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Sintesi e modellazione molecolare di inibitori della lattato deidrogenasi-A

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

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1.1

PREMESSA

La radio e chemioterapia sono due tecniche oggi ampiamente usate nella terapia contro il cancro, ma sono caratterizzate da un basso indice terapeutico.

Un interessante approccio1 per poter superare alcuni dei limiti associati a queste tecniche è lo sfruttamento del cosiddetto “effetto Warburg”, che caratterizza tipicamente le cellule tumorali. Da un punto di vista farmacologico, farmaci capaci di inibire od ostacolare il metabolismo cellulare, in particolare a livello della glicolisi, possono mostrare un’interessante attività terapeutica nella cura del cancro.

L’azione farmacologica di questi inibitori di enzimi glicolitici, basata in primo luogo sullo sfruttamento di ATP, può includere:

 inibizione di processi energetici e anabolici;

 riduzione del fenomeno dell’ipossia, che permetterebbe alle cellule cancerose di sopravvivere, rendendole più resistenti;

 riduzione della resistenza ai farmaci ATP-dipentente;

 sinergismo citotossico con i convenzionali trattamenti anti-cancro. Molti inibitori glicolitici sono oggi in fase di sviluppo preclinico e clinico.

Tra i vari enzimi glicolitici, la lattato deidrogenasi (LDH) è l’enzima che permette la glicolisi umana in insufficienza di ossigeno per realizzare la conversione del piruvato a lattato grazie all’ossidazione del NADH a NAD+.

Recenti esperimenti hanno dimostrato che un’attenuazione di questo enzima riduce il metabolismo glicolitico delle cellule cancerose producendo effetti antitumorali.

L’inibizione dell’attività dell’LDH, interferendo nella crescita delle cellule cancerose, rappresenta un interessante approccio in terapie antitumorali.

1.2 METABOLISMO DEI CARBOIDRATI: IL GLUCOSIO

2

Il glucosio è la principale sostanza nutriente per la maggior parte degli organismi e occupa una posizione centrale nel metabolismo. La molecola del glucosio è chirale; esistono quindi due enantiomeri, l'uno speculare all'altro, il D-glucosio e l'L-glucosio. Dei due, solo il primo (D) è quello utilizzato e prodotto dagli organismi viventi (Figura1).

(3)

CH2OH H OH O H H H OH H H OH O CH2OH H OH O H H H OH H O H H O O H H H H O H OH H OH OH OH O OH H H H O H OH H OH H OH O OH H H H H H O H O H OH OH O H OH H H H H OH O H O H OH i) ii) Figura 1. α D-Glucosio e β D-Glucosio nelle diverse conformazioni. i) α D-Glucosio in proiezione di

Fisher, nella proiezione di Haworth e nella conformazione a sedia. ii) β D-Glucosio in proiezione di Fisher, nella proiezione di Haworth e nella conformazione a sedia.

Le sue vie di utilizzazione (Figura 2) sono molteplici ma principalmente può essere immagazzinato sotto forma polimeri di riserva come glicogeno e amido, ossidato ad un composto a tre atomi di carbonio (il piruvato) attraverso la glicolisi, oppure ossidato a pentosio attraverso la via del pentosio fosfato (fosfogluconato).

Figura 2. Le principali vie di utilizzazione del glucosio

1.2.1 DEMOLIZIONE DEL GLUCOSIO: LA GLICOLISI

2

La glicolisi (Figura 3) è la via centrale per il catabolismo del glucosio. Attraverso questo processo una molecola di glucosio viene degradata, in una serie di reazioni catalizzate da enzimi, per produrre due molecole di piruvato.

glicolisi

Piruvato Ribosio -5 fosfato

GLUCOSIO

riserva Glicogeno e amido

via del pentosio fosfato

(4)

Durante le reazioni sequenziali della glicolisi, una parte di energia libera rilasciata dal glucosio viene convertita in ATP e NADH.

La demolizione del glucosio avviene in dieci tappe: le prime cinque costituiscono la fase preparatoria dove si ha richiesta di ATP, mentre le ultime cinque costituisco la fase di recupero dove si ha la produzione di ATP e NADH.

a) Glucosio ATP ADP Glucosio 6-fosfato Fruttosio 6-fosfato ATP ADP Fruttosio 1,6-bifosfato

Gliceraldeide 3-fosfato + Diidrossiacetone fosfato

b) Gliceraldeide 3-fosfato(2) 2 NAD+ 2 NADH + H+ 1-3 Bifosfoglicerato (2) 2 ADP 2 ATP 3-Fosfoglicerato(2) 2-Fosfoglicerato (2) Fosfoenolpiruvato (2) 2 ADP 2 ATP Piruvato (2)

Figura 3. Le due fasi della glicolisi. a) Fase preparatoria. b) Fase di recupero energetico.

Prima reazione di innesco 1 2

3 Seconda reazione di innesco

4 Scissione di uno zucchero fosforilato a

sei atomi di carbonio in due zuccheri fosforilati a tre atomi di carbonio

5 6 Ossidazione e fosforilazione +2Pi 7 Prima reazione di formazione dell’ATP 8 Seconda reazione di formazione dell’ATP 10 9

(5)

1.2.2 FASE PREPARATORIA

Durante la fase preparatoria della glicolisi si ha la fosforilazione del glucosio e la sua conversione in gliceraldeide 3-fosfato. Tutto ciò richiede due molecole di ATP.

1° tappa: il glucosio viene attivato per reazioni successive mediante la fosforilazione a livello del suo atomo C-6; in questo modo si produce glucosio 6-fosfato (Figura 4). Il donatore del gruppo fosforico è l‘ATP. Questa è una reazione irreversibile catalizzata dall’enzima esochinasi, che per poter esprimere la sua attività catalitica, richiede Mg2+, dato che il suo vero substrato non è ATP4-, ma il complesso MgATP2-.

O H H H H O H OH H OH OH P O O O -O -O H H H H O H OH H OH OH OH

Glucosio Glucosio 6-fosfato

Figura 4. Fosforilazione del glucosio

2° tappa: l’enzima implicato in questa seconda reazione è la fosfoesosioisomerasi che catalizza l’isomerizzazione reversibile del glucosio fosfato (aldosio) in fruttosio 6-fosfato (chetosio). Anche la fosfoisomerasi richiede Mg2+ ed è specifica per il glucosio 6-fosfato e il fruttosio 6-6-fosfato (Figura 5).

O H H H H O H OH H OH OH P O O O -O -O OH H O H OH H H OH P O O O -O

Glucosio 6-fosfato Fruttosio 6-fosfato

Figura 5. Isomerizzazione del Glucosio 6-fosfato

ESOCHINASI Mg 2+ ATP ADP FOSFOESOSIO ISOMERASI Mg2+

(6)

3° tappa: l’enzima fosfofruttochinasi-1 catalizza il trasferimento di un gruppo fosforico dall’ATP al fruttosio 6-fosfato formando così il fruttosio 1,6-bifosfato (Figura 6). Questa è la seconda reazione di innesco della glicolisi ed è irreversibile in condizioni intracellulari. La fosfofruttochinasi-1, come l’esochinasi, è un enzima regolatore: la sua attività tende ad aumentare quando si hanno scarse concentrazioni di ATP all’interno della cellula, oppure si ha un accumulo dei prodotti di demolizione cioè di ADP e AMP, la sua attività è invece inibita da ricche concentrazioni di ATP intracellulari. Il fruttosio 2,6-bifosfato è considerato un potente attivatore allosterico di questo enzima.

O OH H O H OH H H O P O- O O -O P O- O O -O OH H O H OH H H OH O P O- O O

Fruttosio 6-fosfato Fruttosio 1,6-bisfosfato

Figura 6. Fosforilazione del fruttosio 6-fosfato

4° tappa: si tratta di una condensazione aldolica reversibile catalizzata dall’enzima fruttosio 1,6-bifosfato aldolasi (spesso indicato semplicemente con il nome di aldolasi). Il fruttosio 1,6-bifosfato viene scisso in gliceraldeide 3-fosfato (aldosio) e diidrossiacetone fosfato (chetosio) (Figura 7).

Nella cellula, questa reazione, può procedere in entrambe le direzioni, ma la direzione prevalente è quella verso la scissione nei due triosi, essendo che i prodotti di reazione, durante la glicolisi, sono rimossi molto rapidamente.

FOSFOFRUTTOCHINASI-1

Mg2+

(7)

O OH H O H OH H H O P O- O O -O P O- O O -OH O O P O- O O -O H O P O -O O -O H +

Fruttosio 1,6 bifosfato Diidrossiacetone Gliceraldeide fosfato 3-fosfato

Figura 7. Scissione del fruttosio 1,6-bifosfato

5° tappa: solo la gliceraldeide 3-fosfato può essere utilizzata nelle successive reazioni glicolitiche, quindi il diidrossiacetone fosfato per poter essere utilizzato deve essere convertito in gliceraldeide 3-fosfato attraverso una reazione reversibile catalizzata dall’enzima triosio fosfato isomerasi (Figura 8).

O H O H P O O O -O -OH O O P O- O O Diidrossiacetone Gliceraldeide fosfato 3-fosfato

Figura 8. Interconversione del triosio fosfato

Con questa reazione si conclude la fase preparatoria della glicolisi, in cui il glucosio è stato fosforilato a livello del C1 e C6 e poi scisso per formare due molecole di gliceraldeide

3-fosfato.

1.2.3 FASE DI RECUPERO ENERGETICO

Durante questa fase si ha la conversione della gliceraldeide 3-fosfato a piruvato e contemporaneamente la formazione di ATP e NADH. Le molecole di gliceraldeide 3-fosfato coinvolte nelle reazioni di questa fase sono due: una derivante dalla scissione del fruttosio 1,6-bifosfato e una dalla conversione del diidrossiacetone fosfato.

ALDOLASI

TRIOSIO FOSFATO

(8)

6° tappa: la gliceraldeide 3-fosfato viene ossidata a 1,3-bifosfoglicerato grazie alla reazione catalizzata dall’enzima gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi, il cui coenzima è il NAD+ (Figura 9). Il NAD+ è accettore di atomi di idrogeno: la sua riduzione da luogo al NADH, mediante il trasferimento, da parte dell’enzima, di uno ione idruro dal gruppo aldeidico della gliceraldeide 3-fosfato all’anello nicotinamidico del NAD+.

O H O O P O O -O -P O O O -O -P O H O O -O + O H O H P O O O -O

Gliceraldeide Fosfato 1-3 Bifosfoglicerato 3-fosfato inorganico

Figura 9. Ossidazione della gliceraldeide 3-fosfato

7° tappa: si formano ATP e 3-fosfoglicerato mediante la reazione di trasferimento del gruppo fosforico ad alta energia dal gruppo carbossilico dell’1,3-bifosfoglicerato all’ADP catalizzata dall’enzima fosfoglicerato chinasi (Figura 10).

ADENINA RIB P P + RIB P P ADENINA O - O P O -+ O H O O P O O -O -P O O O -O -O H O O -P O O O -O

1-3 Bifosfoglicerato ADP 3-Fosfoglicerato ATP

Figura 10. Trasferimento del gruppo fosforico

8° tappa: il 3-fosfoglicerato viene convertito a 2-fosfoglicerato grazie alla reazione catalizzata dall’enzima fosfoglicerato mutasi (Figura 11). Essenziali per questa reazione sono gli ioni Mg2+. Si ha quindi uno spostamento reversibile del gruppo fosforico C2 e C3 del glicerato. GLICERALDEIDE 3-FOSFATO DEIDROGENASI NAD+ NADH + H+ FOSFOGLICERATO CHINASI Mg2+

(9)

O H O O -P O O O -O -O O O -OH P O O -O 3-Fosfoglicerato 2-Fosfoglicerato

Figura 11. Conversione del 3-fosfoglicerato

9° tappa: la rimozione reversibile di una molecola di H2O dal 2-fosfoglicerato porta

alla formazione di fosfoenolpiruvato (Figura 12). Questa reazione di deidratazione viene catalizzata dall’enzima enolasi.

O O O -OH P O O -O -O CH2 O O -P O O -O 2-Fosfoglicerato Fosfoenolpiruvato

Figura 12. Deidratazione del 2-fosfoglicerato

10° tappa: l‘enzima piruvato chinasi catalizza il trasferimento del gruppo fosforico dal fosfoenolpiruvato all’ADP per ottenere così il piruvato (Figura 13). L’enzima richiede sempre la presenza di ioni Mg2+ o K+.

Questa è quindi l’ultima tappa della glicolisi che mediante una fosforilazione a livello del substrato porta alla formazione del piruvato inizialmente nella sua forma enolica; quest’ultima tautomerizza molto rapidamente nella sua forma chetonica, che è quella prevalente a ph 7. FOSFOGLICERATO MUTASI Mg2+ ENOLASI - H2O

(10)

O CH2 O O -P O O -O -RIB O P P ADENINA + O O -CH3 O + RIB O P P ADENINA O - O P O

-Fosfoenolpiruvato ADP Piruvato ATP

Figura 13. Trasferimento del gruppo fosforico

Il bilancio energetico complessivo indica un guadagno netto di ATP e considerando il processo nel suo complesso, una molecola di glucosio viene convertita in 2 molecole di piruvato (via del carbonio), 2 molecole di ADP e 2 di Pi sono convertite in due molecole di

ATP (via dei gruppi fosforici) e quattro elettroni (cioè due ioni idruro) sono trasferiti da due molecole di gliceraldeide 3-fosfato a due molecole di NAD+ (via degli elettroni).

1.2.4 DESTINO CATABOLICO DEL PIRUVATO

2

Il piruvato, formato nella fase di recupero energetico della glicolisi, rappresenta un punto di incrocio rilevante nel catabolismo dei carboidrati e può intraprendere tre diversi destini catabolici che dipendono dal tipo di cellula e dalle necessità metaboliche (Figura 14).

PIRUVATO CHINASI

(11)

Glucosio Glicolisi 2 Piruvato 2 Etanolo + 2 CO2 2 Lattato 2 Acetil-CoA 4 CO2 +4H2O

Figura 14. I tre possibili destini catabolici del piruvato.

Una delle strade che il piruvato può intraprendere è la sua riduzione a lattato attraverso la fermentazione lattica per opera dell’enzima lattato deidrogenasi (Figura 15). Ciò si verifica in moltissimi microrganismi e anche nelle cellule muscolari degli organismi superiori, quando la disponibilità di ossigeno è insufficiente (ipossia). In queste condizioni il NADH non può più essere riossidato a NAD+, il quale però è richiesto come accettore di elettroni per le ulteriori ossidazioni del piruvato. Così il piruvato riducendosi a lattato accetta gli elettroni del NADH rigenerando NAD+, necessario per il proseguimento della glicolisi. condizioni anaerobiche condizioni anaerobiche condizioni aerobiche Fermentazione alcolica nel lievito

Fermentazione a lattato nel muscolo in attività, negli eritrociti e in alcuni microrganismi Ciclo dell’acido

citrico

Animali, piante e molte cellule microbiche in condizioni aerobiche

(12)

O O -O C H3 O O -C H3 O H Piruvato Lattato

Figura 15. Reazione di riduzione del piruvato

Il secondo possibile destino del piruvato è la sua riduzione ad etanolo attraverso la fermentazione alcolica (Figura 16). Questo processo avviene in alcuni microrganismi e nei lieviti ed è costituito da due passaggi: una decarbossilazione catalizzata dall’enzima piruvato decarbossilasi e una riduzione per opera di una deidrogenasi NAD dipendente. Si ha cosi, in questi organismi la riossidazione del NADH citoplasmatico.

O CH3 H O CH3 O O -O H CH3

Piruvato Acetaldeide Etanolo

Figura 16. Fermentazione alcolica del piruvato.

Nei tessuti o negli organismi aerobici, in condizioni aerobiche, la glicolisi costituisce soltanto la prima fase della degradazione completa del glucosio. Il piruvato viene trasferito dal citoplasma nei mitocondri e qui attraverso una reazione di decarbossilazione ossidativa da origine ad acetil-CoA e CO2 (Figura 17). Tutto ciò avvieneper azione di un gruppo di

tre enzimi, che costituiscono il complesso della piruvato deidrogenasi, insieme a cinque cofattori: tiamina pirofosfato (TPP), nicotin ammide di nucleotide (NAD) flavin adenin di nucleotide (FAD),Coenzima A (CoA) e lipoato.

L’acetil-CoA può fare da precursore per la biosintesi dei lipidi o entrare nel ciclo dell’acido citrico dove viene ossidato a CO2.

LATTATO DEIDROGENASI NADH + H+ NAD+ PIRUVATO DECARBOSSILASI ALCOL DEIDROGENASI - CO2 NADH + H+ NAD+

(13)

O O -CH3 O S-CoA CH3 O Piruvato Acetil-CoA

Figura 17. Decarbossilazione ossidativa del piruvato.

Il ciclo di Krebs (Figura 18), chiamato anche ciclo degli acidi tricarbossilici, utilizza quindi come metabolita di partenza l’acetil-CoA, non solo proveniente dalla reazione precedente cioè dal metabolismo del glucosio (Figura 19)3, ma derivante inoltre dal metabolismo degli acidi grassi e degli amminoacidi.

Figura 18.Ciclo di Krebs

Alcune delle reazioni chimiche all’interno di questo ciclo richiedono composti “accettori di elettroni”: si tratta di NAD+ e FAD, che accettando elettroni e quindi riducendosi rispettivamente a NADH e FADH2, permettono l’ossidazione del composto

donatore di elettroni. La formazione di queste molecole è necessaria nel processo successivo al ciclo di Krebs, la fosforilazione ossidativa.

Questo processo, ossigeno-dipendente, produce la maggior parte di energia necessaria alle cellule per sopravvivere ed avviene nel mitocondrio.

COMPLESSO DELLA PIRUVATO DEIDROGENASI

TPP, LIPOATO, FAD CoA-SH, NAD+

(14)

NADH e FADH2, ossidandosi, cedono elettroni ad una molecola di ossigeno, mediante

una catena di trasportatori. Dopo ciò, ritornano alla forma ossidata iniziale (NAD+ e FAD) e possono essere usati in un nuovo ciclo di Krebs.

La fosforilazione ossidativa è un processo ad alta resa energetica che porta alla sintesi di ATP, vero scopo del processo respiratorio.

Figura19. Metabolismo del glucosio

La fosforilazione ossidativa risulta essere un processo più efficiente nella produzione di energia rispetto alla glicolisi: l’ossidazione di una molecola di glucosio attraverso fosforilazione ossidativa produce 30 ATP, mentre con la glicolisi si ottengono solo 2 molecole di ATP. Quindi è comprensibile che in quantità sufficienti di ossigeno, le cellule producono ATP mediante fosforilazione.

Tutto ciò fu notato per la prima volta da Louis Pasteur3 nel diciannovesimo secolo, e lui stesso dimostrò che al momento in cui si verificava una diminuzione dei livelli di ossigeno, l’energia cellulare era prodotta per via glicolitica. Questa versatilità metabolica nota come “effetto Pasteur” è essenziale per il mantenimento della produzione di energia nelle cellule.

(15)

1.3 IPOSSIA

4

I tumori solidi costituiscono più del 90% dei tumori umani. Si originano dalla mutazione di cellule sane e conducono ad uno stato patologico o mortalità derivati entrambi dalla crescita del tumore nei tessuti sani circostanti (come nel caso dei tumori al cervello) o, per la maggior parte dei tumori, attraverso le metastasi che colonizzano organi vitali in tutto il corpo, in particolar modo polmoni e fegato.

Il tumore appena sviluppato, per sopravvivere, ha bisogno di un sostanziale apporto di sangue,ed è quindi caratterizzato da un processo conosciuto come angiogenesi. Questi nuovi vasi che si andranno a formare, hanno delle caratteristiche differenti rispetto ad un normale vaso sanguigno: sono vasi a fondo cieco, irregolari e tortuosi, privi per lo più di strato muscolare e di innervazioni e permettono scambi arterio-venosi (Figura 20).

A causa di queste caratteristiche, il sangue scorre in modo irregolare e lento, e ciò comporta una distribuzione di ossigeno e nutrienti alle cellule tumorali in maniera meno efficiente rispetto a quanto avviene in un tessuto normale. Quindi alcune zone tumorali vedono diminuire il loro apporto di ossigeno diventando aeree estremamente ipossiche.

Possono verificarsi due casi di ipossia:

• cronica, quando la zona tumorale è distante al vaso sanguigno (circa 100 µm) e non riescono quindi ad arrivare in questa zona ossigeno e nutrienti necessari;

• acuta, caratterizzata da un blocco temporaneo del flusso sanguigno causato dalla consistente massa tumorale che provoca la strozzatura del vaso.

(16)

È noto da molti anni, che le cellule e i tessuti ossigenati sono molto più sensibili all’effetto delle radiazioni ionizzanti rispetto a cellule cancerose che vivono in ambiente ipossico5. Ciò accade perché le molecole di ossigeno reagiscono rapidamente con i radicali liberi prodotti attraverso radiazioni ionizzanti sul DNA. Il danneggiamento del DNA porta alla formazione del radicale DNA. che può intraprendere due diverse strade: ossidarsi mediante ossigeno e ciò porta a morte cellulare, o ridursi mediante composti contenenti il gruppo –SH (RSH), che possono riconvertire il DNA nella sua forma originale (Figura 21a). Il danneggiamento del DNA è quindi di minore entità in assenza di ossigeno.

L’effetto dell’ossigeno su cellule sensibilizzate da radiazioni ionizzanti è illustrato invece nella curva (Figura 21b) ed è quantificabile dal rapporto tra la dose in presenza di ossigeno e la dose in assenza.

Figura 21. Resistenza delle cellule tumorali ipossiche alle radiazioni ionizzanti

Questa resistenza nei confronti delle radiazioni rende la maggior parte dei tumori ipossici difficili da curare con questa tecnica.

Da studi su cellule tumorali animali, è stato dimostrato che le cellule ipossiche sono inoltre resistenti a molti farmaci antitumorali; questo perché, queste cellule, come già detto, sono lontane dai vasi sanguigni e trovandosi in un ambiente poco ossigenato, non risentono degli effetti terapeutici del farmaco, in quanto la sua capacità di diffusione in questi tessuti è ridotta. Questi due fattori conducono ad una resistenza ai farmaci antitumorali, in primo luogo perché la maggior parte di questi farmaci ha azione solo su

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cellule in rapida proliferazione ed inoltre perché i farmaci hanno bisogno di vasi sanguigni per poter essere trasportati e quindi successivamente assorbiti.

In Figura 22 è illustrata la resistenza delle cellule ipossiche a farmaci antitumorali. Il modello predice che la capacità, da parte di farmaci, di condurre a morte le cellule tumorali diminuisce in funzione della distanza dai vasi sanguigni. In particolare, la figura 22a mostra una diminuzione della concentrazione di ossigeno all’aumentare della distanza dal capillare; di conseguenza diminuiscono anche la velocità di proliferazione cellulare e la concentrazione di farmaco assorbibile dalle cellule. La Figura 22b mostra invece che la quantità di cellule che sopravvive all’effetto di farmaci antitumorali aumenta con l’incremento della distanza dal capillare. Tutto ciò è stato osservato sperimentalmente in vitro.

Figura 22. Resistenza delle cellule ipossiche a farmaci antitumorali.

1.3.1 PROFARMACI ATTIVATI DALL’IPOSSIA

5

Il meccanismo attraverso il quale un profarmaco non tossico può essere attivato a farmaco tossico in ambiente ipossico è mostrato in Figura 23.

La citotossicità ipossi-selettiva richiede la riduzione del profarmaco (D) a radicale (D-.) da parte di un elettrone (Figura 23a). In cellule ossigenate, l’elettrone spaiato del radicale profarmaco è rapidamente trasferito ad una molecola di ossigeno, formando un superossido e rigenerando il profarmaco iniziale. Questo ciclo riduttivo, apparentemente inutile, previene l’incremento della concentrazione del radicale del profarmaco, in presenza di ossigeno.

(18)

La morte delle cellule ipossiche si realizza se il radicale del profarmaco, accumulato in queste cellule, è più citotossico rispetto al superossido formato nelle cellule ossigenate (Figura 23b). In teoria, il radicale del profarmaco può esso stesso essere considerato citotossico, ma molto più frequentemente subisce reazioni che portano alla formazione dell’ultima specie tossica (toxic drug).

Figura 23. Meccanismo di attivazione dei profarmaci a farmaci citotossici ipossi-selettivi.

Un esempio di profarmaco attivato dall’ipossia è la tirapazamina (TPZ), primo composto sviluppato specificatamente come citotossina ipossica e per il quale è stata dimostrata attività antitumorale in trias clinici.

La tirapazamina costituisce il substrato per la riduzione mono-elettronica: il radicale, formatosi da questa reazione, subisce una decomposizione spontanea che porta alla formazione o di un radicale ossidrilico ossidante (OH.) o di un radicale benzotriazilico ossidante (BTZ.) (Figura 24).

In presenza di ossigeno, il radicale TPZ è ossidato di nuovo al composto di origine, producendo un radicale superossido (O2-.) che potrebbe essere responsabile di crampi

muscolari notati in pazienti che hanno assunto il farmaco. Ciò che è evidente, è che la rottura della doppia elica di DNA non è direttamente causata dal radicale ossidante (OH. o BTZ.) ma dal danneggiamento della Topoisomerasi ΙΙ, enzima che determina un aumento o una diminuzione del grado di superavvolgimento del DNA, svolgendo un ruolo fondamentale nell’impaccamento e nella replicazione di tale acido nucleico.

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Figura 24. Meccanismo d’azione ipossi-selettivo della tirapazamina.

1.4 CARCINOGENESI E SVILUPPO DI METASTASI

Lo sviluppo tumorale iniziale procede, attraverso uno stato iperplastico (caratterizzato da eccessiva proliferazione) da tessuti normali, ad una neoplasia interstiziale fino ad arrivare al carcinoma in situ3. Prima di questo ultimo stadio, gli epiteli cancerosi sono privi di vascolarizzazione.

La Figura 25 mostra, attraverso un diagramma, l’ambiente nel quale il tumore si accresce, lo stato fisiologico delle cellule cancerose e i processi che regolano il passaggio da uno stadio a quello successivo. Le normali cellule epiteliali (in grigio), dopo il processo di induzione, diventano iperproliferative (rosa) e al momento in cui raggiungono il limite di diffusione di ossigeno diventano ipossiche (blu). A questo punto le cellule possono o adattarsi a questo nuovo ambiente intraprendendo la via glicolitica (in verde) o andare incontro ad apoptosi (cellule circondate da bolle e senza nucleo). Come conseguenza della glicolisi, le lesioni diventando acidotiche inducono motilità cellulare; questo tipo di cellule (rappresentato in giallo) riesce ad aprire un varco nella membrana basale.

Le mutazioni cellulari (in arancione chiaro sono rappresentati i nuclei che hanno subito una mutazione, in arancione scuro quelli sono stati caratterizzati da più mutazioni) aumentano di pari passo con la crescita tumorale.

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Figura 25. Modello per le interazioni ambientali cellulari durante la carcinogenesi

L’insorgenza di una massa tumorale in un sito primario può comportare una successiva comparsa di cellule cancerose in altri siti corporei. La diffusione delle cellule tumorali dal sito di nascita ad un sito secondario prende il nome di metastasi6 e avviene solitamente attraverso il flusso sanguigno o linfatico. Le diverse tappe, che la caratterizzano, sono raffigurate in Figura 26.

Le cellule, che come abbiamo detto precedentemente riescono ad aprirsi un varco nella membrana basale, penetrano poi, attraverso la matrice extracellulare, in un vaso linfatico o sanguigno. A questo punto devono sfuggire al sistema immunitario e fuoriuscire dal vaso per impiantarsi in un tessuto; il processo di impianto di queste cellule in un sito secondario è caratterizzato da proliferazione cellulare, che comporta crescita della massa tumorale secondaria, e angiogenesi, che sostiene le cellule tumorali nella loro crescita.

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Figura 26. Tappe fondamentali nel processo di metastasi

1.5 METABOLISMO DELLE CELLULE TUMORALI

L’insorgenza del cancro è accompagnata da un alterato metabolismo delle cellule tumorali e ciò può essere considerato sia una causa che una conseguenza.

L’alterazione del metabolismo delle cellule tumorali fu scoperta per la prima volta da Otto Warburg nel 19207. Egli dimostrò, che in presenza di ossigeno, le cellule tumorali preferiscono produrre energia e quindi metabolizzare il glucosio attraverso la glicolisi nonostante la fosforilazione ossidativa risulti essere una via più efficiente per la produzione di ATP. Questo fenomeno chiamato “effetto Warburg” o “glicolisi aerobica” è stato ripetutamente osservato in cellule tumorali.

Esperimenti recenti suggeriscono che il fabbisogno energetico delle cellule cancerose è controllato dalla glicolisi per quanto riguarda la produzione di ATP e la dipendenza di queste cellule dall’energia glicolitica aumenta di pari passo con la malignità della massa tumorale.

Il motivo per cui le cellule tumorali, in presenza di ossigeno, utilizzano prevalentemente la glicolisi per la produzione di energia, sembra essere il permanente danneggiamento mitocondriale che di conseguenza impedisce la fosforilazione ossidativa.

Oltre che per la produzione di ATP, le cellule tumorali utilizzano elevate quantità di glucosio come fonte di carbonio per le reazioni anaboliche e ciò indica che l’attivazione della glicolisi è essenziale per la proliferazione cellulare (Figura 27). In primo luogo la cellula ha bisogno di sintetizzare acidi nucleici, la cui sintesi inizia dal ribosio 5-fosfato che deriva dal metabolita glicolitico glucosio fosfato. Nello stesso modo, glucosio

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6-fosfato, 3-fosfoglicerato, fosfoenolpiruvato e piruvato sono precursori chiave nella biosintesi di molti amminoacidi. Il diidrossiacetonefosfato è invece necessario per la sintesi dei lipidi.

Figura27. Ruolo chiave della glicolisi nella proliferazione cellulare.

Il disordine metabolico nelle cellule tumorali può derivare sia dalla capacità delle cellule di adattarsi al microambiente tumorale sia da segnali anomali che portano all’attivazione di oncogeni (figura 28A e 28B)8. Il microambiente tumorale è spazialmente e temporalmente eterogeneo ed è caratterizzato da regioni a bassa concentrazione di ossigeno e ph. Geni attivati dal fattore indotto da ipossia (HIF) diminuiscono la dipendenza delle cellule dall’ossigeno, mentre Ras, Myc e Atk provocano upregulation della consumazione del glucosio e della glicolisi. Si ha inoltre una riduzione della proteina tumorale 53, fattore di trascrizione che regola il ciclo tumorale, che rende la glicolisi indipendente dai livelli di ossigeno.

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Figura 28. Fattori caratterizzanti il metabolismo delle cellule tumorali.

Il nuovo metabolismo può conferire molte vulnerabilità alle cellule tumorali (Figura 28F), come la sintesi di metabolici tossici e la continua richiesta di energia. (Figura 28G). I principali vantaggi dovuti all’alterato metabolismo cellulare (figura 28C, D ed E), sono invece caratterizzati dall’aumento della biosintesi di macromolecole come detto precedentemente, dall’avvalersi di segnali metabolici paracrini e autocrini e dal riuscire ad evitare apoptosi cellulare.

In riferimento a quest’ultimo fattore, il gruppo di ricerca di Evangelos D. Michelakis all’Università di Alberta in Edmonton (Canada) ha scoperto recentemente le proprietà antitumorali del dicloroacetato (DCA)9. Il DCA si è rivelato un promettente e selettivo agente anticancro che riesce ad indurre apoptosi in cellule cancerose andando quindi a colpire uno dei principali vantaggi metabolici di queste cellule.

L’enzima mitocondriale piruvato deidrogenasi (PDH), che converte il piruvato in acetil-CoA destinato poi al ciclo di Krebs, è inibito tramite la fosforilazione da parte della PDH kinasi (PDK).

Il dicloroacetato, inibendo la PDK, causa l’attivazione della PDH e ciò comporta un incremento dell’ossidazione del glucosio e quindi maggior afflusso di aceti-CoA nel mitocondrio e nel ciclo di Krebs. Si ha inoltre un incremento della quantità di NADH che

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giunge alla catena di trasposto degli elettroni che provoca quindi un aumento della produzione del superossido, il quale successivamente si stabilizza a H2O2 (Figura 29).

Un sostenuto aumento nella generazione di ROS (specie reattive dell’ossigeno) può danneggiare il complesso Ι della catena di trasporto, inibendo l’efflusso di H+ e riducendo il potenziale della membrana mitocondriale (∆ψm). L’apertura di pori mitocondriali

transitori (MTP) sensibili al potenziale di membrana (∆ψm) provoca la liberazione del

citocromo c e del fattore inducente apoptosi (AIF). Sia il citocromo c che H2O2 stimolano

l’apertura dei canali del potassio voltaggio-dipendenti (Kv1.5) presenti nella membrana plasmatica delle cellule tumorali, iperpolarizzandole e inibendo i canali del calcio voltaggio-dipendenti. In seguito a ciò, diminuisce la concentrazione di potassio intracellulare, la quale normalmente esercita un effetto inibitorio sulle caspasi (proteasi essenziali per il processo apoptotico); quindi, in definitiva, viene promosso il processo apoptotico.

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Come descritto all’inizio di questo paragrafo, la glicolisi aerobica è caratterizzata da un’elevata conversione del glucosio in lattato, un elevato “uptake” del glucosio e una sua elevata fosforilazione, anche in presenza di una normale pressione di ossigeno.

Numerose sono le ragioni che spiegano l’aumento dell’assorbimento di glucosio per la generazione di ATP glicolitico e come alcune variazioni metaboliche possono costituire dei veri e propri vantaggi per la crescita tumorale (Figura 30)10. Esse possono essere così riassunte:

Figura 30. Riprogrammazione metabolica in cellule tumorali.

 In condizioni di glicolisi aerobica, le cellule possono vivere in presenza di una concentrazione di ossigeno variabile, che può essere letale per cellule, che per generare ATP, dipendono dalla fosforilazione ossidativa.

 Le cellule tumorali generano acido lattico, essendo il lattato il principale prodotto finale della glicolisi aerobica, creando così un ambiente acido che favorisce l’invasione tumorale e sopprime gli agenti immunitari antitumorali. Le cellule sane, se esposte per lungo tempo ad un ambiente acido, vanno incontro a morte cellulare.  I tumori possono metabolizzare il glucosio attraverso la via del pentoso fosfato

(PPP) per generare NADPH, il quale garantisce alle cellule una difesa antiossidante contro un microambiente ostile e contro agenti chemioterapeutici. Inoltre esso può anche contribuire alla sintesi di acidi grassi.

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 Le cellule tumorali utilizzano gli intermedi della via glicolitica per reazioni anaboliche: i fosfometaboliti del piruvato accumulati possono essere utilizzati nella sintesi di amminoacidi, acidi nucleici e lipidi, e non si produce lattato. Durante la proliferazione delle cellule tumorali, il piruvato può entrare nel ciclo dell’acido tricarbossilico. Il risultato è che l’acetil-CoA è portato fuori dalla matrice mitocondriale e diventa utile per la sintesi di acidi (FASN), colesterolo e isoprenoidi. Infatti, la sintesi di acidi grassi, attraverso la quale si sintetizzano acidi a lunga catena da acetil-CoA, malonil-CoA e NADPH, è molto comune in cellule tumorali.

L’intero metabolismo (in particolare ciclo TCA e glicolisi) è riorganizzato in modo tale da favorire le reazioni anaboliche che permettono la crescita e la proliferazione cellulare.

Interessanti studi sul metabolismo di cellule cancerose sono stati effettuati attraverso l’applicazione clinica di tecniche di imaging, come ad esempio la PET 3(positron-emission tomography) mediante l’uso di fluorodeossiglucosio (FdG), un mezzo di contrasto analogo al glucosio.

Questa tecnica, testata su mille pazienti affetti da patologie tumorali, ha dimostrato inequivocabilmente che la maggior parte dei tumori primari e delle metastasi causate da essi, sono caratterizzati da un significativo aumento di uptake del glucosio.

La presenza di masse tumorali, raffigurata in Figura 31, è rappresentata da linfonodi mediastinici (freccia rossa) e sopraclavicolari (frecce verdi) che mostrano alto uptake di fluorodeossiglucosio. La zona indicata dalla freccia gialla ha anch’essa alta attività, causata però dall’escrezione del radionucleotide.

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Figura 31. FdG PET di un paziente affetto da linfoma.

Per alcuni tipi di cancro, la specificità e la sensibilità di FdG PET nell’identificare lesioni tumorali primarie o metastatiche è vicina al 90%.

L’incremento dell’uptake del glucosio visualizzato con questa tecnica è dipendente dalla velocità della glicolisi, mentre l’uptake di FdG è causato da upregulation dei trasportatori del glucosio (GLUT1 e GLUT3) e delle esochinasi Ι e ΙΙ.

1.5.1 MECCANISMO DI RIPROGRAMMAZIONE METABOLICA

11,12

Il meccanismo molecolare che è alla base della riprogrammazione metabolica delle cellule tumorali è complesso.

I primi difetti nella fosforilazione ossidativa sono stati presi in considerazione per spiegare il fenomeno Warburg, poichè spesso i mitocondri delle cellule tumorali sono molto piccoli, mancanti di cristalli, e carenti della subunità β-F1 dell’ATP sintetasi.

In seguito alla progressione del tumore possono sorgere mutazioni nel DNA mitocondriale (mtDNA), ma alcune di queste mutazioni possono a sua volta attivare la progressione tumorale. Quindi, mtDNA mutato codifica per la subunità 2 della NADH deidrogenasi, che stimola la glicolisi aerobica e l’accrescimento del tumore.

Uno dei principali meccanismi della glicolisi aerobica risiede nell’attivazione del fattore indotto da ipossia (HIF), un fattore di trascrizione attivato da stress ipossico, ma anche da stress infiammatorio, metabolico e ossidativo.

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HIF-1 è un etero-dimero composto da una subunità costitutiva β stabile e una subunità

α ossigeno-sensibile. In condizioni non ipossiche, l’idrossilazione ossigeno-dipendente di due residui di prolina (402 e 454) della subunità HIF-1α è mediata da 3 enzimi, prolil idrossilasi 1-3 (PHD 1-3). In condizioni ipossiche, si ha l’inattivazione delle prolil idrossilasi; la subunità α eterodimerizza con la β e spostandosi all’interno del nucleo attiva geni che codificano per i trasportatori del glucosio, enzimi della via glicolitica, eritropoietina e fattori di crescita vascolare e endoteliale (VEGF).

Riassumendo, le principali funzioni di HIF-1, illustrate in Figura 32, sono:

 stimolare la conversione del glucosio a piruvato e a lattato attraverso upregulation del trasportatore del glucosio GLUT-1, esochinasi HK1 HK2 (che catalizzano gli step iniziali della glicolisi), lattato deidrogenasi A (LDH-A);

 aumentare la codifica genica dell’anidrasi carbonica (CAs), in particolare di CA9, membro della famiglia dell’anidrasi carbonica transmembrana, capace di attenuare l’acidosi intracellulare causata dall’ipossia. CA9 catalizza l’idratazione di CO2

extracellulare per generare HCO3- e H+ e ciò contribuisce alla sopravvivenza delle

cellule tumorali.

 diminuire la conversione del piruvato a acetil-CoA attraverso la piruvato deidrogenasi (PDH); attiva quindi la codifica genica della PDH chinasi 1, la quale inibisce PDH. L’acetil-CoA è normalmente utilizzato nel ciclo di Krebs, producendo elettron-donatori NADH e FADH2 che donano elettroni alla catena

respiratoria, rispettivamente I e II. Quindi attraverso l’inibizione del PHD, HIF-1 compromette la fosforilazione ossidativa.

 contrastare l’azione stimolatoria di Myc, oncogene espresso nelle cellule tumorali sulla biogenesi mitocondriale e in tal modo ridurre la massa mitocondriale;

 cooperare con Myc nella promozione della glicolisi aerobica attraverso l’induzione di HK2 e PDK1.

(29)

Figura32. Alterazione metabolica mediata da HIF-1

La liberazione iniziale di ROS dal mitocondrio stabilizza HIF-1, il quale riduce a sua volta la produzione di ROS a causa della diminuzione della respirazione mitocondriale attraverso PDK1 e COX.

Questi esempi illustrano come l’induzione di HIF-1 contribuisca a variazioni oncogeniche e metaboliche principalmente attraverso la distruzione del mitocondrio.

1.6 NUOVE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE

L’attenuazione o l’inibizione della glicolisi in cellule tumorali può costituire una nuova strategia terapeutica nella prevenzione e nello sviluppo dei tumori, essendo che la glicolisi è essenziale per la proliferazione cellulare, per l’invasione tumorale e durante il processo di metastasi13.

Riducendo quindi la capacità glicolitica delle cellule cancerose si dovrebbe ridurre la loro capacità di proliferazione, di invadere tessuti adiacenti e di migrare verso organi più

(30)

distanti. Tuttavia, è stato notato che l’attivazione della glicolisi protegge le cellule da morte cellulare indotta da H2O2. Rispetto alle cellule normali, le cellule tumorali sono più

suscettibili alla morte indotta da H2O2 e sfruttano principalmente l’energia associata

all’ATP glicolitico. Tutto ciò suggerisce, che l’inibizione della via glicolitica comporta una morte cellulare selettiva nei confronti delle cellule tumorali e per questo può essere considerata una strategia pratica nel trattamento del cancro.

La glicolisi può essere inibita attraverso farmaci che inibiscono direttamente alcuni enzimi glicolitici, importanti nel controllo di questo processo, come esochinasi (HK), fosfofruttochinasi (PFK) e piruvato chinasi (PK).

La figura 337 mostra che gli enzimi lattato deidrogenasi (LDH), piruvato deidrogenasi (PDH) e piruvato deidrogenasi chinasi (PDK) giocano un ruolo importante sia nella glicolisi, sia nella fosforilazione ossidativa.

Esperimenti recenti hanno dimostrato che, in particolare l’inibizione dell’attività dell’LDH, riduce il metabolismo glicolitico delle cellule cancerose producendo effetti antitumorali.

Figura 33. Schema semplificato dei processi di glicolisi e fosforilazione ossidativa.

L-lattato deidrogenasi (LDH)14 è una famiglia enzimatica di ossido-reduttasi 2-idrossiacide, che interconverte specificatamente il piruvato a lattato e contemporaneamente rigenera NAD+ a partire da NADH (fermentazione lattica).

(31)

LDH è un tetramero formato da due tipologie di monomeri: il tipo B, predominante nei tessuti aerobi, come il muscolo cardiaco e il tipo A, caratteristico dei tessuti anaerobi come muscoli scheletrici e fegato.

Dalla diversa composizione monomerica si hanno cinque forme isoenzimatiche: LDH-1 (B), LDH-2, LDH-3, LDH-4, LDH-5 (A) che differiscono tra loro per composizione strutturale, proprietà biochimiche e diffusione tissutale.

In particolare, l’isoforma A (Figura 34) è costituita da un tetramero: ciascun monomero della struttura presenta due siti di legame, uno per il piruvato e l’altro più ampio per il NADH.

Figura 34. Struttura tetramerica dell’LDH-A. Il cofattore (in blu) e il substrato (in rosa) sono mostrati in

sphere, mentre i 4 monomeri sono rappresentati con colori diversi.

Il ciclo catalitico dell’LDH15, illustrato in Figura 35, è caratterizzato in primo luogo dal legame dell’enzima con il cofattore e successivamente col substrato, e ciò comporta la chiusura del sito attivo attraverso un “active-site loop”.

(32)

Figura 35. Ciclo catalitico dell’enzima lattato deidrogenasi

Il processo catalitico dell’LDH è caratterizzato da otto intermedi catalitici che rappresentano la reazione a ph minore di 7, cioè quando tutto il complesso è protonato.

La reazione che converte piruvato e NADH a lattato e NAD+ consiste nella donazione di un protone (H+) dal sito attivo di His193 all’atomo di ossigeno carbonilico del piruvato e di uno ione idruro (H-) dall’anello diidrossinicotinammidico del NADH all’atomo di carbonio carbonilico del piruvato.

In Figura 36 è schematizzata la posizione del substrato e del cofattore all’interno del sito attivo dell’enzima e le loro principali interazioni16. In particolare:

 His193 interagisce con il substrato e svolge due principali funzioni: è accettore o donatore protonico durante lo step ossido-riduttivo e fa in modo che il substrato si posizioni con un’orientazione tale da poter interagire con il C4 del

NADH;

 Asp166, interagendo con His195 stabilizza la sua forma protonata dopo il legame tra essa e il substrato;

 Arg169 interagisce con il carbossile del substrato;

 Arg106 polarizza il legame carbonilico del chetoacido promuovendo il trasferimento dello ione idruro al carbonio e del protone all’ossigeno.

 Gln100 e Thr248 giocano un ruolo importante della discriminazione del substrato e creano l’ambiente ottimale per la sua interazione con l’enzima.  Ile252, essendo un amminoacido idrofobico, accoglie l’anello nicotinammidico

(33)

CH3 O O O -NH2 N H N H2 Arg169 + NH2 N H N H2 Arg106 + His193 N H N+ H Asp166 O - O N H H NADH O NH2 Diidronicotinammide Ile252 CH3 CH3 Aminoacido idrofobico Gln100 O NH2 Thr248 O H CH3 Pyr

Figura 36. Rappresentazione schematica del sito attivo e del meccanismo di reazione della lattato

deidrogenasi.

Valutando l’effetto dell’inibizione dell’LDH-A (corrispondente all’isoforma M, prevalente in tessuti anaerobi) e quindi della mancata conversione del piruvato in lattato, in cellule di tumore al seno, possiamo notare:

 Diminuzione della velocità di proliferazione cellulare;  Abbassamento del potenziale di membrana mitocondriale;  Aumento del consumo di ossigeno e attività fosforilativa.

Alcune previsioni sull’entità degli effetti collaterali provocati dall’inibizione di questo enzima possono essere fatte grazie all’osservazione che individui affetti da una deficienza ereditaria di LDH-A mostrano rigidità muscolare e mioglobinuria (danni al tessuto muscolare con rilascio nel sangue di enzimi citosolici e proteine muscolari, come la mioglobina e la creatina kinasi) solo dopo un intenso esercizio anaerobico, ma non hanno alcun sintomo in condizioni ordinarie.17 Quindi l’inibizione dell’LDH in cellule che dipendono metabolicamente dalla glicolisi aerobica, può risultare un approccio relativamente non tossico e ben tollerato dall’organismo.

Questi risultati dimostrano il ruolo essenziale dell’LDH-A nel supportare la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali e il fatto che inibitori del metabolismo del glucosio possono caratterizzare un interessante strategia antitumorale.

Figura

Figura 2. Le principali vie di utilizzazione del glucosio
Figura 3. Le due fasi della glicolisi. a) Fase preparatoria. b) Fase di recupero energetico
Figura 4. Fosforilazione del glucosio
Figura 6. Fosforilazione del fruttosio 6-fosfato
+7

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