un rendimento

options”) per i dirigenti che occupano posizioni-chiave nell’organizzazione dell’impresa.

18 Qui il fondo (come investitore in partecipazioni della società “chiusa”), è scarsamente coinvolto nella gestione della stessa società in cui ha investito, pur avendo comunque una propria rappresentanza nel C.d’A. Il fondo, in tal caso, lascia del tutto la gestione al managment”, “accontentandosi” di ricevere costantemente le informazioni utili al monitoraggio dell’andamento della società (utile a conoscere tempestivamente l’approssimarsi di eventuali problemi. Si tratta di una gestione abbastanza razionale del proprio investimento. Dal momento che l’attivismo del gestore – da un lato – non è di per sé capace di migliorare effettivamente il risultato di gestione dell’impresa partecipata (mentre rischia di gravare sul costo della gestione), mentre il semplice monitoraggio dell’investimento può bastare a consentire scelte razionali di gestione (di investimento e di disinvestimento), può risultare conveniente un approccio che guarda unicamente al profilo dell’investimento/disinvestimento.

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fisso (nei termini del tasso d’interesse, dovuto a fronte della dilazione, nonché del diritto al rimborso delle obbligazioni), ma gode d’altro canto degli eventuali vantaggi (legati all’apprezzamento del warrant o dell’obbligazione convertibile) che – attraverso il rapporto fisso di conversione – si trasmettono per effetto dell’eventuale apprezzamento del sottostante (corrispondente ad un investimento azionario),

c. “mezzanine financing”: realizzato con una serie di meccanismi giuridici e finanziari, che presentano caratteristiche tecniche diverse, corrispondenti a forme articolate di debito, con un rendimento in parte fisso e in parte legato all’aumento di valore della società destinataria del finanziamento;

d. Prestito subordinato: molto diffuso in ambito bancario, garantisce un apporto di risorse finanziarie a medio-lungo termine, con una remunerazione più elevata – in funzione del maggior rischio – anche per effetto della postergazione del rimborso (in sede di restituzione) rispetto alle altre forme di debito. Il rapporto rischio/rendimento dei

“subordinated debts” li rende privilegiati solo rispetto al rimborso del capitale proprio dell’impresa;

e. “Senior debts” costituisce la forma più classica di capitale di debito, privilegiata – in sede di rimborso – rispetto ad ogni altra forma di finanziamento.

La raccolta dei capitali – da parte del fondo chiuso – avviene secondo due modalità:

 Il collocamento privato (o “private placement

19

”;

 La sollecitazione all’investimento (come offerta pubblica).

Un’ulteriore distinzione verte sull’origine del fondo, per cui – in base all’origine del fondo – si parla, alternativamente, di:

19 È quello che si realizza a proposito dei fondi speculativi (hedge funds).

(11)

1) Fondi “captive” (quando si tratta di fondi, rispettivamente, di emanazione industriale, bancaria o di altra istituzione)

2) Fondi “indipendenti”, cioè lanciati da singoli professionisti, che fanno leva – per attestare la propria autorevolezza (e incentivare, quindi, la raccolta – sui cc. dd. “track record

20

”.

La dimensione, poi, del fondo – intesa, cioè, come maggiore o minore specializzazione degl’investimenti cui s’indirizza – induce a suddividere ulteriormente, distinguendo tra:

a. “regional fund” (che operano in un’ottica segnatamente nazionale;

b. “mega-fund” (che presentano, invece, un’estensione di tipo internazionale, tra cui si prospetta un’ulteriore partizione, dove si notano quelli più orientati ad investimenti europei (qualificati come “pan-europei”), altri che si interessano più del Nord America, dell’Estremo Oriente, ecc.

5. Segue: I fondi mobiliari chiusi come prodotto finanziario e i

“destinatari” della proposta d’investimento (i fondi “riservati”).

Se è assolutamente logico riferirsi alle quote di fondi chiusi come strumenti finanziari, in quanto O

ICR

, ai sensi dell’art. 1, comma II, lett. c)

21

T.

U

.

F

.

20 Cioè, le esperienze pregresse, i risultati già conseguiti con precedenti iniziative, un’immagine “vincente”, di ciascun professionista coinvolto.

21 Si deve ritenere che la definizione di OICR che si ricava dall'TUF debba comprendere non solo quote di fondi comuni ed azioni di SÌCAV,ma altresi anche azioni di SÌCAF e forse anche (quanto meno al fine di imporre un'adeguata diversificazione degli investimenti in immobili da parte di quella società) le azioni diSÌIQ (cfr. la lezione 16).

(12)

(per come risulta a seguito delle modifiche introdotte dal D. Lgs. del 17 settembre 2007, n. 164, che ha dato attuazione in Italia alla Direttiva 2004/39/CE del 21 aprile 2004) e quindi come prodotti finanziari – in base al disposto dell’art. 1, comma I, lett. u), T.

U

.

F

., dove si qualificano come prodotti finanziari tutti gli strumenti finanziari – è il caso di considerare che, a proposito dei fondi chiusi, viene in questione anche un’ulteriore categoria, contrassegnata dal fatto di riferirsi a peculiari “categorie”

d’investitori, talché si menzionano come fondi “riservati”. Si tratta di quelli regolati dall’art. 15 del D.M. n. 228/1999. È da rilevare – in primis – che la disposizione si riferisce a fondi che possono, in astratto, assumere sia i caratteri dei fondi aperti che quelli dei fondi chiusi.

Tuttavia, mi pare che sia lo stesso carattere dei fondi “riservati” (che non si rivolgono alla generalità degli investitori, ma solo ad investitori

“qualificati”, specificamente definiti – come categoria – al livello del regolamento del fondo) ad essere tendenzialmente (e in concreto) più compatibile con le caratteristiche di un fondo chiuso che con quelle dei fondi aperti.

D’altro canto, pure la tipologia prevista dall’art. 15/bis, del medesimo Regolamento (D. M. n. 228/1999) si riferisce espressamente ad una tipologia di fondi suscettibile d’assumere sia la struttura dei fondi aperti che quella dei fondi chiusi, ma in quel caso – mancando un espresso riferimento agli investitori qualificati – è dal confronto con il tipo di cui al successivo art. 16 (rubricato “Fondi speculativi”) che si ricava la conferma della peculiarità di quella prima tipologia. Infatti, se già a livello normativo e regolamentare la partecipazione nei fondi riservati è consentita solo ad investitori qualificati

22

– mentre la S

GR

si limita a specificare nel regolamento le categorie particolari d’investitori qualificati cui il fondo si

22 Sicché da un lato è previsto un valore molto elevato – pari almeno, in origine, a 25.000 euro.

(13)

indirizza – e se i fondi speculativi (che pure – già a livello regolamentare – si caratterizzano per il divieto di sollecitazione all’investimento

23

e per requisiti quantitativi coerenti

24

, ma soprattutto per il fatto di riferirsi in concreto alla categoria dei “wealty individuals”), è da ritenere che il carattere dei fondi garantiti – caratterizzati, appunto, in funzione della circostanza di garantire (alternativamente?

25

) la restituzione del capitale o un rendimento minimo

26

, anche mediante convenzioni con banche, imprese d’investimento o compagnie di assicurazione.

6. I divieti.

Le previsioni regolamentari desumibili direttamente dal D.M. n. 228/1999, art. 12, a proposito della gestione dei fondi chiusi definiscono una sorta di Chinese Wall non solo tra il patrimonio del gestore e quello del fondo (come avviene in generale nel risparmio gestito, ma – come obblighi specifici di separazione patrimoniale – in tutto il mercato dei servizi d’investimento), ma fatta anche di specifici divieti di comportamento a

23 V. la previsione espressa dell’art. 16, comma IV, D.M. n. 228/1999.

24 Ci si riferisce ai requisiti quantitativi di cui alla previsione normativa dell’art. 16, commi II e III, D.M. n. 228/1999, ma anche all’obbligo di esprimere – nel regolamento del fondo (ai sensi del successivo comma V) – la rischiosità dell’investimento e la sottrazione dello stesso alle regole prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio disposte dalla Banca d’Italia.

25 Mi pare che il carattere alternativo della previsione sia da riferire, in generale, all’andamento variabile del mercato, in particolare quanto ai tassi d’interesse, il che induce a ritenere che sia la SGR, come imprenditore, ad optare per la previsione nel regolamento del fondo delle due garanzie come alternative o per una più opportuna (si ragiona in termini di “capacità attrattiva” di questi impieghi – nel risparmio gestito “in monte”, rispetto ad impieghi alternativi, come i prodotti del comparto assicurativo- finanziari o gli strumenti finanziari di tipo obbligazionario) coesistenza delle medesime.

È da ricordare, ad es., come in un recente passato siano stati presenti sul mercato, ad es., prodotti assicurativo-finanziari che prevedevano una doppia garanzia del genere, per cui non pare da escludere, in particolare attraverso una coerente interpretazione dell’art.

15/bis, D.M. n. 228/1999, che le imprese del settore possano offrire ancora prodotti finanziari di questo tipo.

26 Chiaramente, definito a livello quantitativo nel regolamento del fondo.

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carico di una serie di soggetti coinvolti nella gestione di fondi chiusi e da cui – almeno potenzialmente possono provenire comportamenti non solo scorretti e potenzialmente lesivi della consistenza patrimoniale e della redditività potenziale della gestione, ma anche suscettibili d’incidere in concreto sulla immagine e posizione di mercato del risparmio gestito. È questa la ragione di un’opzione apparentemente “rigorista”, che sembrerebbe mettere in secondo piano la possibilità di sinergie rispetto al rischio di apparire inclini a tollerare comportamenti anche solo a rischio di conflitto d’interessi.

a) cessioni dirette e indirette;

L’art. 12, comma III, del D. M. n. 228/1999, preclude del tutto che il patrimonio del fondo possa essere investito “in beni direttamente o indirettamente ceduti o conferiti” da:

 un socio o un esponente aziendale della S

GR

;

 da una società del suo gruppo.

D’altro canto, non è neppure ammissibile che i beni del fondo possano essere direttamente o indirettamente ceduti ai medesimi soggetti. La disposizione potrebbe sembrare eccessivamente rigorosa, dal momento che adotta una regolazione decisamente più “assoluta” della disciplina del T

UF

sul conflitto d’interessi, ma è da considerare che questo fondo investe in titoli non quotati su mercati regolamentati, dove le condizioni della transazione rischiano di più un’interferenza del conflitto d’interessi.

b) A

BS

e cartolarizzazioni.

Ai sensi dell’art. 12, comma III (capoverso), del D. M. n.

228/1999, “il patrimonio del fondo non può essere altresì

investito” in A

BS

che finanziano la cartolarizzazione di crediti

ceduti rispettivamente, da soci della S

GR

, o da soggetti

comunque appartenenti al suo gruppo, in misura superiore al

(15)

3% del valore del medesimo fondo chiuso. La regola – volta a

tenere conto di situazioni “strutturali” di conflitto d’interesse –

non vieta in modo assoluto l’operatività segnata da quel

conflitto, ma impone un preciso limite dimensionale alla

stessa. Il gestore del fondo, allora, incontra un limite ulteriore

e specifico, del genere degli obblighi che pongono divieti

intesi a limitare la potenziale concentrazione dei rischi.

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