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CAPITOLO I
IL PATRIMONIO PUBBLICO
IN UNA VISIONE ECONOMICA
1. Il regime giuridico dei beni pubblici nel codice civile
Storicamente i beni pubblici sono differenziati dai beni privati. Il codice civile del 1865 affermava che «I beni dello Stato si distinguono in demanio pubblico e beni patrimoniali»1. Il codice civile attualmente
vigente non si discosta molto da quello del 1865, salvo per il fatto di elencare in modo tassativo quali siano i bei demaniali e dedica ai beni appartenenti allo Stato, enti pubblici ed enti ecclesiastici gli artt. da 822 a 831, distinguendo il demanio pubblico dal patrimonio indisponibile e disponibile.
L’ idea di base sottesa alle norme del codice civile sembra consistere nell’individuazione di due categorie speciali di beni appartenenti allo Stato: la prima, che corrisponde al demanio, composta dai beni ritenuti più importanti, in ragione del loro utilizzo da parte della collettività e della loro strumentalità allo svolgimento di compiti pubblici essenziali; la seconda, corrispondente al patrimonio
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indisponibile, formata da beni considerati meno importanti rispetto ai primi, ma comunque tali da richiedere un regime derogatorio rispetto alla disciplina civilistica dei beni2.
Non tutti i beni in appartenenza pubblica sono sottoposti allo stesso regime giuridico: il codice civile dispone l’inalienabilità del demanio, l’impossibilità di alienare il patrimonio indisponibile se non mantenendone la destinazione pubblica e l’applicabilità delle regole di diritto comune ai beni del patrimonio disponibile.Ma la distinzione tra beni demaniali e beni patrimoniali indisponibili è più apparente che reale ed è frutto di una scelta di diritto positivo che distingue da un lato, beni individuati dalla legge per la loro caratteristica naturale e come tali riservati alla proprietà pubblica (mare, spiagge, acque, etc.), dall’altro, i beni destinati dalla Pubblica Amministrazione ad una funzione o servizio pubblico. Finché il bene resta identificabile nelle sue caratteristiche naturali che lo fanno ascrivere alle categorie fissate dalla legge, ovvero finché conserva la sua destinazione al servizio o alla funzione, è sottratto alle regole di diritto comune: non può esser alienato, non può subire ipoteche, non può essere usucapito3. Nel
momento in cui il bene perde le sue caratteristiche naturali ovvero cessa
2 M. Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, Milano,
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la sua destinazione, termina il regime demaniale e il bene diventa suscettibile di proprietà privata4.
In sostanza, le norme codicistiche riguardanti i beni comuni non definiscono la proprietà pubblica, ma si limitano a compiere una classificazione che è frutto di un orientamento nominalista5. Da una parte, l’insieme dei beni demaniali è stato reso ancora più ricco rispetto a quello del codice del 1865, alimentando così un dibattito sul regime della demanialità6; dall’altra, si sono collocati all’interno del patrimonio
indisponibile beni la cui natura non sembra tanto differente da quella di alcuni beni rientranti nel demanio.
Il risultato del disegno tracciato nel codice civile è stato quello di imporre una distinzione dei beni pubblici parzialmente artificiosa con la conseguenza di non riuscire a comprendere i motivi della creazione, per le due categorie di beni, di due regimi speciali differenti.
1.1. Inizio e cessazione della natura pubblica dei beni.
Di fronte alle incoerenze sistematiche del codice civile, la scomposizione in più ambiti differenziati sia del demanio sia del
4 V. Cerulli Irelli, Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni pubblici, in Astrid.eu, 2003.
5 G. Colombini, Conservazione e gestione dei beni pubblici, Milano, Giuffrè, 1989, p. 2 ss. 6 Si veda M. Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica, op.
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patrimonio indisponibile, sembrava essere l’unica strada percorribile da parte della dottrina e della giurisprudenza, per risistemare la disciplina della materia. Una recente teorizzazione7 ha diviso i beni pubblici guardando non alla loro funzionalità, bensì all’origine materiale della loro pubblicità. È nata, così, la distinzione trasversale tra “beni riservati” e “beni a destinazione pubblica”,distinzione utile soprattutto con riguardo alle problematiche inerenti la cessazione della natura pubblica dei beni, in ordine alla quale l’art. 829 del codice civile si limita a sancire la necessità della dichiarazione da parte dell’autorità amministrativa.
I beni riservati sono beni che si presentano allo stato naturale e che materialmente derivano dalla natura la loro rilevanza pubblica, quindi in quanto tali la legge ne riserva l’appartenenza agli enti territoriali: ciò implica, da un lato, che un eventuale atto della pubblica amministrazione che li ufficializzi sarebbe solo un atto di accertamento vincolato con valore dichiarativo, dall’altro, che il singolo bene cessa di appartenere alla categoria dei beni riservati nel momento in cui perde le sue caratteristiche naturali.
Il secondo tipo di beni, ovvero i beni a destinazione pubblica, per
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essere adibiti all’uso pubblico necessitano di un apposito atto di destinazione avente natura costitutiva, da parte dello Stato o di altro ente pubblico, seguito dalla effettiva utilizzazione del bene per la finalità programmata.
Tale categoria ruota attorno al concetto di “destinazione pubblica”, che può essere espresso in questi termini: i beni necessari per l’esercizio di funzioni pubbliche non possono esser distolti dalla loro destinazione alla funzione se non per cause inerenti alla funzione stessa. Per fare un esempio, pensiamo ad un immobile sede di una scuola che in seguito cambia sede: in questo caso la destinazione dell’immobile cessa. Si tratta, dunque, di beni del più vario tipo che vengono individuati in base al fatto di essere in concreto destinati all’ assolvimento di funzioni pubbliche. Il codice civile, all’art. 828, 2° comma, rinvia ai modi stabiliti dalle leggi circa la sottrazione dei beni indisponibili alla loro destinazione: questo fa sì che, al di fuori dei casi espressamente previsti di cessazione della destinazione pubblica con atto formale, essa avviene tacitamente attraverso la cessazione del fatto che concretizza la destinazione pubblica del bene.
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1.2. Le concessioni di beni pubblici
Nel sistema giuridico italiano, l’utilità pubblica cui sono sottoposti i beni demaniali e indisponibili, può essere perseguita attraverso un uso esclusivo da parte della stessa Amministrazione, attraverso un uso generale, da parte di qualsiasi soggetto pubblico o privato, o attraverso un uso particolare da parte di soggetti cui è riservato un certo utilizzo del bene. Tale riserva di utilizzazione può derivare dalla legge o da una concessione amministrativa e può escludere altri individui da qualsiasi uso dello stesso bene.
In linea con quanto stabilito dall’art. 823 c.c., i beni demaniali possono formare oggetto di diritti in favore di terzi solo nei modi e nei limiti stabiliti dalle norme di diritto pubblico. In particolare,nel nostro sistema legislativo, lo sfruttamento economico di determinati beni demaniali e indisponibili, è oggetto di concessione amministrativa, conferita dallo Stato in favore di terzi8.
La concessione implica sempre l'attribuzione al privato di un diritto condizionato, che può essere unilateralmente soppresso dall'Amministrazione stessa con la revoca dell'atto di concessione in caso di contrasto con il prevalente interesse pubblico.
8 V. Cerulli Irelli, Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni pubblici, cit., pp.
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Qui la destinazione pubblica del bene coincide con la sua utilizzazione o sfruttamento economico da parte dei soggetti privati, a cui i beni stessi sono concessi dallo Stato.Il rapporto che prende origine dalla concessione di beni è caratterizzato dall'obbligo del concessionario di corrispondere un canone, dal diritto-dovere di utilizzare il bene secondo la sua destinazione ricavandone gli utili e dalla soggezione del concessionario al potere di controllo della PA9.
Nella pratica, però, lo Stato concedente non ha un ritorno economico adeguato, a causa tradizionale abitudine di mantenere i canoni di concessione estremamente bassi.
2. I beni pubblici nella disciplina contabile
Nel codice civile sono del tutto assenti disposizioni regolatrici del rapporto tra proprietario e bene in ordine alla gestione di quest’ultimo, intesa come utilizzazione economica. Di tale rapporto si occupa il corpus normativo in materia di amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello stato10, la quale, tuttavia, non utilizza il
termine gestione, ma quello di amministrazione, affermando che «i beni immobili dello Stato, tanto pubblici quanto posseduti a titolo di privata
9 G. De Giorgi Cezzi, Le concessioni di beni pubblici e il processo di privatizzazione, report
annuale 2011, in Ius-publicum.com.
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proprietà, sono amministrati a cura del Ministero delle Finanze»11. La
disciplina in esame si occupa degli aspetti di amministrazione dei beni a cui viene riconosciuto un rilievo sotto il profilo contabile e che per questo sono oggetto di una regolamentazione specifica12. Nel concetto
di amministrazione dei beni rientrano due funzioni principali: l’una, legata ad un interesse conservativo, che trova espressione nell’attività di inventariazione; l’altra, di carattere gestorio, che coincide con l’utilizzazione di singoli elementi del patrimonio.
Ciò che viene in rilievo analizzando la normativa sulla contabilità13 è che, per i beni demaniali, gli inventari contengono il
mero «stato descrittivo desunto dai rispettivi catastali, ovvero dai registri delle singole amministrazioni»: manca quindi la possibilità di attribuirgli un valore finanziario, mentre per i beni patrimoniali viene prevista anche l’esposizione dei relativi valori. Questa differenza rappresenta la distinzione, presente nella precedente normativa contabile, tra beni fruttiferi e infruttiferi, riconoscendo solo ai beni patrimoniali l’attitudine a produrre reddito. Possiamo individuare la motivazione di tale impostazione andando a vedere il regime giuridico del demanio e la concezione economica che viene ad esso collegata: il
11 Art. 1, r. d. n. 827/1924.
12 L. Mercati, Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, Torino,
Giappichelli, 2009, p. 71 ss.
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bene demaniale è inalienabile ed incommerciabile, ovvero privo di valore di scambio.
Il concetto di amministrazione del patrimonio che se ne ricava è evidentemente basato sulla stessa logica conservativa e statica che ispira il regime civilistico dei beni pubblici: le limitazioni poste alla circolazione di determinate componenti del patrimonio pubblico si vanno a tradurre in una irrilevanza dei corrispondenti beni dal punto di vista contabile, posto che la legislazione in materia considera solo i beni che possiedono un valore in quanto possibili oggetto di scambio14. Occorre aspettare l’inizio degli anni ’90 per ottenere un significativo cambiamento di prospettiva. Le esigenze di risanamento della finanza pubblica, derivanti dalla sottoscrizione del patto di stabilità legato all’unione monetaria, mettono in evidenza la necessità dell’introduzione di un nuovo modello di bilancio. Al conto del bilancio viene affidato il compito di effettuare la valutazione economica e finanziaria delle risultanze di entrata e di spesa, evidenziando i risultati conseguiti in relazione agli obiettivi stabiliti negli strumenti di programmazione finanziaria e di bilancio; al conto del patrimonio viene affidata, invece, l’analisi economica della gestione patrimoniale, introducendo una classificazione ulteriore dei beni dello Stato, che
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comprende i beni demaniali ed è basato sulla rilevazione del loro valore15. Si ammette, dunque, l’esistenza del valore economico del bene demaniale ipotizzando una redditività che deriva dall’ampia gamma di utilizzazioni economiche, seppur continuando a rimanere esclusa l’alienazione. Con questa normativa si può dire che nell’assetto
istituzionale dei beni pubblici sia penetrato il principio
dell’utilizzazione economica dei beni stessi16.
3. Utilizzazione economica del patrimonio pubblico
L’idea dominante nel panorama giurisprudenziale è stata per anni quella dell’incompatibilità tra destinazione pubblica del bene e sua utilizzazione economica. La rilevata corrispondenza tra fruttuosità ed alienazione pone, tuttavia, il patrimonio disponibile nel novero delle risorse utilizzate dallo Stato17: a partire dall’unità d’Italia, sono
numerose le leggi che, per sopperire al difetto nelle entrate ordinarie e per non incrementare il debito pubblico, ne prevedono l’alienazione. L’evidente legame funzionale tra alienazione dei beni ed esigenze di finanza pubblica diventa ancora più chiaro all’inizio degli anni ’90,
15 L. n. 94/1997e d.lgs. n. 279/1997.
16 V. Cerulli Irelli, Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni pubblici, cit., p. 11. 17 L. Mercati, Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, p. 101. ss.
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quando iniziano a moltiplicarsi, nelle leggi finanziarie, le previsioni relative alla dismissione del patrimonio pubblico disponibile.
Accanto alla dismissione delle componenti del patrimonio che non sono, o non sono più, utili per i fini pubblici, la legislazione comincia a porre attenzione alla valorizzazione e alla gestione degli altri beni, esprimendo così l’esigenza di trarre utilità economiche anche da quelli che rimangono sottoposti ad un regime pubblicistico, non necessariamente sotto il profilo proprietario, introducendo e disciplinando strumenti giuridici a ciò espressamente finalizzati. Nell’ottica dell’utilizzazione economica dei beni pubblici, declinata
nelle diverse accezioni di dismissione, razionalizzazione,
valorizzazione e gestione, sono state introdotte nell’ordinamento profonde innovazioni18.
Significativa è la creazione dell’Agenzia del demanio a cui è stata attribuita l’amministrazione dei beni immobili utilizzando in ogni caso criteri di mercato19, che ha portato ad una scissione tra soggetto pubblico proprietario e soggetto che gestisce secondo regole privatistiche.
18 G. Colombini, Conservazione e gestione dei beni pubblici, op. cit., p. 48. 19 D.lgs. n. 300/1999.
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Altrettanto rilevante è stata l’introduzione di strumenti del tutto nuovi rispetto all’impianto tradizionale dell’amministrazione del patrimonio dello Stato, quali la cartolarizzazione, i programmi unitari di valorizzazione ed i piani di alienazioni immobiliari.
4. Il nuovo concetto di beni pubblici in senso oggettivo e le prospettive di una necessaria riforma
La legislazione più recente sulla patrimonializzazione del demanio ha reagito ai rigori del codice civile, riducendo la già debole distinzione tra beni demaniali e beni patrimoniali indisponibili e facendo fuoriuscire dall’impianto del codice la disciplina generale dei beni
pubblici20. Sono state frantumate le regole codicistiche
dell’inalienabilità dei beni demaniali e della loro necessaria appartenenza allo Stato, fino al punto di concepire che questi beni, al pari di quelli rientranti nel patrimonio indisponibile, senza perdere i tratti essenziali della loro pubblicità, possano appartenere a soggetti pubblici strutturati in forma privatistica e, in alcune ipotesi, anche a soggetti privati.
Lo speciale regime giuridico dei beni in proprietà pubblica, fondato sull’inalienabilità e sulla necessaria appartenenza ad un ente
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pubblico, non appare più idoneo alla cura dei nuovi interessi pubblici che emergono dall’evoluzione della società civile e dell’ordinamento. Tale inadeguatezza deriva dal fatto che il regime giuridico è sostanzialmente statico: nel passaggio dal vecchio al nuovo codice civile non si è avuto alcun cambiamento significativo, al contrario di quanto è avvenuto per la proprietà privata, della quale si coglie, nel nuovo codice, una concezione che sposta l’attenzione sulla sua utilizzazione in relazione all’impresa ed all’iniziativa economica.
Ponendo, quindi, al centro del regime dei beni demaniali la destinazione, ovvero il fatto che questi risultino vincolati alla soddisfazione di determinati interessi pubblici, si è ammesso il loro trasferimento dall’ente pubblico a un soggetto privato21.
Si conferma, perciò, la presenza di molteplici ed oggettivi regimi moderni della proprietà pubblica, applicabili ai beni non in relazione alla loro titolarità soggettiva, ma in connessione al dato oggettivo della funzione pubblica che i medesimi beni sono chiamati ad adempiere: ha preso corpo una nuova nozione di bene pubblico, oggettiva, sostanziale e moderna.
21 M. Olivi, Beni demaniali ad uso collettivo. Conferimento di funzioni e privatizzazione,
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Sulla base di questi presupposti, la Commissione Rodotà si è posta alla ricerca di una classificazione dei beni pubblici che riflettesse la realtà economica e sociale delle diverse tipologie di beni, invertendo il tradizionale percorso concettuale, che va dai regimi ai beni, per adottarne uno che vada, invece, dai beni ai regimi22. Di qui la scelta della Commissione di classificare i beni in base alle utilità prodotte, proponendo una classificazione sostanziale in tre categorie: beni ad appartenenza pubblica necessaria, beni pubblici sociali e beni fruttiferi. I primi soddisfano interessi generali fondamentali e non sono alienabili; i secondi soddisfano bisogni corrispondenti ai diritti civili e sociali della persona e sono sottoposti ad un vincolo di destinazione pubblica; i beni fruttiferi formano una categoria residuale che cerca di rispondere alla necessità di utilizzare in modo più efficiente il patrimonio pubblico e ne viene prevista l’alienabilità e la gestione da parte di titolari pubblici con strumenti di diritto privato.
Il disegno di legge offre una classificazione dei beni legata alla loro natura economico-sociale, a differenza di quella tradizionale fra demanio e patrimonio indisponibile, che, come abbiamo visto, è meramente formalistica. Purtroppo la proposta della Commissione
22 Commissione Rodotà, Per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici, Relazione del 14 giugno 2007, in Giustizia.it.
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Rodotà, nel passaggio da una legislatura all’altra, non ha avuto alcun seguito; ad oggi, ci si può solo limitare, in conclusione, a formulare l’auspicio che questa voce venga ad essere presto oggetto di un sostanziale aggiornamento.
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CAPITOLO II
LA PRIVATIZZAZIONE IMMOBILIARE AVVIATA NEGLI ANNI ‘90
1. Le ragioni della privatizzazione
Possiamo iniziare con la descrizione del fenomeno in generale. Si preferisce parlare di fenomeno perché, negli ultimi 20 anni, nel termine privatizzazione si è fatta rientrare ogni operazione diretta a trasferire a soggetti privati beni che fanno parte del patrimonio pubblico1.
Privatizzare il patrimonio immobiliare pubblico è un modo per valorizzare beni fino ad oggi mal gestiti, per ridurre i costi per lo Stato, mobilitare risorse private in ristrutturazioni e recuperi e, di conseguenza, aumentare anche le stesse entrate tributarie. Alienare la proprietà non comporta che lo Stato non possa perseguire finalità di interesse pubblico con i cespiti alienati: se per una determinata risorsa, il cui riutilizzo ha ripercussioni pubbliche, lo Stato definisce una cornice di regole generali, la sua conduzione e valorizzazione può essere lasciata ai privati. Anche gli elementi più delicati del patrimonio pubblico, a cominciare, per esempio, dai musei, potrebbero beneficiare
1 M. Olivi, Beni pubblici tra privatizzazioni e riscoperta dei beni comuni, in Amministrazioneincammino.luiss.it, 2014.
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di una prospettiva privatistica. Una cosa è infatti vincolare determinati beni, che nel caso dei musei significa, sostanzialmente, garantire la pubblica fruizione degli stessi. Altra negare la possibilità di uno sfruttamento imprenditoriale degli stessi. Anzi, uno dei maggiori problemi dello scenario attuale risiede proprio nelle opportunità che vengono perse, negando la possibilità di un’applicazione della creatività imprenditoriale a questi immobili2.
Fin dai primi anni dell’unità d’Italia l’alienazione dei beni patrimoniali disponibili è messa in relazione con le esigenze di bilancio. Secondo l’impostazione delle leggi della fine dell’ottocento, confermata poi dalla legislazione successiva, il bene in proprietà dello Stato che non è necessario allo scopo pubblico è naturalmente destinato
all’alienazione3; quest’ultima appare opportuna, in quanto
corrispondente agli interessi dell’economia pubblica, ma addirittura necessaria, perché finalizzata a produrre proventi alle finanze dello Stato.
In Italia le proposte per una politica di dismissioni del patrimonio immobiliare si inseriscono nel contesto della più ampia azione di
2 A. Mingardi, S. Rebecchini, Perché dismettere il patrimonio immobiliare pubblico, in La dismissione del patrimonio immobiliare pubblico: una grande opportunità per il Paese, atti del
Seminario Fondazione Magna Carta e Istituto Bruno Leoni, Roma, 5 luglio 2008, pp. 3 ss..
3 L. Mercati, Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, op. cit., p.
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privatizzazione delle attività pubbliche. Nella legislazione emanata, tuttavia, non sono stati individuati obiettivi puntuali o motivazioni specifiche da conseguire, restando predominanti le finalità dell’aumento del livello delle entrate al bilancio dello Stato4.
A partire dalla metà degli anni ’80, sulla base del progressivo aumento del disavanzo dello Stato, del cumularsi del debito e della conseguente necessità di reperire nuove fonti di entrata, si è considerata sempre di più la possibilità del ricorso alle dismissioni immobiliari. Ciò è stato rilevato da una Commissione governativa presieduta da Sabino Cassese, che nel 1985 ha reso pubblici dati sulla consistenza del patrimonio pubblico di entità veramente cospicua. Da queste rilevazioni è sorta la convinzione che non fosse conforme ai principi del buon andamento della gestione pubblica mantenere beni di grande valore in stato di inutilizzabilità economica5. La Commissione, nell’effettuare la
ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico, introduce novità significative rispetto al passato, soprattutto con riguardo alla metodologia adottata per individuare l’oggetto dell’indagine. In sostanza la valutazione degli immobili sembra prescindere dal regime giuridico del bene; quest’ultimo viene in rilievo solo quando si tratti di
4 A. Monti, A. Paolucci, La politica di privatizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, Camerino, Jovene, 1992, p. 62 ss.
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realizzare la soluzione gestionale ritenuta migliore dal punto di vista economico e che potrà anche determinare un cambiamento del regime giuridico del bene stesso6.
A fronte dell’incompletezza dei dati raccolti dalla commissione e conservati mediante l’inventariazione emerge l’esigenza di una completa e corretta conoscenza del patrimonio immobiliare pubblico; conoscenza che comprende, oltre all’individuazione dell’immobile, la descrizione dello stato di conservazione, la stima del suo eventuale valore di mercato e la ricognizione delle entrate che da esso derivano. L’insieme delle conoscenze acquisite, ponderate con gli interessi pubblici connessi al bene, conducono alla verifica sulla possibilità di alienare o trasferire a privati o ad altri enti pubblici i beni.
La scarsa redditività e il costo eccessivo degli immobili emergono in tutta la loro problematicità: l’alienazione, ma anche la più efficiente gestione economica del patrimonio immobiliare dello Stato sembravano, quindi, come obiettivi da perseguire congiuntamente.
6 L. Mercati, Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, op. cit.,
20
2. La valorizzazione nel processo di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico
Il termine valorizzazione è comunemente inteso come l’insieme di atti destinati a fare aumentare il valore di un bene.
Per quanto riguarda la valorizzazione del patrimonio immobiliare, se da un lato non è possibile identificarne un concetto unitario, posto che la locuzione si presta ad accogliere definizioni che variano a seconda delle tipologie di beni, delle finalità a cui sono collegati e delle utilità del bene che si scegli di incrementare, dall’altro lato, la valorizzazione è posta come finalità in ciascuno degli interventi aventi ad oggetto il patrimonio immobiliare statale, compresi quelli che poi vanno a sfociare in dismissioni7.
La valorizzazione, in ragione dell’ottica economica a cui si ispira la legislazione in materia di patrimonio pubblico, si presenta, dunque, come un termine idoneo ad indicare tutte le attività dirette a rendere fruttiferi i beni: intesa in questo senso, può avere ad oggetto il bene nella prospettiva della sua futura alienazione, oppure di una gestione maggiormente redditizia.
7 L. Mercati, Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, op. cit., pp.
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La scelta tra alienazione e gestione produttiva dei beni non è facile e richiede non solo la considerazione delle entrate derivanti da una corretta gestione del patrimonio ceduto in uso a terzi, ma anche il preventivo accertamento delle esigenze logistiche della pubblica amministrazione, tenuto presente che il risultato economico delle operazioni di alienazione potrebbe esser compromesso dai futuri bisogni di immobili, da fronteggiare con nuovi acquisti o ulteriori locazioni8.
Gli interventi normativi che si sono succeduti negli anni hanno aggiunto, all’incremento del valore economico, anche quello del valore sociale del bene. Le disposizioni prevedono che i beni immobili di proprietà dello Stato, oggetto di ricognizione da parte dell’Agenzia del demanio, «possono essere concessi o locati a privati, a titolo oneroso, per un periodo non superiore a cinquanta anni, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento di attività economiche o attività di servizio per i cittadini9».
8 A. Monti, A. Paolucci, La politica di privatizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, op. cit., p. 171.
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Nella stessa legge finanziaria sono contenute disposizioni relative ai programmi unitari di valorizzazione degli immobili pubblici per la promozione dello sviluppo locale. Questi programmi (Puv) devono riguardare beni valorizzabili «mediante concessione d’uso o locazione, nonché attraverso l’allocazione di funzioni di interesse sociale, culturale, sportivo, ricreativo, per l’istruzione, la promozione delle attività di solidarietà e per il sostegno delle politiche per i giovani, nonché per le pari opportunità10».
Tutto ciò mostra quanto la valorizzazione degli immobili pubblici si sia concettualmente allontanata dall’alienazione, introducendo il concetto di «sviluppo locale». È interessante proprio il cambio di prospettiva che il nuovo assetto comporta, attribuendo una rinnovata centralità al momento conoscitivo del patrimonio, allo scopo di individuare i possibili interventi tendenti ad una rifunzionalizzazione dell’insieme di immobili interessati dal programma rispetto ai quali i tradizionali strumenti gestionali come le concessioni d’uso, le locazioni, o quelli di nuova introduzione quali le «concessioni di valorizzazione» entrano in scena in un momento successivo rispetto all’atto di programmazione operando, in questo modo, una separazione
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tra proprietà, che rimane pubblica, e gestione del patrimonio che viene affidata a soggetti privati.
Con riferimento allo strumento della concessione di
valorizzazione, va sottolineato come questa venga a caratterizzarsi rispetto al tradizionale strumento concessorio, in primo luogo, per l’essere inserita all’interno di un processo di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, il cui momento iniziale è rappresentato dalla ricognizione effettuata dal concessionario non solo del bene, ma della sua potenziale redditività attraverso interventi effettuati dal privato, risultando, così, oggetto della concessione non il bene, ma le molteplici utilità che emergono dalla realtà nella quale il bene è inserito11.
3. La prima fase del processo di privatizzazione
Il collegamento funzionale tra processo di privatizzazione immobiliare e risanamento della finanza pubblica viene espresso per la prima volta in un documento di programmazione economico finanziaria all’inizio degli anni ’9012.
11 L. Giani, Valorizzazione, alienazione e razionalizzazione del patrimonio edilizio pubblico,
in Furpress.net, 2012.
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Nonostante risulti ormai acquisita la consapevolezza delle potenzialità insite nella gestione del patrimonio immobiliare pubblico, il legislatore procede, fino a tutto l’ultimo decennio del secolo scorso, con un insieme di disposizioni che, stratificandosi, vanno a formare un sistema legislativo disorganico13.
La legge finanziaria del 199014 aveva previsto la vendita dei beni immobili patrimoniali dello Stato. I criteri per la gestione produttiva dei beni avrebbero dovuto esser fissati da un’altra legge, che però non fu mai approvata, decretando il fallimento di questo tentativo.
Un progetto più impegnativo, per certi aspetti precursore di tecniche acquisite più tardi, era contenuto nella l. n. 35/1992, che regolamentava la “Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica”. Tale provvedimento era costituito da solo due articoli, di cui l’art. 2 si riferiva alle dismissioni immobiliari e conferiva al Ministro delle Finanze la facoltà di far censire e poi dismettere da società appositamente costituite in base a criteri stabiliti dal CIPE, i beni considerati non indispensabili allo svolgimento delle attività istituzionali dello Stato. Si prevedeva
13 L. Mercati, Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, op. cit., p.
111 ss.
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l’anticipazione a titolo di acconto al bilancio dello Stato del 50 per cento dei proventi derivanti dalle gestioni e dalle alienazioni, oltre alla destinazione alla valorizzazione dei proventi della gestione dei beni patrimoniali non alienati; le operazioni erano soggette alla vigilanza di un comitato formato dai Ministri delle finanze, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, assistito da un comitato tecnico. Nella normativa citata, il rapporto tra Stato e soggetti affidatari era, dunque, molto procedimentalizzato.
Effettuato parzialmente il censimento degli immobili alienabili, nel 1993, su delibera del Consiglio dei Ministri, veniva costituita Immobiliare Italia s.p.a. da parte di sette soci pubblici. La società, che aveva come oggetto sociale la vendita e la gestione del patrimonio pubblico statale, nonostante si fosse data un primo assetto organizzativo e funzionale, in sostanza non ha mai operato per diverse e complesse ragioni. Il Ministero delle Finanze avanzò inizialmente perplessità in ordine all’evenienza che la stipula della convenzione potesse configurare una violazione delle norme comunitarie che stabiliscono il divieto di discriminazione in materia di servizi15, successivamente sulla
eccessiva onerosità del costo delle anticipazioni che a norma di legge la Società era tenuta ad effettuare sul valore dei beni conferiti per la
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dismissione. Superato questo problema con la modifica della legge che rendeva discrezionali le richieste di anticipazione da parte del Ministro, la Società incontrò difficoltà nel reperire i dati relativi ai singoli beni che avrebbe dovuto gestire e dimettere, per incompletezza degli elenchi predisposti dal Ministero delle Finanze16.
A venire in rilievo in questa prima vicenda di privatizzazione, tuttavia, non sono solo l’incompletezza e l’inattendibilità dei dati inventariali, ma anche il modello organizzativo disegnato dalla legge di contabilità generale del 1923 che ha generato tali carenze. Infatti tale legge prevedeva una competenza generale dell’amministrazione finanziaria per l’inventariazione, mentre le leggi speciali trasferivano agli altri ministeri il profilo più propriamente gestorio, che coincide con l’utilizzazione, diretta o concessa a terzi, di singoli elementi del patrimonio.
L’esito ultimo di questo modello organizzativo, peraltro modificato solo in tempi recenti con il riordino dei Ministeri17, è stato dunque quello di una separazione tra l’amministrazione deputata ad annotare negli inventari tutte le modificazioni avvenute sui beni, e le amministrazioni consegnatarie dei beni medesimi che tali modifiche
16 G. Colombini, Privatizzazione del patrimonio pubblico e obiettivi di finanza pubblica, Atti
del convegno AIPDA (2-3 ott. 2003, Firenze), in Astrid.eu.
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gestivano e determinavano. Situazione che ha determinato quelle carenze informative che hanno impedito il decollo di Immobiliare Italia ed hanno condizionato i successivi programmi di dismissione degli anni ’90.
Nelle more dei successivi approfondimenti e valutazioni che si susseguono negli anni successivi alla costituzione, intervengono le privatizzazioni dei soci e l’affidamento dell’incarico ad Immobiliare Italia si rivela sempre più difficile, tanto che le procedure di alienazione disposte dalla legge n.35/1992 non furono mai attuate.
Con la legge n. 662/1996 veniva disposta l’abrogazione della legge n. 35/1992 e l’avvio di un nuovo procedimento di dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato.
Negli anni successivi vengono approvate leggi volte a superare, da un lato, la tradizionale concezione contabile della invalutabilità del bene giuridicamente extra commercium attraverso norme che impongono allo Stato, regioni ed enti locali una rivalutazione dei canoni concessori per l’utilizzazione dei beni pubblici sulla base dei prezzi di mercato, dall’altro, volte ad introdurre una qualificazione finanziaria del patrimonio immobiliare pubblico, con lo scopo di trasformare la ricchezza immobiliare in ricchezza sostanzialmente mobiliare
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collegandone gli effetti alla realizzazione degli obiettivi di contenimento e riduzione del disavanzo e del debito pubblico.
A venire in rilievo è la legge n. 86/1994, come integrata dalla legge n. 503/1995. Questa istituisce per la prima volta la costituzione di un fondo immobiliare pubblico chiuso18, autorizzandone la costituzione mediante sottoscrizione in natura con apporto di beni immobili dello Stato, regioni, enti locali ed enti previdenziali pubblici. In sostanza si afferma per la prima volta il principio secondo il quale la sottoscrizione del fondo avviene sulla base di un patrimonio già esistente e inserito nel Fondo. È dunque evidente che, in questo contesto, il patrimonio immobiliare dello Stato, enti locali ed enti previdenziali viene ad assumere un ruolo finanziario.
Tuttavia, gli interventi legislativi più significativi nell’ambito dell’utilizzazione dei Fondi immobiliari pubblici come strumenti finanziari per il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, sono rappresentati dalla già citata legge finanziaria per l’anno 1997, la legge n. 662/1996.
La legge, nel dettare misure di razionalizzazione della finanza pubblica, disponeva19 che il Ministro del tesoro, al fine di attivare il
18 Art. 14 bis, l. n. 86/1994. 19 Art. 3, co. 86-96, l. n. 662/1996.
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processo di dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato, era autorizzato a sottoscrivere quote di fondi immobiliari istituiti ai sensi dell’art. 14 bis della legge n. 86/1994, mediante apporto di beni immobili e diritti reali su immobili appartenenti allo Stato, enti locali ed enti previdenziali. A tal fine era formato un elenco dei beni immobili suscettibili di valutazione economica con la descrizione dei beni e dei dati necessari alla individuazione e classificazione tra cui la natura, la consistenza, la relativa certificazione catastale ed una sintetica relazione sulle condizioni di fatto e di diritto20.
Si prevedeva, inoltre, la costituzione di una o più società di gestione dei beni e diritti, con facoltà per il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica di assumere partecipazioni al relativo capitale.
Accanto allo strumento finanziario del Fondo, riferito, come dispone la legge, ai beni immobili di maggiore rilevanza economica, era prevista anche una alienazione diretta da parte del Ministero, mediante asta pubblica, o, in caso di asta deserta, mediante trattativa privata. Questo doppio regime di dismissione degli immobili pubblici ha generato una frammentazione delle operazioni sul territorio, al punto
20 Olivi M., Beni demaniali ad uso collettivo. Conferimento di funzioni e privatizzazione, op.
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che non è stato possibile avere un quadro completo delle vendite effettuate.
È dovuto intervenire di nuovo il legislatore con la legge n. 448/1998, introducendo una nuova procedura generale per l’alienazione e la gestione del patrimonio immobiliare statale. Il Ministro del Tesoro, di concerto con il Ministro delle Finanze, possono, in deroga alle norme di contabilità dello Stato, vendere o conferire a società per azioni beni immobili o diritti reali su di essi, per assicurarne una più proficua gestione, sempreché non si tratti di immobili destinati ad uso governativo.
Attraverso questo excursus delle vicende più significative che hanno caratterizzato il processo di privatizzazione nel corso degli anni ’90 vengono in luce due modelli: quello dell’alienazione diretta da parte dell’amministrazione statale mediante l’ausilio di società di consulenza per la determinazione del valore dei beni o per la gestione della dismissione, e quello mediante società per azioni cui è affidata la gestione dei Fondi immobiliari pubblici. Accanto a questi due modelli il legislatore ha disciplinato anche l’aspetto della valorizzazione del patrimonio pubblico, prevedendo la costituzione di apposite società per la valorizzazione e il recupero del patrimonio pubblico.
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A venire in rilievo è dunque la consapevolezza da parte del legislatore della necessaria compatibilità del programma di dismissione, sia diretta che con apporto a Fondi immobiliari pubblici, con il regime giuridico dei beni pubblici.
La frammentarietà della legislazione, che nel complesso non si è basata su interventi organici, affidandosi all’introduzione di continue e parziali modifiche, ha fatto sì che ciò che si è verificato nel corso degli anni ’90 non può essere definito come un vero processo di privatizzazione, ma come un insieme di misure tese all’incremento dell’alienazione dei beni del patrimonio disponibile.
4. La cartolarizzazione immobiliare
La vera novità sotto il profilo dell’affinamento degli strumenti per la dismissione di beni pubblici è rappresentato dal d.l. n. 351/2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 410/2001, contente una serie di disposizioni in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, attraverso le quali è stato avviato il primo progetto di gestione e dismissione degli immobili dello Stato. Nella normativa in esame si autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze a costituire una o più società a responsabilità limitata per
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realizzare operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio dello Stato e degli enti territoriali.
Conviene preliminarmente descrivere in cosa consiste la cartolarizzazione. Si tratta di una complessa tecnica che trasforma determinati beni in strumenti finanziari più facilmente collocabili sul mercato, in modo da rendere subito disponibile una liquidità che i beni potrebbero rendere solo in futuro21. In particolare, si basa sulla cessione pro soluto22 di una attività patrimoniale o di un flusso di pagamenti
futuri da parte di un soggetto, chiamato originator, ad una società veicolo che finanzia l’acquisto attraverso la raccolta di fondi presso gli investitori, mediante una emissione di titoli. Il flusso generato dall’attività consente alla società veicolo di rimborsare gli investitori e realizzare un profitto. L’elemento cardine del processo di cartolarizzazione è costituito dall’irrilevanza del rapporto tra indebitamento originato dall’emissione dei titoli e il patrimonio della società emittente; in altre parole, i beni oggetto di cartolarizzazione e ogni altro diritto acquisito nell’ambito dell’operazione, costituiscono un
21 G. Terracciano, Il demanio quale strumento di finanza pubblica, Torino, op. cit., pp.174
ss.
22 Con la cessione del credito si trasmette un diritto a un altro soggetto che subentra nel
rapporto con il creditore; con questa operazione, di conseguenza, si verifica una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio dal lato attivo. Nella cessione del credito pro soluto il cedente non deve rispondere dell'eventuale inadempienza del debitore. Lo strumento garantisce dunque solamente dell'esistenza del credito. Diverso è il caso della cessione del credito pro solvendo, in cui invece il cedente risponde dell'eventuale inadempienza del debitore.
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patrimonio separato da quello della società veicolo e da quello relativo ad altre operazioni di cartolarizzazione. Delle obbligazioni nei confronti dei portatori dei titoli, dei soggetti concedenti i finanziamenti e di ogni altro creditore, risponde esclusivamente il patrimonio separato.
La procedura di dismissione, attuata mediante cartolarizzazione come delineata dal legislatore, si articola in più fasi e inizia con l’emanazione di appositi decreti dirigenziali dell’Agenzia del Demanio, con cui viene effettuata la ricognizione del patrimonio immobiliare dello Stato al fine di individuare i beni immobili che possono essere dismessi. La seconda fase prevede la creazione, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, di società veicolo che hanno come oggetto esclusivo la realizzazione di operazioni di cartolarizzazione. Si procede poi al trasferimento degli immobili alle società veicolo, le quali anticipano allo Stato l’importo stabilito dal Ministero, finanziandosi con operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla rivendita o dalla gestione degli immobili, mediante emissione di titoli o assunzione di finanziamenti. La società veicolo provvede poi alla rivendita degli immobili, rimanendo tenuta a corrispondere l’eventuale residuo della vendita.
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4.1. La ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico
La legge n. 410/2001 esordisce23 con la disciplina dell’operazione riguardante la ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico. Il compito è affidato all’Agenzia del Demanio24, che vi dovrà provvedere
con propri decreti dirigenziali, individuando i singoli beni sulla base della documentazione già esistente presso archivi e uffici pubblici, distinguendo tra beni demaniali e beni del patrimonio disponibile e indisponibile25.
Tali decreti dirigenziali, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, «hanno effetto dichiarativo della proprietà in capo all’Ente pubblico, anche in assenza di precedenti trascrizioni, e producono gli effetti previsti all’articolo 2644 del codice civile26». Una volta che questi
ultimi siano stati trascritti, infatti, non può avere effetto contro l’Ente, a favore del quale si è proceduto ad effettuare la formalità pubblicitaria, alcuna trascrizione od alcuna iscrizione di diritti acquistati da un terzo, nonostante l’acquisto del terzo medesimo risalga a data anteriore. Gli
23 Art. 1, l. n. 410/2001.
24 Istituita con l’art. 65, d.lgs. n. 300/1999 insieme ad altre tre Agenzie: Dogane, Entrate,
Territorio.
25 A. Tondo, Impianto della procedura per la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici, in G. Morbidelli (a cura di), La cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico,
Torino, Giappichelli, 2003, pp. 14 ss.
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uffici competenti provvedono, se necessario, alle conseguenti attività di trascrizione, intavolazione e voltura.
La citata norma, anche per scongiurare rischi di invadenza incostituzionale nella sfera dei diritti soggettivi altrui, ha espressamente previsto che tali decreti dirigenziali sono suscettibili di ricorso amministrativo entro 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, fermi gli altri rimedi di legge.
4.2. La società veicolo
La legge n. 410/2001 disciplina27 la costituzione di una o più
società veicolo da parte o su iniziativa del Ministro dell’economia e la sua operatività, prevedendo le modalità di costituzione della società e la sua connotazione come pura società veicolo, in cui il rischio è trasferito in capo ai finanziatori.
Secondo l’articolazione del regime normativo, la società veicolo finanzia il trasferimento a suo favore di beni immobili attraverso emissione di titoli o assunzione di finanziamenti, il cui rimborso è garantito dai proventi derivanti dalla gestione e rivendita degli immobili; inoltre, la società, non assume rischi imprenditoriali ed è
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esonerata dalla garanzia per vizi ed evizione, a carico totale dello Stato o dell’ente proprietario. È evidente sintomo della sua natura speciale il fatto che la società medesima, pur immessa nel possesso, non ha tuttavia la gestione degli immobili trasferitile, devoluta agli enti già proprietari28.
La finalità sottesa all’operazione di cartolarizzazione è quella di assicurare all’erario una immediata entrata lasciando alla società veicolo il tempo per procedere alla rivendita dei beni immobili29.
La società veicolo rappresenta, quindi, uno strumento per il perseguimento della finalità pubblica della dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato.
Per quanto riguarda i profili organizzativi, il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato a costituire o promuovere la costituzione, anche attraverso soggetti terzi, di più società a responsabilità limita, aventi ad oggetto la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli altri enti pubblici. Va sottolineato che le società veicolo possono essere costituite anche con
28 I. Borrello, La cartolarizzazione dei proventi delle dismissioni immobiliari, in Giorn. dir. amm. n. 2, 2012, p. 133.
29 U. Tombari, Profili organizzativi della “società veicolo” nella legge sulla privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare, in G. Morbidelli (a cura di), La cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, op.cit., pp. 224 ss.
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atto unilaterale del Ministero dell’economia e delle finanze, che ha l’obbligo di riferire al Parlamento ogni sei mesi i risultati economico finanziari conseguiti. La forma giuridica della società veicolo è stata individuata nella società a responsabilità limitata, con un capitale minimo iniziale pari a 10.000 euro e con oggetto sociale esclusivo. È questa la caratteristica tipica della società veicolo: l’essere un veicolo societario costituito con lo specifico ed unico scopo di realizzare operazioni di cartolarizzazione e non utilizzabile ad alcun altro fine.
Altra caratteristica è la necessaria presenza di uno o più patrimoni separati all’interno della struttura organizzativa, su cui non sono ammesse azioni da parte di qualsiasi creditore diverso dai portatori dei titoli emessi dalla società ovvero dai concedenti i finanziamenti reperiti dalla società.
All’articolo 3 della legge n. 410/2001 si prevede che i beni immobili individuati dall’Agenzia del Demanio possono essere trasferiti, a titolo oneroso, alle società veicolo con uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. L'inclusione nei decreti produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile. Con i decreti ministeriali citati sono inoltre individuate le caratteristiche delle operazioni di cartolarizzazione, l'immissione delle società nel possesso dei beni
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immobili trasferiti, le modalità per la valorizzazione e la rivendita dei beni immobili, il prezzo iniziale che le società corrispondono a titolo definitivo a fronte del trasferimento dei beni immobili. Fino alla rivendita dei beni immobili trasferiti alle società di cartolarizzazione i gestori degli stessi immobili sono responsabili a tutti gli effetti ed a proprie spese per gli interventi necessari di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché per l'adeguamento dei beni alla normativa vigente30.
Vengono poi previsti espressamente in favore dei conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale il diritto di opzione e di prelazione; tali diritti vengono concessi purché gli inquilini siano in regola con il pagamento dei canoni e purché non sia stata accertata l'irregolarità della locazione. Per la determinazione del prezzo di vendita si dovrà fare riferimento ai valori di mercato, determinati sulla base di transazioni analoghe sul mercato. Tali valori possono essere stimati dall'Agenzia del territorio o da terzi consulenti. Per quanto riguarda la fase della rivendita del patrimonio, viene regolato il diritto di prelazione sulla rivendita degli immobili da parte della società veicolo, qualificando il processo di vendita come una privatizzazione degli immobili, e quindi escludendo la possibilità che soggetti pubblici
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partecipino all'acquisto degli immobili dismessi, il che, come è ovvio, vanificherebbe l'intera operazione. Per la rivendita dei beni immobili ad esse trasferiti, le società sono esonerate dalla garanzia per vizi e per evizione e dalla consegna dei documenti relativi alla proprietà dei beni e alla regolarità urbanistica e fiscale. La garanzia per vizi e per evizione è a carico dello Stato ovvero dell'ente pubblico proprietario del bene prima del trasferimento a favore delle società31.
La concreta applicazione avutasi in questi anni, ha messo in luce che la cartolarizzazione ha avuto ad oggetto esclusivamente unità immobiliari ad uso commerciale e residenziale, ovvero immobili facilmente alienabili o idonei alla produzione di reddito in ordine ai quali l’Agenzia del Demanio avesse già verificato il venir meno dell’originaria destinazione pubblicistica, rispondendo all’esigenza di fare rapidamente cassa.
4.3. Le operazioni di cartolarizzazione immobiliare: SCIP1 e SCIP2
La prima operazione di cartolarizzazione viene avviata ufficialmente nel dicembre del 2001, quando il Ministro dell’economia
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Tremonti avoca a sé tutti i poteri in materia di dismissioni dando il via all’era delle cartolarizzazioni immobiliari o, come definita dai più, della finanza creativa. Per gestire la cartolarizzazione viene costituita S.C.I.P. s.r.l.32, società di diritto lussemburghese con capitale sociale di
10.000 euro con il compito di gestire le operazioni di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico.
SCIP 1 prende il via con il decreto-legge 351/2001 e riguarda esclusivamente i beni di proprietà degli enti previdenziali già inseriti nei programmi di dismissione precedenti e che non erano ancora stati venduti, per un valore stimato di 5 milioni di euro, poi ridimensionato a 3,8 milioni33.
A fronte di questo portafoglio immobiliare, nel dicembre 2001 vengono emessi titoli per 2.300 milioni il cui rimborso viene completato a dicembre 2003. L’operazione beneficia del lavoro propedeutico alle vendite già svolto in precedenza, e perciò le vendite procedono rapidamente e senza particolari ostacoli.
Nel 2002 parte SCIP 2, definita dal ministro Tremonti “la più grande cartolarizzazione immobiliare fatta da uno Stato europeo”. Ma la seconda operazione si è rivelata molto più complessa della prima, sia
32 Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici.
33 C. dei Conti, sez. unite in sede di controllo, Analisi dei risultati delle cartolarizzazioni,
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per la sua dimensione sia perché non si era avvalsa di un periodo di preparazione adeguato; sette enti previdenziali e lo Stato cedono alla SCIP S.r.l. unità immobiliari con un valore di mercato pari a 10.000.000 di euro, fissando la scadenza legale per il rimborso dei titoli di rimborsare già ad aprile 2004 e di completare il rimborso dell’ultima tranche a ottobre 200634.
Le cose andarono diversamente: le vendite furono largamente al di sotto delle previsioni e gli incassi furono insufficienti per rimborsare le tranche. Ad aprile 2005 la SCIP S.r.l., per far fronte alle difficoltà di rimborso dei titoli in scadenza, è stata autorizzata a ristrutturare il proprio debito mediante l’emissione di tre nuove serie di titoli, ma anche il nuovo programma non andò meglio. A fine 2008 nelle casse SCIP vi erano solo 160 milioni e restavano da rimborsare una parte della tranche scaduta a ottobre 2008, la tranche in scadenza a gennaio 2009 e il prestito delle banche per un totale 1.730 milioni. Si arriva così alla decisione, inevitabile, di liquidare l’operazione, con la legge n. 14/2009. Tra le ragioni del fallimento di SCIP 2, vanno annoverati l’aumento dei prezzi di mercato, lo scontro sociale e politico che si è aperto sulle cartolarizzazioni, il moltiplicarsi dei contenziosi relativi agli immobili di pregio e la confusione legislativa, che non si preoccupa
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di definire i costi impliciti delle operazioni di cartolarizzazione. Lo Stato pone, quindi, in liquidazione i patrimoni separati relativi a SCIP 1 e SCIP 2, trasferendo la proprietà degli immobili di SCIP ai soggetti originariamente proprietari degli stessi, contro il pagamento di un corrispettivo pari al debito residuo di SCIP, che è di circa 1,7 miliardi.
Per quanto riguarda i criteri seguiti nella scelta degli immobili da cartolarizzare, il Dipartimento del Tesoro ha riferito che i criteri seguiti per la prima operazione hanno riguardato essenzialmente la facilità con cui sarebbero stati alienati, considerata la necessità di fare cassa: sono state pertanto privilegiate le situazioni in cui, in uno stesso stabile, tutti gli appartamenti si trovassero in situazione di regolarità locativa e non vi fossero occupazioni abusive. Per SCIP 2, invece, si riferisce che è stato cartolarizzato il patrimonio residuale35.
4.4. L’esito fallimentare delle operazioni di cartolarizzazione e gli effetti sul debito pubblico
Occorre inizialmente sottolineare che, nell’utilizzare l’espressione “debito pubblico”, si deve attualmente far riferimento alle definizioni adottate dall’Unione europea in applicazione del Trattato di Maastricht,
35 C. dei Conti, sez. unite in sede di controllo, Analisi dei risultati delle cartolarizzazioni, cit.,
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le quali utilizzano le classificazioni del Sistema europeo armonizzato di contabilità nazionale, indicato con l’acronimo Sec95.
Parte della dottrina si è posta il quesito di verificare se le operazioni di cartolarizzazione dei beni del patrimonio pubblico rappresentino una vera e propria cessione di attività e quindi comportino le conseguenze previste dal regolamento Sec95, o se invece tali operazioni rappresentino una accensione di un prestito. La risposta va trovata nelle regole comunitarie che Eurostat,l’Agenzia europea tra l’altro incaricata della definizione dei criteri comuni per la redazione dei bilanci degli Stati europei, ha fissato nel 200236.
Secondo il Sec95 la cartolarizzazione degli immobili è cessione diretta di attività non finanziarie non prodotte e, quindi, viene contabilizzata come una diminuzione del debito; però, in base alla stessa fonte, per potersi effettuare questa registrazione occorre che vi sia stato un vero e proprio passaggio di proprietà, verso il corrispettivo di un prezzo e, dunque, di una vendita37.
L’operazione non può essere contabilizzata come vendita, ma come accensione di prestito, se vengono fornite garanzie pubbliche alla
36 G. Colombini, Privatizzazione del patrimonio pubblico e obiettivi di finanza pubblica, cit.,
p. 18.
37 L. Mercati, Pubblico e privato nella valorizzazione del patrimonio immobiliare, op. cit., p.
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società veicolo e se l’incasso iniziale è inferiore all’85% del valore di mercato dell’attivo ceduto.
Nel caso di SCIP 1, il prezzo percepito era pari al 60% del valore degli immobili. Pertanto, pur rimanendo SCIP 1 un’operazione giuridicamente classificabile come vendita e del tutto esogena al bilancio dello Stato, con la riclassificazione operata il prezzo incassato è stato equiparato ad un prestito, mentre gli immobili sono stati considerati ancora inclusi nel bilancio dello Stato38.
L’analisi delle regole fissate da Eurostat, e le regole contabili imposte dal regolamento Sec 95 hanno messo in luce alcuni punti di debolezza di tutto l’impianto normativo che attribuisce alla privatizzazione del patrimonio pubblico mediante cartolarizzazioni un effetto positivo per gli obiettivi di finanza pubblica. Infatti le Scip svolgono un servizio finanziario per conto dell’amministrazione pubblica e non sono garanzia di successo della dismissione, posto che il trasferimento immediato dei beni alla società veicolo, come disposto dalla legge n. 410 del 2001, non costituisce affatto garanzia di vendita effettiva. Se si considera, infatti, che le SCIP si vedono trasferire i beni con decreto del Ministro e che in tali decreti sono stabiliti il prezzo
38 C. Conti, sez. unite in sede di controllo, Analisi dei risultati delle cartolarizzazioni, cit., p.
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iniziale, le modalità di pagamento e tutte le caratteristiche delle operazioni di cartolarizzazione, ne consegue che tali società non dispongono di alcun potere autonomo sui beni trasferiti, ma gestiscono esclusivamente un servizio finanziario per conto dell’ente pubblico cedente.
Le cartolarizzazioni pubbliche, dunque, sono state un grande affare, ma non per lo Stato. Esse sono state gestite in maniera poco trasparente dalle grandi banche d'affari scelte per organizzare tutte le
relative procedure di attuazione. L'obiettivo di riduzione
dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni è stato conseguito in misura molto limitata. La pianificazione e la gestione strategica delle operazioni sono state di fatto esternalizzate, affidandole ai super consulenti, e in particolare alle banche d'affari che operano a livello internazionale. Data la loro natura e i loro interessi, tali soggetti, da una parte, non hanno effettuato alcun monitoraggio dei costi e dei benefìci pubblici e, dall'altra, sono stati comunque portati a evidenziare i vantaggi delle operazioni. Si può dubitare che siano stati fatti gli interessi pubblici, anche perché i processi di cartolarizzazione si sono svolti in condizioni di scarsissima trasparenza. Tranne lo Stato, ci hanno guadagnato più o meno tutti: le banche, gli investitori finanziari, le agenzie di rating, gli immobiliaristi, gli studi legali, gli ex inquilini
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diventati proprietari. Con le operazioni di cartolarizzazione una buona parte del patrimonio immobiliare pubblico è stata venduta, con elevatissimi costi di gestione39.
La Corte dei Conti, già nel 2006 aveva denunciato la scarsa trasparenza delle operazioni di cartolarizzazione. Nell’ “Analisi dei risultati delle cartolarizzazioni”, la Corte afferma che operazioni sono state fatte in fretta, senza un'accurata valutazione del rapporto costi/benefici, al punto da rendere impossibile valutarne gli effettivi impatti in termini di riduzione del deficit e di abbattimento del debito pubblico. Si è, quindi, trattato di decisioni di natura squisitamente politica, basate più su considerazioni di necessità di breve termine e di consenso, e meno di accurati calcoli di convenienza economico-finanziaria. Nel documento si legge che anche l’obiettivo delle operazioni non è affatto chiaro: se, formalmente, finalità delle operazioni era dismettere i beni immobili il cui costo di detenzione risultasse superiore ai vantaggi ricavabili dalla loro cessione, a parere della Corte unico obiettivo realmente perseguito è stato il rispetto dei divieti sui disavanzi eccessivi imposti dal Patto europeo di stabilità e di crescita. Alle richieste di informazioni della Corte sono state date solo
39 Proposta di legge n. 2269 sulla Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle operazioni di cartolarizzazione denominate SCIP 1 e SCIP 2 effettuate dalla Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici S.r.l., presentata il 9 marzo 2009, in Camera.it.
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risposte frammentarie e disomogenee, evidenziando la scarsa conoscenza che l’Amministrazione ha dei risultati gestionali delle operazioni.
Nel 2009, nel corso dell’audizione presso la Commissione finanze e tesoro del Senato, la Corte conferma le considerazioni già formulate nel 2006, dando nuovamente rilievo alla scarsa trasparenza dei costi sostenuti e dei ricavi effettivamente eseguiti. Nella cartolarizzazione di immobili la scarsa trasparenza ha riguardato addirittura anche la stessa nozione di immobile e la corretta individuazione dei beni interessati dall’operazione. Inoltre, la cessione di portafogli alla società veicolo è quasi sempre avvenuta pro solvendo e non pro soluto, come richiedeva, invece, una delle regole fondamentali della cartolarizzazione, facendo sì che il rischio della gestione rimanesse al cedente, ovvero allo Stato40. È risultato evidente che la cartolarizzazione degli attivi ha costituito una semplice alternativa all’aumento delle entrate e alla riduzione della spesa ovvero al ricorso all’indebitamento e le decisioni di alienare sono state assunte solo per poter correggere i conti pubblici
40 F. Battini, I risultati delle cartolarizzazioni nel periodo 1999-2005 e la liquidazione del patrimonio SCIP 2, in Giorn. dir. amm., n. 5, 2009, p. 543.
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dell’anno e non come punto di approdo di una rigorosa analisi costi/benefici41.
Ne consegue che nel caso italiano le cartolarizzazioni di beni immobili non hanno rappresentato soltanto una mera anticipazione di entrate future, ma anche un onere per la finanza pubblica.
5. Patrimonio dello Stato S.p.a.
Patrimonio dello Stato S.p.a. nasce, in forza del decreto legge n. 63/2002, convertito poi in legge con modificazioni dall’articolo 7 della legge n. 122/2002, come soggetto cui trasferire gradualmente beni soggettivamente pubblici al fine di valorizzarli, gestirli e alienarli nel rispetto dei requisiti e delle finalità proprie dei beni42.
Il legislatore, all’art. 7 della legge n. 112/2002, aveva stabilito che alla Patrimonio dello Stato S.p.a. potessero essere trasferiti diritti sui beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile ed indisponibile dello Stato, sui beni immobili facenti parte del demanio e comunque sugli altri beni compresi nel conto generale del patrimonio. Il capitale
41 C. dei conti, sez. unite in sede di controllo, audizione del 18 febbraio 2009 presso la
Commissione Finanze e tesoro del Senato, sui risultati delle cartolarizzazioni degli attivi pubblici 1999-2005, su Cortedeiconti.it.
42 A. Brancasi, La cartolarizzazione dei beni pubblici di fronte all’ordinamento comunitario,
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sociale era rappresentato dal valore dei conferimenti effettuati dallo Stato in qualità di unico socio ed azionista: si prevedeva, infatti, che le azioni venissero attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze, pur non escludendo la partecipazione successiva di altri soggetti al capitale sociale. Nel perseguimento dei suoi fini istituzionali, la Società operava secondo gli indirizzi strategici stabiliti dal Ministero, previa definizione da parte del CIPE43 delle direttive di massima. Era previsto
anche il potere di effettuare operazioni di cartolarizzazione ai sensi della legge n. 410/2001 e la possibilità di trasferire i propri beni e diritti esclusivamente a titolo oneroso alla società Infrastrutture S.p.a., istituita dall'art. 8 della stessa legge44.
Dalle norme si desume che Patrimonio dello Stato S.p.a. era una società legale ad esistenza necessaria: legale perché istituita direttamente dalla legge, la quale aveva fornito all’ente una denominazione, un capitale sociale e un azionista; ad esistenza necessaria perché la legge ne determinava imperativamente anche l’oggetto sociale, vincolando l’ente al suo svolgimento.In altre parole, il legislatore aveva implicitamente sottratto a Patrimonio dello Stato
43 Comitato Interministeriale per la programmazione economica. 44 Art. 7, co. 10-12, l. n. 112/2001.