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capace di ripercorrere le proprie strazianti vicende personali alla luce di una

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Academic year: 2021

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III

1. INTRODUZIONE

Il mio interesse riguardo al romanzo di Laurence Kiberlain, Moyenne, è scaturito dall’attualità dei temi in esso affrontati: l’emancipazione della donna, ovvero il suo affermarsi in primo luogo come madre e in seguito come persona, la sua battaglia per la figlia disabile e la sua lotta contro l’emarginazione del diverso in tutte le sue forme; uno stimolante percorso di crescita che porta la protagonista del racconto a innumerevoli cambiamenti.

Il titolo è quanto più ha catturato inizialmente la mia attenzione e che di fatto ha portato ad avvicinarmi al romanzo, che fino a questo momento non era ancora stato tradotto in nessuna lingua: Moyenne, da me reso con Persona media, rimanda immediatamente al fascino e alla fragilità dell’antieroe, alla mediocrità della vita di una persona qualunque, di una persona comune, come di fatto lo è l’autrice nonché protagonista del racconto, in cui per questo è facile identificarsi, che anzi spesso cerchiamo per ritrovarci, poiché è frequente, almeno in certi periodi della propria esistenza, provare insicurezze e paure, vivere situazioni complicate e paradossali, non sentirsi mai abbastanza, vacillare ed essere instabili, e perciò trovare conforto nel constatare che non si è soli.

Si è trattato di far emergere una voce femminile, di dar spazio a un personaggio

capace di ripercorrere le proprie strazianti vicende personali alla luce di una

nuova consapevolezza di sé, in grado di trasformare situazioni di disagio e di

malessere in nuovi stimoli e punti di partenza: la donna si manifesta e si

riconosce con coraggio nella sua debolezza, nella sua vulnerabilità, rivelandosi

per questo vera e vicina ad altre donne che quotidianamente vivono in

rassicuranti prigioni e che provano simili stati d’animo; chiunque in qualche

modo, infatti, ha attraversato momenti del genere, è stato preda di un innaturale

equilibrio stabile, destinato prima o poi a rompersi.

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IV

Si tratta di una storia al femminile in cui l’autrice, che fa il suo esordio proprio con questo racconto, dà libero sfogo alle sue esperienze e condivide con un vasto pubblico un dolore a lungo taciuto, diventando finalmente una donna libera, dotata di una nuova sicurezza: senza dubbio un modo per aprirsi al mondo, per uscire allo scoperto e venir meno alla propria solitudine. È la storia di una donna che, grazie alla figlia, prende in mano il proprio destino e decide di cambiare, come se a un certo punto si osservasse per la prima volta e decidesse di dare una svolta alla propria vita, smettendo di nascondersi dietro banali sicurezze e abbandonando l’idea che sia troppo tardi per ricominciare.

Si tratta anche di un grido di speranza lanciato dall’autrice stessa, che ha la forza di far riflettere i lettori del romanzo, di mandar loro messaggi ben precisi; è un inno a osare, ad avere il coraggio di cambiare, di accettare nuove sfide, di far fronte a un mondo che cambia inesorabile, e al quale ogni volta è necessario adeguarsi, iniziando finalmente ad agire e così lasciando da parte l’attività di un pensiero troppo spesso paralizzante.

Di fatto si è in grado di trovare poche informazioni riguardo alla scrittrice e al suo

racconto, poiché Laurence Kiberlain, come menzionato in precedenza, firma con

Moyenne il suo primo romanzo: ha solamente 45 anni e non vanta un passato da

scrittrice. Un tempo prediligeva il disegno, dunque preferiva utilizzare una forma

di comunicazione non verbale per esternare la propria interiorità, percependo

tale mezzo forse come più delicato; tuttavia, anche in quel caso non si trattava di

una vera e propria professione, almeno inizialmente. In primo luogo sono

sempre state attività che conferivano sollievo alla donna, che le permettevano di

liberarsi da un peso ingombrante: disegnare e scrivere un romanzo consistevano

principalmente in hobby, in sfoghi, in modalità liberatorie prima ancora di

diventare occupazioni costanti.

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V

Seppur da dilettante, da inesperta, Laurence Kiberlain riesce facilmente a far breccia nel cuore dei lettori, poiché il “materiale vero” da sempre interessa, poiché con semplicità e apparente ingenuità, il suo linguaggio risulta essere estremamente comunicativo e immediato.

Senza nessuna velleità letteraria, la scrittrice parla a tutti coloro che hanno vissuto una disgrazia, come la perdita di un caro o le problematiche scaturite dalla nascita di bambini disabili, dal vivere quotidianamente al fianco di una diversità; senza nessuna presunzione, parla in qualità di donna imprigionata, malgrado la sua volontà, in situazioni che non pensava esser capace di fronteggiare, costretta a lottare contro i pregiudizi di una società che emargina sempre di più il diverso e contro i meccanismi di una burocrazia inerte, a tratti illogica.

L’autrice impone un ritmo veloce e tagliente al suo racconto, a tratti angosciante, scandito dalla paura nel prendere ogni volta difficili decisioni, dalle battaglie condotte ogni volta da sola: si tratta di una scrittura semplice, accessibile, efficace, da cui ci si lascia facilmente coinvolgere, inizialmente convinti di trovarsi di fronte al racconto di una vita che sembra banale, e solo in seguito consapevoli della storia particolare che invece è narrata. Lo sguardo della donna risulta essere freddo e distaccato, disincantato, la sua lucidità e la sua precisione sembrano contrastare con la portata dolorosa e penosa degli eventi che scandiscono di giorno in giorno, di anno in anno, la sua vita: uno stile curioso se si pensa che vicende così orribili siano raccontate con un tono apparentemente neutro, leggero, senza coinvolgimento emotivo.

A svelare il lato sensibile e delicato della scrittrice, si alternano i vari disegni da

lei stessa realizzati, in grado di esprimere quel che le parole non dicono, quel che

lei stessa in un primo momento non riesce a raccontare per pudore e per

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delicatezza: essi rappresentano un modo per esorcizzare ossessioni, per liberarsi da idee assillanti, e in parte per banalizzare quanto le è accaduto; astratti e luminosi, semplici e colorati, essi trasmettono idee di positività, di ottimismo e di speranza, note con cui sembra concludersi il romanzo. Ed è proprio dai titoli dei suoi disegni che Laurence comincia la stesura del racconto, incoraggiata anche da amici e da conoscenti che vedono nella scrittura un modo per sublimare il tanto dolore, una sorta di supporto terapeutico grazie al quale la Kiberlain riuscirà a vincere la sensazione di sentirsi una persona media.

Per settimane, ogni mattina, nell’appartamento parigino, Laurence ha lavorato al computer arrivando a scrivere duecento pagine, corrette e revisionate prima di essere affidate a Jean-Marc Roberts, della casa editrice Stock. L’idea che sta alla base del racconto, e che risulta essere contrastante se confrontata col titolo, è di mostrare che alcuni eventi possono permettere a chiunque di superarsi, di andare oltre capacità che non sospettava nemmeno di avere. L’intento dell’autrice è di raccontare la storia di una donna media costretta a confrontarsi con una serie di prove giudicate da lei insormontabili; il suo intento è inoltre anche quello di dimostrare che chiunque, al suo posto, ce l’avrebbe fatta. Per anni la donna ha cercato libri in cui si parlasse di bambini affetti da handicap, di storie di emarginazione, per trovarvi un conforto, un modello di comportamento eventualmente da adottare. E per questo motivo Laurence, con Moyenne, non cerca di fare della sua vicenda un caso particolare, bensì tenta di provare che chiunque al suo posto avrebbe resistito; e anche per questo nel corso della narrazione i personaggi, da lei delineati in maniera dettagliata, sono privi di nomi propri, cosicché chiunque abbia perso un caro o abbia vissuto un simile dramma possa riconoscersi in loro.

Si tratta di materiale vero, autobiografico; si tratta di un omaggio a chi le è stato

vicino, a chi l’ha sostenuta, a chi le ha fatto forza, a chi è stato presente, a chi

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sarebbe voluto esserlo ma non c’era; si tratta di una testimonianza, di far rivivere un’esperienza che possa servire da riflessione alla società stessa, a persone che si trovano in simili situazioni: condividere la sofferenza e il dolore per scoprire che gli altri ci assomigliano; vivere un’esperienza, analizzarla ed eventualmente renderla pubblica, così constatando che non si è soli e che si può essere d’aiuto a chi ci circonda.

Si tratta di un caso editoriale oggi piuttosto diffuso, che consacra un nuovo genere letterario, quello della letteratura della sofferenza, della letteratura della testimonianza. Dal 2008, in Francia, la giuria del premio « Paroles de patients » sceglie nove racconti, in lingua francese, che abbiano come tematiche il ruolo del paziente e dei suoi cari di fronte alla malattia, la lotta contro il suo talvolta inesorabile progredire, e Moyenne, anche se non è risultato essere il romanzo vincitore per l’anno 2013, è ad ogni modo stato selezionato tra i nove racconti presi in esame, tutti autentiche lezioni di vita, tutti testimonianze di esperienze che cercano di esser trasmesse con lo scopo di trasformare un dolore intimo in un messaggio di più ampia portata.

Anche se scritto da una donna e avente come protagonista un personaggio

femminile, Moyenne è tuttavia un racconto che può essere interpretato come

universale, in quanto evoca le difficoltà che ciascuno di noi può incontrare nel

trovare il giusto posto nel mondo, nel sentirsi a proprio agio con se stessi e con

gli altri. In senso lato, Moyenne descrive la solitudine di ognuno di noi di fronte a

prove che giudichiamo insormontabili; ma più precisamente, il romanzo descrive

l’amore materno più forte di ogni cosa, la pazienza tenace di una madre che lotta

per il diritto alla sua felicità e anche a quella della sua bambina, che deve avere,

che anzi deve pretendere.

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Moyenne insegna che la vita è fatta di emozioni grandi, di dolore profondo, di delusioni e di amarezza, di rassegnazione e di rabbia, di piaceri e di gioie:

raramente la vita resta media.

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2. DATI BIOGRAFICI

La famiglia di Laurence Kiberlain, i cui quattro nonni ebrei polacchi giunsero in Francia nel 1933, era già nota per sua sorella Sandrine, famosa attrice e cantante, e per il padre, David Decca, esperto contabile divenuto autore di teatro all’età di cinquant’anni con il debutto dell’opera Le roman de Lulu, del 1996. Laurence, sin da bambina, nonostante un’infanzia idilliaca, decide da sola che in famiglia sarebbe stata una persona banale, trasparente; nonostante l’amore e l’orgoglio provato dai genitori nei suoi confronti, nonostante l’affetto e la complicità con la sorella di pochi mesi più grande, si sente una nullità, una persona mediocre, una persona media per mancanza di ambizioni e di interessi: il suo percorso scolastico è medio, il suo aspetto fisico e le sue capacità intellettuali sono reputate da lei stessa medie.

Convinta che in famiglia ognuno dei componenti dovesse ricoprire un ruolo ben preciso, Laurence conclude ben presto che il suo non sarebbe stato quello dell’

“artista”, ruolo che spetta invece alla sorella, e cerca di vivere una routine rassicurante, al riparo dai “riflettori”, sempre attenta a non infrangere situazioni ed equilibri consolidati.

A lungo il centro della sua vita sono il padre, la madre e la sorella Sandrine: si adorano. Laurence cresce con la paura che possa succeder loro qualcosa di spiacevole; trascorre un’adolescenza che sarebbe potuta essere serena, senza riuscire mai a sentirsi pienamente felice e malgrado avesse tutte le ragioni per esserlo. La sua costante sensazione di malessere e di disagio resta un enigma:

all’improvviso si è come impedita che le cose andassero bene, ha cercato motivi per cui punirsi.

Superato il controverso periodo adolescenziale, Laurence Kiberlain si perde in

una storia d’amore con un ragazzo violento prima di incontrare il futuro marito;

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intanto lavora presso varie agenzie artistiche, occupandosi di attori affermati ed emergenti, di registi e di direttori artistici. Dopo anni di matrimonio la coppia decide di avere un bambino; in seguito a molteplici tentativi finalmente Laurence resta incinta e con tre mesi e mezzo di anticipo partorisce due gemelli, un bambino e una bambina; il primo però muore dopo pochi giorni, la seconda sopravvive, e a due anni, in seguito a vari mesi in rianimazione neonatale e a numerose operazioni, le viene diagnosticato un grave handicap motorio. Ciò mette a dura prova il matrimonio di Laurence, la quale vive in maniera diametralmente opposta al marito le varie problematiche cui adesso occorre far fronte: lei ha bisogno di continuare a vivere malgrado tutto, lui ha invece bisogno di tempo per metabolizzare il proprio dolore; lei accetta la realtà, lui non se ne fa ancora una ragione e soffre in un modo che lei non sa riconoscere né comprendere; non sono presenti l’uno per l’altra, perciò finiscono per divorziare.

Ma la vita sembra accanirsi ulteriormente contro questa giovane donna: suo

padre si ammala di leucemia e muore all’età di cinquantanove anni; la sorella

partorisce con un mese d’anticipo e subisce poco dopo una difficile operazione al

cervello; i nonni materni scompaiono un anno dopo il decesso del padre. La

morte e la malattia, vere e proprie ossessioni, così temute da Laurence e

costantemente presenti nella sua vita tanto che sarà costretta a consultare per

anni una psicanalista, irrompono in maniera devastante nel suo mondo,

costringendola a far fronte a situazioni che le permetteranno però di superare se

stessa e di essere tutt’altro che una persona media, obbligandola a vere e

proprie prove di coraggio. Finché Laurence non si trova a fronteggiare simili

situazioni, non ha fiducia in se stessa; quando invece è costretta ad affrontarle, si

ritrova a non avere altra scelta e ad acquisire in questo modo una nuova

consapevolezza di sé.

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L’autrice non si è mai chiesta “perché proprio a me?”. Da un certo momento in poi non si è più lasciata sopraffare da sentimenti di autocommiserazione e di pietà; e se la malattia e la perdita del padre erano state vissute dalla donna come una sorta di punizione, l’handicap della figlia rappresenta per lei un vero e proprio “motore”, una forza che mette in circolo positività, risorse insospettate per Laurence, che le consentono di affrontare qualsiasi tipo di difficoltà, che le permettono di comprendere che la vita continua con o senza drammi, e che segnano di fatto il suo ingresso nella vita adulta, fatta adesso di problemi concreti, reali; si accorge che un tempo, per ragioni del tutto astratte e inesistenti, si era come impedita di essere felice, vivendo una vita che la limitava. È lei stessa pertanto ad affermare in un’intervista: «J’ai été empêchée dans ma vie comme si j’avais été handicapée. Je fais la différence. Quand on se handicape tout seul, c’est un frein; quand on se trouve réellement handicapé, c’est un moteur»

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.

Con il tempo si rifà una vita con un uomo padre di tre figli, lotta perché sua figlia possa avere il diritto allo studio, perché la sua diversità non le precluda mai niente, perché non si isoli mentalmente, perché non soffra fisicamente.

Con il tempo Laurence sceglie di credere nel futuro, accettando di vivere giorno per giorno le difficoltà di una vita imperfetta, talvolta sin troppo dura, e riuscendone a cogliere tuttavia i momenti di felicità.

Con il tempo sceglie di credere negli altri, nell’amicizia, nell’amore, nonostante la società sia piuttosto diffidente nei confronti della diversità, nonostante dunque lo sguardo altrui faccia parte di quelle “montagne” che è necessario scalare, e nonostante l’idea diffusa che una bella vita equivalga a una vita facile, al riparo

1 M. L. DELORME, Laurence Kiberlain, haut les cœur! Le Journal du Dimanche

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da qualsiasi genere di imprevisto, priva di quelle preoccupazioni e di quelle angosce con le quali invece si è costretti a confrontarsi.

Paradossalmente, quando aveva tutte le ragioni per esser felice non lo era, invece è con l’arrivo delle difficoltà date dal vivere una vita vera che Laurence trova un equilibrio, ma soprattutto una speranza. È in questo modo che le cose si calmano, che «tout roule»

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, che la donna comincia a vivere nel presente.

Per anni mette da parte il lavoro per occuparsi della figlia, per la quale cerca di essere una buona madre, per la quale intraprende qualsiasi genere di battaglia, per la quale diventa una persona tutt’altro che media, dalla quale attinge quella forza necessaria per superarsi, per trovare in sé quell’energia che non sospettava di possedere. In seguito, come già accennato, inizia a disegnare, « hobby » che si trasforma ben presto in « bisogno », attività poi divenuta professione.

2 L. KIBERLAIN, Moyenne, Stock, 2013, p. 100.

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